Nuvole in scatola
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Un sole, otto pianeti (ve lo ricordate che Plutone non si conta più, vero?), una manciata di satelliti, la Via Lattea: fosse tutta qui, la geografia astronomica, sarebbe piuttosto semplice, no?

Tuttavia, quando si parla di infinitamente grande, ci si scontra anche con l'infinitamente complesso: nozioni al limite della nostra comprensione, che vanno oltre la nostra esperienza delle leggi fisiche.

Lassu nell universo
 

Per rendere semplici e comprensibili questi concetti bisogna essere abili divulgatori, e Amedeo Balbi e Andrea Valente dimostrano certamente di esserlo con Lassù nell'universo, pubblicato da Editoriale Scienza.

L'unione tra la profonda conoscenza della materia di Balbi, astrofisico, e la penna chiara e brillante di Valente trasforma una materia oscura (tanto per rimanere in tema) in un argomento affascinante e alla portata di tutti.

In Lassù nell'universo non troviamo i soliti elenchi di pianeti, i dati sulle masse e le distanze o il numero dei satelliti: niente nozionismi numerici, insomma, ma brevi, sintetici capitoli in cui si risponde alle grandi domande dell'astronomia e dell'astrofisica: come funzionano i buchi neri? cosa c'era prima del big bang? cos'è l'antimateria?

Lassu nell universo

Più che un contenitore di informazioni, insomma,  Lassù nell'universo è una palestra di pensiero, che ci spinge ad andare oltre la consueta logica delle cose, per comprenderne una più ampia, con nuove regole. Un libro utile anche per gli adulti, magari per un veloce ripasso prima di un film di Nolan.

Lassu nell universo

Balbi e Valente ci portano a immaginare la linea temporale della storia dell'Universo, e vedere quale piccola parte vi ha l'Uomo, a capire che quando guardiamo una stella stiamo guardando il suo passato, a cogliere il senso di infinito e di forma dell'Universo.

Lassu nell universo

Ci accompagnano nel viaggio dei quiz sche spaziano su curiosità e temi attinenti a quelli descritti, alcune note storiche e metodologiche sulle diverse scoperte, ma soprattutto quest'idea che la scienza e l'immaginazione siano legate da una sostanza comune.
E così, tra un capitolo e l'altro, ci troviamo a fantasticare sull'aspetto degli alieni, a scoprire la fiction che si rifà a pianeti immaginari, a sbirciare tra i film di fantascienza ispirati all'astrofisica.

Se c'è una cosa che ci insegna Lassù nell'universo è che l'immaginazione non ha confini, proprio come l'universo.


Lo spavento e la risata: due reazioni così distanti eppure così vicine.

Quante volte uno scoppio di risa ci aiuta a esorcizzare una paura improvvisa e immotivata, a superare quel momento di paralisi dovuto allo spavento?

Il mondo di halloween racchiude in sé queste due emozioni contrastanti e la concilia: i mostri spaventosi diventano decorazione, travestimento, festa e scherzo. E attorno ad halloween c'è una vasta produzione di fiction comica, fatta di equivoci, di mostri fifoni, o imbranati, o incapaci di fare paura.

Non leggere questo libro prima di andare a letto

È in questo filone che si inserisce Non leggere questo libro prima di andare a letto, di Eoin McLaughlin e Robert Starling, edizioni Lapis. Il gioco che l'albo intraprende col lettore inizia, come è ovvio, già dal titolo, e continua nel frontespizio, dove già vediamo il protagonista studiare su un libro dal titolo "come fare tanta paura".

Non leggere questo libro prima di andare a letto

È Terrore (in realtà Terry, all'anagrafe) il mostro che ci vuole spaventare: un essere con corna e denti grandi e porgenti, ma quanto al resto decisamente poco ripugnante. E lo pensano anche gli animali (un coniglio, un cerbiatto e un ranocchio) che ascoltano la sua storia, e che sembrano molto più incuriositi che impauriti.

Non leggere questo libro prima di andare a letto

La narrazione è ambigua: sembra rivolta agli animali presenti nel libro, ma rompe a volte la quarta parete, facendo incursione nella realtà del lettore e tentando di spaventarlo.

Non leggere questo libro prima di andare a letto

Così come Terry, anche la compagnia di mostri che porta con sé si rivela dolce e gentile, e spesso preda a sua volta della paura del buio, o del mal di mare: una banda di imbranati che si addormenta prima ancora del bambino che dovrebbe spaventare.

Non leggere questo libro prima di andare a letto

Non leggere questo libro prima di andare a letto è un albo da leggere esattamente prima di andare a letto. Magari in compagnia, magari durante un pigiama party di halloween.
Non concilia certo il sonno, ma è solo perché fa ridere.

Il dado fabbrica mostri

A proposito di feste di halloween, che ne dite di un gioco creativo a tema mostri?
Ricoprite cinque facce di un dado con degli adesivi su cui avrete disegnato parti del corpo: occhi, mani, piedi, orecchie, bocca. La sesta faccia sarà un jolly.
Procuratevi anche un dado normale.

gioco disegna mostri

Disegnate una forma geometrica su un foglio (sarà il corpo del mostro), poi a turno tirate i due dadi.
Ognuno dovrà aggiungere l'elemento descritto dal dado, nella forma che vorrà, nel numero indicato dal secondo dado.

gioco disegna mostri

Il mostro potrà così avere tre occhi, una sola zampa, sei orecchie (o antenne), quattro bocche. E il bello è che lo avrete disegnato tutti insieme: sarà il vostro terribile mostro collettivo.


La letteratura può tutto, anche annullare i confini tra vita e morte, esorcizzarne la paura, fino a renderla perfino divertente. Il che, in fondo, è lo stesso compito della festa di halloween.

Ossaspasso


Ecco allora che incontriamo questi scheletri: morti, certamente, ma più vitali che mai.

Sono Scheletro grande, Scheletro piccolo e Scheletro cane, protagonisti di Ossaspasso, il primo di una serie di libri inglese molto popolare (ne è stata tratta anche una serie tv), creata dai coniugi Janet and Allan Ahlberg e che ora Camelozampa sta portando in Italia, a cominciare da questo titolo.

Allegri, curiosi, giocherelloni, i tre scheletri rappresentano l'antitesi dell'immobilità della morte, uno scarto che viene reso evidente anche graficamente: a dispetto del nero dominante (la storia è ambientata di notte), le pagine sono intrise di colori forti, pieni e vivi.

 Ossaspasso

Questo stesso piacevole contrasto continua anche nel testo, con elementi lessicali tipicamente lugubri da un lato e un tono e un ritmo allegri e vivaci dall'altro. La prosa adotta formule e ripetizioni che agganciano il bambino e lo invitano ad anticipare il genitore nella lettura, prendendo forma, in alcuni punti, quasi di filastrocca popolare:


La nostra storia comincia così.
In cima a una collina scura scura
c'era una città scura scura.
E nella città scura scura
c'era una strada scura scura.
In quella strada scura scura
c'era una casa scura scura [...]

L'incipit ci accompagna in un movimento dal generale al particolare, sempre più vicini al luogo dove finalmente incontreremo i nostri protagonisti. È un movimento lento, ben scandito, in cui ogni elemento viene ripetuto due volte, prima come "contenuto" ("c'era una città..."), poi come "contenitore" ("E nella città..."), in un continuo scambio di ruoli sintattici. Le immagini seguono questo movimento, accompagnandoci dentro la cantina dove vivono gli scheletri.

Il ripetersi incessante della parola "scuro", così come il lessico che descrive gli scheletri, dovrebbe metterci paura, ansia o tristezza, ma la forma in cui questo lessico è composto comunica esattamente il contrario: è canzone, è gioco, è filastrocca. Lo si percepisce anche nelle parti meno ritmate: lo scheletro grande, ad esempio, compie spesso il movimento di "grattarsi il teschio": un gesto che ci fa ridere nonostante la formula contenga una parola macabra (o forse ci fa ridere proprio per questo?).

Perfino quando un incidente prova a "far morire la morte", trasformando lo scheletro cane in un mucchietto di ossi, Ossaspasso ci strappa una risata, perché quando i due scheletri umani provano a ricomporlo, sbagliano l'ordine degli elementi, e così lui abbaia anagrammando le lettere.

Ossaspasso

La storia non presenta grandi momenti di pathos o importanti archi narrativi, è più un vagare curioso e allegro dei tre scheletri alla ricerca di qualcuno da spaventare. In ogni scena si ripetono gesti, ruoli e battute, così come nell'incipit si ripeteva la formula della descrizione: lo scheletro grande chiede sempre cosa fare (e si gratta sempre il teschio), lo scheletro piccolo ha sempre un'idea, lo scheletro grande la accoglie sempre con entusiasmo.

È in questa ripetizione di formule e in questo contrasto tra elementi macabri e clima festoso che sta la chiave di questo albo, e ci voleva la sensibilità di Chiara Carminati per tradurlo rispettandone la musicalità, se non addirittura potenziandola.

Sì, perché l'allitterazione tanto allegra del titolo Ossaspasso, che diventa canzone nel bel mezzo del libro, è ancora più efficace dell'originale "funnybones": quel "funny" che in italiano viene dichiarato solo a metà (si percepisce prima "ossa-a-spasso" che "ossa-spasso") emerge prepotentemente dalla sonorità della parola, in una riuscitissima applicazione della regola "show, don't tell".

Sono uno spasso queste ossa che vanno a spasso: se le leggete adesso, le rileggerete spesso.


Ci sono espressioni e gesti che solo il proprietario di un cane sa capire.

A tutti gli altri sembreranno semplici e normali "facce da cane" ma solo lui, il suo compagno umano, saprà tradurli in parole.

Olle

Volendo semplificare (moltissimo), è qui la chiave di Olle, breve e intenso romanzo di Guus Kuijer, edito in Italia da Camelozampa con la bella traduzione di Valentina Freschi: quella che sembra una biografia del cane (il vero cane di Guus Kuijer) è in realtà quasi un racconto di come il suo padrone vedeva il mondo attraverso i suoi occhi.

Quando hai un cane da così tanto tempo ti dimentichi che l'hai comprato, ti sembra che ci sia sempre stato. Adesso è vecchio e la sua fine si avvicina. Scrivo questo libro perché non voglio che muoia.

La prosa di Kujier è semplice, colloquiale, eppure profonda. La sua è una lingua che esprime sincerità e familiarità, quella stessa sincerità e quella stessa familiarità che contraddistinguono il rapporto tra il cane Olle e Kuijer.

Olle è un cane strano, o meglio, un cane unico (non è forse così per tutti i cani, visti dai propri padroni?). Sembra non capire perfettamente il mondo, come se fosse troppo delicato e troppo ingenuo al tempo stesso. Olle ha bisogno di spiegazioni, e non di ordini; Olle si interroga sulle cose che vede, e resta a lungo incantato a guardare una farfalla intrappolata in una ragnatela; Olle si innamora (di Dien, una cagnolina presa da Kuijer e dalla moglie per fargli compagnia), ma non riesce ad accoppiarsi con lei, perché non sa come si fa.

Anche invecchiando, Olle conserva quello spirito bambino, candido e meravigliato, in un mondo molto più scafato di lui. C'è in lui un'essenza d'artista, sempre immerso nello stupore e al tempo stesso così fuori luogo ovunque. Viene naturale chiedersi se Olle sia l'alter ego dell'autore (e magari Dien, molto più attiva e concreta, quello della moglie).

Olle


Olle sa parlare. Ma ovviamente solo Kuijer e la moglie lo capiscono. Non solo:

Anche Dien parla! Abbiamo in casa gli unici due cani parlanti al mondo! Che coincidenza!
Attraverso la parola, gli episodi più quotidiani, come i due cani che si litigano un osso, diventano in Olle straordinari, come se la sensibilità del padrone potesse tradurre la psicologia canina in umana, gesti e ululati in discorsi.

Le delicate illustrazioni al tratto di Thé Tjong-Khing (ve lo ricordate?) trasmettono lo sguardo pacato, curioso ma anche un po' perso di questo inconsueto protagonista.

Molti adulti mi chiedono perché scrivo libri per i bambini.
"Perché mi piace", rispondo io.
[...]
Ma la risposta vera è un'altra. Scrivo per i bambini perché certe storie le puoi raccontare solo ai bambini. Prendiamo Olle. I grandi non crederanno mai che un cane sa parlare, vero?

Già, non ci crederanno. Tranne i grandi che hanno o hanno avuto un cane. Quelli, invece, lo sanno già benissimo.


Premessa doverosa: ho una certa avversione per gli alfabetieri.
In genere rispondono a quell’idea di lettura didattico pedagogica che vede il libro come uno strumento teso a produrre nel bambino una certa performance (imparare a leggere, imparare a scrivere, in generale imparare cose) e non qualcosa da leggere per il piacere di leggere.

ABC Il mio primo alfabetiere

Che ABC. Il mio primo alfabetiere facesse da eccezione a questa regola, però, mi era chiaro da prima di prenderlo in mano. Non poteva che essere così, con un'autrice come Chiara Carminati.

Questo albo di Edizioni Lapis, illustrato da Annalaura Cantone, ha la struttura che ci si aspetterebbe da qualsiasi alfabetiere in rima, con una filastrocca illustrata per ogni lettera dell'alfabeto, scritta rigorosamente in stampato maiuscolo. Ogni filastrocca presenta un animale e un alimento: nome comune dell'animale, nome proprio e alimento iniziano tutti con la stessa lettera. E così abbiamo Pompeo Porcospino con i Peperoni, Carlo Castoro con le Carote, ma anche Katia Koala con i Krapfen (le lettere inglesi non spaventano l'autrice!).

ABC Il mio primo alfabetiere

Ma quella che facilmente, sotto un'altra penna, potrebbe diventare una filastrocca stucchevole, con la Carminati è quasi poesia: ogni testo, perfetto nel suo ritmo e nella sua metrica, culla l'ascolto con le sue allitterazioni, ora morbide, ora espressive, ora più vicine a uno scioglilingua. Così, ad esempio, le Sorelle Salamandra

Straripanti di susine a più non posso 
si sfidavano a sputare in alto l'osso.

L'orecchio si abitua così non soltanto a riconoscere il suono di un preciso fonema ma anche a seguire il ritmo di un testo, accoglierne la sonorità, capirne l'effetto.
Il bambino impara a scrivere una certa lettera, sì, ma attraverso una musicalità che va oltre il solito esercizio didattico. Impara, insomma, attraverso il bello, che è sempre il modo migliore per imparare.

ABC Il mio primo alfabetiere

Le filastrocche sono accompagnate dalle illustrazioni movimentate e caricaturali di Annalaura Cantone, che rende ogni piccola storia ancora più divertente, perché imparare a scrivere non deve mai essere una noia.

A proposito, avete mai pensato di proporre esercizi di scrittura con qualche materiale alternativo alla carta e alla penna?
Una soluzione accattivante (anche dal punto di vista sensoriale) è riprodurre le lettere su uno strato di farina o di sabbia.

ABC Il mio primo alfabetiere

Ma può essere interessante anche ricostruirle con i rametti, oppure creare una caccia al tesoro nascondendo diverse lettere e chiedendo di scovare quella giusta.
Il segreto è sempre lo stesso: imparare può, anzi deve deve essere divertente.


Non siamo abituati a pensare contemporaneamente in modo analitico e sintetico.
Quando diciamo "buongiorno" pensiamo alla formula di saluto, non ci rendiamo conto che stiamo augurando una buona giornata.
E così (sembra un salto considerevole, ma la logica è la stessa), quando vediamo uno scheletro, inteso come personaggio del nostro immaginario di storie gotiche, non pensiamo nel dettaglio che si tratti di un insieme di ossi. 

Tibia e Biagio L'amicizia è servita

Tibia e Biagio. L'amicizia è servita, brevissimo e lieve romanzo per primi lettori di Ludovic Lecomte, illustrato da Irene Bonacina e pubblicato da Terre di mezzo editore, nasce proprio da quest'idea: parlare dello scheletro nella sua materialità.

Tibia (nomen omen) lavora per l'appunto come scheletro in un'attrazione da luna park dove spaventa i visitatori, ma di giorno è lui ad avere paura e a doversi rifugiare nella propria roulotte per sfuggire ai cani, che non vedono l'ora di rosicchiare le sue ossa (o i suoi ossi. Caso curioso: entrambe le sfumature di significato stavolta sono corrette).

Tibia e Biagio L'amicizia è servita

Poi arriva Biagio, un cucciolo dai grandi occhi supplicanti, a cercare la sua amicizia. 
Dapprima scontroso e sospettoso, Tibia cede all'insistenza del cagnolino e lo accoglie nella roulotte, dove gli insegnerà a leggere e a scrivere grazie... alla minestra.

Avete presente quella pastina a forma di lettere dell'alfabeto? In effetti è più famosa all'estero che da noi puristi della pasta, ma di sicuro i vostri figli l'avranno vista in qualche film o cartone.
Ecco: mettendo in fila queste pastine sotto la guida di Tibia, Biagio impara a scrivere il suo nome e poi gradualmente tutto il resto. 

Non tutto è idilliaco, però: anche una cosa bella come l'aver imparato a leggere avrà conseguenze negative, portando a un'incomprensione che fortunatamente verrà superata.


Tibia e Biagio L'amicizia è servita

Sotto l'apparenza di una lettura leggera e disimpegnata, Tibia e Biagio. L'amicizia è servita parla al lettore di un'amicizia improbabile che supera preconcetti e differenze, ma anche dello scarto tra le buone intenzioni e i risultati inaspettati: piccoli semi lanciati in un racconto che sembra soltanto una storia di halloween, e invece è una storia di vita.
 


Se siete genitori e lettori probabilmente questa domanda ve la siete posta: quando si inizia a leggere a un bambino? (risposta facile: subito).

Meno frequente, ma altrettanto importante, è invece la domanda opposta: quando si smette?

Condividere un libro viene spontaneo quando un bambino non sa ancora leggere in autonomia, ma accade spesso che questa bella abitudine svanisca non appena inizia l'età scolare.
Questa idea è figlia di una mentalità binaria, secondo la quale la capacità di leggere è come un interruttore on/off: si è capaci di leggere oppure no. Ma dipende anche da un concetto performativo della lettura, legato soltanto a una capacità: si legge ad alta voce così come si imbocca con il cucchiaio durante le prime pappe, come se l'unico motivo per cui si legge a un figlio fosse che lui, appunto, non può farlo da solo.

Ma se ci pensiamo, sappiamo bene che condividere il momento della lettura è molto più di questo.

è importante leggere a voce alta a un bambino

 

Dunque, perché è importante leggere ai bambini ad alta voce anche dopo che hanno imparato a leggere?

Le motivazioni che ho individuato riflettendo e cercando tra la letteratura di riferimento sono davvero moltissime. Ho provato a suddividerle in due macro-aree ed entrambe hanno a che fare in qualche modo con l'amore per la lettura.

1. Leggere insieme non è soltanto leggere

Sedersi l'uno accanto all'altro, condividere una storia, donare la propria voce: sono gesti che vanno ben al di là della semplice lettura e, se diventano consuetudine, contribuiscono a rafforzare la relazione tra genitore e figlio.
È la condivisione di un momento intimo, ma anche di un "mondo" diverso da quello reale, senza incombenze, camere da riordinare e compiti da finire: un mondo fatto di avventure e di emozioni che difficilmente un genitore può sperimentare dal vivo con i propri figli.

Un genitore che legge ad alta voce al figlio rafforza l'idea che leggere sia un piacere, legando indissolubilmente l'esperienza di lettura a un ricordo di serenità e benessere, e questo è uno dei fattori più importanti per crescere un futuro lettore.

2. Il bambino sa leggere, ma non sa ancora leggere 

Se seguite il mio blog, probabilmente i vostri figli sono già abituati all'ascolto. Con ogni probabilità sono arrivati alla scuola primaria già in grado di seguire brevi romanzi a capitoli, o perlomeno lunghi albi illustrati dalla struttura un po' complessa.

Ora, pensate al tipo di libro che è in grado di affrontare un bambino che ha appena imparato a leggere: sarà probabilmente un albo breve, con poche parole scritte in stampato maiuscolo. Lo scarto tra le storie che il bambino ama ascoltare e quelle che è in grado di leggere in autonomia è molto ampio.

Abbandonarlo alla lettura autonoma significa allontanarlo dal piacere del testo, condannarlo a faticare (perché leggere è faticoso!) per arrivare alla conclusione di una storia che tutto sommato gli lascia poco, che è molto al di sotto delle sue capacità emotive e cognitive di ascoltatore.

Ora, provate a guardare le parole qui sotto senza leggerle:

NON LEGGERE

Non ci siene riusciti, vero? Forse proprio per questo  automatismo ormai acquisito da tanti anni fatichiamo a pensare a quanto leggere, all'inizio, possa essere difficile.

Imparare a leggere non è solo questione di saper decodificare le lettere, ma coinvolge una serie di capacità che richiedono molto tempo per essere acquisite.

Ce lo insegna splendidamente Maryanne Wolf nel suo Proust e il calamaro:

La fluidità non è solo questione di velocità: riguarda il fatto di riuscire a usare tutte le cognizioni speciali che il bambino possiede su una parola – le lettere e gli schemi di lettere, i significati, le funzioni grammaticali, le radici e le desinenze – abbastanza rapidamente da avere il tempo di pensare e capire.

E accanto al riconoscimento della parola, ci sono tutti i collegamenti intra e intertestuali, il saper cogliere figure retoriche come metafore e ironia, non ultima la capacità di capire che dietro una frase c'è qualcosa di più e che per comprenderla è necessario rileggerla una seconda volta (come probabilmente avete fatto con il titolo di questo paragrafo): tutte operazioni complesse, che il lettore neofita non riesce a compiere, perché il suo cervello è già impegnato nell'attività di decodifica.

Anche Aidan Chambers, grande autore e promotore della lettura, nel suo Il lettore infinito, prova a stendere un elenco delle competenze che un adulto può trasmettere al bambino leggendo per lui. Tra queste c'è anche la capacità di capire come funziona un testo, come è costruito, cosa ci possiamo aspettare, ma anche la scoperta del pathos della pagina scritta, con il ritmo, lo stile, le voci dei personaggi, l'interpretazione che il lettore può aggiungere al testo:

Dato che il processo con cui si riporta in vita la pagina scritta avviene nella mente del lettore, e non può quindi essere mostrato, la cosa migliore che possiamo fare per far rivivere questa magia è leggere ad alta voce, in modo che gli ascoltatori percepiscano tutte le emozioni che i lettori sperimentano attraverso la lettura.

Si tratta di coltivare la cosiddetta "zona di sviluppo prossimale", mostrando al bambino qualcosa che non è ancora nelle sue competenze ma gli è già comprensibile e che potrà gradualmente padroneggiare, anche grazie all'osservazione di chi è più abile di lui.

Silvia Blezza Picherle, citando a sua volta Jim Trelease, sintetizza efficacemente gli obiettivi che si possono raggiungere leggendo a un bambino. 

L'esecuzione orale permette quindi di raggiungere una serie di importanti obiettivi: a) crea un legame tra lettura e piacere, poiché i bisogni umani sono centrati su quest'ultimo; b) costruisce un bagaglio di conoscenze utili per effettuare le inferenze necessarie per leggere; c) permette di riconoscere i suoni delle parole e di arricchire il vocabolario; d) propone un modello di lettura e alimenta la motivazione a voler imparare a leggere.
[Formare lettori, promuovere la lettura]

Insomma: a dispetto di quello che molti pensano, cioè che smettendo di leggere per loro, i bambini si sentano spronati a farlo da soli, è importante proseguire nell'abitudine della lettura ad alta voce anche in età scolare.

La risposta alla domanda "quando smettere di leggere?" è quindi "più o meno quando il bambino si chiuderà in camera a chiave perché vorrà leggere soltanto per conto suo".

Perché leggendo ai bambini non doniamo soltanto la nostra voce, ma anche il nostro amore per i libri.


Per chi vuole approfondire, questi i libri che ho citato in questo post:

  

A volte per stimolare il linguaggio nei bambino, il libro migliore da usare è un libro senza parole.
Vi sembra strano?
In realtà la cosa non dovrebbe stupire più di tanto: in fondo nella prima infanzia un bambino non sa leggere, quindi che differenza fa se le parole sono scritte o no?

Michi e Meo scoprono il mondo

In questa fase di acquisizione di nuovi vocaboli, preziosa è la modalità di lettura dialogica, quella in cui il bimbo indica, nomina e chiede di nominare le cose. L'interazione tra genitore e figlio rafforza l'apprendimento, sia perché il bambino ottiene un feedback immediato dei suoi progressi, sia perché l'emozione positiva che nasce dal momento di condivisione stimola maggiormente l'attività cerebrale del bimbo.

Ecco: i due cofanetti  Michi e Meo scoprono il mondo di Jeanne Ashbé, editi da Babalibri sembrano fatti apposta per condividere questi momenti di lettura dialogica con i bambini, ma possono anche essere lasciati in mano al bambino stesso, che li può sfogliare in autonomia riconoscendovi oggetti e situazioni che appartengono al suo quotidiano.

Vi ritroviamo i due personaggi di Michi e Meo, il bambino e il suo pupazzo, che già avevamo conosciuto in un cartonato con le alette, un primo approccio alla struttura narrativa. Questi quattro libretti si collocano in una fase ancora più precoce dello sviluppo cognitivo del bambino: si possono proporre già dai 6 mesi, pur continuando a svolgere la loro funzione anche a 18 mesi / 2 anni.

Michi e Meo scoprono il mondo

I due cofanetti contengono ognuno due volumetti: Il bagno / la pappa e Il mattino / la sera, tutti dedicati a routine quotidiane.
In perfetto allineamento con le capacità cognitive dei bambini più piccoli, le figure hanno colori piatti, bordature nere ben definite e sfondi semplici, non dettagliati.
Sulla pagina di destra troviamo una situazione quotidiana, riferita al tema del libro (bagnetto, pappa, routine della mattina e della sera), sulla sinistra il primo piano, su fondo neutro, di un elemento chiave della scena di destra.
Questa scansione di scene e dettagli aiuta il bambino a focalizzare l'argomento e a entrare nella scena, a cogliere l'unità nell'insieme e l'insieme a partire dall'unità, a dare un nome alle cose, insomma: a crescere.

Michi e Meo scoprono il mondo

Jeanne Ashbé si dimostra sempre un'attenta osservatrice dei bambini: le scene che descrive, pur essendo semplici, non sono mai stereotipate e banali. Michi e Meo si schizzano l'acqua del bagno, giocano a infilarsi l'uno le pantofole dell'altro, si sporcano la maglia, spandono il dentifricio. Le immagini lasciano sempre intendere un prima e un dopo e raccontano episodi credibili e concreti.

Questa ricchezza di letture, che va dal riconoscimento dell'istantanea di un momento alla ricostruzione di un contesto narrativo, rende i cofanetti di Michi e Meo scoprono il mondo un'opera trasversale, che attraversa più età senza perdere di interesse.

Michi e Meo scoprono il mondo
 
Michi e Meo interagiscono come fossero entrambi umani: Meo è solo un pupazzo, ma sappiamo che per i piccoli, animisti per natura, questo confine è labile. Tuttavia, in alcuni momenti, vediamo Michi accanto ad altri protagonisti, come il gruppo dei pari all'asilo.

Michi e Meo scoprono il mondo

Come accade nella realtà, l'esempio dei pari è educativo, e Michi inizia a mangiare i broccoli, che prima rifiuta, proprio perché lo vede fare a un compagno di classe: un potere che nessun pupazzo come Meo potrebbe avere (e nemmeno mamma e papà!).


 

Chi è che non ha avuto una nonna che sferruzzava?
Fare maglioni, così come cucinare, fa in qualche modo parte dell'essenza stessa dell'essere nonna, di quel rispondere a dei bisogni primari (il cibo, il calore) come modalità di trasmissione dell'amore.

Tricot

È in questo mondo di gesti antichi e amorevoli che troviamo Tricot, di Jacques Goldstyn (l'autore di Bertolt), pubblicato in Italia da Lupoguido.

È Madeleine, la protagonista del libro, a parlare della nonna e della sua passione per la maglia.

Tricot 

Le creazioni della nonna hanno un che di magico, sono oggetti ma al tempo stesso raccontano storie, sembrano prendere vita, forse per l'abilità della nonna o forse per gli occhi ammirati e pieni d'amore della nipote, che danno a quei semplici indumenti un valore in più.

 Tricot 

Madeleine si cruccia di non essere brava come la nonna, e allora la nonna le racconta come aveva iniziato: sferruzzando avanzi di lana per creare una lunga sciarpa, la sua prima sciarpa.

Ogni sezione di quel suo primo lavoro a maglia racconta una storia, quella della lana da cui proviene: c'è lo scialle del matrimono di una zia, la sciarpa portata al fronte da un altro zio, il berretto di un portiere di hockey, e così via: quel semplice e coloratissimo capo d'abbigliamento racchiude in sé pezzi di storia, di tradizioni, di ricordi di famiglia.

Tricot

E così Madeleine la indossa con orgoglio, peccato che uscendo di casa un filo rimanga impigliato e la sciarpa inizi a sfilarsi (ma lo sanno, i bambini di oggi che è così che si può disfare un capo fatto a maglia? Forse questo libro è anche una buona occasione per riacquisire conoscenze perdute nel passare delle generazioni).

Tricot

Come sempre le scelte editoriali di Lupoguido non sono scontate né casuali. Il formato molto orizzontale del libro sembra voler dar conto della lunghezza di questo filo che si dipana dalla sciarpa e segna il percorso di Madeleine.

Senza raccontarvi il finale, mi limito a dire che Tricot è un albo che emana il calore di un gesto d'amore e di una tradizione tramandata di generazione in generazione, di quelle che bisogna imparare per non lasciarle morire.

Il telaio-cannuccia.

Lavorare la lana non è solo una tradizione e un gesto d'affetto, ma anche un ottimo esercizio di motricità fine.
Per questo tra i blog di attività per bambini troviamo molte proposte e tecniche varie. Sempre parlando di due albi di Terre di Mezzo, vi avevo già proposto l'accessorio per la maglia tubolare e un telaio fai da te.

Oggi invece vi insegno a costruire un telaio-cannuccia.

Tricot

Per prima cosa infilate dei fili di lana dentro le cannucce, da lato a lato. Le cannucce devono essere almeno tre. Se avete difficoltà a infilare la lana, fissatene un capo a uno stuzzicadenti da spiedino con un po' di nastro adesico, in modo da spingerla più facilmente.

Fissate con un nodo i fili da un lato, quindi prendete un altro filo, fissatelo con un nodo a uno di questi e iniziate a passarlo attorno alle cannucce, alternando sopra e sotto e compattando il lavoro a ogni passaggio.

 Tricot

Quando sarete soddisfatti della lunghezza, sfilate le cannucce e fissate i fili di base anche dall'altro lato.

Questo piccolo telaio è ideale per creazioni come braccialetti.

Tricot

Quante storie riuscirete a raccontare con la vostra lana?


La maggior parte delle ninne nanne funziona così, con l'iterazione di immagini di altre creature, spesso animali, che dormono beate, come a dire "insomma, dormono tutti, ti dai una mossa e ti addormenti pure tu?".

Buonanotte bosco 

Non fa eccezione Buonanotte bosco di Karen Jameson, illustrato da Marc Boutavant e recentemente edito da Terre di Mezzo editore, un albo denso di sensazioni che accompagnano al sonno.

La struttura ricorda molto un'altra uscita recente: Tutto dormirà, di Astrid Lindgren. Anche qui si assiste a una passeggiata notturna nella natura, anche qui la poesia della voce e delle immagini rilassa il bambino che ascolta, creando il clima adatto alla nanna.

Se Tutto dormirà era immerso in atmosfere più misteriose, in Buonanotte bosco è la dimensione sensoriale a prevalere. I colori tenui, caldi e rilassanti e il tratteggio delle cortecce, delle pellicce degli animali e degli aghi di pino sembrano lasciar trasparire dalle pagine i profumi di resina, muschio e clorofilla del bosco autunnale e la sensazione umida delle foglie secche che hanno ormai steso un tappeto sul terreno.

 

Il suono, invece, non è quello del bosco, ma quello di una lieve poesia, tradotta con la sensibilità e la maestria di Chiara Carminati.

Tra le pagine vediamo passeggiare una bambina col suo cane, che passando accanto agli animali della foresta, dedica loro qualche verso e qualche momento di attenzione.

Buonanotte bosco 

Con un gusto che ci riporta ai nomi e ai racconti dei nativi americani, ogni animale è chiamato attraverso una sua caratteristica che diventa nome proprio. E così l'orso bruno è Ombra Enorme, il cervo Passi Leggeri, la volpe Rapide Zampe.

Mentre leggiamo, ci sembra di percepirle, queste proprietà, di veder calare la luce perché l'orso la copre, di sentire il tocco lieve degli zoccoli del cervo nel sottobosco.

A ognuno di questi animali sono dedicati quattro versi dalle rime delicate e mai cantilenanti, ricchi anch'essi di materia e sensorialità. 


Infine, la voce cambia: è il padre, che aspettava a casa, a dedicare l'ultima quartina alla figlia, Piccoli Piedi:

Esploratrice curiosa del mondo
Sguardo preciso, attento e profondo

La bambina ha accompagnato il bosco verso il sonno, e finalmente può chiudere gli occhi, in compagnia del suo cane. L'ultima pagina, senza parole, perché ormai non servono, ci mostra i suoi disegni, che raccontano il bosco e i suoi abitanti: restano lì, come un ricordo della giornata trascorsa, che attraverso i sogni la piccola sta elaborando, e che ritroverà il giorno dopo, quando il bosco, insieme a lei, si sveglierà. 


Vedere le cose che altri non vedono, capire le situazioni, scovare i colpevoli: quello dell'investigatore è un mondo dal fascino innegabile, e non a caso questo è forse l'unica professione a poter vantare un genere letterario a sé, oltre a numerosi casi di parodia del genere stesso (dall'ispettore Clouseau in poi).

Troviamo dei Clouseau anche nel mondo della letteratura dell'infanzia. L'ultimo di questi è una simpatica talpa che fa il suo esordio in Il primo caso dell’investigatore Talpone di Camilla Pintonato, per Terre di Mezzo editore.

investigatore talpone

Talpone è uno chef che ha un fiuto eccezionale per il cibo, e sogna di poter sfruttare queste sue caratteristiche per vivere il suo sogno: diventare un detective.

investigatore talpone

Una talpa che ha occhio per i dettagli, penserete, è una contraddizione in termini, e infatti Talpone si dimostra una vera schiappa. Nel seguire il suo primo caso, la scomparsa dello scoiattolo Armando, disegna identikit irriconoscibili, segue false piste, si lascia sfuggire gli indizi più palesi e riesce a non riconoscere l'oggetto delle se ricerche perfino quando se lo trova davanti!

investigatore talpone

L'albo gioca a coinvolgere il lettore nella ricerca, anche grazie a un ironico gioco di contrasti tra testo e immagini: di fronte a un testo descrittivo, che coglie il punto di vista di Talpone, le immagini ci mostrano qualcosa di più, invitano a trovare quegli indizi e quelle tracce che l'nvestigatore non vede.

investigatore talpone

Questo doppio registro ha la funzione di "investire" il lettore del ruolo di investigatore, ma anche quello di creare un meccanismo comico (a volte fin troppo spiegato, come quando uno degli animali, di fronte all'identikit, chiede "Ma sei sicuro di saper disegnare?").

Come un Clouseau che si rispetti, l’investigatore Talpone alla fine alla soluzione ci arriva, ma per puro caso. E a noi non resta che aspettare con trepidazione un nuovo mistero da risolvere.



Abbandonarsi al sonno è per un bambino, in un certo senso, un atto di coraggio. Significa rinunciare al proprio stato cosciente con la fiducia che al proprio risveglio troverà ancora tutto al suo posto: mamma e papà, pupazzi, giochi, ma anche tutte le proprie routine.

Chi dorme nel lettone

La ripetizione di gesti e parole è fonte di grande rassicurazione per ogni bambino, ed è proprio sul meccanismo della reiterazione che si fondano i cartonati di Susanne Strasser (come La torta è troppo in alto e Balena, vengo anch'io, anch'essi editi da Terre di Mezzo editore e amatissimi dalla piccola di casa).

In questo terzo titolo, Chi dorme nel lettone? (link affiliato) , ritroviamo tutti gli elementi che già caratterizzavano i primi due: la presenza di animali (e di un bambino con cui identificarsi), la struttura fatta di ripetizioni e variazioni, che cattura perché riesce a incuriosire e rassicurare allo stesso tempo, le onomatopee che accompagnano la narrazione rendendo la lettura ritmica e coinvolgente. Ma non è tutto qui.

Nei diversi animali protagonisti di questo albo ritroviamo abitudini, scuse e bisogni che rispecchiano quelli di ogni bambino che va a fare la nanna, toccando tasti in qualche modo più profondi che nei primi due titoli.

Chi dorme nel lettone

Se La torta è troppo in alto e Balena, vengo anch'io si costruivano sull'accumulo, con un animale che si aggiungeva ai precedenti, qui le cose sembrano invertirsi: Chi dorme nel lettone? (link affiliato) inizia con un letto ben affollato di animali e procede per sottrazione. Uno alla volta, con una scusa o l'altra, gli animali si allontanano: la foca deve fare la pipì, il coccodrillo deve lavarsi i denti, il pellicano vuole bere un po' d'acqua. Se avete avuto a che fare con bambini non molto intenzionati a dormire, queste scuse le riconoscerete sicuramente, e proprio per questo credo che questo cartonato, fatto per ridere e per divertire, riesca a raggiungere spazi più sensibili e nascosti dei piccoli lettori.

Curiosa, poi, a un livello linguistico, anche la ripetizione di formule che accostano ogni protagonista a paragoni tipicamente animali: "il coccodrillo dorme come un ghiro", "la foca è sveglia come un grillo".

Chi dorme nel lettone

Chi dorme nel lettone? (link affiliato)  è un contenitore talmente completo di tutti quegli elementi che catturano i bambini da sembrare quasi un libro scritto a tavolino, se non fosse che la sua trama procede senza forzature, con una naturalezza e una sincerità tali da lasciare la storia e le sue emozioni in primo piano.

Già, perché c'è un elemento a cui ancora non ho accennato: la fuga di questi animali dal lettone li porta... su un altro lettone: quello dove dorme il bambino che già abbiamo trovato nei libri precedenti (che restano comunque completamente indipendenti l'uno dall'altro). 

Chi dorme nel lettone


La struttura in due tempi del libro (prima gli animali che se ne vanno dal letto, poi quello che accadrà sul letto del bimbo, su cui non vi anticipo nulla se non che vi strapperà più di una risata) dà alla trama quel pizzico di imprevedibilità, ma anche la serenità di riconoscersi in uno schema comportamentale: quello della ricerca di conforto, di notte, nella figura di riferimento.

Perché alla fine, grandi o piccoli, animali o bambini, a tutti piace dormire insieme.

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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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