Leggere una favola a un bambino, nell'immaginario collettivo: papà o mamma seduti su una poltrona al lato del letto, bambino che ascolta attento e poi, al momento del "felici e contenti" scivola rapidamente nel sonno.
Leggere una favola a un bambino, nella realtà : genitore che si infila nel letto del figlio, spesso in posizioni improbabili, figlio che si agita e assume a sua volta posizioni ancora più improbabili, lettura interrotta continuamente con domande, "perché", collegamenti con la propria esperienza, richieste varie tipo "me ne leggi un'altra?" prima ancora che la prima favola sia finita.
Ma in fondo è così che ci piace, perché quelle domande sono segno di vitalità , di curiosità , di voglia di esplorare il mondo.
Ritroviamo questo spirito in La gallinella strapazzastorie, di David Ezra Stein, edito in Italia da Il Barbagianni editore con la traduzione di Laura Bernaschi, un albo che ricorda in qualche modo il celebre racconto A sbagliare le storie di Rodari.
Protagonisti, una gallinella e papà gallo, due animali antropomorfi che potrebbero essere sostituiti da qualsiasi altro animale (se non che "la gallinella strapazzastorie", con la sua simpatica allitterazione, ci sta proprio bene, ancor più che "Interrupting Chicken" dell'originale inglese!).
Papà gallo, quindi, racconta le fiabe più classiche alla sua piccola, e le immagini dell'albo fanno entrare anche noi nella lettura, mettendo in primo piano le immagini del libro di fiabe un vero e proprio "libro nel libro". Ma la gallinella non è una tipa da "stereotipo delle storie", assomiglia molto di più a una bambina reale, che non si lascia narrare passivamente ma interviene e vuole mettere il becco (metafora azzeccatissima in questo caso!).
E così ma lei non lo lascia mai finire, anzi: non lo lascia quasi cominciare, perché lo interrompe "risolvendo" la storia in una sola battuta.
Interviene avvisando Hansel e Gretel di non entrare nella casa di marzapane, perché la dolce vecchietta è una strega, o ammonendo Cappuccetto Rosso, perché non bisogna parlare con gli sconosciuti.
Gli interventi della gallinella si rivolgono direttamente ai personaggi della storia, "spoilerando" loro il finale per risolvere il problema alla radice. Il problema non si verifica, la storia non parte, e vissero tutti felici e contenti. Fine.
Si apre così un mondo di "cosa sarebbe successo se", quel mondo di cui tutti ci siamo stati esploratori con la mente. Perché in fondo tutti lo abbiamo pensato (e soprattutto i bambini lo pensano sempre!) che se Cappuccetto non avesse dato corda al lupo, il lupo non avrebbe raggiunto casa della nonna e via così.
La gallinella dà voce, con la sua razionalità , al sentire comune di molti di noi, che hanno almeno una volta nella vita avuto la tentazione di "aggiustare" le storie.
Ma a me piace vedere La gallinella strapazzastorie anche come un inno all'errore, motore di narrazione. Sì, perché dal gioco della piccola, che interrompe il papà mettendo fine alle storie, emerge una grande verità di fondo: senza l'errore, la valutazione sbagliata, la distrazione, le storie semplicemente non esisterebbero.
Se tutto fosse perfetto e corretto, tutto sarebbe piuttosto banale e noioso. E chi "aggiusta" le storie, in fondo, non fa altro che strapazzarle.