Nuvole in scatola
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Vi dico sempre che una delle cose che più caratterizza l'uomo è la capacità di creare, ascoltare, amare le storie. Non si tratta di un'abilità riservata ai grandi scrittori: tutti noi, quotidianamente, mettiamo insieme dei fatti in rapporti di causa-effetto, e diamo a episodi della nostra vita dei significati narrativi (se non fossi andato in quel locale non avrei mai conosciuto quella persona...).

In realtà, per il cervello umano, è molto più difficile accettare la casualità degli eventi che creare storie che ne mostrino i nessi causali.
Ecco perché il nonsense ci lascia sempre stupiti, con quel senso di straniamento che ci fa ridere e porta la nostra mente a lavorare per coprire quei vuoti che percepiamo.

Il canadese Jon Klassen, in questo, è un vero maestro (vi ho mai detto che amo Jon Klassen? Sì che ve l'ho detto) e lo dimostra perfettamente con Il sasso dal cielo, una novità edita in Italia da Zoolibri.

Il sasso dal cielo

Il sasso dal cielo è formato da cinque capitoli distinti, quasi cinque episodi in qualche modo autoconclusivi e al tempo stesso legati l'uno all'altro. In essi ritroviamo come personaggi alcuni degli animali che avevamo già visto in uno dei capolavori di Klassen, Voglio il mio cappello! (a proposito: è appena stato ristampato): una tartaruga, una marmotta (o almeno, io la interpreto come tale) un armadillo (ne ho avuto conferma dall'editore!), un serpente. Personaggi di poche parole e molti sottintesi.

Il sasso dal cielo

L'asciuttezza e il minimalismo di Klassen si esprimono negli sguardi fissi dei personaggi,  il suo grande marchio di fabbrica, capace di esprimere grande ironia, e nei testi: un puro susseguirsi di battute minimali, in cui il non detto prevale sul detto e tutto il gioco di inferenze viene lasciato al lettore.

Klassen non si concede nemmeno di segnalare chi dice cosa. Non c'è alcun narratore a spiegare "disse la tartaruga" o "rispose la marmotta l'armadillo". Il campo di voce è segnalato dal colore del testo, e tutto è così chiaro e ovvio che non ci chiediamo mai chi abbia detto cosa.

Il sasso dal cielo

Nonostante l'assoluta semplicità dell'albo (semplici le espressioni, semplice l'ambientazione, semplice il testo) l'intervento interpretativo richiesto al lettore è elevato: è lui a riempire i vuoti, immaginare stati d'animo, fare supposizioni e previsioni, ed è da questo lavoro che il lettore trae il maggiore godimento. Gran parte di questo coinvolgimento risiede in un classico meccanismo di suspense: il lettore conosce più cose di quelle che conoscono i personaggi e perciò resta in tensione in attesa degli eventi.

Mentre tartaruga e chiamiamola-marmotta armadillo si scambiano dialoghi apparentemente futili su quanto sia bello un posto o quanto sia meglio l'altro, il lettore vede qualcosa che loro non hanno visto: un sasso che sta cadendo dal cielo. Sa, quindi, che dalla scelta del posto dipende anche la loro salvezza.

Il "sasso che cade dal cielo" irrompe nel racconto in pagine mute che interrompono il dialogo. La sua immagine è completamente decontestualizzata: non sappiamo dove sia, rispetto ai personaggi, pur intuendo che stia da qualche parte sopra di loro (ma su quale dei due posti? Quello preferito dalla tartaruga o quello preferito dalla diciamo-marmotta dall'armadillo?).
A dirla tutta, non siamo molto certi nemmeno delle sue dimensioni: intuiamo sia grande perché occupa quasi una pagina intera ma non abbiamo riferimenti a riguardo, e supponiamo che stia cadendo solo da una piccolissima scia di sassolini che lascia sopra di sé (oltre che, naturalmente, dal titolo del libro stesso).

Il sasso dal cielo

Le piccole scaramucce tra i personaggi acquisiscono quindi un significato completamente diverso.
La sapiente composizione dell'immagine da parte di Klassen (lo so, sono un po' di parte quando si parla di Klassen) pone peraltro i personaggi in una porzione piccola e molto bassa rispetto all'ampiezza della pagina, lasciando sopra di loro una grande area di cielo, che lungi dal trasmettere libertà e serenità, ci ricorda continuamente che qualcosa incombe su di loro.

Non vorrei però, con la descrizione di questo meccanismo di suspense, del pericolo che arriva da cielo e dell'incertezza dell'esito di questo arrivo, avervi dato la sensazione di un libro cupo o pauroso.

In perfetto stile Klassen, Il sasso dal cielo è un albo decisamente divertente.

I malintesi e le bugie insiti nei dialoghi, la ripetizione di alcuni tormentoni ripresi in numerosi punti dell'albo ("NON TI SENTO! SEI TROPPO LONTANO!"), lo sguardo vacuo dei personaggi, la presenza così priva di senso di questo sasso che scende dal cielo costruiscono un effetto comico impareggiabile, un effetto che viene amplificato da quello spiazzamento che ci provoca da sempre il nonsense.

È come se il libro si svolgesse su due piani: quello tradizionale dell'interazione tra i personaggi e quello irrazionale, inaspettato, totalmente privo di causalità della caduta del sasso. Cosa ancora più spiazzante, in certi momenti anche i dialoghi ci appaiono privi di senso, così futili e pieni di incomprensioni, e in questo contesto il sasso, nella sua assoluta mancanza di significato, diventa il deus ex machina che risolve la situazione, in modo completamente casuale ma a suo modo perfetto.

Non abbiamo il controllo su tutte le cose, non tutto ciò che riguarda la nostra storia ha un senso. A volte questo ci fa paura. A volte, dovrebbe semplicemente farci ridere.



 

Spesso la narrativa scava nel passato degli antagonisti alla ricerca delle radici del loro carattere maligno, delle loro attitudini antisociali, del dolore che ha generato il loro lato oscuro.

Il romanzo di cui vi parlo oggi rovescia questo paradigma, quasi a voler dimostrare che si può diventare buoni anche a partire da pessimi genitori. L'università di Tuttomio, romanzo di Fabrizio Silei illustrato da Adriano Gon, finalista al Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2018 e riedito in edizione tascabile da Il castoro, racconta la storia degli avidi coniugi Smirth, uniti dall'ossessione per il denaro e gli affari, ma soprattutto la storia del loro straordinario figlio Primo.

università di tuttomio

Così aridi e privi di scrupoli, preoccupati soltanto di ciò che può portar loro guadagno, gli Smirth ricordano un po' certi adulti cattivi di Roald Dahl, personaggi senza possibilità di redenzione (ma sarà così?). Proprio a Roald Dahl, peraltro, è intitolato il ristorante dove i due si ritrovano spesso a mangiare.

università di tuttomio

Per il puro bisogno di avere un erede per le proprie immense fortune, gli Smirth, Gregor e Katiuscia, decidono di mettere al mondo un figlio, Primo. Non si tratta di un gesto d'amore, ma di mero calcolo, cosa che non solo i comportamenti, ma anche il lessico rivolto al bambino rivelano con parecchia ironia:

"Che bambino affettuoso!", commentò mr. Johnson. "Non sapevo avesse un figlio, Mr. Gregor. [...] Quanti anni ha?"
Mr Gregor ci pensò un istante, non ricordava da quanto tempo lo avessero prodotto, così si voltò verso Primo e gli ordinò zelante: "Su, da bravo... figliolo. Dì al signor Johnson la tua età".

Di Primo gli Smirth non si curano affatto: lo faranno crescere da una baby sitter, cercheranno di avviarlo al mondo degli affari in età precocissima e, non riuscendoci, lo manderanno in un prestigioso collegio fatto a loro immagine (e dove lo stesso signor Smirth aveva studiato), L'Università Tuttomio che dà il nome al libro.

L'università di Tuttomio, a dispetto del nome, è una scuola elementare e media, e la sua didattica è improntata alla formazione di affaristi senza morale. Motto della scuola è Mors tua vita mea.

Qui, perfidi insegnanti allenano i bambini a battersi uno contro l'altro, ma l'arrivo di Pietro Primo, col suo cuore gentile, riesce a mettere in discussione tutto, dalla dis-educazione dei bambini fino alla durezza del preside stesso.

Ingenuo quel che basta per credere nella bontà di tutti (compresi i suoi genitori), Primo opera la sua trasformazione con la forza della non violenza, una qualità spiazzante che fa leva proprio sulla ricerca, per lui spontanea e incessante, del buono in ognuno. Con il suo candore, trasformerà ogni cosa e ogni persona (o quasi).

Narrato con una sovrabbondanza di iperboli e con molti momenti genuinamente comici, fatti di fraintendimenti e confronti esilaranti, L'università di Tuttomio ha un'evoluzione prevedibile e una contrapposizione tra bene e male piuttosto manichea, ma non per questo meno gustosa.

Nonostante la spiazzante ingenuità di Primo, sono gli adulti, alla fine, a dimostrarsi i veri ingenui, perché generosità e candore si rivelano armi potenti per cambiare il mondo.



Quand'è che la storia di Cappuccetto Rosso smette di essere la storia di Cappuccetto Rosso?

Non c'è al mondo fiaba più soggetta a paratesti, riscritture e parodie; possiamo forse dire che Cappuccetto Rosso rappresenti oggi l'archetipo della fiaba stessa.

Di Zloty, albo di Tomi Ungerer recentemente riportato sugli scaffali da Camelozampa con la traduzione di Sara Saorin, si parla come di un'ennesima rivisitazione di questa fiaba, ma l'operazione compiuta dall'autore è più vicina alla citazione che alla riscrittura.

Zloty

Ci sono, è vero, i quattro elementi che tutti noi identifichiamo con "quella" fiaba: una bambina, una nonna, un bosco e un lupo. 
Ma l'impressione è che Ungerer, più che accompagnare il lettore su un territorio conosciuto, volesse spiazzarlo portandolo dove non se lo aspetta.

Nella prima pagina vediamo Zloty che attraversa il bosco per portare le provviste alla nonna.
Se a quel punto ci siamo fatti delle attese rispetto allo sviluppo della storia, esse vengono demolite immediatamente girando pagina.

La bambina, né sperduta né indifesa, sfrecciando tra gli alberi in scooter, investe un nano.
Un nano alto, in realtà, a cui si aggiunge presto un altro personaggio: un gigante basso. I tre, in realtà, sono tutti alti uguali.

Zloty

E se a quel punto l'adulto si aspetta una riflessione sulle etichette date alle persone e su come le caratteristiche fisiche non ci definiscano, sarà ancora disatteso. 

Zloty entra ora in questo mondo onirico fatto di casette a forma di fungo, capre a scacchi e piccioni a righe, e infine, riparato lo scooter, arriva dalla nonna, non prima di aver investito il lupo, che sarà curato trasformandosi in animale domestico. Dunque è questa la chiave della narrazione? Il rovesciamento tra i ruoli di buono e cattivo, di aggressore e aggredito?

Zloty

Nemmeno. Già nei suoi albi sugli animali, in fondo (penso ad esempio a Crictor, Orlando, Adelaide) Tomi Ungerer ci aveva abituato ad archi narrativi doppi, se non tripli, comunque con sviluppi meno lineari di quelli classici. E così anche stavolta, quando la storia sembra concludersi, emergono ogni volta elementi nuovi, terzi rispetto a quanto visto fino a quel momento, come l'eruzione vulcanica, che appiana le diversità e rende tutti i popoli fratelli contro la catastrofe naturale.

Zloty è insomma una fiaba multidimensionale, surreale per certi versi, sicuramente ricca di elementi, suggestioni e rimandi, alcuni un po' inquietanti da ritrovare nel periodo storico attuale, come i carri armati e i riferimenti a un passato sovietico presenti nella camera della nonna, ai quali non ho saputo trovare una portata simbolica, se non un elemento di ambientazione (anche i nomi del protagonisti hanno un suono molto slavo-orientale).

Zloty

Zloty però non fa mai paura, o meglio: sa stemperare la paura con la speranza. Il suo brulicare di dettagli e personaggi conserva, perfino nel bosco, un'aura positiva. Anche dove i rami si protendono come artigli sullo sfondo, a spiccare sono sempre i sorrisi dei protagonisti, i loro colori allegri, i loro tratti caricaturali, e il senso della comunità e dell'unione supera ogni calamità.

L'accumulo di cose, persone e perfino fili narrativi, si fa insomma ricchezza positiva.
L'impressione è che si possa rileggere Zloty dieci volte e ricavarne emozioni, sentimenti e pensieri dieci volte diversi.


Crescere significa imparare che i mostri più pericolosi spesso sono i più vicini a noi, e a volte si trovano perfino dentro di noi.

Sono Vincent e non ho paura

La lettura di Sono Vincent e non ho paura ci trattiene in questa dimensione interiore, come intrappolati in una gabbia. Lo fa con il suo contenuto ma anche e soprattutto con la sua forma, le soluzioni grafiche, il ritmo della lingua.

È buio.

Questo l'incipit del romanzo, scritto da Enne Koens e illustrato da Maartje Kuiper, tradotto per Camelozampa da Olga Amagliani. Un'affermazione semplice che ha dentro un mondo, e che viene rafforzata da una soluzione grafica abbastanza spiazzante: il primo capitolo, una sorta di flash-forward che ci porta verso la fine della storia, è infatti scritto con caratteri bianchi su un fondo nero su cui spicca uno sguardo, forse impaurito.

Sono Vincent e non ho paura

La prosa è sincopata, fatta di frasi brevi che si susseguono l'una all'altra. Anche quando il protagonista descrive il mondo attorno a sé, resta fortissima la sensazione di essere proprio dentro di lui.

Vincent, l'undicenne protagonista del romanzo, è il classico bambino solitario con una grande passione (l'esplorazione e la sopravvivenza nella natura) e con due mostri da combattere: il gruppo di bulli della scuola e la sua paura di denunciarli. Nella sua solitudine, Vincent dialoga con quattro animali immaginari: uno scoiattolo, un verme, un cavallino e un coleottero, presenze un po' surreali che lo accompagnano lungo tutta la narrazione.

La prosa è una lunga cronaca di ciò che gli succede: l'arrivo di una nuova compagna di classe da cui nascerà un'amicizia salvifica, gli atti di bullismo, l'attesa per il campo scuola, l'organizzazione di un "piano di fuga", per cavarsela da solo, nel bosco, lontano dalla civiltà e dai bulli che gli fanno del male.

Vincent è intrappolato: dai suoi compagni bulli, dalla paura di reagire e dalla vergogna che gli impedisce di raccontare tutto ai genitori o all'insegnante. È intrappolato dentro se stesso, nel mondo che ha costruito per sé. Nella prosa, i dialoghi reali si accavallano senza soluzione di continuità con quelli interni con i suoi animali immaginari. Tutto è filtrato dal suo sentire, dal suo progettare una fuga, dalla sua impotenza di fronte agli eventi.

E così anche il lettore si ritrova intrappolato insieme a lui, dentro i suoi pensieri.

Il periodare rapido e spezzato ci fa respirare insieme a lui in modo ansioso, mai rilassato, fino alla conclusione (finalmente più serena). Insieme a Vincent, anche noi siamo sempre all'erta.

Sono Vincent e non ho paura

Ironica e straniante appare così la suddivisione in capitoli, che sembra quasi distaccarsi dal resto del romanzo.
Il testo è infatti interrotto da pagine decorate con fregi verdi, quasi leziosi, che riportano serafici elementi naturali e un brano dal tono asettico tratto dal libro preferito di Vincent, un manuale di sopravvivenza. L'indicazione temporale che fa da titolo ai capitoli è scandita però come un conto alla rovescia verso il campo scuola, e chi ha letto quelle prime pagine nere, quella prolessi in cui sentiamo Vincent fuggire impaurito, sa che quel conto alla rovescia non porta a nulla di buono.

Questo intervento di inversione temporale che costruisce la suspense del romanzo è il solo elemento di "regia" esterna nella storia di Sono Vincent e non ho paura, che resta altrimenti saldamente ancorato all'interiorità del protagonista.

Gli stessi separatori dei capitoli, con il contrasto tra la scrittura asettica, le decorazioni gradevoli e quel conto alla rovescia, ci mantengono dentro il clima narrativo, facendoci vivere il contrasto stesso che vive Vincent tra il desiderio di avventura e la paura di affrontare i propri antagonisti.

Quell'avventura di sopravvivenza che tanto aveva agognato, Vincent riuscirà a viverla, e anche se non sarà esattamente come se l'aspettava, porterà in lui un percorso di crescita, forse atteso per chi legge il romanzo, ma ugualmente confortante per chi ha condiviso con Vincent tante complicate emozioni.


Avete presente l'emozione con cui comprate il primo completino taglia un mese quando aspettate un bimbo, e la velocità con cui poi lo riponete nell'armadio (o nel sacchetto per la Caritas, o nella scatola che passerete all'amico con un figlio più piccolo)?

Ecco, accade lo stesso per i primi libri: le capacità cognitive dei bambini, nei primi mesi, evolvono così in fretta che i cartonati adatti ai primi mesi diventano presto obsoleti, alimentando i sospiri dei genitori che vedono i figli crescere così in fretta.

 Il mio mondo

I libri in bianco e nero sono perfetti per stimolare e catturare l'attenzione dei bimbi, prima ancora dei sei mesi: rispondono alle loro capacità sensoriali grazie ai forti contrasti e allenano il loro sguardo all'attenzione e al riconoscimento delle forme.

Ma – inutile negarlo – stancano presto, sia il bambino sia il genitore, che si trova per l'ennesima volta a girare le stesse quattro pagine e indicare le stesse quattro silhouette.

In questo panorama, Il mio mondo, illustrato da Raffaella Castagna per Lapis edizioni, si presenta come un'interessante evoluzione del classico modello di cartonato in bianco e nero, destinato ora a un utilizzo più prolungato.

Il mio mondo

Alla proposta di oggetti ed elementi della quotidianità del bambino, Il mio mondo affianca infatti un meccanismo a scorrimento che svela ulteriori immagini variamente correlate a quella iniziale: l'illustrazione che viene scoperta di volta in volta può avere un rapporto di contiguità spaziale (la giostrina e la carrozzina), una relazione di similarità (un gioco e un altro gioco) o un'evoluzione temporale (le piccole posate che vengono dopo il biberon).

Il mio mondo

Si tratta di relazioni semplici e riconoscibili, che non evadono dal contesto quotidiano e familiare per il bambino, ma regalano al libro una nuova fruizione: dopo una prima fase di riconoscimento dei singoli oggetti, il bimbo potrà esercitarsi nella scoperta, con il meccanismo del cucù che tanto piace ai piccoli, ma anche nel riconoscimento delle connessioni e nell'anticipazione del già visto, che gradualmente lo porteranno a conoscere e capire gli schemi di causa-effetto, alla base della narrazione.

Così come stare seduti e gattonare sono solo dei passaggi che portano ai primi passi, anche alle storie si arriva gradualmente, sviluppando le competenze necessarie per la comprensione.
È passando dal bianco e nero che si possono capire tutte le sfumature di una storia.


Che posizione avete sul tema "lasciar vincere i bambini"?

Per me è uno di quei casi in cui credo di avere un'idea chiara e invece, nei fatti, mi comporto diversamente. Il mio principio sarebbe quello di scegliere giochi alla portata dei bambini e giocarmeli senza sconti (non sono sicurissima che questo principio sia dettato da un intento educativo. Potrebbe anche essere più semplicemente la mia voglia di vincere). :P
Però è anche vero che a volte il fratello o la sorella più piccoli vogliono giocare a un gioco più da grandi, e in quel caso faccio l'occhiolino al fratello maggiore e lascio vincere i piccoli.

Elvis e Otto

 "Vincere o lasciar vincere" è il tema al centro di Elvis e Otto. L'amicizia vince!, di Chris Naylor-Ballesteros (Terre di Mezzo editore).

Elvis e Otto sono una volpe e un orso, irresistibili nel loro tratto fumettistico e nei colori sgargianti del cappello e della sciarpa (un fucsia fluo che rallegra anche copertina e risguardi).

È Elvis a raccontare la storia, guardando direttamente in faccia il lettore e spiegando che a lui e a Otto piace moltissimo giocare a nascondino.

Elvis e Otto

Ma Otto non vince mai: sarà la sua stazza o la sua scarsa abilità, ma nascondersi bene non è proprio il suo forte.

I nascondigli di Otto sono la chiave che rende il libro esilarante: grande e grosso, crede di potersi coprire dietro ai sottili rami di un albero, o dietro a massi decisamente troppo piccoli. Per non mortificarlo, Elvis gli concede di contare fino a 100, per dagli modo di nascondersi meglio.

 Elvis e Otto

Le pagine seguono la corsa di Otto verso il nascondiglio perfetto, accompagnata dalla serie dei numeri declamati da Elvis (se leggete Elvis e Otto a un bambino che sta imparando a contare, riposatevi pure: sarà lui a seguire col dito – uno per uno – i numeri da 1 a 100, pronunciandoli ad alta voce, e parlo per esperienza).

Ma è evidente che anche stavolta a Otto è sfuggito qualcosa.


Elvis e Otto

È più importante vincere o non deludere un amico? Qual è, in fondo, il senso del gioco?

Elvis e Otto coinvolge il bambino come terzo elemento di questo nascondino: il piccolo lettore conta insieme a Elvis, con Elvis è portato a cercare Otto tra le pagine, segue con il dito il filo di lana che lo porta da lui, facendosi parte integrante della narrazione, e questo meccanismo rende la lettura più appassionante e l'immedesimazione (in entrambi i personaggi) più viva.

Non importa chi, nella vita reale, sia Elvis e chi Otto: quello che conta, alla fine, è sempre giocare.

PS: Dopo Lucy e il filo dell'amicizia e quel capolavoro di Filo magico mi chiedo: chi è in Terre di Mezzo che ama tanto sferruzzare? ;)


Con Darwin, e soprattutto con la sua teoria, è accaduto quello che accade spesso con i libri classici: tutti ne parlano, pochi li conoscono davvero.

Usata come bandiera (ad esempio in chiave anticlericale), snobbata da chi la proclama superata (in realtà va solo contestualizzata rispetto alle nuove conoscenze scientifiche), spesso citata male e a sproposito (vi dice qualcosa il "virus che necessariamente diventa più buono"?), è in realtà spesso poco compresa, a volte anche dagli scienziati stessi.

Io credo ci sia ancora un gran bisogno di capire il senso dell'evoluzione darwiniana, e per questo trovo utilissima una pubblicazione come Charles Darwin - L’origine delle specie, uno splendido volume di grande formato (28 × 37 cm) di Anna Brett, con le illustrazioni di Nick Hayes, edito da Editoriale Scienza.

Tra storia e scienza, il volume segue il percorso di scoperta di Darwin: dopo una presentazione dello scienziato, racconta lo stato della conoscenza alla sua epoca, per poi percorrere con lui il viaggio a bordo del Beagle, l'imbarcazione che lo porterà a esplorare le Galapagos e altre isole, dove osservando le specie animali formulerà la sua teoria.  

Diverse pagine sono dedicate ad esaminare le differenze tra una specie e l'altra e come esse siano state selezionate perché più adatte all'ambiente circostante: dai fringuelli alle tartarughe alle piante, molte sono le carrellate sulle caratteristiche vincenti in termini evolutivi.

La teoria darwiniana viene quindi raccontata attraverso numerosi esempi, spaziando e approfondendo temi come la ricerca sui fossili per scoprire come si evolve una specie nel tempo, i dubbi nati riguardo alla teoria, la sua evoluzione (scusate il bisticcio) grazie alle nuove conoscenze acquisite dalla scienza negli anni.*


Charles Darwin - L’origine delle specie è un testo articolato e ben approfondito, pensato per i ragazzi (dai 10-11 anni), ma interessante anche per un pubblico adulto, e bello anche da guardare.

Una copertina ruvida impreziosita da inserti dorati racchiude pagine solide dall'elegante stampa opaca, con illustrazioni dal gusto vintage e moderno al tempo stesso: colori polverosi e pieni che, giustapponendosi tra loro in piccole campiture, riproducono con una tecnica quasi impressionista sfumature e contrasti. Un segnalibro in raso turchese dà il tocco finale all'opera: sembra di sfogliare un libro d'altri tempi, un documento prezioso e originale, rielaborato con gusto moderno.

Potremmo definirla una grafica antica, evoluta per adattarsi al nostro gusto.


* A proposito, se siete interessati al tema, ho appena finito di leggere un'interessante saggio su come si è evoluto nel tempo il concetto di "albero della vita", si chiama L'albero intricato e lo ha scritto David Quammen, il giornalista scientifico autore di Spillover. Stiamo naturalmente parlando di un libro per adulti, ma se vi interessano l'evoluzione in chiave genetica e la storia di alcuni degli scienziati che l'hanno rivoluzionata, è una lettura imprescindibile.


Disclaimer: nessun libro convince un bambino a dormire / lavarsi i denti / mangiare / lavarsi.
Anzi, se anche solo vagamente vostro figlio intuisce che quello è il reale motivo per cui state leggendo, probabilmente otterrete l'effetto opposto.

Per non parlare del fatto che sono profondamente convinta che non si debba leggere per ottenere qualche risultato, ma solo per piacere.

Fai il bagno, piccione

Finite queste premesse necessarie, bisogna ammettere che il piccione di Mo Willems vale anche il rischio di un rifiuto al bagnetto per ripicca! E nonostante le apparenze portino a vederlo come un "libro per convincere a fare il bagno", io ci vedo prima di tutto un meccanismo divertente, un ritmo incalzante, un personaggio che riesce a comunicare con un solo occhio una varietà di intenzioni sorprendente, insomma: un lieto momento di lettura di qualità da condividere con i bambini.

Fai il bagno, piccione

Fai il bagno, Piccione! arriva in Italia dopo Ãˆ ora di dormire, piccione! (di cui vi avevo parlato qui), edito sempre da Editrice il Castoro, e ci riporta il testardo, capriccioso, irresistibile personaggio che dialoga direttamente con il lettore, cercando motivazioni per evitare di fare il bagno:

Perché dovrei fare il bagno?
L'ho già fatto il mese scorso.

(non so a voi, ma a me questa frase suona molto familiare – per fortuna con orizzonti temporali decisamente più brevi!)

Fai il bagno, piccione

Seguiranno, in un susseguirsi sempre più incalzante, altre scuse, dalla negazione del cattivo odore al problema dell'acqua che è troppo fredda, troppo calda, troppo tiepida e perfino troppo bagnata.

Fai il bagno, piccione
 

È prorompente, il piccione: non resta nel testo. Oltre a rompere la quarta parete per rivolgersi al lettore, invade il frontespizio e i risguardi, e anche in questi dettagli sentiamo il suo fare chiassoso e impertinente, che fa di lui un personaggio che va oltre ogni supposto intento pedagogico, regalandoci più semplicemente delle sane, stupite risate.



 

 "Not all those who wander are lost"


Mi è venuta in mente questa frase di Tolkien quando ho preso in mano Quattro passi, l'ultimo albo di Chiara Carminati e Massimiliano Tappari edito da Lapis.

Quattro passi

Quattro passi si inserisce nel filone già collaudato dai due autori in Occhio Ladro (di cui vi avevo parlato qui) e Ninna no, e in modo più laterale in A fior di pelle (di cui vi avevo parlato qui): quello di intrecciare suggestioni visive a storie e parole.

Una sorta di poesia di strada, in cui l'occhio ruba dettagli, l'immaginazione li veste e la parola li racconta.

Quattro passi

Quattro passi Ã¨, forse più degli altri, un gioco a cercare connessioni.

Non vi è un unica immagine che "sembra" qualcos'altro, ma un'accostamento che fa nascere idee. L'unico elemento di vera continuità è proprio il numero quattro, riportato in copertina attraverso fotografie che "ritagliano" le cifre negli elementi ambientali.

Ogni doppia pagina presenta sulla destra quattro immagini tra loro variamente legate: possono essere quattro varianti di uno stesso cartello, quattro facce "scovate" nei campanelli, quattro cortecce d'albero diverse tra loro.

La logica che unisce le quattro immagini cambia di volta in volta, e forse più ancora della poesia che le affianca stimola a riflettere, scovare, inventare.

Quattro passi

Le parole della Carminati, dal suono e dalla musicalità sempre eccellenti, hanno la funzione del cantastorie che dà un senso narrativo a ciò che vede l'occhio errante.

Quattro passi può essere letto e guardato, per evidenziare le connessioni tra parola e immagine. 
Può essere soltanto letto, per apprezzare la musicalità della poesia o abituare a quel suono letterario un orecchio anche molto molto piccolo.
Può essere sfogliato e guardato, lasciando correre il pensiero, anche da mani piccine, grazie al formato quadrato e cartonato.

È un libro che non si legge, si vaga, che è proprio ciò che ci invita a fare.


Quattro passi dentro casa


Quattro passi Ã¨ anche un libro che invita a uscire e ripetere questo gioco, imparando ad osservare con occhi nuovi ciò che ci circonda. E quando invece non si può uscire?

Bastano una rivista o un catalogo (o anche il volantino di un negozio!) per cercare storie, connessioni e personaggi, aggiungere occhi e fumetti, inventare.

Quattro passi

Come i paesaggi, ogni immagine che ci capita sotto mano può diventare una storia.


   

Io non so spiegare la guerra ai bambini.
Non la so spiegare a me stessa.

Vista dallo spazio, la Terra non ha confini, non ha nazioni, non ha governanti.
Per quanto smisurato, l'ego umano non si vede, da lassù.

Tutto quello che vorrei dire è che siamo solo dei cosi minuscoli su questa palla nell'universo, e che il punto preciso in cui siamo nati, su questa palla, non dipende da noi.

Io non so spiegare la guerra ai bambini.
A dire il vero, non credo si possa spiegare affatto.

Forse ognuno dovrebbe trovare le proprie parole, o i propri silenzi, per affrontare le notizie che arrivano, senza fingere che a ogni perché ci debba essere una risposta.

Io non credo ci siano dei libri capaci di spiegare la guerra ai bambini.
Ci sono, forse, delle storie che raccontano perché non farla.
A dire il vero, è l'esistenza stessa delle storie a dirci che la guerra non ha una ragione: perché sono le storie a renderci umani, tutti, in qualunque posto della Terra ci troviamo.

La Terra - foto da Wikipedia
Foto: Wikipedia

Ve ne lascio qualcuna, di storia.
Nessuna di queste spiega la guerra, forse qualcuna può accompagnarci verso la pace.

 

La guerra di chi vuole conquistare il suo spazio.

Lucertole verdi e rettangoli rossi, di Steve Antony (edizioni Zoolibri) è un libro fortemente simbolico, spiazzante nel suo animo astratto, che racconta della lotta di due schieramenti molto diversi tra loro per la conquista di uno spazio, fino a scoprire il modo di convivere insieme. Qui la mia recensione.

La guerra di chi ha paura del diverso.


Cinque regni, cinque colori. Ognuno convinto di essere migliore, senza rendersi conto che è la diversità la vera ricchezza: lo scopriranno solo abbattendo i muri che li separano. Il paese dei colori di Paolo Marabotto (edizioni Lapis) è una favola dallo sviluppo classico, simbolica e trasversale per età, che porta un forte messaggio.

Qui la mia recensione.

La guerra di chi in guerra ci si è trovato.


E poi ci sono i soldati, addestrati a combattere, finiti in guerra perché in realtà nessuno ha mai fatto conoscere loro la pace. Il soldatino di Cristina Bellemo e Veronica Ruffato (Zoolibri) è un albo sui conflitti in senso lato, sulla guerra vera ma anche su quella interiore. Una storia su come a volte, con l'amore, si possa trovare un'uscita anche da quelli che sembrano vicoli ciechi. Qui la mia recensione. 

La guerra di chi... ma che motivo c'è di andare in guerra?

Ironico e scanzonato, forse Il cavaliere Panciaterra (edizioni Il Castoro) non è la proposta adatta allo spirito attuale, ma in fondo è sempre un buon momento per leggere Gilles Bachelet. Il protagonista di questo albo è lentissimo, così lento che quando arriva in guerra non c'è più tempo per combattere. Il cavaliere Panciaterra è una storia ricca di richiami e citazioni in cui emerge l'insensatezza della guerra di fronte a tutta la bellezza che c'è nel mondo. Ve l'ho presentato qui.

La guerra di chi fugge dalla guerra.


La guerra è fatta da chi combatte ma anche da chi ci si trova in mezzo. E in questo momento in cui l'Europa deve farsi ancora più accogliente verso i profughi, forse vale la pena raccontare le storie vere di chi fugge da territori difficili. Lo fa Mary Beth Leatherdale, con In mezzo al mare. Storie di giovani rifugiati (edizioni Il Castoro), di cui vi ho parlato qui.

E poi noi, nell'universo.

notte piena di promesse

In La notte è piena di promesse di Jérémie Decalf (Terre di mezzo editore, ve ne ho parlato qui) è una sonda spaziale che parla, guardandoci dallo spazio. Non parla di conflitti, né di nazioni, né di governanti.
Eppure io credo che il modo migliore di parlare di guerra sia questo: mostrando la nostra Terra così come la natura l'ha disegnata, senza confini, e con noi così piccoli che nemmeno si capisce su quale parte di mondo abitiamo.
E in fondo non ha nemmeno importanza.
Siamo capaci di raccontare storie e quindi siamo, semplicemente, umani.



         
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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