Nuvole in scatola
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Dicesi "uovo di Colombo" la soluzione banale a un problema che sembrava difficilissimo.
Ecco: questo è il mio uovo di Colombo, ritrovato oggi riguardando alcune vecchie foto, per cui perdonatemi se l'idea vi sembrerà scontata o sciocca. Lo è sembrato anche a me, ma solo dopo che l'ho avuta.

Da un po' di tempo spulciavo Pinterest alla ricerca di un tutorial per una casetta di cartone, ma qualcosa mi bloccava sempre. Mi sembravano troppo fragili o troppo complicate o, nella migliore delle ipotesi, troppo ingombranti.
Finché, nel solito, classico giorno di pioggia, ho capito quale fosse la casetta che faceva per noi: una non-casetta, da fare e disfare all'occorrenza in cinque minuti.

Perciò questo post, più che un tutorial è un non-tutorial, perché l'idea è talmente semplice che si spiega da sola, e per realizzarla bastano solo alcune cose che avete in casa.


Quando il vostro bimbo ha voglia di un piccolo rifugio segreto, o quando volete dimostrargli una volta in più che leggere è divertente, procuratevi:
  • due o più sedie con lo schienale alto. Oppure un tavolo. Oppure un mobile e un paio di sedie. Insomma, qualsiasi cosa che possa servire da struttura portante (se poi avete il letto Kura di Ikea, sappiate che è la nostra "grotta degli orsi" preferita!);
  • coperte d'inverno o lenzuola in primavera. D'estate meglio evitare: dentro la "capanna" si crea in breve tempo un microclima che neanche nel Sahara a mezzogiorno;
  • una pila e i vostri libri preferiti*.
Create la vostra struttura (se usate un tavolo sarà già pronta) e copritela con coperte o lenzuola, lasciando meno buchi possibile. Poi accendete la pila e la fantasia: potrete leggere, giocare agli indiani, o alla "famiglia orsi", come abbiamo fatto noi mille volte, oppure nascondervi per fare uno scherzo al papà!

Dagli archivi: una mamma e un Piccolo T d'annata (2014) mentre sbucano dal loro nascondiglio.

* in foto: Aiuto, arriva il lupo!, un divertentissimo libro cartonato interattivo (dai due anni), in cui il bimbo, girando le pagine, scuotendo e muovendo il libro cerca di mandar via un lupo, che pagina dopo pagina si avvicina sempre di più. Il Piccolo T lo ha adorato, con o senza casetta.



Se c'è una cosa in cui mi sento molto italiana (non è che succeda spesso, di questi tempi) è la mia idea del pasto come momento di scambio, di amore, di convivialità.
E guarda un po' chi va a scrivere il più bell'albo illustrato per bambini su questo tema: una francese (la Gioconda non vi bastava, eh?).
Ma che importa: Una zuppa di sasso è talmente bello che potrei quasi smettere di prendere in giro i francesi per quella faccenda del bidet. Mi è piaciuto così tanto che ho voluto accostarlo a un'altra delle mie passioni: quella per i giochi da tavolo.



Ma andiamo con ordine.
Una zuppa di sasso racconta la storia di un lupo che una sera bussa alla porta di una gallina. Potete immaginare le sue intenzioni, vero? E invece no: il lupo vuole soltanto cucinare insieme a lei una zuppa di sasso.



La gallina, che nelle zuppe è abituata a metterci il sedano, chiede se può aggiungerlo, e il lupo acconsente.
Pian piano, si avvicinano altri animali (un maiale, un cane, un cavallo...), preoccupati perché hanno visto il lupo entrare nella casa della gallina. Tutti finiscono coinvolti nella preparazione di questa grande cena: ognuno porta il proprio ingrediente preferito, così la zuppa, che inizialmente doveva essere di solo sasso, prende man mano tutti i sapori dei diversi personaggi che hanno contribuito a crearla.
E tutti cenano allegramente, godendosi il pasto che hanno preparato insieme, chiacchierando e scoprendo quanto è bello passare il tempo tra amici.

Poi il lupo se ne va. Tornerà? Probabilmente no, dice il libro, e l'ultima immagine ci svela il perché: ci sono sempre nuovi personaggi a cui insegnare le sue ricette; quella della zuppa, e quella di una perfetta serata in compagnia.

Quello che ho amato di questo libro, oltre al tema, è stato il modo di affrontarlo, perfetto per i bambini (il gradimento del Piccolo T lo conferma).
La "morale" sarebbe potuta essere più esplicita, o raccontata in modo didascalico, con pedanteria, invece emerge da sola da una storia curiosa, con protagonisti che fanno sempre breccia nel cuore e nella fantasia (gli animali, e soprattutto il lupo), simpatici equivoci (la gallina che si spaventa quando il lupo le chiede una pentola) e gesti semplici, che rendono la narrazione alla portata di tutti.

Insomma, volevo che di questo libro, preso in prestito in biblioteca, ci restasse qualcosa in più di un bel ricordo, e così ho inventato

il gioco della zuppa di sasso.

 

Anzi, per l'esattezza di giochi ne ho inventati due. Perché se di primo acchito mi è venuta in mente una dinamica tradizionale, poi ho pensato che, visto il libro a cui era ispirato, sarebbe stato più corretto creare un gioco cooperativo (se non sapete di cosa si tratta, ci arriviamo più tardi).

In ogni caso, in questo pdf stampabile li trovate tutti e due, così potrete decidere quale preferite.


Il pdf stampabile contiene:
  • la plancia di gioco
  • 21 tessere ingredienti, ovvero 3 set completi dei 7 ingredienti (sasso, acqua, porro, cavolo, rapa, zucchina, sedano)
  • 7 tessere-ore
  • 2 pentole
  • il quadrante di un orologio
  • 2 segnalini (lupo e gallina).
Costruire il gioco è semplice; dopo aver stampato tutto dovrete solo:
  • incollare i vari pezzi su cartoncino e ritagliarli,
  • eventualmente, prima di ritagliarli, "plastificarli" ricoprendoli con del nastro adesivo trasparente alto,
  • completare l'orologio aggiungendo una sola lancetta di cartoncino da fermare al centro con un fermacampioni,
  • procurarvi un dado da gioco. 

GIOCO TRADIZIONALE

Per due persone.
Si usano tutte le tessere ingrediente, ma non l'orologio e le tessere-ore.  Le tessere vanno distribuite, coperte e in modo casuale, sulle caselle della plancia di gioco.
Ogni giocatore ha una pentola con le sette caselle da riempire.



I giocatori posizionano i propri segnalini sulla casella "partenza". A turno tirano il dado e muovono il proprio segnalino nella direzione desiderata per tante caselle quanti sono i punti del dado.

Sì, si può cambiare direzione a ogni turno (muovendosi ad esempio una volta in senso orario e una volta in senso antiorario).
Sì, si può ripassare ed eventualmente sostare sulla casella "partenza" (su quest'ultimo punto il Piccolo T non era molto convinto, me lo ha chiesto più volte).

Quando si finisce su una casella coperta da una tessera, si gira la tessera:
  • se la tessera contiene un ingrediente che manca, lo si aggiunge nella propria pentola,
  • se la tessera contiene un ingrediente già presente nella propria pentola, lo si lascia, girato stavolta a faccia in su, sulla casella dove lo si è trovato.

Vince chi per primo completa la propria pentola con tutti i sette ingredienti.


GIOCO COOPERATIVO

Prima di tutto: lo sapete cos'è un gioco cooperativo? È un gioco in cui non si gareggia uno contro l'altro, ma tutti insieme per uno scopo comune. O vincono tutti, o perdono tutti. Al di là dell'aspetto educativo della cosa (imparare il senso della cooperazione), non vi sembra perfetto per un libro così?

Per due persone.
Si usano due set da sette tessere ingrediente (dovranno esserci due ingredienti per ogni tipo) più le tessere-ore, ma una sola pentola.  Le tessere vanno sempre distribuite, coperte e in modo casuale, sulle caselle della plancia di gioco.
L'orologio va puntato sulle 12 (mezzogiorno).


Scopo del gioco è finire di preparare la zuppa prima che arrivi mezzanotte, per avere il tempo di mangiarla in compagnia prima di tornare a casa.

Ogni giocatore a turno lancia il dado e muove il suo segnalino come nel gioco precedente (spostandosi di tante caselle quanti sono i punti del dado, scegliendo a ogni turno la direzione preferita, passando se necessario anche sulla casella "partenza").

Quando si finisce su una casella coperta da una tessera, si gira la tessera:
  • se la tessera contiene un ingrediente che manca, lo si aggiunge alla pentola,
  • se la tessera contiene un ingrediente già presente nella pentola, si scarta la tessera.
  • se la tessera contiene un numero e il segno dell'orologio, di manda avanti l'orologio di tante ore quante ne indica il numero.
Si vince se si riescono a raccogliere tutti gli ingredienti della zuppa di sasso prima che l'orologio torni sulle 12.

Il Piccolo T, amante delle sfide (soprattutto quando le vince lui!), preferiva inizialmente la versione tradizionale, ma provandolo più volte, si è appassionato anche al gioco cooperativo.

Mi ha solo imposto una modifica:
"Mamma, e l'acqua?"
Già: io avevo omesso l'acqua (e avevo aggiunto, come vedete dalle foto, una patata, che nel libro non c'è, ma in una zuppa ci sta sempre bene).
"Non si può fare la zuppa senza acqua! La aggiungi, mamma?"
Ha ragione lui: la trovate nel pdf.

Forse non è corretto pasticciare con i libri e le età, e proporre troppo presto un libro per bimbi molto più grandi, ma ci sono casi in cui si può fare un'eccezione, soprattutto se si tratta di un libro che si può proporre "a piccoli passi", un po' per volta, quando è il momento.


Corso d'arte di Editoriale Scienza è proprio questo: un libro adatto dai 6-7 anni, ma che può offrire spunti di gioco e di sperimentazione già da molto prima. E l'entusiasmo con cui l'ha accolto il mio Piccolo T, quattro anni, lo dimostra.
Gliel'ho proposto selezionando le parti meno complicate, prendendolo come una raccolta di spunti e di idee sulle cose che si possono fare con carta, colori e fantasia. E conto di andare avanti così a lungo, spluciando di volta in volta le idee più giuste da proporre, finché sarà il momento di lasciare il libro competamente nelle sue mani di piccolo artista.



Corso d'arte si presenta come una cartellina, chiusa da un elastico. Al suo interno, il libro vero e proprio (a sinistra) e un blocco da disegno, con gli stencil delle lettere, pronti da usare, sulla copertina.

Tra le sue pagine si trovano consigli sugli strumenti da usare, nozioni sul colore e sulle tecniche, proposte di attività e, come spesso accade nei libri di Editoriale Scienza, alcuni inserti interattivi, come lo specchio per farsi l'autoritratto, la ruota dei colori da girare o la cornice da staccare e utilizzare per imparare il concetto di composizione.


Sfogliandolo, la mia attenzione è stata catturata dal frottage, una tecnica che avevo usato (e adorato!) da piccola, pur non conoscendone il nome. Si tratta di ottenere un disegno o una texture appoggiando un foglio di carta su una superficie in rilievo e sfregando sul foglio con un colore morbido, che lascerà sulla carta i segni delle parti sporgenti.


Anche al Piccolo T l'idea è piaciuta un sacco, e ha cercato subito delle superfici adatte da sfregare.
Così abbiamo giocato al frottage, nell'ordine, con:
  • il suo T-rex e il suo triceratopo
  • delle monete ("ma poi le rimettiamo nel salvadanaio, vero, mamma?")
  • il telecomando
  • dei Lego.
Ed è proprio quest'ultimo esperimento che mi ha dato lo spunto per tentare di fare un passo oltre, e creare noi stessi delle superfici da usare come base del frottage.
Con un po' di presunzione (d'altra parte, alla fine del gioco il Piccolo T mi ha detto "Voglio proprio diventare un artista!") l'ho chiamata

la lego art

Per iniziare le vostre creazioni servono:
  • una base di Lego
  • alcuni mattoncini Lego piatti
  • un foglio di carta
  • un pastello a cera o una matita colorata.

Con questi strumenti, si crea due volte: prima si compone un disegno con i mattoncini piatti sulla base Lego, poi lo si riproduce sulla carta con il frottage. Un po' come dei piccoli Gutenberg in erba, con i nostri caratteri mobili.



Da cosa abbiamo iniziato? Ovviamente dalla T del piccolo T!
Non è arte, va bene, ma è uno dei segni più semplici da ricostruire (e se questo gioco può aiutare a imparare a conoscere le lettere, ben venga).


Poi abbiamo provato a riprodurre delle figure umane. O almeno qualcosa che ci somiglia.


Il Piccolo T ha deciso che era un robot: mi sa che aveva ragione lui.
Per diventare artisti veramente c'è ancora tempo.


Brum, brum, pit piiit, vrooom!
Ma con tutto questo andare su e giù per le strade e le autostrade di casa, non avranno mai bisogno di fare il pieno, queste macchinine? E allora non vogliamo costruire una stazione di servizio?
Vogliamo, vogliamo.


E visto che, tra prezzo al barile e accise varie, il carburante costa un sacco, risparmiamo almeno sulla struttura, utilizzando solo materiale riciclato.
Insomma, anziché chiamare un'impresa edile, ho esplorato il mio scatolone del "non lo butto perché non si sa mai", ed ecco cos'ho trovato:


  • due vasetti di yogurt tipo Fruttolo
  • cannucce
  • nettapipe
  • cartone vario
  • tubo di cartone (da pellicola da cucina)
Preso quindi un rettangolo di cartone come base, ho iniziato a costruire: ho incollato una sezione del tubo di cartone, per reggere l'insegna, e i vasetti di yogurt, dopo averci infilato dentro un'estremità dei nettapipe (fermandola con un po' di colla).


Per finire le pompe di benzina, ho costruito delle scatolette poco più larghe dei vasetti di yogurt.
Su uno dei lati ho praticato un buco per infilare la pompa; il lato frontale, invece, l'ho dipinto con della vernice lavagna, per poterci scrivere i litri richiesti o il prezzo al litro del carburante.
Infine, ho tagliato l'ultima parte delle cannucce, quella con la piega, e l'ho infilata all'estremità libera del nettapipe.


Attorno all'insegna ho aggiunto dei puntini di colla glitterata, per simulare delle luci al neon.

Pronti!
E voi, quanti chilometri fate con un litro di fantasia?


Pronti per la prossima festa del papà?
Noi no, naturalmente, sempre fedeli alla regola del "tutto all'ultimo minuto". Ma per voi ho un asso nella manica, anzi, un'idea nel cassetto: quella che abbiamo usato l'anno scorso (e che ancora non vi avevo raccontato), con un libro e un biglietto a tema: Indovina quanto bene ti voglio e un grande abbraccio di carta.


Indovina quanto bene ti voglio racconta di una gara tra papà Lepre e il suo piccolo, la più classica delle gare tra papà e figlio: quella a chi si vuole più bene.
È una sfida che parte dal proprio corpo ("ti voglio bene così", fanno i due, allargando le braccia), e che si traduce in salti, allungamenti e acrobazie varie, che il papà, più alto e più grande del suo cucciolo, vince sempre, o quasi, fino al tenerissimo finale, che non vi svelo.


Raccontato così, potrebbe sembrare un libro un po' banale, per quanto dolcissimo, ma è straordinario il suo effetto sui bimbi. Il Piccolo T ha subito iniziato a imitare i due protagonisti inventandosi nuove misure per esprimere il suo amore per noi ("da qui al soffitto", "da qui a casa dei nonni, poi fino all'asilo e poi di nuovo fino a casa"), e lo ha voluto leggere, e rileggere, e rileggere ancora, forse perché sentiva che, mentre io o mio marito raccontavamo la storia di papà Lepre, in realtà parlavamo un po' di noi.

In fondo, un libro così è anche una splendida occasione per esprimere a parole quei sentimenti che a volte restano sottintesi e forse non ci diciamo abbastanza. Perciò, quale regalo migliore per la festa del papà?


E il biglietto ideale per accompagnarlo? Be', non poteva che essere un

 

abbracciabiglietto.

Realizzarlo è semplicissimo, e divertente anche per i bimbi.
Per prima cosa, si prende con un metro la misura del loro abbraccio.


Poi si ricalca la forma della loro mano su un foglio di carta (quanto adoravo farlo, da piccola, con mia madre!) e la si ritaglia, due volte. Si ritaglia anche una striscia (o tante strisce da incollare fra loro) lunga quanto l'abbraccio.
Si incollano le due estremità della striscia alle mani di carta e si ripiega la striscia a fisarmonica, fino a richiudere le manine tra loro.


Potrete poi scrivere un messaggio sulle manine, all'esterno e all'interno. Aprendo il biglietto, il papà si ritroverà virtualmente abbracciato dal suo piccolo. Anzi, nemmeno tanto virtualmente, perché di sicuro anche il vostro bimbo vorrà far vedere al papà come funziona il suo abbraccio di carta.

Il nostro abbracciabiglietto lo teniamo ancora a portata di mano. A quasi un anno di distanza, il Piccolo T a volte ancora lo prende, lo allarga e ci dice "Ti voglio bene così".




 
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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