Nuvole in scatola
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L'infanzia e l'adolescenza non sono fatte di sfumature.
Ci sono i buoni e i cattivi, le cose belle e le cose brutte, la disperazione che ti fa piangere a singhiozzi e la felicità che non ti lascia stare fermo. Nulla è così profondamente bambino come la polarizzazione.

rime chiaroscure

E credo che questo sia uno dei motivi per cui la poesia è così poco frequentata nelle letture ai bambini: perché è fatta di dettagli, di sfumature, di sensi mediati e nascosti.

E poi arriva lui: Rime chiaroscure.
Un titolo che nasce da un gioco di parole tra i nomi dei due autori – Chiara e Bruno – e che diventa esercizio di stile e di senso.
Loro, Chiara Carminati e Bruno Tognolini, sono due nomi giganti nella poesia per bambini, cantori abilissimi di sentimenti e sensazioni, e in questo volume giocano ad esprimere il lato bello e il lato brutto di ogni cosa.

Lo fanno proprio come farebbe un bambino: il lato bello è eccitante, entusiasmante, quello brutto fa arrabbiare, intristire. Senza sfumature. E proprio come accade nella testa di un bambino, i due lati convivono nello stesso oggetto, nella stessa situazione, senza contraddizioni.

E così, la colazione può essere un incanto di sapori dolci che sveglia la bocca, ma certi giorni è solo qualcosa di inutile e fastidioso che ti ha strappato al sonno.

rime chiaroscure

Un fratello può essere un tuo alleato che respira con te, ma anche (ed è sempre lui, lo stesso fratello!) un limite che ti costringe a dividere a metà ogni cosa, senza viverla appieno.

E un vestito? Può essere un potente mezzo di espressione:

Maschere splendide sono i vestiti
come stagioni ci fanno fioriti
E siamo uccelli coi loro piumaggi
e siamo storie con i personaggi
(...)


Ma può essere anche un limite insopportabile alla propria libertà:

Giacche che incartano, maglie che ingolfano
Braghe che imbustano, calze che tritano
(...)


La sinergia dei due autori si concretizza nella scrittura in formule diverse, che sono spiegate da una nota in coda al libro.
La prima sezione, Rime di mondo, in cui uno stesso tema è sviscerato nel suo aspetto chiaro e nel suo aspetto scuro, è scritta interamente a quattro mani.

Per le Rime di tempo, il nucelo originario del libro, dedicato agli aspetti positivi e negativi dei mesi dell'anno, Bruno ha scritto una parte e Chiara l'altra, ma non ci è dato sapere chi abbia scritto cosa (fare supposizioni, per chi conosce i due autori, è un interessante esercizio di analisi).

Non più inverno e non ancora primavera
Sole pallido e poi nuvole alla sera
Sciocco marzo, non capisco a cosa servi
Sciocco mese che mi fa venire i nervi.

Però marzo, a me piace quando canti
Inseguendo le canzoni dei tuoi venti
Mille venti gialli e verdi appena nati
Che mi invitano a rincorrerti nei prati.


Infine arrivano le Rime di coppie, in cui poesie dedicate a elementi contrari o contrapposti vengono presentate l'una accanto all'altra, su due pagine affiancate: e così leggiamo Dentro e Fuori, Mare e Montagna, Cane e Gatto, Fare e Non fare.
Qui ogni poesia nasce da un singolo autore, ma per scoprire chi è bisognerà consultare l'indice.

rime chiaroscure

Le illustrazioni al tratto di Pia Valentinis non potevano che essere in bianco e nero, e riescono con semplicità a dare conto del turbine di emozioni nascosto in ogni verso.

L'aspetto sorprendente di Rime chiaroscure è che riesce a ottenere il contrario di ciò che fa: mostrando l'inconciliabilità delle due visioni, insegna la resilienza (ma anche la "normalità" del crogiolarsi a volte nelle proprie parti più buie).
Cantando gli opposti, insegna a cogliere le sfumature.

E nel frattempo, ricorda agli adulti quel mondo fatto di bianchi e di neri dove anche loro hanno abitato.
Quel mondo in cui non fare nulla, a volte, era l'impegno più importante:

Non disturbatemi
Io sto facendo un lavoro tremendo
Quando son fermo
Sono impegnato: io sto crescendo.


Molto prima di imparare a scrivere, i bambini imparano a disegnare.
Quello che non imparano mai abbastanza presto, invece, è che disegnare non è una gara o una performance su cui essere giudicati, ma può essere anche, secondo lo scopo che si dà al disegno, un'attività di puro piacere, oppure uno strumento di comunicazione in cui l'importante non è creare opere d'arte ma essere capiti.


È per questo che amo Stick Dog. E anche perché anch'io, in effetti, disegno così così.

Ve lo ricordate? Vi avevo già presentato il primo titolo, Il diario di Stick Dog, un anno fa.
Ora, sempre per Le Rane di Interlinea e sempre con la traduzione di Marina Vaggi, è uscito anche il secondo capitolo della saga di Tom Watson: Stick Dog vuole un hot dog.

L'hot dog, in realtà, appare quasi solo nel titolo, perché poi, come viene specificato all'interno, per evitare bisticci di parole tra il protagonista e il panino, si parlerà sempre di "salsicciotti" (traduzione più efficace e coinvolgente del semplice "wurstel", perché contiene nel suono qualche accenno onomatopeico al gusto di morderli).

stick-dog-2

Anche questa volta, la storia è raccontata da un bambino che non sa disegnare bene.
E mette subito le cose in chiaro:

Ancora una cosa prima di cominciare. Il fatto di non essere bravo a disegnare è una cosa che accetto e con cui convivo. Ma ho bisogno che lo accettiate anche voi. In altre parole: mettiamoci d'accordo: non mi dovete interrompere quando i disegni sono particolarmente brutti.
 

stick-dog-2

E così, su questa carta simile a un quaderno, il bambino inizia a raccontare l'ultima avventura di Stick Dog, che ricalca da vicino la precedente.
Anche questa volta c'è un obiettivo mangereccio da raggiungere (il carretto degli hot dog), e anche questa volta gli amici di Stick Dog inventano i piani più strampalati e lui, da vero leader, sarà in grado di gratificarli senza farli sentire troppo sciocchi, e convincendoli che la loro idea è fantastica ma purtroppo irrealizzabile, quindi è meglio cercare altro.

Meravigliosa è l'ingenuità dei cani della gang, che osservano dall'esterno la vita umana, interpretandola a modo loro, con tutto il candore di chi non sa di non sapere, come quando Karen dice di essere capace di leggere le ore:

Le due. Le sette. Le cinquantatré. Le pomodoro. Tutte quante!



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Più ancora del capitolo precedente, Stick Dog vuole un hot dog è un elogio dell'inconsapevolezza, tanto che la riuscita dell'operazione non si dovrà a uno dei calcolatissimi piani del capobanda, ma a un evento del tutto casuale e inatteso.

La prosa scorre veloce tra azione e dialoghi incalzanti. I caratteri grandi stampati su righe ben distanziate sono intervallati dai disegni di un illustratore (Ethan Long, sugli schizzi dello stesso Tom Watson) che in realtà, è evidente, sa disegnare benissimo, così bene da riuscire a fingere di non saperlo fare, dimostrando così che poche linee e pochi "stecchi" possono comunicare perfettamente, anche se non si sa disegnare bene.

E voi? Avete mai provato a disegnare degli animali usando solo triangoli, rettangoli, cerchi e qualche stecco? 

stick-dog-2

Può essere un esercizio di stile interessante per sbloccare qualche bambino insicuro nel disegno.
O qualche adulto, forse (io me la sono cavata così).


La pagina bianca, metaforica o letterale che sia, è l'inizio di ogni atto creativo.

harold e la matita viola

Harold e la matita viola inizia appena un passetto più in là: da una pagina già scarabocchiata.
Da qui, il piccolo Harold inizia a organizzare il suo gioco, prima casuale, e creare la sua passeggiata. Con la sua matita in mano, disegna la strada su cui passeggia, tutti i paesaggi che incontra, e poi veicoli, scenari e comparse della sua avventura notturna.

harold e la matita viola

Harold e la matita viola è un piccolo capolavoro dell'americano Crockett Johnson, riportato in Italia dopo molti anni di assenza in una curatissima edizione di Camelozampa (prendetela in mano e godetevi la qualità della carta e l'effetto gommato della copertina), con l'attenta traduzione di Sara Saorin.

Stiamo parlando di un albo del 1955, ma che conserva intatta la sua forza narrativa, fatta di segni grafici minimali, un'idea creativa semplice ed efficace e una profonda immedesimazione nel sentimento infantile.

harold e la matita viola

Bastano due colori che si esprimono in tratti semplici e netti, per raccontare l'avventura di Harold: il marrone scuro del protagonista (lo stesso usato per il testo) e il viola della sua matita e dei segni che traccia.

L'espressione di Harold muta pochissimo da una pagina all'altra: pochi tratti bastano per esprimere il suo impegno nel gioco, la sua curiosità verso ciò che sta facendo, il suo candore. Il suo pigiama bianco lo rende ancora più neutro, ancora più adatto ad essere inserito in qualsiasi contesto, qualsiasi avventura si possa immaginare.

harold e la matita viola

Il congegno narrativo, che vede Harold disegnare le stesse avventure che vive, solo all'apparenza si ripete uguale a se stesso. In realtà, ogni scena vede nascere una piccola variazione nel meccanismo creativo del bambino.
La parabola del racconto vede il piccolo protagonista guidare il gioco con sicurezza, per poi finire sopraffatto da esso, prima di riuscire a riprendere in pugno la situazione. Nel climax dell'avventura, a Harold trema la mano, tanto che senza rendersene conto disegna le onde di un oceano nel quale rischia di annegare.

harold e la matita viola

Così come le immagini, anche le parole di Harold e la matita viola sono misurate, esatte, perfettamente cucite sul racconto.
In tutto il testo non viene mai usato il verbo "disegna": lo svelamento della reale attività di Harold romperebbe l'incanto del suo gioco, infrangerebbe la sospensione dell'incredulità che è propria di Harold stesso, prima ancora che del lettore.

E così, Harold "fa" un albero e "scopre" che si tratta di un melo, quasi come la sua matita agisse per volontà propria.
E quando "fa" una barca, non disegna la vela, ma la "issa", come fosse una vela reale e non un semplice segno della sua matita.

La luna, primo elemento che Harold disegna, resta la costante del suo gioco, l'elemento che gli consentirà di restare ancorato alla realtà.

harold e la matita viola

Harold e la matita viola raccoglie un compendio dei meccanismi di ogni gioco di fantasia: l'immersione totale nel mondo della fantasia, il compiacimento del bambino di fronte alla propria creatività, lo stupore, lo smarrimento di quando la storia creata prende il sopravvento e, per un attimo, esce dal controllo del suo creatore, fino alla noia e al desiderio di chiudere la storia.

Non stupisce che questo albo si sia mantenuto così giovane nonostante gli anni, perché è un albo eterno, come eterni sono il gioco e la fantasia.


È talmente potente l'idea di poter disegnare il proprio mondo e interagire con esso, che abbiamo voluto provarci anche noi. Sulla carta, naturalmente.
L'idea è ritagliare un personaggio da una rivista, un catalogo, un giornale, incollarlo su un foglio bianco e provare a immaginare tutto il resto.

harold e la matita viola

Come primo personaggio, abbiamo scelto proprio Harold, ritagliandolo dal catalogo di Camelozampa (adoro i cataloghi delle case editrici: sono materia perfetta da ritagliare e riutilizzare).

harold e la matita viola

Lo abbiamo portato nello spazio, a bordo di un'astronave, e poi gli abbiamo messo un pallone ai piedi, e una rete davanti.

harold e la matita viola

Il nostro Harold non si è disegnato un portiere. Gli piace vincere facile.


"Per essere perfetta le mancava solo un difetto", disse Karl Kraus in un suo celebre, arguto aforisma.
Adoro i paradossi, soprattutto quando nascondono delle verità.

tre casi per l investigatore wickson alieni

Ed è proprio da un paradosso che nasce il protagonista di questo libro, Wickson Alieni, un investigatore che ha una particolarità: non avere nulla di particolare.
E siccome non ha nulla di particolare, passa sempre inosservato, così inosservato che riesce a spiare, senza essere visto, i piani dei più terribili furfanti della città.

Inizia così, con questa curiosa presentazione, Tre casi per l'investigatore Wickson Alieni, breve romanzo di Luca Doninelli che nel 2019 ha vinto il premio Strega.

tre casi per l investigatore wickson alieni

 Prima di entrare nel vivo dell'azione, l'autore introduce i personaggi, tutti a modo loro assurdi: tra essi, il commissario che ha un solo capello di nome Filippo (no, non ho usato una sintassi sbagliata: Filippo è proprio il nome del capello, non quello del commissario) e che passa tutto il giorno dal barbiere, oppure la signora Gialtruda, che nel suo sgabuzzino nasconde le cose più assurde, come mitragliatrici, battelli a vapore e macchine rovescia-cielo. 
E poi c'è Londra: anch'essa, a modo suo, è un personaggio. È qui che si svolgono i tre casi narrati dal libro, ma più che fare da sfondo, Londra ne diventa il tema portante. Il libro è infatti pervaso da un incessante umorismo basato sugli stereotipi inglesi e londinesi.

Non a caso, i tre furti messi in atto dai due cattivi di turno (sempre gli stessi, perché nel microcosmo di Wickson Alieni non c'è spazio per altri personaggi) riguardano tre elementi fortemente legati all'immagine tipica di Londra: nel primo racconto vengono rubate le nuvole, nel secondo le aringhe, nel terzo addirittura le cinque del pomeriggio, l'ora tradizionale del te'.

Surreale è la risoluzione di ogni caso, che in realtà è già risolto in partenza, o quasi: la caratteristica di Wickson Alieni, quella di passare inosservato, gli permette infatti di presenziare alle riunioni dei malvagi di turno senza essere notato, tanto da porre addirittura ai propri antagonisti delle domande dirette ("Perché volete rubare le nuvole di Londra?") alle quali costoro rispondono senza accorgersi di lui.

tre casi per l investigatore wickson alieni

È evidente quindi che Tre casi per l'investigatore Wickson Alieni non fonda la sua attrattiva su misteri e suspence: l'aspetto investigativo è soltanto un espediente per tratteggiare personaggi, vicende e situazioni surreali.
La scrittura ha una vena umoristica manifesta e molto riuscita, con appena qualche nota inelegante, negli appellativi offensivi che a volte si scambiano i protagonisti.
Le poche illustrazioni alleggeriscono un testo già di per sé molto scorrevole, senza apportare molto di nuovo. La lettura è un susseguirsi continuo di sorprese, trovate, assurdità irresistibili, in cui la voce del narratore è molto presente e si fa complice del lettore, ammettendo anche, a volte, la propria ignoranza su alcuni fatti.

Tra le righe, lo humour assume a tratti delle note di satira sociale: il cattivo Milton Bobbitt, ad esempio, è così inglese che odia gli inglesi perché non sono abbastanza inglesi, per non parlare dei giornalisti, che sono sempre gli ultimi a sapere le cose, perché stanno sempre chiusi nella redazione del giornale.

Il rischio della ripetizione, dato dalla proposta di tre casi apparentemente così simili tra loro, è abilmente superato dall'introduzione di nuovi elementi, di piccole apparenti contraddizioni che trovano sempre una spiegazione coerente (seppur surreale) o dal continuo alzarsi dell'asticella dell'assurdo.
Finito il libro, vi verrà voglia di continuare a ridere, di prenotare un aereo per Londra, o perlomeno di bervi un buon tè. Sempre che qualcuno non vi abbia rubato le cinque del pomeriggio.


Si dice che i genitori siano i primi eroi dei bambini.
E lo sapete perché? Perché i bambini credono a tutto quello che dicono. O quasi.

l esilarante mistero del papa scomparso

Non è molto credibile, in effetti, il protagonista di L'esilarante mistero del papà scomparso, che per giustificare una commissione durata un po' più del previsto, racconta imprese eroiche ai propri bambini.

Nasce dal genio di Neil Gaiman questo scoppiettante romanzo di Mondadori illustrato da Chris Riddel (traduzione di Giuseppe Iacobaci), che esordisce con un incipit molto quotidiano: è ora di colazione, la mamma è in viaggio per lavoro, il latte è finito e il papà scende a comprarlo.

l esilarante mistero del papa scomparso

Il primo capitolo contiene, sulla linea temporale, quasi l'intera storia: il papà esce di casa, i bimbi aspettano, e aspettano, e aspettano, il papà torna.
Ma questa cornice è soltanto l'espediente narrativo che dà il via a una serie incredibile di avventure. Perché il papà ci ha messo così tanto? È lui stesso a spiegarlo, con un flashback lungo quasi tutto il resto del romanzo: proprio fuori dal negozio è stato rapito da dei viscidi e disgustosi alieni, per poi cadere dritto dritto sul ponte di una nave pirata. Una nave di un'altra epoca, però.

l esilarante mistero del papa scomparso

Sì, perché in questa serie di vicende non mancano i viaggi nel tempo, resi possibili dalla macchina inventata da Steg, geniale stegosauro inventore, ma ci sono anche antiche tribù, pony e vampiri.

l esilarante mistero del papa scomparso

Raccontati dalla prosa scoppiettante di Gaiman e dalle illustrazioni al tratto, dal taglio molto cinematografico, di Riddel, si susseguono  dialoghi surreali, paradossi spaziotemporali, molta concitazione e parecchio umorismo.

Al centro di ogni avventura, troviamo la confezione di latte, onnipresente deus ex machina che sblocca numerose situazioni e che serve ad ancorare alla realtà tutto quello che il padre racconta.

l esilarante mistero del papa scomparso

Nell'introduzione, Neil Gaiman spiega di aver scritto questo romanzo per riscattare la figura del papà, che in un suo libro precedente passa tutta la storia perso dietro il suo giornale.
La sta riscattando davvero? O sta solo dipingendo un simpatico fanfarone?
Fino alla scoperta di un piccolo dettaglio finale (niente spoiler!), il lettore resta nel dubbio e non può capire se questa avventura sia inventata o no.

Ma ha importanza sapere se è tutto vero?
In fondo, per essere un eroe, un papà non deve necessariamente viaggiare su mongolfiere in compagnia di stegosauri. Basta solo che sappia raccontare storie molto, molto belle.


Se apriamo un vocabolario, vi troviamo delle definizioni che ci spiegano cos'è una certa parola, e non certo cosa non è.
Forse soltanto chi ha dimestichezza con le dimostrazioni matematiche, che procedono spesso attraverso una reductio ad absurdum, trova normale una definizione al negativo.

Eppure in certi casi spiegare cosa non rientra in una certa categoria è altrettanto importante che descrivere cosa vi rientra.
Anche la letteratura per l'infanzia è uno di questi, perché minata da una serie di preconcetti, cattive pratiche e influenze commerciali che rischiano di far prendere a un genitore la strada sbagliata.

Se è vero che ogni oggetto dotato di pagine, copertina e un codice ISBN può chiamarsi libro, non è altrettanto giusto pensare che ogni libro per bambini vada bene per il suo divertimento, per la sua crescita, per lo sviluppo del suo amore per la lettura e per le belle storie. Non tutto ciò che è libro, insomma, è buona letteratura.

Ho raccolto in questi anni, tra gruppi social e chiacchiere con genitori, librai e bibliotecari, alcuni pregiudizi errati molto frequenti in chi vuole acquistare un libro per bambini, e ve li voglio portare come spunto di riflessione.

lettura della buonanotte

  Foto: Shutterstock 

 

Un libro per bambini non è (necessariamente) un libro di favole.

Quando una mamma e un papà aspettano un figlio, in particolare il primo, si immaginano la lettura così: il bimbo nel lettino, il genitore seduto accanto, a leggere Cappuccetto Rosso o La bella addormentata. L'ho pensato anch'io, sia chiaro.
È un'immagine stereotipata che ci arriva da libri, film, pubblicità, forse anche da ricordi un po' distorti della nostra infanzia.
Il fatto è che per un bimbo di pochi mesi favole e fiabe sono assolutamente inadatte. La trama è troppo complessa (ricordiamo che fino a 18 mesi circa i bambini non colgono i legami di causa-effetto), e così anche la modalità di lettura, completamente improntata sull'ascolto, con testi lunghi e complessi.
Le fiabe arriveranno più in là – almeno a partire dai due anni, per le primissime versioni semplificate come quelle di Attilio, per poi alzare gradualmente la complessità – ma in ogni caso, favole e fiabe sono solo una minima parte della letteratura per l'infanzia. L'esperienza di lettura ai bambini non può fare a meno di una varietà più ampia, che comprenda anche poesia e altro genere di storie, raccontate attraverso quel formidabile strumento che è l'albo illustrato.

Un libro per bambini non deve "fare qualcosa".

Togliere il pannolino oppure il ciuccio, convincere il bambino a dormire da solo, fargli mangiare gli spinaci: a volte si demandano ai libri compiti che spettano ai genitori (o anche a nessuno, perché ancora non è il momento).
I libri non fanno miracoli, ma soprattutto, non è il loro compito farli.
Se vogliamo crescere dei lettori, ricordiamo prima di tutto che la lettura è un piacere. È evasione, è immaginazione, è stimolo. Non può diventare prescrizione, non può trasformarsi in un "manuale di istruzioni".
I libri nati "per fare qualcosa" sono generalmente dei pessimi prodotti di letteratura, perché l'arte è essenzialmente inutile, e comunque non può nascere a tavolino, con uno scopo preciso.
Un libro può diventare un supporto in alcuni passaggi delicati: può aiutare a rendere leggero e divertente un argomento (guardare le cacche degli altri animali può contribuire a sdrammatizzare un argomento che per alcuni bambini è particolarmente delicato), può fare sentire il bambino compreso nelle sue esigenze (come quando ascolta la storia di un piccolo ghiro che ha paura di dormire da solo), ma non dovrebbe mai essere proposto con l'intento di ottenere un certo effetto; innanzitutto perché il bambino se ne accorge, e questo vanifica tutto, ma anche, e soprattutto, perché la lettura deve essere bellezza, e non "compito per casa".

Un libro per bambini non deve "insegnare qualcosa".

Ecco un altro pregiudizio, che nasce probabilmente da genitori che non hanno davvero amato la lettura e l'hanno vissuta come imposizione: la ricerca di un libro che "insegni" i numeri, i colori, le classificazioni degli animali, i pianeti, le buone maniere.
I "libri-dizionario" (con una sola figura per pagina, legata a un nome) e la loro versione più evoluta, i "libri-sussidiario", sono spesso noiosi sia per chi legge che per chi ascolta, e allontanano i bambini dal piacere della lettura.
Intendiamoci: anche nel panorama editoriale dedicato ai piccoli esiste la saggistica, con prodotti di alta qualità, ma il grande equivoco è limitarsi a essa, o pensare di dover necessariamente trovare un insegnamento, che sia pratico o morale, in ogni libro che si acquista.
Quindi, ben venga l'acquisto di un saggio che risponde alle curiosità del bambino, ma non dimentichiamoci delle storie e della loro bellezza, che sta anche nella loro inutilità.
A volte sono proprio le storie che non vogliono insegnare nulla a trasmettere di più.

Un libro per bambini non è la versione ridotta di qualcosa.

Qui il marketing ci ha messo lo zampino. E così in molte librerie si trovano scaffali pieni di libri "tratti da" qualcosa: trasposizioni di film o di cartoni, versioni ridotte di libri per adulti o per bambini più grandi.
Nella scelta, partiamo sempre da un presupposto: un testo (in senso lato) è un'opera che nasce in un certo formato, ed è giusto fruirne nel formato in cui è nato. Un bel film difficilmente diventa un buon libro (ne è un ottimo esempio la Disney, che produce splendidi film che si trasformano in pessimi libri), un cartone animato è nato per essere un cartone animato, un romanzo per preadolescenti non può diventare un albo illustrato per bambini in età prescolare.
C'è un panorama amplissimo di libri adatti a ogni età: a che pro anticipare i tempi proponendo delle riduzioni che non rendono giustizia all'originale?
Quanto ai cartoni: è vero che il bambino che vede il proprio personaggio preferito in copertina ne sarà attratto, perché lo conosce, ma fategli conoscere dei libri di qualità e imparerà ad amare anche quelli, apprezzandoli per quello che sono e non perché imitano qualcos'altro.

Un libro per bambini non deve rispecchiare la realtà che vivono.

Molti genitori fanno richieste come "un libro che parli del rapporto tra fratello e sorella, ma in cui il fratello sia maggiore e la sorella più piccola", oppure "un libro sul togliere il pannolino, ma in cui il protagonista usi il riduttore e non il vasino", o ancora "un libro come [inserire il titolo di un libro], ma in cui il protagonista sia maschio".
Richieste di questo tipo partono da due preconcetti sbagliati e controproducenti, per chi cerca un approccio gratificante alla lettura.
Il primo preconcetto è quello trattato più su: che il libro debba "fare qualcosa".
Il secondo, forse ancora più pericoloso, è che il bambino non sappia rispecchiarsi e immedesimarsi in situazioni diverse da quelle che vive.
La lettura ci permette di vivere vite impossibili, di visitare posti lontani o inventati, di diventare quello che non siamo e che forse non saremo mai. Leggendo possiamo essere un lupo, un gufo, un albero, un sasso. Può mai essere un problema immedesimarsi in una persona di sesso diverso o con una diversa composizione del nucleo familiare?
Grazie al cielo, il piacere della lettura passa anche attraverso l'immersione in un mondo diverso dal proprio. Non dimentichiamolo, e non sottovalutiamo le capacità immaginative ed empatiche dei nostri figli.


Avvertenze per l'uso: valgono per questo post le stesse considerazioni che avevo fatto nel post sui libri di qualità: ogni regola ha le sue eccezioni, ed è giusto far sperimentare ai bambini letteratura di ogni tipo. Crescere lettori onnivori permette loro di affinare il proprio gusto personale.
Quello che conta non è offrire soltanto menu stellati, ma far assaggiare di tutto, senza limitarsi ad hamburger e patatine per andare sul sicuro.
Per quanto bello e colorato sia lo xilofono che avete appena comprato a vostro figlio, non avrà mai la stessa attrattiva della batteria fatta da sé con pentole e mestoli. Per quanti oggetti polisensoriali gli offriate da manipolare, non saranno mai interessanti come la vostra collana e i vostri occhiali.
E in molti casi, per quanti libri compriate ai vostri bimbi più piccoli, non potranno mai pareggiare il fascino di un album di fotografie.

Let's find Momo

La fotografia è un mezzo comunicativo potente, soprattutto per i più piccoli, che riconoscono più facilmente le immagini realistiche e possono sperimentare così una versione bidimensionale della realtà.
Eppure, perlomeno in Italia, la fotografia non è molto frequentata, nell'editoria per l'infanzia. E infatti il libro di cui vi parlo oggi non arriva dall'Italia, ma dagli Stati Uniti.

È stata Maria Polita nel suo Scaffale Basso a farmi conoscere la serie di libri che il fotografo canadese Andrew Knapp ha dedicato al suo cane Momo.

Come potete vedere nel simpatico sito dedicato a questo progetto, Knapp fotografa il suo cane, un meraviglioso border collie dallo sguardo attento e giocherellone, in tante situazioni diverse, in giro per il mondo.
Momo ama nascondersi nel paesaggio, e Knapp ama fotografarlo creando composizioni di forte impatto, in cui colori, simmetrie e prospettive compongono quadri armonici in cui perdere lo sguardo.

Let's find Momo

È nata così una serie di libri dedicati a un pubblico eterogeneo, ma tutti con una costante: trovare Momo nascosto nella fotografia. Tra tutti i diversi titoli, ho scelto il cartonato pensato per i più piccoli: Let's Find Momo!

Let's Find Momo! si sviluppa così: sulla pagina di sinistra, divisa in quattro quadrati, troviamo altrettanti elementi da cercare nella pagina di destra. Tra questi, c'è Momo, che punta il naso verso l'obiettivo in un'espressione irresistibile.
Il poco testo è ovviamente in inglese, ma non è poi così indispensabile capirlo.

Let's find Momo

Gli oggetti non sono così scontati da trovare, per un bambino: tra la presentazione su fondo neutro nella pagina di sinistra e la loro collocazione ambientata a destra cambiano posizione e prospettiva. È un bell'allenamento di logica e osservazione, che aggancia l'attenzione dei piccoli grazie ai colori vivi e alla presenza di un animale che esercita sui bambini un fascino indiscusso.
In quasi tutte le fotografie fa anche capolino un orsetto di peluche un po' vintage: potete divertirvi a cercare anche quello.

Let's find Momo

Si susseguono 12 diverse tavole, con le loro tinte piene e il muso del cane che sbuca dai posti più strani e fanno di Let's Find Momo! una gioia per gli occhi, anche per i grandi.
Lo possono guardare i più piccoli, fin da prima dell'anno di età, anche solo per osservare le fotografie, mentre dai 18 mesi il libro può essere usato nella sua funzione di "cerca e trova".

C'è una sola controindicazione: sfogliare Let's Find Momo! vi farà venire voglia di comprare l'intera collezione. Oppure, di adottare un border collie.

AGGIORNAMENTO di novembre 2021: Topipittori ha acquistato i diritti del libro, e ora potete trovare Dov'è Momo anche in italiano!


Vi viene in mente qualcosa di più divertente della matematica?
Ok, ok: non iniziate con l'elenco.
Però forse la colpa non è solo della matematica. Forse si può cercare un approccio diverso, che ne mostri il fascino e ce la faccia diventare più simpatica.

Sono il numero 1

Lo fa, con grande efficacia, Anna Cerasoli in Sono il numero 1. Come mi sono divertito a diventare bravo in matematica! (Feltrinelli kids), un breve "saggio romanzato" che mostra ai bambini qualche lato inaspettato della matematica, quella quotidiana e quella più astratta.

Forse per dare alle spiegazioni un taglio più amichevole, il libro è scritto in forma narrativa: il protagonista racconta in prima persona l'arrivo di una nuova insegnante, che cambia approccio didattico, spiegando ai bambini la matematica in modo diverso: raccontandone la storia, sviscerandone i meccanismi, portando esempi della sua utilità pratica.

Sono il numero 1

Si tratta di un espediente che non aggiunge molto al libro e forse non era necessario: anche senza le introduzioni del piccolo protagonista, che cita qua e là qualche episodio avvenuto in classe e il nome di qualche compagno, il libro avrebbe conservato intatto il suo fascino, proprio perché raccontare la matematica in un certo modo ne fa scoprire gli aspetti più meravigliosi.

Sono il numero 1 inizia con un po' di storia: come facevano gli uomini a contare, prima dell'invenzione dei numeri, e come mai alcune notazioni sono più efficaci di altre.
Se tutto questo vi sembra noioso è solo perché non lo avete letto. Anna Cerasoli lo racconta con parole così semplici e spiegazioni così logiche che ci fa vedere improvvisamente sotto una luce nuova cose che abbiamo sempre dato per scontate.

Sono il numero 1

Con metafore, oppure esempi visivi molto efficaci, riesce a trasmettere leggi via via più complesse, dalla moltiplicazione per zero all'insiemistica e ai quantificatori, dalle proprietà dei numeri pari, dispari e primi alle curve di crescita esponenziale, dalle potenze ai fattoriali.

Sono il numero 1

Concetti astratti, resi semplici e accessibili anche a bambini della scuola primaria.

Quanto è rimasto stupito il Piccolo T nello scoprire che piegando un foglio a metà per 20 volte raggiungerebbe uno spessore pari all'altezza di un grattacielo!

Sono il numero 1

Alla fine di ogni capitolo, non manca mai l'attesissimo box delle "furbate", piccoli trucchi per svolgere più velocemente ed efficacemente i calcoli a mente.

Sono il numero 1 è una risorsa per bambini che non amano la matematica e hanno bisogno di capirla, per bambini che la amano già e vogliono conoscerla meglio, per insegnanti che cercano un approccio semplice a concetti complessi.
Ma – lasciatemelo dire – anche per tutti gli adulti che da piccoli si sono lasciati ingannare dal falso mito che la matematica sia roba difficile e noiosa.


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Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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