Nuvole in scatola
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Le tre cose di casa che mi riescono peggio: curare le piante, stirare, cucire.
Il mio metodo per attaccare un bottone è "mamma, me lo puoi cucire?".
Quindi ora penserete che io stia cercando di allenare il Piccolo T perché un giorno possa sostituire la nonna nei lavori di sartoria, ma no: vi assicuro che non è questa la ragione per cui gli ho proposto il gioco delle carte da cucire.
 


Avevo semplicemente visto da qualche parte su Pinterest l'idea e mi era sembrata carina, fantasiosa e anche utile per sviluppare la motricità fine, se proprio vogliamo trovarci un motivo "didattico".

Sì, ma cosa sarebbero queste "carte da cucito"? Sono cartoncini con un disegno da completare con un filo di lana o di cotone, da passare attraverso dei buchi, come se si stesse ricamando.

Per crearle, basta immaginare (e disegnare) una figura che contenga elementi "pelosi" o piccoli tratti diritti che possano essere sostituiti dal filo. Potete anche stampare il mio pdf, con le figure che ho preparato per il Piccolo T: un cactus a cui ricamare le spine, una mongolfiera a cui aggiungere i fili e la trama del cesto, un leone che ha bisogno di una criniera pelosa, una signora dall'acconciatura importante, un riccio senza aculei e naturalmente una nuvola, senza pioggia.
I disegni andranno incollati su un cartoncino (quello delle scatole da cereali è perfetto).

Nel pdf troverete le figure "pulite", ma potete seguire le indicazioni del disegno qui sotto per sapere dove creare i fori (mi raccomando: sempre in numero pari):

http://googledrive.com/host/0B_dFi1TzHvBETWFINkUtRWVhdEk

I fori, a proposito: come farli? Ci sono due metodi. Il primo è usare una foratrice. È sicuramente un metodo pratico e veloce, ma c'è un grosso "ma": la foratrice non raggiunge il centro del foglio, si ferma solo a una certa (piccola) distanza dal bordo. Non ho mai trovato una soluzione realmente convincente a questo problema. Il compromesso migliore è stato sostituire, per gli spazi non raggiungibili, la perforatrice con una occhiellatrice (da utilizzare su una superficie apposita come un tappeto da taglio per non rovinare tavoli e pavimenti).
Non è altrettanto veloce e precisa, ma fa il suo lavoro.



Il secondo metodo è usare un punteruolo, su una base di feltro o su una semplice spugnetta da cucina.
Questo metodo darà risultati per certi versi più imprecisi: il retro non sarà piatto ma avrà i segni dei fori di uscita (fa molto CSI, tutto questo). Inoltre, normalmente il punteruolo crea fori più piccoli, quindi sarà poi necessario usare del filo da cucito sottile e non la lana.
Ma il punteruolo è più divertente, più veloce e, soprattutto, potrete farlo usare al vostro bimbo (sotto la vostra supervisione). Non so voi, ma io da piccola lo adoravo.


Ecco fatto. Ora, se usate del filo da cucito, infilatelo su un ago da lana, dalla punta grossa, in modo che non punga.
Se usate la lana, basterà un giro stretto di nastro adesivo a una delle estremità (dovrà sembrare la punta di un laccio da scarpa), in modo da rendere il filo più semplice da infilare.


E ora via: a cucire pioggia di lana, criniere blu e spine di cactus con i fili della fantasia.


           
Non tossire in faccia a tuo fratello!
Non dargli i bacini sulle manine, ché poi le mette in bocca!
Lavati le mani prima di accarezzarlo!
Sono sempre stata dell'idea che i bambini debbano farsi anticorpi e non vivere sotto una campana di vetro, ma di fronte al Piccolo D, nato prematuro e poi ricoverato per una brutta bronchiolite, ho dovuto rivedere un po' la mia filosofia di vita: anticorpi liberi sì, ma aspettiamo di passare almeno i primi mesi di vita.

Ma come spiegarlo al Piccolo T? Come fare in modo che i divieti avessero un senso e non fossero puri e semplici divieti? Come spiegargli che con un semplice contatto col fratello avrebbe potuto trasmettergli una malattia, se il veicolo della malattia è così piccolo da non vedersi a occhio nudo?



Mi è venuto in soccorso un albo illustrato insolito, delicato e curioso al tempo stesso, tanto da aggiudicarsi il Premio Andersen 2016 come miglior libro di divulgazione: si tratta di Mini. Il mondo invisibile dei microbi, di Editoriale Scienza.



Mini racconta la vita dei microbi con un linguaggio chiaro e semplice, ma sempre rigoroso.
Semplifica, ma senza per questo sviare dalla realtà scientifica dei fatti.
Le parole di Nicola Davies fanno divulgazione con i toni del racconto, affascinando senza mai annoiare, e si intrecciano alle illustrazioni di Emily Sutton senza essere didascaliche, ma creando un gioco tra parola e disegno che rende la lettura ancora più coinvolgente.

Si comincia parlando di animali grandi e piccoli, per spiegare che i microbi sono infinitamente più piccoli dell'animale più piccolo che conosciamo.

Si continua spiegando che i microbi possono essere molto diversi tra loro, per forma, funzione e dimensione, e che oltre ai microbi che trasmettono le malattie ce ne sono altri che svolgono compiti importanti, come riciclare i rifiuti o trasformare il cibo.


E si spiega infine come si moltiplicano, questi microbi: dividendosi e dividendosi fino a diventare tantissimi (e come sbarrava gli occhi, il Piccolo T, guardando quella pagina piena di questi minuscoli disegni!). E anche se uno solo era troppo piccolo per essere visto, forse milioni di microbi uno vicino all'altro... ehi, questo mi ricorda qualcosa: un esperimento fatto alle medie con la mia indimenticabile prof di scienze.



Conoscete la capsule di Petri?
Sono dei contenitori che in genere vengono riempiti con uno speciale "terreno" gelatinoso in cui far crescere i microbi, appunto. Si usano in laboratorio proprio perché i microbi da soli sono molto difficili da vedere, mentre invece se si moltiplicano a sufficienza è più semplice riconoscerli.

Alle medie ne avevamo prese alcune per provare a fare una coltura in classe: era stato un esperimento affascinante. Chissà che non si possa ripetere a casa.
Sì, ma dove la trovo la capsula di Petri con il terreno da coltura?
La costruisco, è ovvio!
Così, cerca di qua e googola di là, ecco la ricetta.


Servono:
  • un bicchiere d'acqua
  • 12g di gelatina o, meglio ancora, un cucchiaio di Agar Agar*
  • due cucchiai di zucchero
  • un dado da brodo (i microbi non sono schizzinosi: non serve la gallina vecchia)
  • le piastre di Petri oppure dei contenitori di plastica con il coperchio, tipo Tupperware
  • delle etichette.
* l'Agar Agar sarebbe da preferire, sia perché la gelatina tende a sciogliersi con il calore, sia perché alcuni batteri tendono a liquefarla. In effetti, al termine del nostro esperimento, nelle capsule si era formato un po' di liquido.

Se si usano dei contenitori, meglio sterilizzarli prima facendoli bollire in acqua, in modo da evitare contaminazioni (si fa scienza seria, qui!).
Poi, si fa bollire il bicchiere d'acqua e si sciolgono al suo interno lo zucchero, la gelatina e il dado.
Si versa nei contenitori (meglio filtrare, altrimenti reseteranno visibili, come è successo a me, le impurità del dado) e si mette in frigorifero per un giorno a solidificare.

E ora, via all'esperimento!
Prendete vostro figlio, appena tornato a casa dopo un pomeriggio di gioco. Fategli strofinare leggermente le dita sulla gelatina di una delle capsule e copritela (potete usare i coperchi del contenitore, ma è meglio chiudere con della pellicola trasparente, per vedere l'evoluzione della coltura. Abbiate cura comunque di sigillare bene il contenitore per evitare contaminazioni).
Etichettate questa capsula con la scritta:
MANI SPORCHE.

Ora, ri-prendete vostro figlio, lo stesso di prima, e fategli lavare accuratamente le mani con il sapone, strofinando bene. Poi fategli strofinare i polpastrelli sul secondo contenitore, copritelo ed etichettatelo:
MANI PULITE.


Siccome mi avanzava della gelatina, ho aggiunto un terzo recipiente, quello "di controllo" (ok, è un po' presto per spiegare nei dettagli il metodo scientifico al Piccolo T, ma l'ho fatto per me).

Ora, riponete i contenitori in un luogo non troppo caldo per qualche giorno. Andate a verificare di tanto in tanto l'andamento della vostra coltura.

Dopo cinque giorni, questo era l'aspetto del nostro contenitore "mani pulite" (nel cerchio rosso, l'unica colonia che si è sviluppata):


 E questo, invece, era il contenitore "mani sporche", che abbiamo esaminato con una lente d'ingrandimento:

(Per la cronaca, se ve lo state chiedendo, la capsula "di controllo" era perfettamente pulita).

Mi raccomando, dopo l'esperimento buttate via le gelatine contaminate, lavatevi bene le mani e lavate molto bene i contenitori (se possibile sterilizzateli di nuovo)!
E se vostro figlio vi chiede di comprare un animaletto da compagnia, no: i microbi non valgono (e i gatti di polvere, invece?).


Una cosa che ha sempre affascinato il Piccolo T sono le calamite.
Si diverte a sperimentare, a trovare le superfici su cui si attaccano, ad avvicinarle finché non si attraggono a vicenda. È da questi suoi esperimenti che mi è venuta l'idea di creargli un gioco:

La pista magnetica.




Per realizzarla vi serviranno:
  • il coperchio di una scatola di stivali (non avete una scatola di stivali? Correte a comprarvene un paio, presto! Poi dite che è per fare un gioco a vostro figlio),
  • dei magneti (come questi o questi),
  • il tubo di cartone di un rotolo di carta forno o alluminio,
  • cartoncino,
  • dei listelli di legno (io ho riciclato dei pezzi di una cassetta di frutta),
  • colla a caldo,
  • colori a piacimento.


IMPORTANTE: prima di tutto, controllate che i magneti si attraggano con sufficiente forza anche attraverso lo spessore del coperchio della scatola. Se non è così, procuratevi una scatola di cartoncino più leggero (ad esempio, quello delle scatole delle merendine), o dei magneti più potenti.

Ora, disegnate una strada sul lato interno del coperchio e colorate il vostro disegno a piacere.



Sull'altro lato della scatola, attaccate quattro cilindretti della stessa altezza ricavati dal tubo della carta forno: saranno i piedini della pista.


Sul cartoncino, disegnate due macchinine e ritagliatele. Sul retro, attaccate un magnete.
Ora preparate i due bastoncini, levigandoli (nel caso abbiate anche voi usato dei pezzi di cassette di frutta) e attaccando a una delle estremità un magnete.


Fatto! Ora potrete "pilotare" le macchinine muovendo i bastoncini sotto la superficie della pista.
E mi raccomando: rispettate le precedenze!



 
"Mamma, perché la mia ombra è luuuunghissima?", mi ha chiesto una sera il Piccolo T, durante una passeggiata al tramonto.
Ecco, era finalmente arrivato il momento che ogni mamma un po' nerd aspetta da tanto tempo: quello del "Te lo spiego con un esperimento!". Momento che, per bilanciare scienza e fantasia, abbiamo affiancato naturalmente a un "Te lo racconto con un libro".



Nero-Coniglio è un libro sulle paure da esorcizzare, sul conoscere se stessi, su quell'entità che appartiene al tuo corpo e allo stesso tempo non fa parte di te che è la tua ombra. Questo per noi. Per i bambini è un libro divertente e un po' pauroso, con una bellissima storia da raccontare.

La storia è quella di un coniglietto che un giorno esce dalla sua tana e si trova di fronte Nero-coniglio, un coniglio gigante e tutto scuro, che non se ne vuole andare via.
Prova a correre, a nuotare, ma niente. Solo addentrandosi nel bosco (al riparo dal sole) non vedrà più Nero-coniglio. Ma là, tra gli alberi, lo attende un altro predatore feroce.



Il coniglietto non capirà mai che Nero-coniglio è in realtà la sua stessa ombra, ma imparerà a conviverci, soprattutto quando scoprirà che Nero-coniglio può essere un suo alleato perché fa paura agli animali che lo vogliono catturare.

Il libro non usa mai la parola "ombra", ed è qui la sua forza. I migliori albi illustrati sono quelli in cui testo e immagini non sono l'uno la descrizione dell'altra, ma lavorano in sinergia creando un significato nuovo.

Inoltre, Nero-Coniglio contiene quella giusta dose di brivido che cattura i bambini senza spaventarli, e li incuriosisce e li "lusinga" con il meccanismo tipico della suspense: il lettore sa qualcosa (cioè, l'identità di Nero-coniglio) che il protagonista non sa.


Ma torniamo alle ombre e alla domanda iniziale del Piccolo T. L'ombra del coniglietto faceva paura perché era lunga e grande: il racconto si svolge infatti di primo mattino, col sole ancora basso.
Ecco allora che ci siamo armati di una pila, un foglio di carta, una matita, dei pennarelli e uno dei suoi giocattoli per sperimentare con le

ombre da colorare

La stanza deve essere semibuia o comunque non troppo illuminata.
Abbiamo appoggiato il giocattolo su un foglio bianco e puntato la pila accesa.
Ho fatto notare al Piccolo T che quando la pila era alta, l'ombra era più corta, e viceversa.



Poi, cercando di tenere la pila più ferma possibile, l'ho invitato a ricalcare i contorni dell'ombra, prima con la pila alta e poi con la pila via via più bassa.

Infine, abbiamo colorato le diverse ombre, per vedere meglio le differenze tra una e l'altra.



"Vedi, amore? Quando il sole si alza, le ombre sono più corte, poi quando va giù si allungano di nuovo."
(Ehm, secondo voi quand'è l'età giusta per passare dal sistema tolemaico al copernicano?)


Chiariamo subito: con questo titolo non voglio protestare contro l'abbondanza di cromosomi Y nella mia famiglia. Non è l'azzurro a infastidirmi, insomma, sono proprio i fiocchi in quanto tali. Quelli di stoffa, a forma di fiocco, ecco.

Per questo, per annunciare l'arrivo del Piccolo D, ho pensato a una soluzione alternativa.
"Ehi, aspetta!", diranno i più attenti di voi, "Ci hai già parlato della fiocconuvola per il Piccolo D".
È vero, ma non vi avevo detto che di "fiocchi non fiocchi" ne avevo fatti cinque: due per noi, uno a testa per i nonni e uno per una zia. La felicità va condivisa il più possibile, giusto?

Ecco allora come ho preparato i fioccocuori per tutta la famiglia.


Per prima cosa, ho comprato le basi: dei cuori di rattan bianco, di varie dimensioni.
Ho studiato poi le composizioni ritagliando i diversi pezzi su carta e appoggiandoli sui cuori.


Poi ho creato i pezzi.
Trattandosi di elementi puramente decorativi, non serviva un legno particolarmente resistente, perciò ho usato la soluzione più economica possibile: le cassette della frutta.

Per i "festoni", ho ritagliato dei triangolini che ho poi forato con il Multiutensile Dremel (ma andrà benissimo un trapano con una punta sottile).


Per ritagliare l'interno della lettera D, ho praticato un foro (sempre con lo stesso multiutensile) e ci ho infilato la lama del Dremel Moto-Saw, con la quale ho ritagliato con precisione tutto il foro. Sempre con il Dremel Moto-Saw ho ritagliato tutti gli altri pezzi.



Dopo aver colorato tutti gli elementi, li ho assemblati, incollandone alcuni con la colla a caldo e fissandone altri (come i festoni) con della lana colorata.


Evviva i fiocchi azzurri: di legno, però.

       
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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