Nuvole in scatola
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Amo il mio nome, perché mi piace come suona, ma anche perché è lungo: Elisabetta, 10 lettere.

E in quanto lungo, tutti quelli che in qualche modo sono entrati in confidenza con me lo hanno abbreviato, ognuno a modo suo, come segno di un rapporto speciale, oltre le formalità anagrafiche. E così sono Elisabetta, ma sono anche Eli, Betta, "la Betty", Bettina e alcune ulteriori variazioni sul tema che non intendo condividere qui.

Cosa c'entra tutto questo con un libro?, vi chiederete.

ti aspetto a san qualcosa

C'entra. Perché l'incipit di Ti aspetto a San Qualcosa, di Beniamino Sidoti, edito da Camelozampa, parte proprio da una riflessione sui nomi.
Simone, il protagonista, si è da poco trasferito in un paese nuovo e fatica ad accettare questo cambiamento. Sa di doverci entrare in confidenza, con questo posto, di doverlo conoscere, ma lo rifiuta, e per questo non lo chiama per nome, ma "San Qualcosa".

Questo "San Qualcosa" diventerà una delle due cifre stilistiche che caratterizzano il libro: il nuovo paese di Simone non verrà mai chiamato due volte allo stesso modo, ma cambierà nome assorbendo di volta in volta punti di vista, stati d'animo, caratteristiche che riflettono l'attenzione del ragazzino.

Sarà un anonimo San Paesino, San Questo, San Caseconstrade, ma gradualmente assumerà toni più caldi e personali. Diventerà San Pistaciclabile, San Spuntino, San Delusione in un momento di tristezza, ma anche San Tihotrovato dopo l'incontro con Sara, una ragazzina solitaria come Simone, che farà cambiare tutto, come accade sempre quando due solitudini si incontrano.

Accade così che, senza che Simone se ne renda conto, proprio attraverso questi nomignoli pensati per allontanarla, la città diventa sua, sua come mai potrebbe esserlo se la chiamasse semplicemente con il suo vero nome.

ti aspetto a san qualcosa

La seconda, forte cifra stilistica che accompagna tutto il libro, è il gioco, o meglio l'esercizio mentale, con cui Simone vive le sue giornate.Ogni giono, il ragazzo si cala dentro un libro, un film, una canzone, per guardare attraverso un filtro diverso il paese .
Ne annusa le tracce animali come se fosse Zanna Bianca, ne osserva le case con la cura di un Hobbit, ne cerca la magia come fosse Harry Potter (mentre il paese diventa San Terradimezzo e San Hogwarts).

È una selezione per nulla snob o intellettuale, che spazia dai Queen a Nonna Papera, e riflette quel bisogno di gioco che c'è ancora in un bambino non del tutto cresciuto e quel bisogno di incasellare le cose e dare loro un ordine, che è tipico degli adolescenti.

La storia si snoda così, tra queste trovate linguistiche e stilistiche che rendono la lettura più curiosa ed espressiva e danno ad ogni capitolo un colore e un umore che si percepiscono chiaramente, senza troppe parole, senza che note troppo esplicite rovinino la magia.

Pagina dopo pagina si svelano al lettore la storia di Simone, i drammi che sta affrontando, le affinità con Sara, il rapporto con il padre e la famiglia. Temi profondi, trattati con delicatezza, a tratti con velata ironia: un tocco sapiente che rende la lettura dolce senza fare sconti sulla sua profondità.


Il libro di oggi inizia con un invito a guardare un fantasma.

E se vi state immaginando una figura stilizzata con un lenzuolo e due buchi per gli occhi, no: si tratta proprio di un fantasma che non si vede.

Questo incipit è in qualche modo emblematico dell'essenza di questo albo, che coinvolge il lettore in un gioco a tre tra lui, i protagonisti e la voce narrante, un gioco che scardina i meccanismi della narrazione, del detto e non detto, del visto e non visto.


guarda il fantasma

Se vi sembra di aver già sentito qualcosa di simile, è perché Guarda il fantasma, l'albo di cui vi parlo oggi, è il seguito ideale di Guarda il gatto, di David LaRochelle e Mike Wohnoutka, edito anch'esso da Biancoenero edizioni, che vi avevo presentato qui, e di Guarda il cane.

Protagonisti, stavolta, tre personaggi invisibili: un fantasma, il vento, una fata.

Anche in questo albo saltano i normali meccanismi della narrazione: i personaggi (il solito cane, il solito gatto, e poi fantasma, vento e fata) non si limitano a interagire tra loro ma si appellano direttamente al narratore, che non soltanto agisce da voce onnisciente ma ha anche il potere di modificare gli eventi, portando in scena oggetti e personaggi e contrattando con loro gli sviluppi della storia.

guarda il fantasma

Ancora una volta, leggere diventa una riflessione su "come funziona un libro", anche perché entrano nella storia gli elementi materiali del libro stesso: quando il vento porta via le parole dalla pagina, ad esempio, si rende conto che poi non può più fare nulla.

guarda il fantasma

Ho la sensazione che albi come Guarda il fantasma non si limitino a intrattenere e a divertire, ma rendano anche l'oggetto-libro qualcosa di più curioso e più familiare al tempo stesso, qualcosa di magico, non solo perché racconta storie, ma perché le fa in qualche modo accadere. E per chi ancora non sa leggere, questa può essere una scoperta fondamentale.


Tra i vari pensieri che si scontrano, quando si parla di istruzione, c'è la dicotomia tra una scuola più concreta, che forma lavoratori, e una più astratta, che forma cittadini consapevoli.

Economia la scelta è tua

Il dilemma è più arduo di quanto non sembri a prima vista e le sue implicazioni e sfaccettature sono troppe per parlarne qui. L'ho citato perché mi è venuto in mente quando ho sfogliato per la prima volta Economia, la scelta è tua, un libro divulgativo scritto da un'economista (Ilaria De Angelis) e una scrittrice (Maria Clara Restivo) per Editoriale Scienza.

Sì, perché mi pare che, almeno in questo campo e per questa fascia d'età (dai 9-10 anni), questo libro trovi una buona sintesi tra astrazione e concretezza, senza perdere mai di efficacia. Ed è al tempo stesso semplice, profondo, concreto e chiarificatore il concetto con cui si apre il libro: economia significa scegliere.

 Economia la scelta è tua

Quando pensiamo alla parola "economia" si affollano nella nostra mente equazioni, grafici, valori, eppure, sebbene la materia possa spaventare (non ho ricordi molto sereni del mio esame di Economia Politica all'università!), parte tutto da qui: dalla scelta tra risorse limitate. Guardandola da questo aspetto, si trasforma da materia per tecnici ad argomento necessario per la vita di tutti i giorni.

Economia la scelta è tua

A partire da questo principio, Economia, la scelta è tua introduce poi il ruolo dello Stato, del lavoro, dei beni pubblici, dei diversi modi di pensare l'uguaglianza: tutti concetti spiegati in modo semplice ma senza tralasciarne la complessità di fondo. È molto interessante, ad esempio, vedere come molti aspetti (dalle tasse ai servizi pubblici, dal sistema pensionistico alla parità di genere) sono affrontati e legiferati in modo differente in diversi stati o culture. Tutto questo viene esposto in modo semplice e neutro, senza inclinazioni politiche.

C'è molto da imparare anche per noi grandi!

A intervallare i capitoli, brevissime biografie di grandi nomi dell'economia, che aiutano a inserire i diversi concetti in una prospettiva storica, ma anche numerosi spunti di riflessione ed "esercizi" che coinvolgono il piccolo lettore in prima persona.

Economia, la scelta è tua è insomma un libro che contribuisce a formare buoni cittadini, senza trascurare la praticità. Fosse tutta così, la scuola!



Sarà per lo stile delle illustrazioni di F.J. Tripp, per il protagonista bambino ma in grado di viaggiare e cavarsela da solo come fosse un adulto, per la curiosa varietà dei personaggi umani e non umani, per la mole del libro che, a dispetto del target (dai 5 anni in lettura condivisa, dai 7-8 in lettura autonoma) è piuttosto corposo, ma Robbi, Tobbi e il vonapè di Boy Lornsen mi ha ricordato molto Pluk (vi ricordate di Pluk, vero?).

Robbi Tobbi e il Vonape


In realtà, sia dal punto di vista concreto sia da quello stilistico i due titoli non hanno molto in comune: autori e illustratori sono diversi, tedeschi nel caso di Robbi, Tobbi e il vonapè, olandesi nel caso di Pluk, e lo snodarsi della storia lascia al lettore sensazioni molto differenti.

Ma quella del libro di narrativa "lungo" per un target più basso di quanto ci si aspetterebbe è una scommessa che Lupoguido continua a vincere, anche grazie alla ricerca di testi adatti, alla cura editoriale, alle traduzioni efficaci e piacevoli di Valentina Freschi.

Robbi Tobbi e il Vonape

Robbi, Tobbi e il vonapè è un libro multiforme, con un incipit fulminante, sia per la scrittura, sia per l'idea di fondo, e una struttura che nel suo dipanarsi non sempre sa tenere elevati ritmo e attenzione.

L'idea, dicevo, ha qualcosa di semplice e di incredibile al tempo stesso. Tobbi, il protagonista, è un bambino inventore, che ha progettato il Vonapè, un veicolo in grado di volare (vo), navigare (na) e andare su strada, suonando il clacson (pè). Se siete come me curiosi delle scelte linguistiche nei libri, il nome originale di questo veicolo è Fliewatüüt: mi sembra quindi una traduzione ben azzeccata, anche nel tono.

Nell'incipit, l'autore si rivolge direttamente al lettore (non accadrà più nel resto del libro) con uno stile particolarmente schietto e divertente (anche questo resterà confinato a questo incipit):

"In questa storia, le cose si fanno tecniche. Non posso farci niente. Comunque non così tecniche da diventare incomprensibili. Se sapete qualcosa di tecnica, bene! Se non ci capite niente, va bene lo stesso: imparerete tutto man mano che la storia procede."

In realtà non ci sarà poi molto di tecnico, o meglio: sarà un tecnico decisamente sui generis, perché il Vonapè va a succo di lampone e (come scopriremo poi) a olio di balena.

Robbi Tobbi e il Vonape

Sì, perché qui arriva la grande idea del libro: il Vonapè non è solo un progetto, ma esiste davvero.

Il robot Robbi atterrerà nel prato di Tobbi proprio con il veicolo che il bambino aveva progettato. Qui il libro aggancia davvero il piccolo lettore, che di sicuro nella sua vita avrà disegnato o costruito con i mattoncini centinaia di veicoli fantasiosi, e si sarà certamente chiesto "come sarebbe se diventassero veri?".

Robbi si presenta come un "robot di terza": va infatti alla scuola per robot e ha costruito il Vonapè, copiando il progetto di Tobbi, per un proprio compito. Ed è proprio per portare a termine le missioni per il suo esame scolastico che il robot coinvolgerà Tobbi in un viaggio alla ricerca di un faro giallo e nero, dei misteri di un castello triangolare e così via.

L'idea di un "robot di terza elementare" fa tenerezza e contribuisce a umanizzare il personaggio. In generale, Robbi, Tobbi e il vonapè ha tutte le premesse per coinvolgere il lettore in un meccanismo di rispecchiamento e poi portarlo con sé lontano, lontanissimo.

Sì, perché Robbi, Tobbi e il vonapè è un libro di viaggio e di avventura, che ci porta in Groenlandia e in Scozia facendoci conoscere gentili guardiani di fari, allegri eschimesi, delfini e topini parlanti, un celebre mostro del lago e persino il simpatico fantasma di un vecchio castello: una carrellata fantasiosa e curiosissima, per bambini che amano correre con l'immaginazione, ma che non sembra andare molto a fondo nella psicologia dei singoli personaggi, nel costruire un legame con loro o nella loro evoluzione.

Sarà un libro apprezzato da chi ama i dettagli, gli incontri, i racconti di viaggio. E da tutti coloro che sognano di partire con un veicolo che una volta hanno abbozzato su un foglio da disegno.

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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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