Nuvole in scatola
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"Goodbye" è una parola strana, vista da qui.

In italiano potrebbe essere "addio" ma anche "arrivederci", e solo il contesto può farci capire in quale di queste direzioni andare. Ammesso che il contesto sia d'accordo, nel farcelo capire.

Insomma: il blog chiude.

E come succede in molte storie d'amore, quando finiscono, anche in questo caso c'è di mezzo un altro. Più di uno, a dire il vero: tanti progetti in corso, in nascita, in divenire, che non mi lasciano il tempo per prendermi cura di Nuvole in Scatola come merita.

Ma non è un addio, direi che è più... un goodbye.

Continuerò a occuparmi di bambini e di ragazzi e di parole, e se tutto va bene, e se ne avrete voglia, su qualche canale, magari alcuni di questi progetti ve li racconterò.

E va bene, facciamola corta, che i goodbye sono sempre difficili.

Ci tenevo a dirvi grazie per avermi letto in questi dieci (sì, dieci!) anni e a farvi sapere che in fondo credo di avere ancora qualcosa da scrivere e da creare, con la mia testa tra le nuvole, con i miei sogni tra le scatole.

illustrazione tratta da: Harold e la matita viola, Crockett Johnson, Camelozampa
(illustrazione tratta da: Harold e la matita viola, Crockett Johnson, Camelozampa)

E quindi, goodbye.

"Il calzolaio ha sempre le scarpe rotte", si suol dire. Chi fa qualcosa per lavoro, spesso dimentica di farlo a se stesso.

Vale anche per Babbo Natale?

Il primo Natale di Babbo Natale

Mac Barnet ipotizza così, nell'albo Il primo Natale di Babbo Natale, illustrato da Sydney Smith e portato in Italia da Terre di Mezzo con la traduzione di Sara Ragusa: Babbo Natale, a quanto pare, non festeggiava il Natale.

Per lui si trattava di una giornata lavorativa (anche piuttosto pesante) al termine della quale si riposava, semplicemente. Sono gli elfi a scuoterlo, accompagnandolo in un nuovo rituale che va dagli addobbi all'attesa del regalo (ma chi sarà a fare il regalo di Natale a Babbo Natale?).

Il primo Natale di Babbo Natale

Colpisce, nelle illustrazioni di Sydney Smith, l'uso sapiente della luce e del buio.
Siamo naturalmente al Polo, tra lunghe notti e colori glaciali, ed ecco che le decorazioni natalizie portano colore e calore, trasformando il villaggio.
 Il primo Natale di Babbo Natale

E quando Babbo Natale legge una storia, alla luce del camino acceso, il contrasto creato dal fuoco, che rende luminosi i contorni, fa passare il calore dalla pagina direttamente alla pelle del lettore.

Il primo Natale di Babbo Natale


In molte cose (l'atmosfera, le dinamiche tra i protagonisti, il desiderio di raccontare una parte di storia che non si vede) Il primo Natale di Babbo Natale mi ha ricordato il pur diversissimo Lettere da Babbo Natale  di J. R. R. Tolkien. Chissà se Mac Barnett si è ispirato alle sue storie.

Più di ogni cosa, però, questo albo, così delicato e ricco di calore, mi ha fatto pensare a quanto noi adulti il Natale lo riusciamo ormai a sentire poco. Presi dalle scadenze lavorative, non sappiamo più goderci l'attesa. Siamo Babbi Natale che non hanno ancora imparato a festeggiare.

Siamo Babbi Natale che forse si meritano di farsi un regalo: fermarsi un po' e sedersi a leggere un buon libro, come questo.

 Ma come si legge a un bambino che non sta fermo?

Come avevo spiegato in un post di qualche anno fa, il movimento, nei bambini, specialmente nei più piccoli, è una condizione naturale, ed è impensabile pensarli sempre fermi ad ascoltarci. 

Con le mani posso

La scoperta del proprio corpo, delle sue possibilità e dei suoi movimenti è un'esperienza straordinaria per un bambino, e inserire questa esplorazione all'interno di una lettura permette di migliorare la sua attenzione e di trasformare l'ascolto in un'esperienza multisensoriale, attiva e coinvolgente. E sì, si può fare anche (e soprattutto) con la poesia.

Con le mani posso, Ã¨ una raccolta di filastrocche scritte da Mia Floridi e illustrate da Maurèen Poignonec, pubblicata da Il Castoro, che risponde perfettamente a questa esigenza.

Con le mani posso

Se ci fosse una grammatica codificata delle illustrazioni, potremmo dire che sono "in prima persona": degli adulti vediamo piedi e ginocchia, e ciò che sta attorno al bambino protagonista è mediato dalle sue sensazioni e dalla sua immaginazione. 

I testi spiccano per ritmo e sonorità, per la presenza di onomatopee, ma anche grazie a una scrittura ben calibrata. Sono vere e proprie canzoni-non-cantate (ma nulla vi vieta di inventarci sopra una musica, se vi piace!) che invitano a scoprire la dimensione più "materiale" della parola: il suono che produce, gli accenti, la sua melodia.

C'è un'intera filastrocca sul singhiozzo, intervallata da "hic!". C'è una serie di rime impertinenti che racconta le facce fatte davanti allo specchio (un testo divertente, rapido e coinvolgente, forse il mio preferito del libro), e ne esprime lo spirito con il suono prima ancora che con il senso:


Fischietto canticchio
le labbra mordicchio
le guance risucchio
e poi mi sbaciucchio.


Con le mani posso

E accanto a questa forma così adatta al gioco (e ad allenare l'orecchio alla parola e alla poesia), i contenuti invitano a un coinvolgimento fisico e sensoriale, invitando il bambino a imitare degli oggetti, a stare in equilibrio su un piede, a farsi coccolare e sbaciucchiare.

Con le mani posso

Perfetto per bambini dai due anni, in quella fase di esplorazione delle proprie possibilità cinestetiche, Con le mani posso può con i suoi suoni catturare anche bimbi piccolissimi, dalla nascita, e dall'altro lato coinvolgere nel gioco bimbi più grandi, fino a 5 o 6 anni.

Perché la poesia sa fare anche questo: farsi coccola, farsi gioco, arrivare a tutti, senza limiti di età.

A volte il confine tra il credere e il non credere in qualcosa di soprannaturale (che sia magia, religione o anche semplicemente il destino) sta semplicemente nell'interpretazione che diamo alle cose.

E l'infanzia e la preadolescenza conservano più di altre età quella capacità di trovare significati segreti e nascosti nel quotidiano, quei significati che trasformano una vicenda in una storia.

Le fate non esistono

È questo il fil rouge che troviamo, punteggiato da altri temi come la gelosia e l'accoglienza della diversità, in Le fate non esistono, uno dei mini-romanzi di Il Castoro, scritto da Nicoletta Gramantieri e illustrato da Silvia Vanni. Un romanzo che parte con un'immagine senza tempo: tre ragazzi stesi nell'erba alta a scambiarsi pensieri. Pensieri sulle fate.

Merope, la protagonista, è sicura che esistano: ne ha vista una! Era una signora vestita in modo strano che ha incrociato al supermercato.

Le fate non esistono

E quando il giorno dopo il desiderio di Merope, quello di far scomparire la sorellina che si prende tutte le attenzioni dei genitori, sembra essersi esaudito, i tre ragazzi si lanciano in un'avventura tutto sommato ordinaria, ma che nella loro percezione diventa quasi leggenda.

Inizia così la ricerca della fata per annullare il desiderio, l'esplorazione di una casa abbandonata dove la sorellina potrebbe essere prigioniera, la lotta contro ragni che agli occhi dei protagonisti sono creature megiche e malvagie.

E così, anche quando vengono allo scoperto alcuni malintesi che sembrano dare spiegazioni più plausibili a quanto successo, i ragazzi continueranno a credere, o a fingere di farlo, alle spiegazioni magiche che hanno costruito, fatte di amuleti e spiriti maligni, e la fata, un'anziana ospite di una struttura residenziale destinata a persone non del tutto autosufficienti, diventerà una nuova compagna di giochi a carte con cui passare il tempo.

Perché se c'è una magia in cui credere, anche quando quella fede nel soprannaturale si affievolisce col tempo, è quella dell'amicizia e delle avventure da condividere.

Halloween è il momento dell'anno in cui vita e morte danzano assieme.

Gli elementi più macabri e paurosi diventano ridicoli, affascinanti, comunque vitali più che mai, quasi a esorcizzare il terrore del nostro umano limite.

Martin lo scheletro

Martin lo scheletro, il titolo di cui vi parlo oggi, non è un libro di Halloween in senso stretto, pur conservandone questo spirito, l'idea di stare sul limite tra vita e morte.

È un romanzo breve, adatto a lettori non esperti (dai 7-8 anni, secondo la fluidità della lettura), scritto dall'estone Triinu Laan e illustrato da Marja-Liisa Plats, portato in Italia da Sinnos con la traduzione di Daniele Monticelli.

Martin è uno scheletro, uno di quelli "didattici" che si trovano nelle scuole, sebbene nel corso del libro questo dettaglio sarà sempre più sfumato, e qua e là emergerà la sensazione di trovarci di fronte a uno scheletro vero. 

Martin è uno "scheletro scolastico", dicevamo, ma vuole andare in pensione ed è per questo che sarà adottato da una coppia di anziani. Il resto del libro scorre, con dolcezza e una sottile vena umoristica, raccontando le prime esperienze di Martin nella vita vera: il primo viaggio in macchina, i giochi con i bambini, la scoperta della neve, il rapporto sempre più stretto con la sua nuova famiglia.

Martin lo scheletro

Nel suo aspetto così indifferente (in quanto scheletro, non ha espressioni facciali, e anche l'asciuttezza della prosa, all'apparenza, riprende questo tratto), Martin si rivela delicato, tenero, premuroso. Tra le pagine di Martin lo scheletro si intrecciano temi importanti, trattati in modo inconsueto: la vita e la morte, la vecchiaia e la giovinezza.

Tanti sono i paradossi: lo scheletro che è un personaggio vivo, le prime esperienze accostate alla vecchiaia, anziché all'infanzia. La storia provede continuamente in bilico tra due opposti.

Verso la fine ci sarà anche spazio per l'incontro con la morte, quella vera, e qui Martin farà da raccordo tra i due mondi, quasi a sottolineare che ciò che abbiamo amato, in noi, non muore mai.

Spilunga e Piccino. Quando ho letto questo titolo, il mio primo pensiero è stato correre al colophon per scoprire il titolo originale di questo albo.

Aspettate, faccio un passo indietro.


spilunga e piccino

Sto parlando di Spilunga e Piccino, albo di Barbara Brenner con le illustrazioni d'autore di Tomi Ungerer. È un albo in rima, e questo apre enormi dilemmi in chi deve tradurlo (Alessandro Riccioni, in questo caso) e in chi deve pubblicarlo (Lupoguido, in questo caso).

Sto leggendo proprio in questi giorni un saggio di Umberto Eco sulla traduzione: Dire quasi la stessa cosa), che ben racconta, tra le altre cose, i due piani su cui si deve svolgere la traduzione di un testo poetico, che dovrebbe rendere il significato, sì, ma anche il significante, il suono della parola stessa, o perlomeno l'atmosfera che esso crea. 

Tradurre un testo in rima, da quella lingua agile e flessibile che è l'inglese, non è un'impresa facile.

Il titolo di Spilunga e Piccino era, in originale, Mr Tall and Mr Small. I due nomi già rimavano tra loro, erano simili, entrambi brevi, entrambi semplici, entrambi significavano precisamente qualcosa.

"Spilunga" non ha un significato in italiano, per quanto richiami il termine "spilungona", e contenga la parola "lunga", che richiama il suo senso anche a chi non conosce il primo termine. Ha un bel suono, però, sa di nobile, di affascinante. "Piccino" è molto più diretto, ma non è semplicemente "piccolo": ha una connotazione affettuosa, mentre "spilunga" appare più distante. Se nella lingua originale si contrapponevano due termini vicinissimi tra loro ma di significato opposto, qui ad essere opposte, in qualche modo, sono anche le parole.

Ma è di questo che stiamo parlando, è questo lo spirito dell'albo: due personaggi distanti, che più distanti non si può, e che per tutta la prima parte del libro battibeccano e bisticciano ("si dissano", si potrebbe dire) sulle loro reciproche differenze, finché un comune pericolo li unisce. Ed è qui che scoprono come la differenza sia una risorsa, e l'unione di caratteristiche diverse possa diventare preziosa.

D'altra parte anche l'altro linguaggio del libro, quello che non serve tradurre perché parla attraverso le immagini, va nella stessa direzione, con immagini contrastanti, di cielo e di terra, di giorno e di notte, di personaggi che si piegano per stare nella pagina e altri che ne occupano solo una piccola porzione.

E quindi, sì, Spilunga e Piccino non ha (non potrebbe avere) il ritmo sintetico e incalzante di Mr Tall and Mr Small, ma ne conserva perfettamente il senso, il contenuto; lo arricchisce, persino.

spilunga e piccino

Ho notato solo alla fine, peraltro, che "Spilunga" è femmina (è LA giraffa) e Mr Tall maschio. Non ha molta importanza, ai fini della trama, ma forse, nell'atmosfera generale, è una differenza in più che si aggiunge, che rende i due personaggi ancora più distanti, e quindi ancora più salda la loro unione quando le loro differenze li avvicinano.

La traduzione, in fin dei conti, fa in questo caso lo stesso gioco del libro: è una differenza. Una differenza che allontana, ma che, per chi la sa cogliere, in fondo arricchisce.

Avete presente quando un bambino deve fare a metà di qualcosa – non so, una merendina, un biscotto, un quadrotto di cioccolato?

Quella cura che ci mette nel fare due parti che sembrino una identica all'altra ma che (possibilmente in qualche parte nascosta) non lo siano davvero, e poi la meticolosità nel soppesarle con lo sguardo per avere la certezza di aver scelto la parte giusta.


Se ti dessi mezza mela

A questo mi ha fatto pensare Se ti dessi mezza mela l'ultimo albo di Silvia Borando per minibombo.

Protagonista è uno scoiattolo che vediamo rappresentato con il solito ironico candore dei personaggi di Borando. Lo incontriamo nel bosco mentre si prepara a mangiarsi una mela, e a mangiarsela tutta, perché

"... perché si sa,
quando si ha qualcosa
è meglio tenersela per sé..."

Se ti dessi mezza mela

Ma arriva un elefante, che gliene chiede mezza.

Lo scoiattolo, sulle prime un po' contrariato, pensa di offrirgliene invece metà della metà. Poi ci ripensa (perché si sa, quando si ha qualcosa, è meglio tenersela per sé): forse è meglio metà della metà della metà...

Se ti dessi mezza mela

L'offerta si fa sempre meno generosa, il dimezzamento sempre più ricorsivo (e si sa quanto i bambini siano divertiti dalle strutture ricorsive). 

Le immagini si susseguono con piccole variazioni dal gusto cinematografico: l'inquadratura è fissa (con pochi "zoom" sullo scoiattolo) e tra una pagina e l'altra a volte muta soltanto la direzione dello sguardo del protagonista: una differenza minima che assume un'importanza cruciale, in quanto tutto il resto dell'immagine è immutato, lasciando tutta l'attenzione sui pensieri non espressi del piccolo roditore.

Il piccolo lettore vede il pezzo di mela diventare via via sempre più piccolo e sempre più insignificante, soprattutto se confrontato con la stazza dell'elefante. 

Avrà fatto bene lo scoiattolo ad essere così poco generoso e a tenere quasi tutta la mela per sé?
Lo scopriremo, come consuetudine con un albo di minibombo, solo nell'ultima pagina.

Animali, suoni onomatopeici, scene di vita quotidiana, ripetizioni e variazioni e qualche piccolo elemento comico: li conosce bene, Susanne Strasser, gli elementi che fanno il successo di un libro per piccoli.

il procione lava tutto

Lo abbiamo visto in La torta è troppo in alto!, Chi dorme nel lettone?, e in Balena, vengo anch'io, tutti editi da Terre di Mezzo.
Il meccanismo, rodato eppure in qualche aspetto sempre nuovo, ritorna in Il procione lava tutto!,  un nuovo cartonato adatto ai bimbi dall'anno in su, che vede questa volta protagonista un "orsetto lavatore", letteralmente (il titolo, con la sua buffa allitterazione, rende meglio in lingua originale: Waschbär Wäscht Wäsche).

il procione lava tutto

Quindi, questa volta la storia com'è?
Semplice: il procione fa il bucato e uno alla volta gli animali si avvicinano per fargli lavare qualcosa.

Le formule linguistiche si ripetono, così come le onomatopee del lavaggio: struff struff splish splash.
 
il procione lava tutto

E man mano che l'orsetto lavatore lava, sul filo del bucato si accumulano i diversi indumenti che il bambino impara a riconoscere.

il procione lava tutto

Finché non arriverà il momento di ridare ogni capo al suo proprietario, ed è a quel punto che scatteranno gli equivoci più divertenti, che i bambini si divertiranno a notare e "correggere".
 

Attraverso la lettura di Il procione lava tutto!, i piccoli che sono ancora alle prime armi con il linguaggio impareranno i nomi di colori, animali, indumenti, prenderanno confidenza con i meccanismi narrativi e con le formule linguistiche che si ripetono. Ma prima di tutto, si divertiranno un sacco.
Ancora una volta, brava Susanne Strasser!

Ci sembrava lontana, laggiù, ai confini del mare delle vacanze, e invece eccola avvicinarsi sempre di più: è riapparsa all'orizzonte la scuola.

La maestra è scomparsa

E allora ritorna anche il blog, pronto ad accogliere remigini (ne ho una anch'io!) e studenti più rodati con un albo che è particolarmente sul pezzo, per affrontare con leggerezza questo nuovo inizio.

La maestra è scomparsa! Ã¨ un albo d'autore: scritto dall'americano Harry Allard nel 1977 e illustrato da James Marshall (che abbiamo amato in altre recenti uscite di Lupoguido, come la serie di George e Martha e Storie da spiaggia), è edito in Italia con la preziosa traduzione di Sergio Ruzzier.

Si tratta in realtà del primo capitolo di una trilogia, ma pensato comunque come un'opera a sé, ambientata in una scuola elementare. È qui che lavora la maestra Dolcini, insegnante di una classe particolarmente vivace, chiassosa e maleducata, che mette a dura prova la sua pazienza. I bambini disturbano, fanno smorfie, tirano aeroplanini durante le lezioni... la maestra non ne può più.

La maestra è scomparsa

Finché un giorno la maestra scompare. Al suo posto, la terribile supplente signorina Acquamarcia.

La maestra è scomparsa

I bimbi, spaventati, iniziano a rimpiangere la maestra Dolcini, mentre l'ispettore Smog inizia a indagare sulla sua scomparsa. Quale mistero si nasconde dietro la scomparsa della maestra?

Non ve lo svelo. E a dirla tutta, nemmeno l'albo lo fa, pur facendolo ben intendere al lettore, lasciandogli però la soddisfazione di aver capito da solo, senza spiegazioni.

Con questa enfasi sui "bambini monelli", La maestra è scomparsa! Ã¨ forse un albo di cui si sente l'età, ma non sono invecchiati la sua ironia, il gioco di deduzione in cui coinvolge il bambino, né le trovate grafiche come i "quadri" benordinati con cui Marshall impagina i bambini, sottolineandone per contrasto l'impertinenza.

La maestra è scomparsa
 
È un albo leggero ma arguto, un albo che accogliamo con gran gioia. Come la scuola che, alla fine, è tornata.






Avete presente quello che succede in molte serie tv? La prima stagione parte con un'idea-bomba, una scrittura ben congegnata e dettagli studiatissimi, poi la narrazione (e spesso anche la coerenza) si perde per strada.

Molto più raro è il caso in cui la serie mantenga la stessa qualità lungo le stagioni, e ancora più raro (per ovvi motivi) è il caso opposto: quelle serie che all'inizio ti fanno dire "meh" e poi esplodono.


Storie da spiaggia

Se fosse una serie tv, Storie da spiaggia di James Marshall (sulla copertina trovate anche il nome di Edward Marshall, ma è sempre lui, nelle vesti di illustratore), portato in Italia da LupoGuido con la traduzione di Sergio Ruzzier, sarebbe una di queste, più rare, più preziose.

Storie da spiaggia

Storie da spiaggia Ã¨ una raccolta di tre racconti con una storia-contenitore che li unisce: quella di tre bambini annoiati che si raccontano le storie (i tre racconti, appunto), sulla spiaggia. Il lettore, in questo modo, è trascinato dentro e fuori i diversi livelli di fiction: la storia di Lolly, Sam e Spider e le storie che ognuno di loro racconta. Sembra banale, ma per un bambino non lo è, e possiamo dire che leggere Storie da spiaggia Ã¨ di un esercizio che allena alla comprensione dei meccanismi narrativi.

La prima storia, quella di Lolly, lascia un po' perplessi: non c'è una vera e propria narrazione, non accade niente di rilevante, conosciamo però tre personaggi: un ratto, un gatto e un cane. Non fanno nulla, ma vedremo tornare il gatto e il ratto nella storia di Sam, e poi in quella di Spider.

Storie da spiaggia

La narrazione si fa via via più ricca e densa di ironia, tanto che, nonostante le poche e semplici parole utilizzate, non consiglierei Storie da spiaggia prima dei 5 anni (ma meglio ancora lo immagino come una prima lettura per i bambini di 6-7 anni). I tre protagonisti trovano ispirazione l'uno nella storia dell'altro per costruire strutture narrative via via più articolate e argute, come un castello di sabbia a cui si aggiunge ogni volta un elemento nuovo e meraviglioso.

Come accade nelle serie tv più rare, quindi, il libro prende corpo dalla seconda stag... ehm... dalla seconda storia in poi, e tanti sono i fili sospesi che l'autore riallaccia con maestria.

Storie da spiaggia viene peraltro venduto con un foglio cartonato allegato, da ritagliare in tanti riquadri illustrati che riportano alcuni elementi e personaggi del libro: basta pescarne tre a caso (o più, o meno, o seguire qualche altra regola, anche inventata) e si può giocare, un po' come si fa con gli story cubes, a immaginare una storia.

Magari da raccontare in spiaggia ai propri amici.

Magari ancora più arguta di quella finale di Storie da spiaggia, che ci racconta la potenza dell'immaginazione, per plasmare la realtà e – perché no? – rinsaldare amicizie, con il potere delle storie.

"Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello" diceva una pubblicità che solo pochi di voi (ahimé) ricorderanno.

E così, non serve un libro grande, per avere un grande libro.


mini romanzi

È questa la filosofia della nuova collana Mini Romanzi di Editrice Il Castoro: romanzi brevi, alla portata dei lettori in erba (diciamo su per giù dalla seconda primaria in poi), ma romanzi d'autore, che non fanno sconti sulla qualità della struttura narrativa, del lessico, della dignità data a un lettore che merita un'opera a tutto tondo, e non semplificata "per venire incontro alle vostre capacità mentali" (scusate, oggi sono in vena di citazioni televisive vintage).

I primi due titoli sono già pronti sullo scaffale delle letture estive del Piccolo D: sono Il fantasma della miniera di Chiara Lorenzoni, illustrato da Martina Brancato, e 54 secondi di ritardo di Chiara Carminati, illustrato da Miriam Serafin.

 fantasma della miniera

Il fantasma della miniera è un libro di avventura che inizia da una lucertola, da un gruppo di amici e dalla noia estiva (non è forse così che iniziano realmente la maggior parte delle avventure dei bambini?). 

A questi ingredienti, pennellati con grande credibilità, si intreccia una leggenda di paese raccontata dal nonno, che diventa mistero e inseguimento di qualcosa di ineffabile: il fantasma intrappolato nella vecchia miniera del paese. Esiste? Non esiste?

La narrazione mescola sapientemente dolcezza, tensione e ironia e chiude con un finale che un adulto forse ha già intuito, ma che saprà sorprendere e far sorridere il piccolo lettore.

54 secondi di ritardo

Chiara Carminati, invece, sposta l'ambito dell'emozione dagli eventi alle persone: 54 secondi di ritardo (link affiliato) è una storia che ha il fulcro nelle singolarità, per non dire nelle stranezze, dei due protagonisti, Dennis e Giulietta. Lui trincerato dietro una routine che si ripete sempre uguale a sé stessa, precisa al secondo, che rappresenta la sua ancora di salvezza contro un mondo che gli fa paura.

Lei travolgente, fantasiosa, intraprendente, eppure sola: una di quelle bambine poco conformi e che per questo si trovano a loro agio più con altri adulti che con altri bambini. A meno che non siano bambini poco conformi, come Dennis.

Il giorno in cui la routine di Dennis viene turbata con un ritardo di 54 secondi, sconvolgendogli i soliti piani, Giulietta lo travolge, letteralmente, trascinandolo a zonzo per la città ala ricerca del fratello scomparso.

Le illustrazioni, nonostante lo stile molto descrittivo, lasciano spazio a qualche sorpresa, come la descrizione del fratello fatta da Giulietta, che viene visualizzata come si materializza nella mente di Dennis, un pezzo alla volta, secondo il racconto che ne fa lei.

Anche per fare una grande estate non servono grandi cose. A volte bastano un paio di grandi libri.

Chi ha letto il primo capitolo lo aspettava con ansia.

Hilo il mondo da salvare

Noi, ad esempio (intendo io e il Piccolo D), che dopo aver letto Hilo. Il ragazzo precipitato sulla Terra eravamo smaniosi di conoscere il destino di questo alieno-robot che in realtà si è dimostrato più umano di molti umani.

Il Barbagianni ci ha accontentati, portando in Italia il nuovo graphic novel di Judd Winick, un libro dove la tensione è altissima dall'inizio alla fine.

Hilo il mondo da salvare

In Hilo. Il mondo da salvare il nostro eroe ritorna (non vi dico come: è uno dei momenti più curiosi del libro!), ma con lui arrivano anche mostri e robot di ogni fattezza, ovunque.

L'azione è incalzante, anche se mai cruenta e sempre bilanciata da un'altissima dose di umorismo. I nemici spuntano da ogni dove e il lettore viene trascinato in continue sorprese e scoperte: ogni essere è diverso dall'altro, ha diversi poteri (spesso buffi) e diversi modi di combattere.

Anche il nuovo personaggio che fa il suo esordio, Polly, è un guerriero che aggiunge all'Aaaaah di Hilo il sui Uataaaah di combattimento.

Hilo il mondo da salvare

Poco spazio viene lasciato questa volta all'introspezione, la coralità vince sull'individualità, la squadra (anzi, la "cricca") è la vera protagonista.

Restano alcune tavole, le uniche "lente", dedicate ai flashback, che ci mostrano i ricordi di Hilo, ci svelano finalmente qualcosa in più sulla sua genesi, sulla sua storia e sul suo legame con il temibile Razorwark, l'antagonista principale, che nel primo volume era un'entità genericamente cattiva e ora piano piano inizia ad assumere dignità di personaggio, con un suo background, una sua storia, una sua motivazione.

Hilo il mondo da salvare


Si legge fin troppo in fretta, Hilo. Il mondo da salvare. Si ride, si resta col fiato sospeso, si ride ancora, ci si meraviglia e poi, ecco: finito. Ma non finito.

Chi ha letto il primo capitolo lo aspettava con ansia. Chi ha letto questo, aspetta con ansia il prossimo.


Prepararsi la mattina per uscire di casa, aspettare il giorno del proprio compleanno, fare qualcosa che ami per "ancora cinque minuti": quello che rende queste esperienze tanto diverse tra adulti e bambini è la percezione del tempo.

I piccoli ne hanno vissuto poco, e lo vivono in modo dilatato, senza percepirne la durata ("Mamma, quanto sono cinque minuti?"), né tantomeno la relatività ("Mamma, cinque minuti sono poco o tanto?").

Soprattutto, non comprendono perché, per noi, sia sempre una merce limitata, preziosa.

L'uomo che vendeva il tempo 

In questo albo di Luca Cognolato e Marco Paschetta per Terre di Mezzo, il tempo si fa proprio merce: L'uomo che vendeva il tempo probabilmente non a caso si chiama Vettore: un nome che indica chi trasporta qualcosa, ma anche, in matematica, una grandezza orientata, dotata di direzione, come il tempo che non torna mai indietro.
Nel suo negozio, chiamato Temperia, Vettore vende minuti e ore, ben misurati e ben confezionati, a chi ne ha bisogno.

L'uomo che vendeva il tempo

Ma cosa succede se un giorno i rifornimenti quotidiani di tempo non arrivano?
Cosa succede se il "tempo in più" è esaurito?
E se ad avere bisogno di tempo è proprio Vettore?

L'uomo che vendeva il tempo

L'idea creativa alla base di L'uomo che vendeva il tempo, quella di rendere tangibile e vendibile un bene così immateriale, si accompagna in questo albo a un'ambientazione d'altri tempi.
Vettore pesa il tempo su una bilancia a due piatti, lo confeziona a mano, batte gli scontrini su un vecchio registratore di cassa.

Anche i colori, caldi e polverosi, sono quelli delle fotografie ingiallite dal tempo.

Il tempo, appunto: è come se l'albo riportasse la narrazione al passato, a un'epoca in cui il tempo in più era ancora un bene possibile, per quanto prezioso; e anche se i clienti di Vettore sono persone che non ne hanno abbastanza, di tempo, si percepisce quel senso di comunità e di lentezza che appartiene a un mondo che non c'è più.

Non possiamo comprarlo, il tempo. Possiamo cercare di spiegare ai bambini che è la cosa più importante al mondo, qualcosa da non sprecare, da non sottovalutare mai.

E no, non possiamo comprarlo, ma quando ne vale la pena dobbiamo essere in grado di regalarne un po' a chi ne ha bisogno.
 

"Il miglior modo per nascondere qualcosa è in piena vista", scrisse, a quanto pare (non sono riuscita a verificare con esattezza) Edgar Allan Poe.

l'asino scomparso

È ciò che accade al protagonista di L'asino scomparso, un silent book di Lucio Notarnicola pubblicato da Caissa Italia che, accostandosi al recinto, vede soltanto un asino nero e nota che manca qualcosa.

l'asino scomparso
 
Inizia così il suo viaggio alla ricerca dell'altro asino, un viaggio durante il quale trascinerà con sé una lunga fila di animali che si uniranno a lui.
l'asino scomparso

E quando la sera, sconsolato, farà ritorno a casa, finalmente vedrà l'asino dietro al suo recinto, perché l'asino non era scomparso: era semplicemente bianco, e alla luce non si vedeva.

Ma dopo che sarà scesa la notte... non continuo, ma forse immaginate da soli cosa può succedere.

L'asino scomparso, è un albo basato largamente sulle inferenze e sui collegamenti intratestuali. È vero che tutti i silent book, in qualche modo, lo sono, perché presuppongono che la storia si comprenda dalle sole immagini, ma questo si spinge un po' oltre il solito meccanismo.

Innanzitutto, l'albo parte dal titolo, un elemento se non extratestuale, perlomeno paratestuale: non ci aspettiamo di dover dipendere dalla sua lettura per la comprensione del testo, eppure senza di esso non potremmo mai capire che il protagonista sta cercando proprio un asino, perché non lo abbiamo mai visto prima che se ne notasse la mancanza.

Poi, il gioco di luce / buio su cui si regge la ricerca, enfatizzato dall'uso di un bianco e nero in cui spicca qualche macchia rossa come unico elemento cromatico differente, non è banale da comprendere e potrebbe richiedere, specialmente ai più piccoli, una seconda e una terza lettura.

Quindi, una raccomandazione: non cedete alla tentazione di spiegare ai bambini cos'è successo. Rileggete, piuttosto, e rileggete ancora. La qualità di questo albo sta proprio nel non abbassarsi di livello, non dare spiegazioni inutili, nel rispettare (e sfidare) le capacità inferenziali dei bambini.

Lo si vede anche nello stile illustrativo, dal gusto un po' vintage, non scontato, che non ricerca per forza l'equilibrio o la gradevolezza delle forme ma punta sull'espressività.

Lo si capisce anche dal modo in cui questa espressività è trasmessa: L'asino scomparso, è un albo che urla senza usare parole. I segni rossi che escono dalle bocche dei personaggi sono evidenti, forti, incisivi, non c'è bisogno di testo per capire cosa significano, per sentirli, quasi.

E quindi sì, una volta svelata la chiave, assecondate i bambini nel provare, nel chiudersi in una stanza scura con un oggetto chiaro e con un oggetto scuro per vedere la differenza. Ritagliate sagome di asini bianchi e colorati e fateli passeggiare su un foglio bianco per vedere la differenza.

l'asino scomparso

Ma fatelo per sperimentare, non per spiegare. Fatelo dopo che avranno capito. Fatelo dopo che si saranno goduti il piacere di comprendere cosa vuole dirci un albo senza parole.






 

C'è un'espressione inglese che adoro e che rende perfettamente il senso di quello che vuole esprimere: "The elephant in the room", ovvero "L'elefante nella stanza". Sta a indicare una questione ingombrante tra due o più persone, che però nessuno vuole affrontare, e resta lì, a intralciare il resto della conversazione, come un non-detto che però tutti stanno pensando.

Hai visto l'elefante?

Perché un elefante, in una stanza, ci sta stretto, occupa tutto lo spazio, è impossibile non vederlo. Anche se gioca a nascondino, come il protagonista di Hai visto l'elefante?, di David Barrow, pubblicato in Italia da Terre di Mezzo.

Hai visto l'elefante?

Ci sembra subito buffo quando l'elefante propone al bambino di giocare a nascondino e si sente in dovere di specificare:

Devo avvertirti però.
Sono MOLTO bravo.

E così il bimbo inizia a contare e  poi parte alla ricerca: pagina dopo pagina, vediamo l'elefante nei posti più buffi: dietro una tenda, sotto una coperta, perfino dietro il televisore che il papà, completamente ignaro, sta guardando. 

Hai visto l'elefante?

Perché, appunto, noi vediamo l'elefante, ma nessun altro ci riesce: si è nascosto davvero bene!

L'effetto è comico, perché il piccolo lettore sarà portato a dire: "ma come? non lo vedi? è lì!", ma i personaggi non se ne rendono minimamente conto. Nel libro, insomma, vale la regola in cui crede ogni bambino piccolo: se io ho gli occhi chiusi, gli altri non mi vedono! Non manca un piccolo scherzetto finale che chiude l'albo confermando la sua vena umoristica.

Però, oltre a ridere, in fondo noi che leggiamo siamo felici che il libro vada così: siamo dalla parte dell'elefante. Non è una questione di talento naturale, ma di credere in se stessi.



Un'idea "in scatola": nascondino con il peluche.

Hai visto l'elefante?

Il fascino dei bambini verso il vostro smartphone è fortissimo, sempre. Ma cedere non è sembre sbagliato, basta indirizzare l'utilizzo del telefono verso qualcosa di creativo. 

Che ne dite di far scattare al bambino (senza di voi) una serie di foto in cui nasconde in casa un pupazzo di peluche? 

Voi, scorrendo la galleria delle immagini, dovrete trovarlo nel tempo più breve possibile!



Mettere a nanna i bambini è soprattutto una questione di rassicurazione.

Abbandonarsi al sonno e ai sogni è un processo difficile, per i più piccoli, e adottare un rito che si ripete sempre uguale a se stesso li aiuta a rilassarsi e a sapere che, come è successo le altre volte, andrà tutto bene.

Il rito della buonanotte con i miei bimbi ha sempre avuto a che fare con una lettura (immagino che la cosa non vi sorprenda), ma se adesso che vanno dai 5 ai 12 anni posso permettermi di osare con qualche lettura divertente o addirittura inquietante, nei primi mesi stavo ben attenta a scegliere libri lenti,  ripetitivi, rilassanti nel suono e nei contenuti.

Buonanotte pancino

Buonanotte pancino di Lucie Brunellière, edito da Terre di Mezzo, è un cartonato che un po' mi dispiace non poter inserire nel rito delle buonanotte dei miei figli ormai troppo grandi (anche se la Piccola M se lo è fatto leggere almeno cinque volte, prima di iniziare a leggerselo da sola dopo il mio rifiuto a una sesta lettura).

È tenero, curioso, rassicurante.

Parla ai piccolini nel loro linguaggio, sia per le immagini colorate ben distinte dallo sfondo, sia per la sintassi fatta di anafore, di ripetizione e accumulo (un accumulo che passa dalle immagini e non dalle parole).

Buonanotte pancino

Il libro si apre in verticale e la prima pagina ci fa vedere un bambino steso sul letto, pronto per la nanna.

La pagina sottostante è insolitamente corta e dice solo:

Buonanotte piedini.

 

Buonanotte pancino

Girandola, la pagina copre i piedini come un lenzuolo o una copertina, e si passa alla pagina successiva, appena un po' più lunga, che coprirà i polpacci del bimbo.

Pagina dopo pagina, la mamma o il papà che legge dà la buonanotte a tutte la parti del corpo del piccolo, che vengono via via nascoste, fino a che il bimbo non è coperto del tutto, e pronto a dormire.

La struttura di Buonanotte pancino richiama moltissimo l'attenzione dei piccoli (lo proporrei già dai 6 mesi), non solo per la soluzione cartotecnica, ma anche perché piano piano aiuta il bambino a prendere coscienza delle parti del proprio corpo, che si devono rilassare e addormentare, una ad una, per lasciarlo scivolare nel sonno.

Il rito della nanna con Buonanotte pancino


Quanti modi ci sono per leggere questo libro?
Me ne vengono in mente almeno due (che possono essere anche applicati in sequenza: l'uno non esclude l'altro).

Il primo è di applicare il rito, mentre si legge, a un pupazzo o un peluche, che si trovi nel lettino del bambino o in un proprio lettino giocattolo: il genitore legge, il bimbo copre (da solo o con l'aiuto del genitore, secondo l'età).

Il secondo, più ovvio, è di sollevare la coperta o il lenzuolo sul bambino stesso, accarezzando di volta in volta la parte del corpo nominata per arrivare, come il protagonista del cartonato, a essere pronti per la nanna.

Funziona? Beh, fatemelo sapere. ;)
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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