Nuvole in scatola
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Sono una copywriter, e quando dico che invento le pubblicità, mi sento rispondere "Ah, quindi fai la grafica!". Se dico invece che scrivo i testi, subito passo per giornalista.
La realtà è questa: in una pubblicità, il testo nasce dal copywriter e l'immagine dall'art director, ma quello che tiene in piedi un'idea creativa non è né il testo né l'immagine; è, appunto, l'idea. E l'idea sta nella fusione di testo e immagine, nel modo in cui lavorano tra loro, che poi è il motivo per cui il brainstorming si fa in coppia.

Ed è anche il motivo per cui mi affascinano tanto, tra i libri, gli albi illustrati, o picture book, e il particolare rapporto che creano testo e immagine in ognuno di loro.



Vi siete mai fermati a pensare, dopo aver letto un albo, come abbiano lavorato testo e immagini nella costruzione della storia?
Ho suddiviso le possibilità in sei macrocasistiche.

I libri senza immagini.

Quando si parla di libri senza immagini vengono subito in mente i romanzi, che di immagini non ne hanno, o tutt'al più ne hanno una per capitolo. Ma qui non stavamo parlando di albi illustrati?
Be', mi viene in mente almeno un libro senza immagini, che considererei senza ombra di dubbio un albo illustrato.
Il libro senza figure, appunto, gioca sul fatto di essere un albo illustrato che non è illustrato. È un meta-libro, che parla di se stesso, giocando con il lettore, anzi, con l'ascoltatore, visto che è fatto per essere letto ad alta voce, ma anche per essere guardato.



Perché il meccanismo del libro funzioni, il bambino dovrà seguire con lo sguardo le parole che l'adulto legge. E solo seguendo il lettering (con i font più duri o più morbidi, i caratteri più grandi e più piccoli), chi legge potrà dare alle parole l'intenzione giusta. Sono le parole la vera immagine di questo libro (se vi ho incuriosito, scopritelo meglio nella mia recensione).


I libri senza parole.

Di contro, esistono i silent book, chiamati anche speechless book o wordless book. Insomma, lo avete capito: sono i libri senza parole. Qui sono le immagini a prendersi carico di tutta la narrazione, facendo vedere tutto quello che succede o alludendovi.
Quanto devono raccontare le immagini? Dipende. Un silent book può essere molto chiaro e dettagliato e lasciare che, tra azioni ed espressioni dei protagonisti, la storia si racconti praticamente da sola: è il caso ad esempio di Il ladro di polli, di Béatrice Rodriguez (Terre di mezzo editore).



In altri casi la storia può essere lasciata intuire, e le immagini assumono il ruolo di indizi che trasformano il piccolo lettore in detective. Un esempio? Indovina che cosa succede. Una passeggiata invisibile, in cui la storia è raccontata attraverso le impronte lasciate dai suoi protagonisti (qui la mia recensione).



Ci sono poi silent book come Il libro bianco, ed. minibombo, in cui le immagini lasciano ampio spazio all'interpretazione e chi legge può inventare ogni volta la sua storia (ne avevo parlato qui).


Piccola importante caratteristica dei silent book: possono essere "letti" in autonomia anche da un bambino che ancora non sa leggere.



Il testo descrive le immagini, le immagini descrivono il testo.

È quello che ci si aspetterebbe da un albo illustrato: ci sono delle immagini e un testo che le descrive, o più spesso un testo e delle immagini che ne illustrano alcuni passaggi.
In realtà questa è soltanto la relazione più semplice che ci possa essere tra testo e immagini.
È un meccanismo adatto soprattutto ai libri per i bimbi più piccoli, che hanno bisogno di un rinforzo visivo per seguire la storia o il senso del libro, e che ancora non comprendono i meccanismi di interazione più complessi tra le due componenti.
In L'uccellino fa... di Babalibri, ad esempio (qui la mia recensione), l'immagine serve a dare un volto ad ogni onomatopea, a ricordarla, a creare nel bimbo un primo vocabolario fatto di suoni (sebbene in questo caso non tutti gli accostamenti suono-immagine siano lineari e scontati).



Questo vale naturalmente anche per libri più narrativi: in Abbaia, George, ad esempio (che ho recensito qui), le immagini raccontano la stessa storia del libro, aiutando i bambini a seguirne le vicende, a capire dove il dottore mette le mani e a vivere lo stupore dei protagonisti.



Attenzione: quando parlo di immagini "illustrative", non intendo dire che esse non aggiungano nulla alla storia o che il libro possa vivere ugualmente senza uno dei due elementi.
Pensate a I Cinque Malfatti (se non lo conoscete, scopritelo qui) senza l'espressività e il tocco artistico delle illustrazioni di Beatrice Alemagna: avrebbe forse la stessa forza?




L'immagine che lavora sulla seconda lettura

Sottocategoria di quella precedente (o della prossima?) è quella delle immagini che a una prima lettura si limitano ad illustrare il testo, ma che a una seconda lettura, più attenta, raccontano qualcosa di più, quasi "sfidando" il lettore a trovare indizi e dettagli nascosti.

È il caso ad esempio di Ti mangio! (ne avevo parlato qui), in cui l'arrivo di ogni mostro è anticipato da un dettaglio nella scena precedente, mentre la scena finale invita a una "caccia al mostro" per scoprire dove si sono nascosti.


Ma anche libri con illustrazioni molto più semplici e meno dettagliate possono riservare piccole chicche da scoprire. Avete mai notato gli animali che inseguono il protagonista di Buongiorno postino durante le sue consegne? Vi siete chiesti perché lo facciano?


Testo e immagine si completano a vicenda.

Le ultime due categorie (questa e la prossima) sono sicuramente le più interessanti dal punto di vista del rapporto tra testo e immagine. Parliamo di libri il cui significato è retto alla pari da testo e immagini, in un rapporto in cui uno aggiunge qualcosa all'altro e senza uno dei due il libro perderebbe senso.

Possono essere casi in cui le immagini o il testo sono criptici e hanno bisogno della controparte per essere decodificati. Riuscireste a capire le immagini di Orso, buco! senza il testo?
(recensione qui)



E le parole di Tararì tararera, senza le illustrazioni?
(qui la mia recensione)



Più spesso, si tratta di libri in cui parte della narrazione scritta resta sospesa, lasciando la chiusura alle immagini. In Il signor Tigre si scatena (di cui avevo parlato qui), è solo guardando l'illustrazione che possiamo capire le tappe del protagonista verso una condizione più libera (il testo non dice mai "si toglie la giacca", o "si mette a quattro zampe": sarebbe superfluo).



È un gioco di sintesi e di equilibrio, che lima le ridondanze per lasciare solo l'essenziale, scegliendo di volta in volta se siano più efficaci le parole o le immagini per esprimere un concetto.

In Sam e Dave scavano una buca questo gioco assume il meccanismo della suspense, l'arte in cui il narratore onnisciente racconta (in questo caso attraverso le immagini) qualcosa che i protagonisti non sanno: una delle tecniche narrative più affascinanti (quanto lo amo questo libro! Scopritelo qui).




Testo e immagini contrastano tra loro.


È questo in genere il principio dell'ironia, e per questo non è molto praticato nei libri per bambini, che fino almeno ai cinque anni non la riescono a cogliere.
Maestro di quest'arte è Gilles Bachelet, che in Il mio gatto è proprio matto passa il tempo a descrivere le strane abitudini del micio di casa, mentre le immagini ci fanno inequivocabilmente vedere che si tratta di un elefante.



Oppure, in Il cavaliere Panciaterra, ci racconta di "colazioni frugali" che sono in realtà dei banchetti luculliani (scopritelo qui).



L'effetto, per un bimbo abbastanza maturo da coglierlo, è esilarante.

E che dire di Il mio nome è No!, in cui un cane descrive tutte le cose meravigliose che fa per la sua famiglia, mentre le illustrazioni ci svelano che si tratta in realtà di disastri? Non a caso il protagonista, a forza di sentirselo ripetere, è convinto di chiamarsi "No". Ne avevo parlato raccontando la mia prima lettura in biblioteca.



Ma il contrasto tra testo e immagini può veicolare anche messaggi più profondi, diventando ad esempio rappresentazione di un contrasto nella vita reale, come nel caso di Rosso, in cui il testo fa riferimento all'etichetta del pastello (rosso, appunto), mentre le immagini ci svelano la sua vera natura, quella di un colore blu (ne ho parlato qui).



Ci sono poi casi più semplici, meno spinti sull'ironia e adatti perciò anche ai bimbi più piccoli, in cui il testo dà alle immagini una lettura nuova, inaspettata. È il caso di Buon viaggio piccolino, in cui le parole raccontano dei lunghi preparativi per una partenza che in realtà, lo vediamo dalle immagini, sono solo il rituale di messa a nanna del bambino, perché il viaggio narrato è semplicemente quello verso il mondo dei sogni.



Perché è questo, alla fine, lo scopo di un bel libro: farci viaggiare. Con le immagini e con le parole.


                                 
Mi fa sorridere quando un genitore cerca libri con protagoniste femmine, magari bionde e di cinque anni, con una sorella più grande (se è un fratello non va bene!), pensando che solo trovando una situazione che rispecchi la propria i bimbi si possano riconoscere nella storia.
Il bello dei bambini, invece, è proprio questo: che possono immedesimarsi in qualsiasi cosa o persona: un adulto, un pesce, una sedia.
E naturalmente anche un dinosauro.


Uno dei motivi per cui mi piace molto la serie "Cosa fanno i dinosauri quando..." (di cui avevo già parlato qui), di Jane Yolen e Mark Teague, editrice Il Castoro, è proprio il modo in cui delinea i protagonisti, che sono dinosauri e bambini al tempo stesso.

La struttura è sempre la stessa: parte con la domanda "Cosa fa un dinosauro quando..." (quando è ora di dormire, quando è ora di mangiare, ecc) e disegna una serie di situazioni tipiche del comportamento dei bambini più testardi e pasticcioni. Quelli che non vogliono andare a letto, che pasticciano col cibo. Tutti, insomma.

E di fronte a queste situazioni, il libro specifica che "no!": i dinosauri non si comportano così: sono educati, tranquilli, composti e ubbidienti. Lo fa con una struttura a rime, ritmata, che cattura i bambini e li aiuta a imparare a memoria il testo.

Cosa fanno i dinosauri quando hanno il raffreddore? è l'ultimo uscito di questa serie, ed esorcizza la tipica ritrosia dei bimbi verso la visita dal dottore, le medicine da prendere, il comportamento migliore per guarire.



L'effetto esilarante di vedere questi bestioni in un contesto dimensionato per umani (come sono il dottore, ma anche i genitori del dinosauro) rende ironica anche la componente "educativa" del libro.
In fondo, sembra quasi più ridicolo vedere un dinosauro seduto tranquillo, che ingoia composto delle pillole minuscole, piuttosto che il dinosauro "bambino" delle prime pagine, chiassoso e riottoso, che tiene la bocca ben chiusa invece di farsi visitare la gola.


È anche questa la forza di questi libri: mentre "insegnano" ai bambini come si devono comportare, suggeriscono anche agli adulti che in fondo hanno in casa dei piccoli dinosauri, e devono prenderli così come sono.


Come negli altri libri della serie, ogni pagina riporta in didascalia la specie di dinosauro raffigurata, per soddisfare le curiosità tassonomica dei piccoli di casa.

E se anche i vostri piccoli paleontologi riconoscono tutte le specie di dinosauro, potete giocare con loro non solo al medico, ma anche all'oculista, stampando il mio pdf scaricabile con la tavola optmetrica preistorica.


Appendetela al muro e giocate con loro a riconoscere da lontano anche le figure più piccole.
Voi misurerete i decimi ai vostri bimbi, e loro la vostra preparazione sui dinosauri.


       
Vi divertite mai a inventare dei "superpoteri di famiglia"? Noi lo facciamo spesso: il Piccolo T ha il super-salto sul materasso, il Piccolo D la super-puzzetta, papà il super-lancio di pallone e io il super solletico.


Super P, invece, ha la super-pipì.
Una pipì così potente che può riempire intere piscine e fare centro in un wc da metri di distanza.


Quando un giorno, in città, arriva l'abominevole Uomo delle Nevi, Orsetto si rivolge fiducioso a Super P, il suo supereroe. Ma Super P non si sente tanto super, e chiede a sua volta aiuto a dei supereroi più classici: Superman, Spiderman, Batman.


Tutti, però, hanno altro da fare: curarsi il raffreddore, aspettare che la mamma rammendi la super-tuta, fare la nanna.
È proprio il caso che Super P si dia da fare e dimostri da solo quanto vale. Ce la farà a sconfiggere il temibile nemico?


L'universo descritto da Benjamin Leroy e Jaap Robben in Super P (scritto in font ad alta leggibilità e edito da Sinnos) è un mondo fatto di bambini, in cui gli adulti ci sono, ma fanno da contorno. È come se quella del protagonista fosse un'avventura della fantasia, incorniciata dai piccoli ostacoli che fanno da contorno a ogni gioco: l'amico malato, quello che non può uscire.
Anche i supereroi sono tutti bambini (tranne He-Man: lui è un vecchietto ormai troppo lento per salvare l'universo), e a festeggiare il protagonista al termine della sua impresa sono bimbi e animaletti insieme: i perfetti abitanti dell'immaginazione.

Tutta la storia di Super P, insomma, può essere letta come un gioco, o forse una scusa per giustificare quel piccolo contrattempo che ha bagnato la sua tuta.
Ma che importa: quello che conta è divertirsi con il proprio superpotere, qualunque esso sia.

A proposito, volete anche voi diventare dei supereroi e salvare degli innocenti con un super-getto?


Prima di tutto, mettetevi nei panni dei cattivi e intrappolate degli ostaggi: vi serviranno dei personaggi piccoli piccoli (quelli delle sorpresine degli ovetti, ad esempio) e dei piccoli contenitori: io ho usato dei bicchieri di plastica.
Rieempite i contenitori d'acqua fino a sommergere i personaggi, poi infilateli in freezer.

Ed ecco le vostre vittime innocenti intrappolate in un blocco di ghiaccio.


Per liberarle, usate uno spruzzino, o un gioco da bagnetto, e cercate di sciogliere il ghiaccio.
Il gioco può diventare una gara a chi libera per primo il personaggio.
Oppure si può trasformare in un piccolo esperimento scientifico: funziona meglio l'acqua calda o quella fredda? Quella dolce o quella salata?


Quello che conta è sentirsi degli eroi!

PS: per esercitarsi nei piccoli gesti eroici quotidiani, il risguardo di Super P contiene un adesivo da attaccare al wc, così i vostri piccoli supereroi potranno allenarsi a prendere la mira.


Leggere ad alta voce è sempre un rapporto a tre: il lettore, il libro, il bimbo che ascolta.
Un rapporto sinergico, in cui libro e lettore lavorano insieme per dare vita a un racconto che il bambino accoglie. È questa sinergia che permette di superare la materialità del libro e di entrare nell'immaterialità della storia.

Ma cosa succede se tra il libro e il lettore si rompe qualcosa?
Può accadere, a volte, quando un libro è scritto male, o quando per varie ragioni non rientra nei gusti di chi lo legge. Allora il lettore lo legge svogliatamente e non riesce a trasmettere quello che vorrebbe.

Oppure può accadere di proposito, perché è il libro stesso a rompere questo legame (per finta, però). E allora il risultato è esilarante.


Il libro senza figure inizia dando voce alla perplessità che sicuramente avrà colto i piccoli lettori guardandolo:
Penserai che non è tanto divertente farsi leggere un libro senza figure.


Poi, però, svela a tutti un segreto-non-segreto sulla lettura ad alta voce: l'adulto che legge deve leggere tutto quello che c'è scritto sul libro. Proprio tutto.
È così che funzionano i libri, giusto?

Èd è così che Il libro senza figure di B.J. Novak inizia a far dire a chi lo legge le cose più strane e buffe.


Lo svelamento di quella che è la regola tacita (il lettore che deve "obbedire" al testo) provoca un effetto straniante e comico al tempo stesso.
Il libro prosegue con una doppia voce, caratterizzata da due tipologie di lettering diverso: in grande, c'è la voce "ufficiale" del libro, in piccolo (li immaginiamo sussurrati quasi di nascosto, come se il lettore non volesse farsi sentire dal libro stesso) i commenti del lettore che cerca di ribellarsi a tutte le cose assurde che gli fa dire il libro.

Tra queste, suoni onomatopeici di ogni tipo, ammissioni imbarazzanti, lodi al bambino che ascolta e che ha scelto proprio un bel libro da farsi leggere.


I bambini che ascoltano (in una lettura di gruppo funziona ancora meglio) si divertiranno moltissimo vedendo il lettore ridicolizzato da un libro, e forse avranno anche l'occasione di riflettere su cosa significhi leggere ad alta voce.

Il modo migliore per rendersi conto di quanto possa essere esilarante Il libro senza figure Ã¨ ascoltare una lettura del suo stesso autore (in lingua originale):



Nel libro senza figure un ruolo fondamentale è giocato dal lettering.
Un font diverso e una diversa dimensione "impongono" al lettore toni e volumi di voce molto diversi.
È come se le immagini, che il libro non ha, fossero in realtà all'interno delle parole stesse.

Se lo leggete a un bambino in età scolare (in generale il libro è adattissimo già a un pubblico dai tre anni), potete poi giocare con i font e con le scritte, notando come il modo di scrivere possa influenzare la lettura.

Come direste "buongiorno" in questi tre casi?


E chi vi fa più paura in queste due scritte? Cappuccetto Rosso o il lupo?


Divertitevi a giocare con le parole e il modo di scriverle: fatele disegnare e interpretatele, o disegnatele voi e lasciatele interpretare a loro.

Se tutto va bene, cresceranno consapevoli che al mondo non esiste solo il Comic Sans. ;)

Conoscete la Giornata dei calzini spaiati?
Nata dall'idea dei bimbi di una scuola primaria friulana, è stata diffusa dalla loro maestra e da alcuni clown volontari di VIP - viviamo in positivo, associazione di clowterapia.
L'idea è di "vivere spaiati" per un giorno (quest'anno è domani, venerdì 9 febbraio), indossando due calzini diversi, per colorare i piedi, il mondo e la vita.

Se la cosa vi piace, fatevi anche una foto e pubblicatela sui vostri profili social, o sulla pagina Facebook ufficiale dell'evento, con l'hashtag #calzinispaiati.


E qui sul blog, che si fa?
Visto che essere "spaiati" ci piace un sacco, abbiamo raccolto dai vecchi post un po' di idee, giochi e ovviamente libri per divertirci insieme. Tutto a tema calzini, naturalmente.

La lavatrice in scatola.

Iniziamo da lei: la responsabile della presenza di così tanti calzini involontariamente spaiati nel mondo: la lavatrice.
Se avete una scatola delle dimensioni giuste, potete costruirne una usando il tutorial che avevo pubblicato tempo fa.
Perfetta per il gioco simbolico, vi permetterà di lavare e stendere tutti i calzini che volete.

La lavatrice formato quiet-book.

Se invece volete optare per una soluzione più portatile, costruitela in feltro, preparando un quiet book con tanto di filo per stendere i panni.
Anche in questo caso, potete affidarvi al mio tutorial.

Il tunnel pieno di calzini.

E se di calzini spaiati (ma anche calze) ne avete proprio tanti, e avete anche un piccolo gattonatore per casa, riciclateli costruendo un tunnel di cartone per rendere più movimentate le sue prime avventure a quattro zampe.
È stata una delle prime creazioni per i miei bimbi, e anche il primo post di Nuvole in scatola.

Il calzino George.


Cos'altro creare con un calzino in più?
L'eroe di un libro, ad esempio.
Abbaia, George è uno dei libri più divertenti che abbiamo mai letto, ed è diventato, sotto forma di calzino, il protagonista di un gioco che ha divertito molto il Piccolo T e anche parecchi bambini alla mia prima lettura in biblioteca.
Scoprite come costruirlo nel mio post.


Le calzette.


E non poteva mancare un libro che parla proprio di calzini coloratissimi e dispettosi: Le calzette, di Matthieu Maudet.

Divertente, spiritoso e fantasioso, ha lo spirito perfetto per celebrare in allegria la giornata più spaiata di tutte.

Si spai chi può!


 
"Mamma, mi dai una fetta di torta?"
"Per..."
"Per me!"
(io e Piccolo T, qualche anno fa)
 
Le buone maniere non sono affatto intuitive. Se ci pensate, non rientrano nelle funzioni basilari della comunicazione. Il messaggio passa ugualmente, anche senza un "per favore" o un "grazie", e per un bimbo che sta imparando a formulare bene le frasi, economizzare sulle parole è importante.

Per le buone maniere vale ciò che vale per tutto il resto: per insegnarle in modo efficace, serve il buon esempio, e magari un po' di divertimento.


Per favore signor Panda non è un libro sulle buone maniere, nel senso che l'insegnamento non è la prima cosa che emerge leggendolo.
Emerge invece l'irresistibile flemma del panda, che con lo sguardo annoiato che gli dipinge Steve Anthony, offre ad altri animali (tutti bianchi e neri come lui) delle belle ciambelle colorate.


Gli animali (quasi tutti) accettano, e con fare un po' perentorio scelgono il dolcetto preferito.
Ma il panda cambia idea.


Prima delle buona maniere, insomma, emerge questo: la forza ironica delle illustrazioni, la comicità del gesto di questo animale gigante, che prima offre e poi va via, ripetutamente, senza dare spiegazioni.
Poi arriva lui, un lemure (almeno credo). Arriva in modo curioso, perché lo vediamo emergere dal bordo inferiore della pagina, mentre il panda è a testa in giù (è il lemure che è appeso, ma la scena è rappresentata dal suo punto di vista).


Come "spoilera" il titolo, il lemure chiede "per favore", ma anche il finale, pur premiando la gentilezza, non è affatto scontato e strappa una risata.

Non ci sono insegnamenti pedanti, non ci sono spiegazioni didascaliche. C'è soltanto una storia basata sulla ripetizione e sulla variazione (il piacere del già visto, il gusto della scoperta). Una storia che fa ridere, da leggere e rileggere, e un personaggio che "vince" sugli altri grazie al suo comportamento.
Nessuna regola, solo il buon esempio e il divertimento. È così che si impara meglio.

Piccola nota: la qualità di un libro è anche nei dettagli.
Sapete cosa sono i risguardi? Sono le due pagine che si trovano all'inizio e alla fine di un libro, quelle che "incollano" la copertina al resto delle pagine. Sul mio profilo instagram ho iniziato a raccoglierne alcune immagini. Di solito sono bianchi o con motivi decorativi. A volte, oltre a decorare, raccontano, aggiungendo qualcosa al libro.
Come in questo caso: il primo risguardo è una texture di coloratissime ciambelle, tra le quali si mimetizza un personaggio che conosceremo poi nel libro. Nel risguardo finale, tutte quelle ciambelle non ci sono più, e qualcuno ha la pancia piena.


Potevo non inventare un gioco su Per favore signor Panda?
Dal fascino grafico delle ciambelle, rotonde e con la glassa colorata e decorata, mi sono lasciata ispirare per un gioco a carte semplice, veloce e adatto anche ai più piccoli.

Nel pdf stampabile troverete quattro diversi tipi di carte: tre per formare una ciambella (la base, la glassa in tre colori diversi e la granella colorata) e una carta "per favore".

Volete giocare? Scaricate il pdf, ritagliate le carte e plastificatele o incollatele su un cartoncino.


Si gioca da 2 a 4 giocatori (forse 5: non abbiamo provato).

Scopo del gioco è preparare tre ciambelle con la glassa di tre colori diversi, combinando le tre diverse componenti: base, glassa colorata e granella.

Si distribuiscono due carte a ogni giocatore e si lascia in mezzo il resto del mazzo, girando una prima carta di “scarto”.
Si gioca in senso orario.
A ogni turno, il giocatore pesca una carta, prendendola dal mazzo o (solo se può usarla subito) dal mazzo di scarto, quindi esegue un’azione:
1. se ha “fatto una ciambella” (cioè se ha le tre carte con la base, la glassa e la granella), può mettere le tre carte scoperte davanti a sé, poi pesca altre due carte per averne nuovamente due in mano.
OPPURE
2. Se ha una carta “per favore” può giocarla, prendere una ciambella già fatta da un avversario (però chiedendo per favore!), e metterla davanti a sé.
OPPURE
3. Se non ha le tre carte per formare una ciambella, né una carta “per favore”, scarta una carta a scelta.
Il turno passa al giocatore successivo.

Quindi: ogni turno inizia sempre pescando una carta. Alla fine del turno il giocatore deve avere sempre due carte in mano, quindi scarta o pesca finché ne ha due.

Vince chi riesce a mettere davanti a sé tre ciambelle di tre colori diversi.



"Mamma, ma con la carta Per favore uno non dovrebbe prenderle tutte le ciambelle?"
(ma perché l'ho fatto così precisino, mio figlio?)





Ci sono mille leggende su come nascono i bambini: sotto un cavolo o portati dalla cicogna, influenzati dalla luna nuova o piena. Non ci sono molte storie, però, su come nasca un genitore.
Forse è perché succede da adulti, e si pensa che gli adulti non abbiano più bisogno di storie. O forse perché si pensa che le storie debbano essere per forza delle storie inventate.


Quello di cui vi parlo oggi non è un libro per bambini. E in un certo senso non è nemmeno un libro per genitori, o meglio, non per genitori qualunque.

Un bimbo mi aspetta parla soprattutto a chi un bimbo lo ha nel cuore, ma non ancora a casa sua.
Un bimbo mi aspetta Ã¨ il diario di un'adozione. Un diario reale, di un papà reale, che ha adottato una bimba reale.
Ve lo devo dire: Arnaldo, il papà che ha scritto questo diario, è uno dei miei amici più cari, e la storia di questo libro un po' l'ho vissuta anch'io, dai suoi racconti, dalle sue emozioni. Arnaldo è una persona incredibile, un vulcano di idee e di iniziative, ma soprattutto un uomo dalla sensibilità profonda e mai banale (no, non lo sto promuovendo sul mercato: è felicemente sposato!).


Sulla pagina Facebook ha iniziato a raccogliere i suoi pensieri sul percorso che stava affrontando.
Lo ha fatto come se parlasse a quel bimbo (una bimba, si è poi scoperto) che stavano aspettando, o meglio: che stava aspettando loro.

Sì, perché è questo il ribaltamento di prospettiva che fa Arnaldo: parla dell'adozione non come un'attesa del genitore, ma come quella di un bambino.
Il bambino esiste già, è già nato. Ed è solo, da qualche parte nel mondo, ad aspettare due genitori che possano dargli una famiglia.
La cicogna, immagine-simbolo del libro, non porta il solito fagottino neonato, ma mamma e papà.


Arnaldo parla alla bambina con grande emozione, o forse sarebbe meglio parlare di emozioni al plurale.
C'è l'impazienza dell'attesa, l'amore verso la famiglia, la rabbia di scontrarsi (in ordine sparso) contro la burocrazia, le procedure, la natura che non funziona come dovrebbe, le domande dei conoscenti, le cure, gli speculatori.



Il testo è una valanga di pensieri e di emozioni, attraversa ritmi e toni di voce diversi.
È poetico quando parla del suo amore per la moglie, scherzoso quando insegna qualche cosa a Mia, come se fosse lì accanto a lui con i mille "perché" di ogni bambino, allusivo quando racconta, senza troppi dettagli, il percorso della fecondazione artificiale.
Ed è magico, sempre, perché se c'è una cosa che traspare da questo libro è che sia necessario credere alle favole per farle avverare.

In queste pagine, Arnaldo parla a Mia, ma si firma solo "papà": è un papà, uno qualsiasi, che racconta alla sua figlia adottiva tutto quello che ha fatto, e soprattutto quello che ha provato, per averla.

Un bimbo mi aspetta Ã¨ un libro sull'essere genitori adottivi, ma in fondo, sull'essere genitori e basta.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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