Nuvole in scatola
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In molti grandi dolori, ciò che fa più male non è un fatto concreto, ma la sua ripercussione su di noi, sulla nostra identità.

Arriviamo a volte a non riconoscerci, a scoprirci diversi da come credevamo, a non accettarci più.

Io e Leo

 

Con una delicatezza straordinaria, quasi parlasse d'altro, Io e Leo racconta di un percorso di perdita e ritrovamento di se stessi. 

Scritto da Stefan Boonen con illustrazioni di Melvin e pubblicato da Sinnos con la traduzione di Laura Pignatti, Io e Leo si maschera da libro umoristico, quasi nonsense, perché inizia con Leo che si perde, ma non nel senso che non ritrova la strada: si perde perché non si trova più.

Le persone attorno a lui lo vedono e non lo riconoscono: la mamma non gli lascia il solito biglietto accanto alla tazza da colazione, il cane non lo saluta, la maestra gli chiede chi sia.

Io e Leo

In un meccanismo iperbolico, viene concretizzata la metafora del "non ti riconosco più": Leo è così cambiato che non è più lui.

Inizia così il suo viaggio alla ricerca di se stesso, costellato di momenti dolceamari. Accanto allo smarrimento (letterale!) di Leo, che si percepisce diffusamente nel libro, non mancano momenti di forte ironia e leggerezza, come quando si paragona ad altri bambini smarriti nelle situazioni più assurde, descritti da divertenti illustrazioni.

Io e Leo

In compagnia di un uomo curioso ma determinante, l'ex stuntman Max Halters (sì, proprio lo stesso protagonista di un altro libro, di tutt'altro tenore, degli stessi autori. No, non è assolutamente necessario averlo letto per leggere Io e Leo: i due titoli sono completamente indipendenti), Leo si cerca dalla polizia, in un grande magazzino che vende proprio di tutto, nel bar più piccolo del mondo, e anche a casa dei nonni.

Io e Leo

Narrato in un format che è un po' romanzo e un po' graphic novel, il viaggio di Leo e Max ha molto di surreale, ma proprio questa dimensione inverosimile aiuta il ragazzo a riprendere contatto con la realtà: piano piano, Leo ritrova degli indizi che riportano la sua memoria al padre e al suo incidente, che lo ha strappato dalla sua vita.

Il ricordo del padre riemerge come qualcosa di rimosso, e si rivela la causa dello smarrimento di Leo.
Affrontare quel dolore lo aiuta a ritrovarsi, a ritrovare il suo posto nel mondo.

Io e Leo parla ai bambini, ma il tema che affronta è trasversale, e il modo in cui viene affrontato, insolito ma profondamente vero, stimola l'autoanalisi e la riflessione anche negli adulti.

La morte di un proprio caro non è soltanto mancanza dell'altro, è mancanza di qualcosa dentro di noi. È una mancanza che a volte ci fa smarrire, e per ritrovarsi, a volte, bisogna ripercorrere la strada del dolore. 


Che bella quell'età in cui si può credere che qualcuno ci possa rubare il naso!

Che bello quel pensiero magico unito alla sensazione che tutto sia fluido, che una parte del tuo corpo non ti appartenga necessariamente, e magari invece ad appartenerti è quella di qualcun altro (le braccia della mamma, ad esempio).

E che bello ritrovare questa magia e questo gioco in un libro!

Bobò pupazzo distratto

Bobò pupazzo distratto, di Édouard Manceau (Terre di Mezzo editore) è un cartonato interattivo in cui i più piccoli ritrovano ritmi, meccanismi e sensazioni che fanno parte del loro giocare quotidiano con gli adulti di riferimento. Un libro che parla con il loro linguaggio e con la loro stessa logica illogica.

Nell'incipit, ci viene presentato Bobò, "il più buffo di tutti i pupazzi": la sua figura si staglia netta sulla pagina bianca, senza sfondi o distrazioni. Bobò ha colori carichi e linee morbide ben evidenziate dai contorni neri, per catturare l'attenzione anche dei bimbi più distratti. Le sue caratteristiche visive lo rendono adatto già dall'anno di età, ma per cogliere pienamente il meccanismo narrativo, non lo proporrei prima dei 18 mesi/2 anni.

Pagina dopo pagina, Bobò perde sempre qualcosa:

Ma Bobò, hai perso la bocca?
È proprio distratto il mio Bobò.

Il tono di voce con cui il narratore si rivolge al personaggio è materno, simile a quello che il bimbo è abituato a sentire da chi lo accudisce.

Bobò pupazzo distratto

Il pupazzo Bobò mantiene in ogni pagina la medesima posizione, ma gli scompaiono di volta in volta cappello, braccia, pancino. Gli occhi sono quasi gli ultimi ad andarsene, così Bobò mantiene la sua buffa espressione fino alla fine, quando con un tocco del bambino, tornerà tutto al suo posto.

Bobò pupazzo distratto

Può diventare un semplice gioco, quello di Bobò: basta ricalcare il personaggio, ritagliarne i pezzi e farli cercare e ricomporre dal bambino, in una sorta di caccia al tesoro, sul tavolo o, per i più grandicelli, in giro per tutta la casa. Ricomporre Bobò e vederlo sorridere è sempre una gioia, un po' come ritrovare un amico.

Bobò pupazzo distratto

Bonus track: con un pizzico di fantasia, abbiamo provato a leggere Bobò pupazzo distratto anche a ritroso, partendo dal fondo e facendo ritrovare a Bobò, a ogni pagina, un pezzetto. Anche così, la magia è assicurata.


Non è utile alla crescita di un bambino, né giusto nei suoi confronti, tenerlo sotto una campana di vetro.

Il ruolo del genitore dovrebbe bilanciare istinto di protezione e sprone all'autonomia, all'esplorazione, alle scoperte. Ma quanti dilemmi sorgono da questo difficile equilibrio, e quante situazioni a volte ilari o paradossali!

Le disavventure di Frederick

Ritroviamo questi dilemmi, resi quasi paradossali, in Le disavventure di Frederick, un albo scritto da Ben Manley con le illustrazioni Emma Chichester Clark, pubblicato in Italia da Terre di Mezzo editore, che in una cornice solo apparentemente elegante e poetica racchiude una forte portata ironica.

Le disavventure di Frederick

Chiuso nella sua elegante cameretta, Frederick riceve dall'ampia finestra un aeroplanino di carta con un messaggio di Emily, che lo ha visto dal bosco e lo invita a mangiare un gelato.

Subito Frederick chiede a sua madre il permesso di uscire, permesso che gli viene negato, perché 

Frederick, ricordi cosa è successo l'ultima volta?


Le disavventure di Frederick

Quello che è successo lo scopriamo soltanto nella risposta che Frederick manda ad Emily, sempre via aeroplano: non può uscire perché potrebbe nuovamente sentirsi male e vomitare nel carillon.

Le disavventure di Frederick

L'albo prosegue con un ritmo che pian piano diventa prevedibile (rendendo più emozionante, alla fine, scoprirne la svolta): Emily invita Frederick a fare qualcosa, lui chiede il permesso alla madre e infine declina l'invito, riferendosi a qualche sventura trascorsa in passato durante situazioni simili. 

A rendere divertente questo albo è soprattutto la caratterizzazione dei due mondi, quello di Emily e quello di Frederick.

Lei, libera e dinamica, circondata da una natura spontanea, scrive messaggi semplici e diretti, mentre lui, quasi rinchiuso in una casa dai soffitti alti e dall'arredamento raffinato, tra soprammobili, pezzi d'antiquariato, letti a baldacchino e ritratti alle pareti, si rivolge alla nuova amica (ma anche a sua madre) con una prosa ricercata e antica, come se stesse scrivendo sonetti anziché comunicando a persone a lui vicine:

Mammina, è una bella giornata e l'aria profuma di dolce caprifoglio. Potrei uscire per mangiare un gelato?

 

Le disavventure di Frederick

Frederick ci sembra un po' un inetto, cresciuto in un mondo aristocratico, una realtà d'altri tempi che non rispetta il suo essere bambino e ci paiono eccessive tutte queste protezioni.
Eppure, quando il racconto arriverà a una svolta e Frederick proverà a rispondere all'invito, le cose non andranno proprio come ci aspettiamo.

Le disavventure di Frederick ci fa fare il tifo per la libertà e per la scelta di affrontare i propri rischi, ma accoglie in qualche modo anche le ragioni opposte, pur sorridendo sempre degli eccessi e degli stereotipi.

Ma quello che rende speciale questo libro sono i contrasti e il loro effetto umoristico.
Parlo del contrasto tra le due realtà rappresentate, ma soprattutto di quello tra il tono di voce apparente quello effettivo dell'albo stesso. 
Da una prosa così leziosa (ben resa dalla traduzione di Sara Ragusa), da immagini così ricche di dettagli descrittivi, da un meccanismo narrativo basato su uno scambio epistolare, perlopiù veicolato da qualcosa di così romantico come un aeroplano di carta, non ci si aspetta una narrazione che fa leva sull'ironia, ed è proprio questo a rendere l'ironia ancora più potente.


Il papà si chiama Mariolo e la figlia Ale, diminutivo di Criminale. Fa già ridere così, vero?

La famiglia Sgraffignoni - Il furto di compleanno

È in effetti pieno di trovate buffe e simpatici equivoci La famiglia Sgraffignoni. Il furto di compleanno, degli svedesi Anders Sparring e Per Gustavsson, primo capitolo di una saga che promette risate, avventure e una lettura scorrevole, perché è inserito nella collana Leggimi! di Sinnos, fatta di libri ad alta leggibilità per primi lettori o bambini con difficoltà nella lettura.

La famiglia Sgraffignoni - Il furto di compleanno

Come suggerisce il nome La famiglia Sgraffignoni Ã¨ composta da ladri impenitenti, tutti tranne il figlio Fausto, che ha il "vizio" di volersi comportare in modo corretto e seguire le regole. Una specie di serpe in seno, insomma, se non fosse che Fausto resta comunque leale alla famiglia che ama.
I protagonisti non sembrano cattivi, ma esprimono valori del tutto sballati, sognando per la piccola Ale un futuro da "briccona perfetta".

Il breve romanzo poggia tutto su questo confronto tra buoni e cattivi, i cui confini si fanno sempre più confusi: Paul Iziotto, il vicino impiccione, ci sta quasi antipatico quando tenta di stanare i piani dei ladruncoli, e anche leggendo le vicende di Fausto oscilliamo tra il parteggiare per lui e il considerarlo un po' d'intralcio.

La famiglia Sgraffignoni - Il furto di compleanno

Ma la dicotomia tra bene e male resta sempre su un piano giocoso, senza mai addentrarsi in riflessioni profonde.
Sono bambineschi, gli Sgraffignoni, e quando si dicono le bugie tra loro tengono sempre le dita incrociate dietro la schiena: ladri sì, ma con un loro codice!

In questa avventura, si troveranno alle prese con un furto particolarmente difficile: i gioielli della corona? il caveau di una banca? No: un lecca lecca gigante, che Fausto sogna di ricevere per il suo compleanno.

"Non vi eravate mica dimenticati che dopodomani è il mio compleanno?"

Mamma Fia si sbriga a mettere una mano dietro la schiena.
"Certo che no!", mente.

Tra tunnel che sbucano nel posto sbagliato, allarmi che scattano e fraintendimenti vari, la storia avrà un epilogo inaspettato (almeno per i protagonisti).

Non sono molto credibili come ladri, questi Sgraffignoli. 

Forse anche per questo ci stanno tanto simpatici.


Quante cose può diventare una semplice sedia? O un letto, o un pezzo di corda?
Solo un bambino può rispondere a questa domanda, perché è ai suoi occhi che ogni oggetto si trasforma per diventare scenografia di una storia appena inventata.

Jip e Jannecke. Vieni a giocare?

Questo secondo volume dedicato a Jip e Janneke (del primo vi avevo parlato qui) è dedicato interamente al gioco, e per la maggior parte al gioco simbolico, quello in cui, per l'appunto, una sedia può diventare un aereo e tutto inizia con un "facciamo che ero...".

Jip e Janneke. Vieni a giocare?, ci riporta in compagnia dei due bambini dipinti così bene da Annie M.G. Schmidt e Fiep Westendorp (quelli di Pluk e il Grangrattacielo, altra chicca scovata da Lupoguido).

 Jip e Jannecke. Vieni a giocare?

Anche questo volume è fatto di capitoli brevi, che non raccontano una storia che progredisce nel tempo, ma fotografano diversi momenti, scene e situazioni: vediamo Jip e Janneke giocare con le bolle, infilare i piedi in una pozzanghera, fingersi re e regine, piloti e cowboy, sempre utilizzando come strumenti di gioco gli elementi naturali e casalinghi attorno a sé.

La lettura così spezzettata rende adatto questo libro anche ai piccoli, dai tre anni in su, che possono così accostarsi a storie poco illustrate, allenando l'ascolto e l'immaginazione.

Quello di Jip e Janneke è un mondo reale, concreto, in cui il bambino può riconoscersi: i protagonisti sono credibili e niente affatto romanzati, tanto che spesso, nel corso del libro, si trovano a battibeccare nel più comune dei cliché infantili, la cui ripetizione farà certamente ridere i piccoli lettori:

"E invece no", fa Jip
"E invece sì", ribadisce Janneke


Jip e Jannecke. Vieni a giocare?

Nel mondo di Jip e Janneke gli adulti passano soltanto di striscio, per concedere permessi, dare regole o bacchettare un po' (ma sempre in modo lieve e rispettoso): non li vediamo quasi mai nelle illustrazioni.

Sono invece presenze costanti la bambolina di Janneke (anzi, Bambolina: è il suo nome proprio) e Sippi e Takki (un gatto e un cane), rivestiti, nel tipico pensiero magico infantile, di ruoli e capacità che vanno certamente oltre quelli di un animale e di un pupazzo di pezza. 

Jip e Jannecke. Vieni a giocare?


È proprio la comprensione della logica bambina la cifra più significativa di Jip e Janneke. Vieni a giocare?. Per ben due volte, i due bambini si costruiscono un riparo, una "casetta" per gioco, ad esempio dentro un grande tubo trovato in un cantiere, e si rammaricano perché non piove.

"Se piove siamo all'asciutto", osserva Jip.
"Ma non piove", dice Janneke.
No, non piove. È un peccato.

È evidente che il ragionamento manchi di logica in senso stretto: se non piove, i due sono comunque all'asciutto. Eppure la pioggia avrebbe reso più reale il riparo, lo avrebbe trasformato da gioco in realtà, da avventura immaginata ad avventura vissuta e questo, per un bambino, ha molto, moltissimo senso.


Come ve lo immaginate un pony?
No, non fisicamente, parlo del suo carattere, dei suoi pensieri. Probabilmente immaginate un animale dolce, giocherellone, pronto a farsi coccolare da tutti i bambini. Il pony, d'altra parte, sembra quasi un anello di congiunzione tra l'animale vero e il peluche.

Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà

Ecco: Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà è pronto a scardinare questa idilliaca visione con un protagonista musone, scorbutico e lamentoso, ma che non può non catturare la simpatia dei lettori.

Nel romanzo, scritto da Cécile Alix con le (poche) illustrazioni di Louis Thomas e pubblicato in Italia da Terre di Mezzo editore, Tarzan racconta la sua storia in prima persona: la famiglia del suo amato padroncino Noè si trasferisce per un anno, a causa del lavoro del padre, e lui viene mandato a tradimento nel maneggio Edelweiss, dove è costretto ad avere a che fare con altri animali e soprattutto con bambine e bambini che partecipano alle gite e alle attività del campo estivo.

Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà

Tarzan sembra un uomo solitario infilato a forza in un villaggio vacanze con servizio animazione: detesta tutto e tutti e non si risparmia nel manifestarlo.

Più volte tenterà la fuga, fino a riuscirci e a restare coinvolto in un'avventura proprio insieme alle due bambine che non poteva soffrire.
La paura e le emozioni vissute insieme contribuiranno a cambiare la sua percezione e a dare una svolta ai suoi sentimenti verso il maneggio, i suoi gestori e i suoi visitatori.

Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà

Ma al di là della parabola narrativa, agile e abbastanza incalzante, a rendere il libro divertente e godibile è proprio il tono di voce di Tarzan, pony musone.
Rivolgendosi direttamente al lettore, lo coinvolge in riflessioni sull'assurdità di certi comportamenti umani e condisce gli avvenimenti con il suo stile sarcastico.

Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà

Anche i titoli dei capitoli contribuiscono alla costruzione di questo scorbutico personaggio: tutti (o quasi) iniziano con la parola "Odio": "Odio i van", "Odio gli addii", "Odio il maneggio degli Edelweiss", "Odio questo prato"... la lettura diventa quasi un gioco che spinge il bambino a immaginare quale sarà la prossima vittima dell'odio di Tarzan.

Tarzan musolungo Ã¨ una lettura divertente, in qualche modo catartica (verso tutte quelle attività alle quali anche i bambini si sentono costretti), con quel pizzico di sentimento che rende tutto più pieno, e che ci fa amare anche un protagonista che, all'apparenza, odia tutti.


Dare dell'avvoltoio a qualcuno, almeno in Italia, non suona proprio come un complimento. 

Non so se questa metafora sia presente anche nella lingua francese (qualche esperto o madrelingua sta leggendo e può illuminarmi?), ma visto che oggi parliamo di un albo di Tomi Ungerer, partiamo da una visione del mondo animale che non è certo quella dei luoghi comuni.

Orlando

 

Come tanti dei protagonisti di Ungerer (qui trovate le altre recensioni fatte sul blog), Orlando, l'avvoltoio coraggioso è altruista e pronto a sacrificarsi per i suoi amici umani.

Lupoguido ancora una volta dimostra gusto letterario e coraggio riportando in Italia un albo dalle atmosfere poco abituali nella letteratura per l'infanzia più recente.

Orlando

L'albo si apre infatti con Orlando che trova il corpo di un cercatore d'oro steso a terra. L'immagine non è certo rasserenante, ma la tranquillità con cui Ungerer la accompagna, con la sua prosa sempre garbata e misurata, ce la fa accettare come semplice parte della storia.

Orlando si china sul cercatore d'oro e raccoglie i suoi oggetti, ma non per derubarlo: con la fotografia della moglie e del figlio, vola a cercare aiuto, finché li troverà, dopo diversi tentativi e spostamenti.

Orlando

Orlando ha colori caldi sui toni del rosso, del grigio e del marrone, è un western nello stile visivo e anche, parzialmente, nell'intreccio, che vede entrare in scena a un certo punto dei banditi con il sombrero.

L'illustrazione strizza l'occhio anche al fumetto quando vediamo le silhouette dei banditi correre nella notte di luna piena.

Orlando

E tra sparatorie, rapimenti e inseguimenti, tutto tornerà al suo posto, grazie alla generosità d'animo di un avvoltoio, l'animale che non ti aspetti.
 


Ridere e riflettere non sono due azioni in contraddizione tra loro.

Anzi: la risata presuppone un cambio di prospettiva, la conclusione inattesa di una frase o di un'azione che, se solo ci fermassimo ogni volta ad analizzarla, renderebbe ridere un atto filosofico.

Grolefante e topolino che coppia

Lo sanno bene i due protagonisti di questo albo a fumetti.

Grolefante & Topolino. Che coppia! di Pierre Delye e Ronan Badel (traduzione di Eleonora Armaroli, Terre di mezzo editore) è il seguito di Grolefante & Topolino. Che amicizia bestiale! e come il volume precedente è un guazzabuglio di episodi godibili anche singolarmente, che coniugano comicità e filosofia.

Sono i titoli dei capitoli (impaginati in modo discreto, quasi fossero brevi considerazioni introduttive anziché titoli veri e propri) a dare spesso una chiave di lettura e di riflessione a quella che altrimenti sarebbe una semplice barzelletta illustrata. Oppure, viceversa, le frasi introduttive rappresentano ulteriori barzellette.

Se fai centro una volta su mille, ma al primo colpo, tutti penseranno che hai un'ottima mira.

è ad esempio il raffinato concetto statistico che precede l'episodio sul tirassegno, ma a volte la connessione tra titolo e storia è più sfuggente, ed è proprio la ricerca di questa connessione a stimolare l'ingegno e il ragionamento.

Grolefante e topolino che coppia

E così, tra la storia di un serpente che si morde la lingua e si chiede se è velenoso e un camaleonte che insegna a Grolefante a nascondersi in un campo di fragole dipingendosi le unghie di rosso (il libro in effetti cita spesso freddure e battute piuttosto classiche), Grolefante & Topolino. Che coppia! ci dice qualcosa sul nostro posto nel mondo, sull'identità, sull'amicizia, sui rapporti con gli altri.

Grolefante e topolino che coppia


È il classico libro che ha più livello di lettura: dallo svago di chi vuole ridere (magari un lettore in erba, visto che il testo è poco e, esclusi i titoli, interamente in stampato maiuscolo) al pensiero di chi al divertimento vuole abbinare un momento di crescita.

Grolefante e Topolino sono diversi e uguali al tempo stesso e in queste loro identità e differenze trovano la loro via per stare insieme ed essere amici. E, già che ci sono, per intrattenere i lettori con un sorriso.


 

Pensate a un giornalista.

La prima immagine che ci viene in mente è quella di una figura monolitica, senza troppe sfaccettature, che gira con il suo bloc notes a caccia di scoop. 
In realtà il giornalismo è fatto di molte attività diverse tra loro, secondo il campo di competenza (o perlomeno, così dovrebbe essere).

L'eco del bosco

La prima cosa che mi ha colpito nella serie di brevi romanzi L'Eco del Bosco, scritta da Marco Iosa e illustrata da Giovanni Nori e pubblicata da Camelozampa, è proprio lo spaziare tra le diverse discipline del giornalismo, esplorandone le specializzazioni.

L'eco del bosco

L'Eco del Bosco, primo romanzo della serie, si concentra soprattutto sulla costruzione della nuova coppia di cronisti dell'omonimo giornale: Lupo e Polly Pec, un lupo e una pecora. Esperto e orgoglioso, il lupo fatica ad accettare di essere affiancato da una novellina, perdipiù appartenente a una specie proverbialmente in contrasto con la sua, ma l'esperienza condivisa e il talento della pecora gli faranno cambiare idea.

La loro attività giornalistica si concentra sullo storytelling: Lupo e Polly sono titolari di "Stranimali", una rubrica da rotocalco, che si occupa non tanto di fatti di cronaca, quanto di storie curiose di animali, come quella di Sante, l'elefante ballerino, o della famiglia Porcellino, con un record di 30 figli.

L'eco del bosco

Polly porta a Lupo una visione nuova, più empatica, del suo lavoro: riesce a entrare in sintonia con gli animali che intervista, e spesso ad aiutarli grazie alla propria sensibilità. La rubrica, scritta in toni coinvolgenti e ricchi di emozione, diventa un luogo dove parlare di accoglienza, di diversità, di comprensione: un po' lo stesso percorso che compiono i due protagonisti, l'uno verso l'altra.

Con Il giallo del Pangolino giallo, Lupo e Polly diventano giornalisti di cronaca nera, indagando sulla scomparsa di un vecchio professore dalla scuola che Lupo stesso aveva frequentato. Sarà stato ucciso?

In ognuno dei romanzi della serie, la struttura è la medesima: a un capitolo narrativo sull'inchiesta compiuta dai due giornalisti fa seguito il relativo articolo uscito sul giornale. In questo volume, all'articolo si aggiunge una brevissima scheda che coinvolge il lettore nell'indagine, sfidandolo a ricordare cosa avesse notato di strano e a scrivere le sue supposizioni.

L'eco del bosco

I mondiali dell'Olympic Boscaglia ha, prevedibilmente, come protagonista il giornalismo sportivo. 

Polly e Lupo seguono una sgangherata squadra calcistica, l'Olympic Boscaglia per l'appunto, che si ritrova qualificata al Campionato del Mondo degli animali. Lupo, qui, abbandonerà le vesti di giornalista, lasciando il timone a Polly, perché sarà convocato come mister della squadra.

L'eco del bosco

Perché è stato chiamato proprio lui, che sembra non essere interessato al calcio? In tutti e tre i libri della serie, il passato di lupo emerge in qualche modo, dando al personaggio un'aura di mistero e regalando un doppio filone narrativo alla trama, che segue contemporaneamente i fatti narrati dai due giornalisti e anche le loro storie private.

La scrittura di Marco Iosa è ricca di trovate umoristiche, di un umorismo fatto di giochi di parole ed equivoci che rispondono perfettamente al gusto dei bambini a cui i libri sono rivolti, dai 7 ai 10 anni circa. Molte anche le citazioni parodistiche di personaggi famosi come, nel capitolo calcistico, Daniele De Rattis e Er Lupone (si nota certamente l'origine romana dell'autore!).

Non manca una certa ironia meta-letteraria:

"Il giallo del pangolino, ché poi i pangolini sono gialli. Sembra il titolo di un libro: Il giallo del pangolino giallo."
"Solo un cretino intitolerebbe così un libro!" disse un gatto nero di nome Pepe che passava in quel momento nel corridoio insieme a un amico micio. Subito dopo un pianoforte cadde in testa al gatto Pepe. A volte gli autori dei libri sono più permalosi di un rinoceronte.

Nelle storie di L'Eco del Bosco trionfano sempre i buoni sentimenti e l'umorismo, due elementi che, insieme al font ad alta leggibilità, rendono la lettura particolarmente accattivante, mentre gli articoli citati sono ottimi esempi di testi di diverso genere, con cui i bambini possono prendere gradualmente confidenza.

Chissà se la prossima avventura ci porterà ad esplorare il mondo del giornalismo scientifico. Vista la confusione comunicativa degli ultimi tempi, ne sentiremmo tanto il bisogno.


   

C'è quel momento, prima del sonno, in cui qualcosa dentro un bambino si ribella, non vuole lasciarsi andare, non vuole perdere un minuto di quella vita che potrebbe andare avanti senza la sua presenza cosciente.

Tutto dormirà

È questa la sensazione che mi ha dato Tutto dormirà, ninna nanna tradizionale svedese di Astrid Lindgren (la "mamma" di Pippi Calzelunghe), illustrata da Marit Törnqvist, che Camelozampa ha portato in Italia con la traduzione poetica di Chiara Carminati.

Se l'impianto testuale di questo canto è piuttosto classico (l'idea centrale è "dormi perché tutto il mondo sta dormendo"), spicca la presenza di un gatto, che si fa protagonista delle illustrazioni e ritorna come in un refrain nelle parole: un gatto che non si arrende al sonno.

Tutto dormirà

Il testo, posato, ritmico, ricco di suoni familiari, come si addice a una ninna nanna, elenca gradualmente persone e animali che si avvicinano al sonno: 

Dormirà mamma e anche papà
perché la notte tra poco verrà.

E in questo elenco fa capolino lui:

Perfino il gatto dormire dovrà.

Perché "perfino"? Chi è questo gatto che non vuole dormire? Io credo che nel gatto il bambino possa riconoscere, per quanto non razionalmente, quella parte di lui che cerca ancora di esplorare il mondo e non accetta di spegnere la luce.

Tutto dormirà

Nelle prime pagine lo vediamo uscire di casa e le illustrazioni ne seguono il percorso. Sarà lui a mostrarci gli animali addormentati che il testo elenca: mucche, vitelli, maiali, cavalli e così via.

Le immagini ora si allontanano, facendo del gatto un puntino, ora si avvicinano, in un movimento quasi oscillatorio, come un respiro, come una coccola.

Quando scende la notte, vediamo la casa da lontano, piccola, nel buio: un'immagine di pace e inquietudine allo stesso tempo. E solo allora il gatto ritorna e riesce a dormire.

Tutto dormirà

Alla ska sova (questo il nome originale svedese della ninna nanna), scritta dalla Lindgren per un film e musicata da Georg Riedel, accompagna da anni al sonno i bambini svedesi. L'edizione di Camelozampa comprende un QR code per ascoltare questa canzone, con la musica originale e le parole italiane della Carminati, cantate da Aida Talliente.

A me però, lo confesso, piace più leggerla, guardarla, seguire con lo sguardo il gatto che fugge all'oblio del sonno, per poi lasciarsi andare, solo quando è giunto il momento giusto.



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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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