Nuvole in scatola
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Ho un ricordo vivido del passeggino con cui mi portavano in giro da piccola: era blu, con due manici e alto circa due metri.
Ok, lo so: non poteva davvero essere alto due metri, ma è così che me lo ricordo: immenso, più alto di me. Solo che ero io ad essere piuttosto bassa, all'epoca. Questione di punti di vista.


La relatività non è un concetto semplice da capire, per i bambini. Ancora adesso, a 7 anni, il Piccolo T mi fa domande come "Ma un'ora è tanto o poco?". Ci sono però modi di raccontarla che la rendono accessibile, e anche molto divertente.
Ci sono riuscite perfettamente Chiara Vignocchi e Silvia Borando, con Ho visto una talpa.

L'albo inizia con un elefante, grosso e ingombrante su una doppia pagina nera, che dice di aver visto una talpa piccolissima.


Poco dopo, una minuscola formica, anch'essa bianca su fondo nero (e come si nota bene la differenza d'impatto!), dichiara di aver visto una talpa molto grande.


E via via, si susseguono diversi animali, con l'inconfondibile tratto stilizzato e caricaturale della Borando, e ognuno racconta la "sua" talpa, con caratteristiche molto diverse da quelle già sentite in precedenza e in qualche modo legate, per contrasto o per "visione", all'animale che le descrive: la lenta lumaca ne vede una velocissima, mentre il ragno, con i suoi tanti occhi, ne ha viste molte.

A ogni affermazione rispondono meravigliati, nella doppia pagina seguente, tutti gli altri animali (tranne naturalmente quello che ha appena parlato), stavolta disegnati in nero su fondo bianco, in un susseguirsi di contrasti opposti.

Il piano d'ascolto è particolarmente curioso, sia perché ogni volta gli animali si producono in una diversa espressione di stupore ("Ooooh!", "Uuuuh!", "Ma guarda!"), sia perché, visti così ben disposti sulla pagina, viene voglia di controllare che ci siano tutti, e come siano sistemati questa volta.


Semplice e geniale, come tutte le produzioni Minibombo, Ho visto una talpa si presta perfettamente a una lettura ad alta voce, nella quale riprodurre i diversi timbri degli animali ed enfatizzare le loro espressioni di stupore, con un effetto sempre più comico.

I bimbi più grandi, che ben conoscono le caratteristiche di ogni animale (e forse, se un po' smaliziati, anche di certi libri) capiranno il gioco prima della fine, quando, tutti insieme, gli animali riconosceranno nella stessa talpa quella di cui stavano parlando.


Per i più piccoli sarà invece una scoperta inaspettata. Per tutti, diventerà un interessante esercizio di pensiero su come il nostro modo di essere ci faccia vedere le cose in modo diverso.
Così, senza morale, con leggerezza, ma con grande efficacia.

Ma le sorprese non sono finite, e il finale strapperà ancora una risata a tutti i lettori, genitori compresi.

Ma voi, una talpa, l'avete mai vista? E l'avete mai costruita?
Ve ne propongo una con tanto di tana, fatta soltanto con un bicchiere di plastica (meglio ancora se è di carta), uno stuzzicadenti da spiedino e qualche foglio di cartoncino colorato (o da colorare).


Rivestite il bicchiere con uno strato di "terra" e uno di erba, tagliuzzando la carta tutt'attorno. Se il bicchiere è di carta, potete anche colorarlo.

Per creare la talpa, prendete del cartoncino nero e ritagliate due sagome identiche a forma di arachide, con una sporgenza a punta da un lato. Aggiungete degli occhietti, un nasino e le zampe.


Attaccate i due lati della talpa allo stecchino e fatelo passare da un buco sul fondo del bicchiere.
Ed ecco la vostra talpa che entra ed esce dalla sua tana.


PS: Per giocare con Ho visto una talpa, c'è anche il sito di Minibombo, che come sempre propone attività intelligenti e stimolanti, per giocare stavolta proprio su diversità e punti di vista. Non perdetevelo.

È tornata Stina!
E rivederla è come ritrovare una vecchia amica.


La ricordate? L'avevamo incontrata in TempeStina (di cui vi avevo parlato qui), e ora, nella sua seconda storia, Stina e il capitan fanfarone, la ritroviamo proprio dove l'avevamo lasciata, a casa del nonno, in riva al mare, intenta a giocare con quello che la natura le offre.


Risentiamo i profumi e le atmosfere delle coste del nord Europa, con quei meravigliosi acquerelli che sembrano trasportarci direttamente lì, sul posto. Percepiamo la salsedine, l'aria frizzante, le erbe, il legno e il pesce appena pescato.

Poi entriamo con Stina nella casa del nonno, e rivediamo le sue collezioni di oggetti ritrovati, dai quali inventa i suoi giochi.


Stavolta cerca di fare una barca con una cassetta di frutta, ma non le riesce molto bene.


La vacanza dal nonno porta Stina a godere di un tempo fuori dal tempo, riappropriandosi della libertà, della noia, della creatività e della natura, godendosi la lentezza del tempo d'estate.
Dopo aver giocato, Stina e il nonno vanno a trovare il vecchio amico Axel, detto Capitan Fanfarone, portandogli pane e miele per merenda.

E anche questa volta viviamo un'esperienza spesso estranea ai "nuovi" bambini: il contatto con le vecchie generazioni.

Capitan Fanfarone è un vecchio tornato bambino, che si chiude in sé stesso e poi esplode in potenti entusiasmi.
E, come tutti gli anziani, ha moltissime storie da raccontare. Vere? False? Il nonno di Stina, dalle risposte che dà, sembra non credergli molto, ma Stina lo ascolta rapito.


È il fascino dell'incontro tra generazioni, quello della narrazione non scritta, della vita vissuta, o anche solo pensata. Gli anziani possono diventare un favoloso brano di letteratura, basta saperli ascoltare.

Anche questa volta, Stina ci mostra tutto il fascino di giocare, semplicemente, con ciò che ci offre la vita.


 
Vi è mai capitato di temere di leggere un libro o di guardare un film per paura di restare delusi da una storia, da un autore o da un regista che amavate particolarmente?


È stato così per me con La BandaCadabra di Neil Patrick Harris (editrice Il Castoro).
Ho amato il Neil Patrick Harris attore in How I met your mother e in Una serie di sfortunati eventi. Ho adorato il Neil Patrick Harris papà quando ho visto i travestimenti a tema della sua famiglia (cercate su Google: sono fantastici).
Come avrei reagito se il Neil Patrick Harris scrittore mi avesse deluso?

Ma tant'è. La sua personalità mi incuriosiva troppo e l'argomento principale del libro – la magia – mi stuzzicava, e così ho voluto correre il rischio.

Be', La BandaCadabra (titolo che Maria Laura Capobianco ha tradotto splendidamente) non mi ha deluso.
È un romanzo coinvolgente, avventuroso, curioso, con uno stile fresco e qualche trovata accattivante.


La storia è quella di Carter, giovane orfano che vive con uno zio imbroglione e farabutto. Appassionato di trucchi di magia, che gli erano stati insegnati dai genitori, è ora costretto ad affiancare il suo tutore che usa questi trucchi per derubare la gente.
Nel primo capitolo del romanzo, lo vediamo fuggire da questa vita, nella quale non si riconosce.


Arrivato nella cittadina di Mineral Wells, si imbatterà in una fiera ambulante gestita dall'avido e truffaldino B. B. Bosso, che non potrà fare a meno di notare il suo talento nei giochi di prestigio, e nell'affascinante prestigiatore Vernon, che a differenza di Bosso e dello zio di Carter sembra considerare la magia un mezzo per intrattenere e non per derubare gli altri.

Conoscerà poi Leila, figlia adottiva di Vernon e dell'"altro signor Vernon", Theo e Ridley, un gruppo di ragazzi appassionati di magia. Con loro metterà a punto nuovi trucchi e vivrà avvincenti avventure, ma soprattutto scoprirà che la vera magia esiste: non nei trucchi e nei giochi di prestigio, ma nel calore dell'amicizia e della famiglia.

Nonostante l'evidente polarizzazione in "buoni e cattivi" (nessun colpo di scena: chi sembra buono da subito lo è, e viceversa) e spiegazioni a volte troppo esplicite, ai limiti della credibilità, sia nei dialoghi che nella prosa, La BandaCadabra non manca di catturare il lettore con le sue vicende, complice anche uno stile narrativo accattivante, che spesso sospende la storia per rompere la quarta parete e spiegare al lettore qualche scelta liguistica o coinvolgerlo in prima persona in una riflessione.

I capitoli sono anche intervallati da piccole lezioni di prestidigitazione e trucchi di prestigio (Neil Patrick Harris è anche presidente del club "Magic Castle" di Hollywood). Ho particolarmente apprezzato l'approccio generale a questo argomento: non si lasciano porte aperte a cialtroni e mistificatori. Si comunica chiaramente che gli spettacoli di magia non sono altro che trucchi (che possono essere fatti a fin di bene o per ingannare) e che la magia, quella vera, è solo quella che si trova nell'animo delle persone.


Ad aumentare l'aura di mistero e stupore, piccoli messaggi in codice nascosti tra le pagine del libro, che il lettre dovrà decodificare.
La BandaCadabra è un romanzo dalle pagine fitte e con un lessico a volte ricercato, non adatto ai lettori alle primissime armi. Le illustrazioni sono poche e non particolarmente determinanti nella comprensione del libro: bastano le parole e le descrizioni, ben dettagliate ma mai eccessive, a far comparire davanti agli occhi di chi legge scenari, visi, espressioni e ambientazioni. Come per magia.

Ehi, psst: per caso anche voi, come il Piccolo T, vi siete appassionati all'idea di poter fare uno spettacolo di prestigio?
Allora vi lascio uno strumento facile facile da costruire:

 

il portafogli magico.


Bastano due rettangoli di cartone e due, altrettanto grandi, di cartoncino colorato, oltre a quattro nastri di stoffa.



Sistemate i nastri a X su uno dei cartoncini, e paralleli sull'altro. 


Fissate sul retro i nastri con del nastro adesivo, ma da un lato solo: dall'altro lato, andranno fissati non al proprio cartoncino, ma all'altro.

Forse è più semplice se ve lo faccio vedere con uno schema (il colore "sbiadito" indica che il nastro si trova sul retro del cartoncino).

Ora, avete il vostro portafogli magico, che si apre da entrambe le parti.
(se non sono stata chiara, cercate "magic wallet" su youTube: troverete molti tutorial.)

Se infilate una banconota nel sostegno "a croce" potete (girando abilmente il portafogli tra le mani per camuffare il fatto che lo aprite dall'atro lato) spostarla magicamente nel sostegno parallelo.


Volete fare di più? Volete far sparire una moneta?
Prendete due quadrati di carta e piegateli in nove quadranti:


Ora incollateli con del biadesivo al centro del sostegno a croce, uno da un lato e uno dall'altro, tenendo l'apertura verso l'esterno.


Apritene uno, appoggiateci una moneta, richiudetelo, girate il portafogli tra le mani e... abracadabra!



La moneta scompare! Fatela anche riapparire, però, soprattutto se arriva dal pubblico: non vorrete mica fare gli imbroglioni come lo zio di Carter, vero?


La prima volta che ho sentito parlare di coding riferito ai bambini ho avuto due reazioni contemporanee ed opposte. Il mio lato "montessoriano" ha pensato che ci sono già fin troppe occasioni, per i bambini, di avere a che fare con la tecnologia. Il mio lato nerd ha esclamato qualcosa tipo: "Bazinga!".


Riflettendo e informandomi meglio ho scoperto che fare coding non significa soltanto creare programmi, ma sviluppare un tipo di pensiero in qualche modo complementare a quello dell'immaginazione, ma altrettanto importante.
Significa imparare il concetto di sequenza e di istruzione.
Significa anche imparare a mettersi nei panni dell'altro, per quel che riguarda lo spazio (la mia destra e la mia sinistra non corrispondono sempre alle tue) ma anche le informazioni (anche voi avete bimbi che omettono sistematicamente il soggetto nelle frasi, convinti che abbiate in testa le stesse cose che pensano loro?).

A raccontare nel dettaglio ai bambini il mondo del coding è arrivato Apprendisti coder, un manuale giocoso edito da Editoriale Scienza, che offre una panoramica molto ampia su questo argomento, tra spunti teorici e molta pratica, sia offline che online.

Dopo una spiegazione di cosa sia il coding e delle sue possibili applicazioni, Apprendisti coder propone un primo esercizio, solo all'apparenza semplice, da fare in coppia, l'uno nei panni del coder, che dà istruzioni su un disegno, l'altro in quelli di un robot che lo esegue.

Emergono qui, già offline, moltissime cose a cui non siamo abituati a pensare. Il primo tentativo di disegno sarà difficoltoso, costringerà a riflettere sul modo in cui siamo abituati a dare istruzioni, e molto probabilmente finirà in un pasticcio (almeno, per me e il Piccolo T è stato così), ma già dal secondo tentativo gli scogli saranno superati e si imparerà a "pensare da programmatore".


Si passa poi a capire come "pensa" un computer, a partire dal sistema binario per accennare ai diversi linguaggi di programmazione.


Ed è qui che inizia la programmazione vera e propria: dalla teoria, il libro si sposta alla pratica, con un'introduzione a Scratch, ambiente di programmazione gratuito nato dal MIT a scopo didattico ed educativo.
Apprendisti coder ne spiega le basi e con esempi concreti accompagna il bambino alla creazione del suo primo progetto.


Spaziando poi dall'offline all'online e dalla teoria alla pratica (ci avete mai pensato? Anche imparare un ballo è una forma di coding), il libro spiega e poi applica concetti come i diagrammi di flusso, insegna qualche elemento di disegno e animazione, e anche applicazioni come la creazione di una musica, da tradurre anche in questo caso in un progetto Snatch.


Per finire, non manca un'introduzione all'html e alla costruzione di pagine web: un modo importante per far capire la struttura dietro a uno strumento che i bambini usano con sempre maggiore disinvoltura, ma spesso senza troppa consapevolezza.

A rendere ancora più piacevole e giocoso questo manuale, soluzioni cartotecniche come i robot fustellati da staccare e costruire per poi sfidarsi in una "gara di programmazione", poster e stickers da attaccare a ogni capitolo come segnale di "missione compiuta".
Così, insegnare il coding ngli anni della primaria diventa un gioco.

E prima? È possibile introdurre al coding, magari senza mettere le mani su tablet, smartphone o pc?
Certo che sì: lo si può fare giocando, e adattando la difficoltà del gioco all'età del bambino.
Bastano un foglio quadrettato e una matita per disegnare una matrice su cui spostarsi, ostacoli da evitare, un punto di partenza e un punto di arrivo, per "programmare" un percorso attraverso semplici istruzioni.
Se preferite, scaricate il mio pdf stampabile con una tabella, delle tessere da distribuire e due modalità diverse di gioco.


Potete giocare in due, insieme, impersonificando rispettivamente il coder e il robot: dopo aver posizionato inizio, obiettivo e i muri da evitare, il coder dovrà posizionare (prima sulla tabella, poi, una volta presa dimestichezza, al di fuori) le istruzioni che il robot dovrà seguire.

Oppure trasformate il gioco in una sfida uno contro uno, posizionando due partenze e un solo arrivo, oltre agli ostacoli in mezzo, e usando le frecce come carte da giocare.
Si inizia con tre carte-freccia ciascuno.
A ogni turno, ogni coder può usare il numero di frecce che desidera e poi ne pesca altrettante, in modo da averne sempre tre in mano.
Dopo averle messe giù nell’ordine desiderato, muove di conseguenza il suo segnalino.
Se non può fare nulla, il giocatore può scegliere di usare il proprio turno per scartare le sue carte e pescarne altre.
Vince il coder che arriva per primo al trofeo.

Allora: è vero o no che il coding è divertente anche per chi non è necessariamente nerd?


Apprendisti coder
Autore: Sean McManus
Illustratore: Rosan Magar
Editoriale Scienza
70 pagione, copertina flessibile.
Prima edizione: febbraio 2019

Nella stessa collana, Apprendisti scienziati, di cui vi avevo parlato qui.


 
Tra i tanti "perché" a cui un genitore deve rispondere nella vita, ce ne sono alcuni più difficili di altri, a volte semplicemente a causa della complessità dell'argomento, spesso perché certe domande portano con sé un carico emotivo molto pesante da gestire.

La morte è sicuramente una di queste.
Ricordo che a un incontro Nati per Leggere per genitori una psicologa ci disse che è meglio anticipare certi temi ai bambini, in modo da lasciare che li elaborino e familiarizzino con essi prima di trovarcisi di fronte.
In soldoni: meglio non correre ai ripari comprando un libro sulla morte quando il nonno è malato e sta per andarsene, ma presentarglielo in un momento emotivamente più neutro.


Tra tutti i libri sul tema rivolti ai bambini, quello che preferisco, per la sua delicatezza e per il suo messaggio positivo, è L'ultimo canto.
L'autore Pablo Albo inizia tratteggiando un minuscolo paesino: una strada, cinque case, pochi abitanti, ognuno con una caratteristica peculiare. Il dipinto morbido dai toni scuri di Miguel Ángel Díez infonde una sensazione di pacata serenità, come di un villaggio fuori dal tempo, o forse fermato a un'antichità che non esiste più.


E come nei paesi di un tempo, infatti, ci si sveglia al canto del gallo.
Ma questo non è un gallo qualunque: quello di Filiberto e Sacramento è il primo gallo tenore al mondo, e ogni mattina sale sulla cima del campanile e sveglia il paese intonando "O sole mio".


Un giorno, però, il gallo non si sveglia più. L'albo non usa mai la parola "morte":

Una notte chiuse gli occhi per dormire 
e la mattina dopo si scordò come si faceva per aprirli,
o forse decise di continuare a dormire per sempre... chi lo sa?

Come la vita nel paese, anche la sua fine è delicata e serena: il gallo, dal viso antropomorfo e con i capelli ormai bianchi, sorride nell'ultima scena in cui lo vediamo vivo, e la gente del paese ricorda di aver notato come ultimamente fosse molto stanco.

Meravigliosa l'immagine del corteo che accompagna il gallo verso la sua sepoltura: tutto il paese lo amava.


Resta però il problema di svegliare gli abitanti, d'ora in poi.
Viene indetta una selezione e ogni giorno qualcuno prova a salire sul campanile a dare la sveglia, ma grillo e formica hanno una voce troppo flebile, il signor Giacomo è troppo stonato e così nessuno sembra degno di sostituire il gallo.


Finché, la domenica successiva, un giovane gallo sale sul campanile, timido ed emozionato, e intona il suo "O sole mio": è il figlio del gallo di Filiberto e Sacramento, di cui fino a questo momento ignoravamo l'esistenza, e da lui ha ereditato il talento canoro.

Quello che amo di L'ultimo canto è proprio questa prospettiva: la morte è vista attraverso l'eredità immateriale lasciata a chi resta. Il gallo vive nel ricordo di chi resta e negli insegnamenti lasciati al figlio. La morte è una mancanza, ma anche una presenza.
Non è la fine, perché se lasci un segno nel mondo, in quel segno continui a vivere.


Fare divulgazione non è tanto una questione di cosa dire, quanto di come.
Non c'è argomento che sia troppo ostico se affrontato con la chiave giusta. Se penso funzionamento del corpo umano, due esempi di divulgazione d'eccellenza sono sicuramente il cartone animato Siamo fatti così e la serie La macchina meravigliosa in cui un Piero Angela "miniaturizzato" andava ad esplorare organi, tessuti e cellule. In entrambi i casi, la chiave del loro successo e della loro efficacia non era la semplificazione, ma il format, che rendeva accessibili e accattivanti anche concetti complicati.


Lo spettacolo del corpo umano (edizioni Il Castoro) dell’autrice e illustratrice americana Maris Wicks, specializzata nella divulgazione scientifica, va nella stessa direzione, trovando un format del tutto inedito per raccontare il funzionamento del corpo umano: il fumetto.

Il libro è strutturato come un vero e proprio spettacolo teatrale, il cui mattatore è uno scheletro con un senso dell'umorismo tutto suo.


Ogni capitolo, o meglio, ogni "atto", è dedicato a un diverso apparato, e lo scheletro di volta in volta si veste o si sveste per mostrarne il funzionamento.



Come dovrebbe fare ogni buon testo divulgativo, Lo spettacolo del corpo umano non riassume, ma affronta con accuratezza ogni aspetto, rendendo più leggera la lettura non con la semplificazione dei contenuti, ma attraverso la loro forma, come quando, nel presentare la composizione delle cellule, lo scheletro inizia a chiacchierare con l'apparato del Golgi.


A questi siparietti si alternano immagini più usuali per un testo scientifico, ma mai in numero tale da rendere pesante la spiegazione.


Di ogni apparato, lo scheletro ci presenta sia la fisiologia che la patologia, trattando ad esempio di asma quando parla di respirazione o di allergie per il sistema immunitario.
Come nel cartone animato Siamo fatti così, tra i personaggi troviamo anche i virus, anche qui animati ma in forma più filologicamente corretta e simile al vero.

Non mancano trovate e siparietti divertenti, come quando, per raccontare i cambiamenti della pubertà, lo scheletro tira fuori dal cilindro i peli.


O quando seguiamo il viaggio di un sandwich lungo l'apparato digerente, dalla bocca... al wc.


Leggerezza, quindi, ma non superficialità, perché nelle sue oltre 220 pagine Lo spettacolo del corpo umano non trascura nulla, comprese curiosità su cose che facciamo o ci accadono, come gli sbadigli o il singhiozzo, e piccoli consigli quotidiani su alimentazione e abitudini sane.

A proposito di scheletri, muscoli e articolazioni, lo sapete costruire con vostro figlio un modellino di mano con i suoi movimenti?
Si inizia ricalcando la mano su un cartoncino.


Poi si tagliano delle cannucce per riprodurre le falangi: saranno due per il pollice e tre per le altre dita, più altre corrispondenti sul palmo.
Con del nastro adesivo, si fissano le cannucce alla mano di carta e poi si fa passare attraverso dello spago, che si blocca con altro scotch sulla punta delle dita.


Tirando i fili (ovvero flettendo i muscoli) le dita si muoveranno proprio come quelle di una mano vera.


(attenzione: pericolo gestacci)


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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