Il dono della diversità.

La nostra lingua è particolarmente ricca di metafore cromatiche. C'è chi vede tutto in bianco e nero e chi coglie le sfumature, ad esempio.
E, nella lingua come nell'esperienza quotidiana, più colori si riescono a vedere, più si è aperti alla tolleranza, all'empatia, alla comprensione.


Il paese dei colori di Paolo Marabotto (edizioni Lapis) parte da questi concetti per parlare di confini, di aperture e chiusure, di ricchezza della diversità.

Le prime pagine di questo albo descrivono cinque diversi regni, ognuno caratterizzato da un'assoluta monocromaticità. Ogni elemento di ogni regno è composto da un solo colore, nei suoi diversi toni.
Ci sono il paese dell'Ombra, il regno Purpureo, il regno Zafferano, il regno d'Oltremare e il regno Candido.
Le illustrazioni, con la tecnica del collage, sono fatte di strappi di carta tono su tono, in cui un'area si distingue dall'altra solo grazie alle diverse intensità di uno stesso colore, o dall'ombra provocata dallo spessore della carta.


Resta evidente, però, che i diversi regni sono tremendamente monotoni (nel vero senso etimologico del termine!), e in effetti la loro monocromaticità provoca ai diversi abitanti qualche problema: come riconoscersi al buo del regno oscuro, quando ci si incontra per strada? Come dipingere un quadro nel regno Purpureo se si ha a disposizione soltanto il rosso? Perfino le parole sono più monotone, quando si pensa in un solo colore.


I cinque regni, confinanti tra loro, sono separati da mura spesse e invalicabili.



Finché un giorno, nel muro tra il regno Zafferano e il regno d'Oltremare, si apre una fessura, e una luce gialla penetra tra il blu (e viceversa).
Improvvisamente, le cose assumono contorni diversi, nuovi dettagli, nuovi contrasti. Dall'unione di questi colori ne nasce un terzo: il verde, in tutte le sue sfumature.


I due popoli si incontrano, si conoscono, si scoprono più simili di quanto pensassero.
Il muro è ormai un impiccio inutile.


La vita è più ricca, più allegra. Più colorata, naturalmente.
E piano piano, mentre la storia prosegue, si arricchirà dei colori degli altri regni, con i confini abbattuti e la paura del nemico che si trasforma, in un finale poetico, in meraviglia per una nuova completezza.

Il paese dei colori è una fiaba dai toni classici, fortemente simbolica, ma chiara ed efficace, che ci racconta la ricchezza della diversità, la forza del dialogo e dell'unione, l'importanza della sinergia, l'insensatezza di molti confini.

Scoprire nuovi colori significa imparare a guardare il mondo con gli occhi degli altri, cambiare punto di vista, vivere un'esperienza nuova, che sarebbe impossibile senza l'ascolto degli altri.

È un messaggio pacifista e di accoglienza della diversità che potete trovare anche in un vecchio gioco che certamente avrete fatto da piccoli.
Ricoprite un foglio con uno spesso strato di pastelli a cera, di tutti i colori.


Una volta colorata tutta la superficie, coprite il colore con uno spesso strato di tempera nera e lasciate asciugare.


Prendete poi un attrezzo appuntito e iniziate a togliere lo strato nero.
Dipingere "per sottrazione" è un'operazione all'apparenza semplice, ma che stravolge il nostro modo di pensare al disegno, allenando la mente a una prospettiva diversa, in cui pieni e vuoti si invertono.


Quello che ne emerge, è un mondo di colori che brillano sotto il nero dell'uniformità, un paese in cui la differenza è ricchezza, e che vive e si illumina soltanto quando si abbatte il muro che lo ricopre.


Un'esperienza, prima ancora che un messaggio. In fondo, provare le cose sulla propria pelle è il modo più efficace di impararle.


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