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"Vale più la pratica che la grammatica" recita un detto popolare.

La pedagogia e le teorie didattiche più moderne lo confermano: le indicazioni vanno verso una didattica non più frontale, in cui il bambino è parte del processo di scoperta e di acquisizione della conoscenza, in cui si stimolano la condivisione e la discussione in un'ottica maieutica, in cui la nozione non viene calata dall'alto, ma scaturisce dal bambino stesso.

Fin qui, però, è tutta teoria: è ancora la grammatica della pratica, se mi perdonate il bisticcio.
Come trasformare queste linee guida in qualcosa di operativo?

Laboratorio minimo con l acqua

A volte per guardare avanti basta fare un passo indietro: era il 1995 quando Mario Lodi iniziava a dirigere la collana "Laboratorio minimo", dei testi mirati a stimolare una mentalità di ricerca nelle classi.

Oggi, in occasione del centenario della nascita (Mario Lodi è nato il 17 febbraio 1922), Editoriale Scienza ripropone in versione aggiornata Laboratorio minimo con l'acqua, uno dei titoli di questa collana, scritto con Gioacchino Maviglia e Aldo Pallotti, che con Lodi fondarono la  “Casa delle arti e del gioco" di Drizzona (Cremona) e illustrato da Marisa Moretti.

Laboratorio minimo con l acqua

Esposto in forma di resoconto, narrato in prima persona da un bambino, Laboratorio minimo con l'acqua racconta l'esperienza di esplorazione dell'acqua fatta in classe. La forma pseudo-narrativa facilita l'accesso al libro anche da parte di un bambino che desidera ripercorrere le stesse esperienze, ma non c'è dubbio che il pubblico privilegiato di questa opera sia l'adulto, insegnante o educatore che vuole riproporre alla propria classe questa modalità di lezione così coinvolgente ed efficace.

Non a caso, in appendice, segnalate da una differente impaginazione, si trovano alcune note didattiche, che motivano la scelta dell'acqua come tema portante e lasciano spunti e riflessioni sulle modalità da utilizzare per proporre il laboratorio ai bambini e sull'efficacia di questo metodo.

Laboratorio minimo con l acqua

La prima cosa che stupisce leggendo queste pagine è l'assoluta naturalezza dello svolgimento del laboratorio: Laboratorio minimo con l'acqua sembra rispondere a tanti dubbi sulla reale applicabilità di metodiche partecipative.

I gesti da cui prende avvio ogni laboratorio sono semplici, anzi: molti di essi ogni bambino li ha già provati spontaneamente, assecondando il proprio istinto all'esplorazione. La differenza sta nella guida del maestro che invita a osservare, a comparare, a trarre conclusioni.

Laboratorio minimo con l acqua
 
La lezione-che-non-sembra-lezione avanza così, tra gocce che cadono su una superficie e dita infilate nell'acqua, travasi, piccole pozzanghere dai bordi curvi, tentativi di schiacciare l'acqua.
 
Si tratta di attività solo all'apparenza oziose, che in realtà mirano a esplorare le caratteristiche di un liquido, il concetto di trasparenza, la tensione superficiale e altre caratteristiche fisiche dell'acqua: nozioni che verranno acquisite in modo molto più sicuro ed efficace (e più "scieintifico") di quanto non si possa fare attraverso un libro. 
 
Perché è così che si impara meglio: mettendo le mani in pasta. Anzi, nell'acqua.

Non ci siamo già visti da qualche parte?

Isotta

È questo il primo pensiero che si fa di fronte a Isotta, o perlomeno è questo il pensiero di chi ha già letto Pluk e il Grangrattacielo (io ve ne ho parlato qui mentre qui vi ho recensito il secondo volume Pluk e gli animali da salvare), degli stessi autori Annie Schmidt e Fiep Westendorp, sempre edito da LupoGuido.

Sì, perché in Isotta ritroviamo moltissime delle tematiche care a Pluk: la presenza di bambini che si dimostrano a volte più maturi degli adulti, un rapporto speciale con la natura e in particolare con alcune specie animali, con cui i protagonisti riescono a parlare, una coralità fatta di personaggi decisamente sui generis.

Anche la struttura editoriale è analoga, con capitoli di media lunghezza, adatti all'ascolto anche in età prescolare, e grandi illustrazioni.

Emerge qui come sostanziale differenza l'elemento della famiglia, per quanto si tratti di una famiglia nucleare, composta da Isotta e dal padre. Se Pluk era solo, sebbene circondato da una pluralità di amici e compagni d'avventura, Isotta viaggia con il padre, lo chef Toni (no, non è "quello" chef Tony e non vende coltelli miracolosi!).

Isotta

E come in una famiglia, i due si prendono cura l'uno dell'altra, anche se in un modo più paritario del consueto: se è vero che Toni cerca di proteggere la figlia e di assicurarle una vita tranquilla, è più spesso Isotta a tirare fuori il padre dai guai: è lei, ad esempio, l'unico rimedio alle folli crisi di rabbia di Toni, che gli causano parecchi guai, tra i quali il licenziamento con cui si apre il libro.

Toni è un cuoco molto abile, ma "non ha le carte in regola" e questo aspetto, unito agli irrefrenabili accessi d'ira, gli impedisce di trovarsi un contratto di lavoro stabile.


Isotta è, in sostanza, il racconto del vagabondaggio della bambina e di suo padre dopo il licenziamento, alla ricerca di soluzioni per vivere e per guadagnare qualcosa: i due si accamperanno accanto a un lago, poi Toni troverà una serie di lavori saltuari che non avranno esito positivo, fino alla rasserenante soluzione che chiude il romanzo, sempre ricco di personaggi curiosi, di avventure colorate e di alleanze improbabili con stormi di uccelli, una famiglia di topolini e con un cane poliziotto di buon cuore ma ligio al dovere.

A fare da sottotesto alla mera trama, vi sono diversi dilemmi più o meno esplicitati dal testo.

Ad esempio quello della diversa dignità data agli animali, secondo il rapporto che abbiamo con loro (Toni si rifiuta di fare un paté di tordi, che sono suoi amici, ma li sostituisce con del pollo, che sempre un uccello è), o quello della tensione tra senso del dovere e affetti (il cane poliziotto viene meno al suo ruolo, almeno per un po', perché ammaliato dalle carezze di Isotta).

Isotta

L'elemento che forse ho trovato più divertente è stato però l'enfasi data alle "carte" di Toni, quei documenti non in regola che gli impediscono di trovare lavoro.
Gli uccelli, che vogliono aiutare Isotta e il padre, rubacchiano cartacce di ogni genere per fargli avere "le carte" che gli mancano, senza rendersi conto che non gli bastano dei pezzi di carta qualsiasi.
Ho colto tra le righe una certa satira sull'eccesso di burocratizzazione che rallenta la nostra società e a volte ostacola anche le persone meritevoli, e forse anche un'ottica un po' bambina, quello sguardo che vede "il lavoro" e "le scartoffie" dei genitori come qualcosa di astratto, adulto, incomprensibile e forse un po' vuoto.

Leggere Isotta Ã¨ quindi un equilibrio continuo tra infanzia ed età adulta, in cui non sempre è chiaro da che parte stia il senno e da che parte l'irrazionalità: un bell'esercizio, per grandi e piccoli, a non dare nulla per scontato.


   

C'è un istinto all'ordine, nei bambini, che non si direbbe plausibile guardando le loro camerette o le condizioni in cui lasciano una stanza dopo aver giocato.

Eppure quasi tutti si ritrovano a un certo punto a "mettere in fila": macchinine, peluche, carte da gioco, sassolini, qualsiasi cosa, pur di creare file lunghe che occupano un'intera stanza e che rappresentano una sorta di catalogo, di inventario di oggetti posseduti.


che succede in fondo al mare

Io credo che sia questo l'abito mentale a cui attinge l'autrice Tomoko Ohmura quando crea i suoi albi, basati tutti sulla medesima struttura di "cose in fila", a partire da Tutti in coda! di cui avevo parlato qui.

L'ultima uscita in Italia è Che succede in fondo al mare?, edita sempre da Babalibri, in cui il format viene trasferito sott'acqua, e riproposto con una sorprendente ripresa di ogni dettaglio dello schema.
 
che succede in fondo al mare

L'operazione è quasi un esercizio di stile: prendere un albo, modificarne l'ambientazione e mantenere inalterato tutto il resto.
Che succede in fondo al mare? non mancherà di piacere però anche ai bambini che conoscono le opere precedenti dell'autrice, per la presenza di animali diversi, per il desiderio di nuovi elementi da catalogare, e perché no, anche per notare le somiglianze e i ricalchi tra un titolo e l'altro.

Anche qui, quindi, c'è un personaggio-guida (il gamberetto) che ci accompagna lungo le pagine, che altro non sono che il dispiegamento di una fila di 50 animali marini diversi, numerati da 50 a 1 e corredati ognuno della propria "etichetta".

Anche qui troviamo un gioco tra due animali, una scaramuccia, alcuni animali ammassati tra loro per mantenere le distanze dal predatore (uno squalo, in questo caso).


che succede in fondo al mare

Anche qui, aspettiamo con curiosità il momento finale, in cui le pagine si aprono con le loro bandelle per permettere allo sguardo di allargarsi sulla scena, questa sì originale e ogni volta diversa, che ci spiega il motivo per cui tutti questi animali fossero così, in coda uno dietro l'altro.

Al di là del finale, però, noi lo sappiamo: il vero motivo di quella fila è soddisfare quel bisogno di catalogare e riordinare del bambino, e dare sfogo a quel ditino che si appoggerà, uno ad uno, sui 50 animali diversi, per dare loro un nome.


 

C'è un elemento che rende la fiaba di Hansel e Gretel diversa dalle altre: quella casetta di dolci, che non è solo un elemento magico, ma un luogo di tensioni emotive.

Noi sappiamo che quella casa è stregata, che porterà i bambini alla cattura, eppure non smette di attirarci. Non riusciamo a non vederla come qualcosa di bello, di goloso, non riusciamo a non desiderarla, a non immaginare, con un po' di acquolina in bocca, la sensazione di quei pezzetti staccati con le mani e portati alla bocca.

Hansel e Gretel

Non mi stupisce quindi che sia proprio Hansel e Gretel il titolo che ha dettato la svolta nella produzione di Anthony Browne, delineando la sua poetica fatta di citazioni, rimandi, dettagli che inquietano anche senza che li cogliamo consciamente.

Camelozampa ci porta in Italia questo albo, tra i primi pubblicati dall'autore inglese, che ha riscritto nel 1981 la fiaba, ambientandola in un contesto contemporaneo e arricchendola di quel sapore perturbante che gli riesce così bene.

La fiaba in sé non presenta deviazioni dall'originale (nella versione dei fratelli Grimm): la prosa ben tradotta da Sara Saorin mantiene la sua voce piana e calda delle narrazioni orali e anche l'ambientazione moderna si traduce soltanto in alcune minuzie, come l'abbigliamento anni '70 e il televisore in casa.

Hansel e Gretel
 
Le illustrazioni di Browne riescono però a rendere vivi anche gli elementi di contesto, facendoli quasi parlare, dalla scelta delle inquadrature ai più piccoli dettagli.
Percepiamo la sofferenza della povertà nelle macchie di umidità del soffitto e nella carta da parati che si scolla. La prospettiva compressa ci evidenzia le piccole dimensioni della stanza da pranzo.
 
Hansel e Gretel
 
Le scelte illustrative di Browne esprimono a volte concetti dalla forte portata simbolica o dall'evidente significato nascosto: è così quando ci mostra delle scene attraverso uno specchio, o quando l'ombra della matrigna sembra indossare un cappello da strega, in un gioco di pieni e di vuoti delineato dalle tende alla finestra.

Hansel e Gretel
 
Più spesso, le tracce lasciate nelle illustrazioni non hanno un senso immediato, se non quello di lasciare delle domande aperte: la civetta che si staglia nello spazio bianco tra due alberi e che forse non esiste, i tronchi che sembrano avere volti e mani, o che prolungano idealmente, nella loro verticalità, le sbarre di una gabbia.
Sono tutti elementi che non entrano a pieno titolo nella trama, ma sollevano un fondo di mistero e di inquietudine che dà ricchezza e profondità al racconto.

(Ma come, davvero vogliamo inquietare i bambini? Io dico di sì, perché comunque c'è un lieto fine e perché è quell'inquietudine che apre mondi dentro la mente e permette di godere di una storia oltre la superficie.)

Hansel e Gretel

Anthony Browne è maestro nel disseminare queste briciole dipingendo i boschi del nostro inconscio, nel descrivere contrasti e inquietudini dell'animo umano, quelli che ci allontanano e ci attraggono al tempo stesso, proprio come la casetta della strega.


Chi si occupa di comunicazione in ambito ecologico, chi ha il difficile compito di divulgare, informare ed educare sul cambiamento climatico, deve mantenere un equilibrio complicato: comunicare l'emergenza, in modo che le persone si attivino urgentemente in prima persona, ma senza trasmettere l'idea che ormai non ci sia più nulla da fare, altrimenti nessuno vorrà davvero impegnarsi.

Un pianeta pieno di vita

Eppure comunicare la complessità del problema è possibile, anche con i bambini. Ci riesce in modo efficace Neal Layton in Un mondo pieno di vita. Come proteggere la nostra casa, pubblicato da Editoriale Scienza (che già aveva edito Un pianeta pieno di plastica, dello stesso autore), con la traduzione di Lucia Feoli.

Fin dal titolo, anzi da sottotitolo, questo albo è un manifesto: dice a chiare lettere che si può ancora fare qualcosa, e chi ha in mano il libro è chiamato a partecipare in prima persona.

Un pianeta pieno di vita

Con un linguaggio semplice, adatto alle prime letture autonome ma ancor più a una lettura condivisa già dai 4-5 anni, Layton inizia con una panoramica della vita sulla Terra: animali e piante, di tipi e taglie diversi tra loro, appartenenti a ecosistemi diversi. Una carrellata veloce, un po' superficiale, che serve più che altro da introduzione per parlare di biodiversità, della straordinaria rete della vita che unisce ogni essere agli altri. Le tante relazioni tra esseri viventi sono pennellate senza pretesa di esaustività, con alcuni esempi semplici e chiari.

E poi arriva il momento di parlare dell'uomo, dell'inquinamento, delle minacce al nostro pianeta, delle specie in via di estinzione.
E qui il bambino che fa da guida nell'albo si piazza davanti alle immagini urlando il suo 

Ma io non voglio che questo accada!

 

Un pianeta pieno di vita

Ed è qui che emerge la vera anima di Un mondo pieno di vita, quella ottimista, positiva e propositiva.

Neal Layton non si limita a un elenco di "cose da fare e non fare", ma racconta come il cambiamento sia possibile.

Un pianeta pieno di vita

Circondati come siamo da immagini e messaggi che ci dipingono la Terra come vittima di una malattia degenerativa che si può rallentare ma non debellare, restiamo ammirati e stupiti di fronte agli esempi di ripopolazione e ricostruzione di habitat già avvenuti nel mondo. Sono esempi semplici, spiegati in poche parole, adatti ad essere compresi anche dai piccoli, che sono coinvolti in prima persona fino all'ultima pagina, che racconta esempi virtuosi di bambini che hanno avuto grandi idee per il pianeta.

È su di loro e sulle loro coscienze che contiamo per dare un futuro alla Terra.



 
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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