L'altra faccia del mare.

Nominare il mare, in questa stagione, significa portare alla mente lunghe file di ombrelloni, bagni caldi, tuffi tra le onde e castelli di sabbia.
C'è un altro mare, però, che poi è lo stesso, ma visto con altri occhi.
È un mare di cui parlano i telegiornali, ma forse ne hanno parlato un po' troppo, o un po' troppo male, per cui ormai abbiamo smesso di ascoltare.
È il mare dei migranti.


La canadese Mary Beth Leatherdale, con In mezzo al mare. Storie di giovani rifugiati, compie su questo tema un paio di operazioni cruciali per aiutare i lettori a comprendere quest'altro mare e a ripescarlo dal cassetto delle cose che non interessano granché.

Prima di tutto, trasforma la Storia in storie. Non più freddi discorsi diplomatici, dibattiti politici, date e dati, ma volti, persone, racconti reali. Racconti di bambini e ragazzi, peraltro: di un'età vicina al lettore, e per questo di maggiore impatto.
Ne avevo già parlato raccontando Il violino di Auschwitz: le storie sono l'arma più potente per farci catturare dalla Storia.

La seconda operazione dell'autrice è quella di globalizzare queste storie, ampliarne la portata in termini di spazio e di tempo: quasi tutti i popoli, prima o poi, sono stati migranti, in ogni tempo e in ogni luogo.
In mezzo al mare raccoglie le storie di cinque ragazzi costretti a imbarcarsi verso un futuro incerto per fuggire da un presente che lo era ancora di più.


C'è Ruth, nata da una famiglia ebrea, che fugge dalla Germania nazista nel 1939; c'è Phu, che a 14 anni lascia il Vietnam, nel 1979, per non arruolarsi nell'esercito; José, 13 anni, che scappa da Cuba, dove la sua famiglia è accusata di complotto contro il regime (1980); Najeeba, undicenne afghana della minoranza hazara, perseguitata dai talebani (2000) e infine Mohamed, tredicenne, in fuga dalla guerra civile in Costa D'Avorio nel 2006.


Per ogni storia, vengono presentati un breve specchietto che inquadra la situazione del Paese da cui il bimbo sta fuggendo, e il racconto del motivo della fuga e del viaggio stesso. Un viaggio pieno di pericoli, di condizioni disagiate, di percorsi non pianificati, con le imbarcazioni costrette a cambiare rotta perché rifiutate dal porto dove sono arrivate.
Ogni storia contiene anche la definizione di una parola o di una locuzione che non avremmo voluto sentire, come antisemitismo, pirati, tratta di esseri umani.

Non manca qualche dato sul viaggio o sulla situazione generale a cui la storia si riferisce (lo sapevate che due milioni di vietnamiti hanno lasciato la propria terra dopo la guerra?).



Nonostante si percepiscano le difficoltà vissute, le storie sono tutte a lieto fine, e il paragrafo finale racconta il destino dei protagonisti. Molti anni dopo il loro viaggio più difficile, i bambini possono raccontare storie di integrazione (anche se non sempre facile) e successo: Phu è diventato un ufficiale dell'esercito americano, Josè fa il professore, Najeeba si è laureata in medicina.

Molto suggestive le illustrazioni della britannica Eleanor Shakespeare, con una tecnica mista che fa largo uso dei collage e della fotografia, con un effetto a metà tra documentaristico ed espressivo.
Vengono mostrate le rotte seguite dalle barche, e poi volti, mani, piedi, oggetti dimenticati, fili spinati, barconi pieni di profughi, muri e onde del mare.
L'aspetto è frammentato, spezzato, come le storie dei piccoli protagonisti di questo libro.


In mezzo al mare. Storie di giovani rifugiati è stato tradotto insieme ai ragazzi volontari della biblioteca IBBY di Lampedusa, a cui andrà parte del ricavato della sua vendita.

(Ah, non sapete cos'è IBBY? È un'organizzazione no-profit che promuove la letteratura per bambini in tutto il mondo, specialmente nelle zone più disagiate. Perché i libri, noi lo sappiamo, possono salvare il mondo.)


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