Nuvole in scatola
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Se la notte avesse un colore, quale sarebbe?
Probabilmente state pensando al nero, al grigio, al blu scuro.

storie della notte

Kitty Crowther ha immaginato una notte variopinta, con una forte prevalenza di rosa; un rosa carico, fluorescente, che emerge con luminosità dalla pagina.

Storie della notte (edito da Topipittori) è un albo tanto rassicurante nella narrazione, quanto sorprendente nella cifra stilistica delle illustrazioni.
Ha una struttura "a cornice", con una storia (anzi, tre) dentro un'altra storia. A introdurre e chiudere ogni narrazione è Mamma Orso, che racconta al suo piccolo le sue storie della buonanotte.

“Mamma, raccontami tre storie”, chiede Orsetto.
“Tre storie?!” esclama Mamma Orso.
“Ti prego, ti prego, ti prego! Ho detto tre volte ti prego”. 

Strappano un sorriso, Mamma Orso e Orsetto, perché li riconosciamo, ci riconosciamo in loro: nel piccolo che trova un espediente per godere ancora un po' della compagnia della sua mamma (dice tre volte "ti prego" per avere tre storie) e nella mamma che si lascia intenerire e lo accontenta.

storie della notte

Ci immergiamo così nei tre racconti. Il primo, a mio parere il più riuscito, è quello della custode della notte, che con il suo gong annuncia a tutte le creature del bosco che è giunta l'ora di andare a dormire.

storie della notte

Il suono ipnotico dello strumento, che accompagna ogni azione della protagonista, sembra accompagnare il lettore verso il sonno.
La vecchina dai capelli lunghissimi – fili colorati tracciati come farebbe un bambino – sembra una strega, ma il suo sorriso rassicurante ce la rende dolce, perfino ironica nello scherzo che alla fine fa a se stessa: quello di fingere di essersi scordata di annunciarsi la notte.

storie della notte

C'è poi la storia di Zhora, piccola raccoglitrice di more che, persa nel bosco, si fa ospitare da un pipistrello, e quella di Bo, un omino che non riesce a dormire e cerca consiglio e rassicurazione da Otto, l'amica lontra che scrive poesie sui sassi.

Sono storie piccole, brevi, che hanno il gusto dell'insolito e del diverso, con protagonisti fuori dall'ordinario.
Racconti rassicuranti che ci trasportano per qualche momento in un mondo altro, molto vicino a quello dei sogni, che ci attende nella notte.

Sono storie che cullano senza fare paura, anche perché sappiamo che sono solo storie, anzi storie dentro una storia: alla fine di ognuna restiamo in attesa del breve scambio di parole tra Mamma Orso e Orsetto, che ricorda così da vicino la situazione in cui il libro viene letto.

storie della notte

Storie della notte accompagna verso il sonno con un'atmosfera irreale che è al tempo stesso luminosa e crepuscolare.
Se si è fatto troppo tardi, lo si può anche leggere una storia per volta, lasciando la successiva per la sera seguente. Anche se è sempre molto difficile resistere a un orsetto che dice tre volte "ti prego".


Lo ammetto: ho una certa ritrosia nei confronti dei libri con le alette.
So che i bimbi li amano, soprattutto dall'anno in su, che rispondono al loro bisogno di scoprire la presenza di un oggetto che non vedono, come si fa col gioco del cucù.
Lo so. Ma quando vedo le suddette alette rimanere in mano a uno a caso dei miei figli (è successo con tutti) non riesco a non dolermene. Per questo gioisco quando trovo un libro con delle soluzioni cartotecniche più resistenti del solito, a prova di maneggiamento di minore.

dov'è meo

Non è solo questa la caratteristica che fa di Dov'è Meo? un bel libro per piccolissimi, ma si tratta sicuramente di un pregio da non sottovalutare.
L'edizione di Babalibri è solida, di grandi dimensioni (26,5 x 27 cm), con grosse pagine robuste, perfetta per piccole dita ancora poco abili, e le alette funzionano a scorrimento, anziché a sollevamento, con un risultato semplice da gestire e sicuramente più difficile da rompere.

Ma non è solo questo, dicevo, che fa di Dov'è Meo? un libro di qualità.
Con Michi e il suo pupazzo Meo, protagonisti seriali presenti in molti titoli di Jeanne Ashbé, l'autrice costruisce una storia quotidiana in cui il bambino può riconoscersi. Una storia fatta di gesti semplici, inserita in un ambiente quotidiano come quello domestico, fatta di ripetizioni e variazioni che aiutano il piccolo lettore a seguire lo svolgersi della narrazione (ogni pagina inizia con la stessa frase: "Michi sta cercando Meo").

dov'è meo

Michi, il piccolo protagonista, cerca Meo in vari spazi della casa.
Ci troviamo immersi in un mondo ad "altezza bambino", in cui vediamo la parte bassa dei mobili e solo le gambe di papà.
Brevi versi in rima raccontano la storia con ritmo e musicalità, suggerendo una lettura dialogica con domande e risposte che il lettore rivolge al bambino, e che anticipano il gesto di scostare l'aletta e scoprire cosa ci sia sotto.

Sarà forse nell'armadio?
No, peccato, cerca altrove.

dov'è meo

Gradevolissime le illustrazioni, i cui contorni neri marcati rendono più facile la decodifica al bambino, e incorniciano perfettamente le aree di "scoperta".

dov'è meo

Dov'è Meo? (o, come è chiamato da queste parti, "Pichi Meo") è un ottimo approccio alle prime narrazioni, ai primi meccanismi di causa-effetto che un bambino attorno ai 18 mesi inizia a comprendere e interiorizzare.

Preparatevi a leggerlo molte, molte volte.


Vi è mai capitato di cercare gli occhiali e accorgervi di averli addosso?
A me è successo anche di peggio: di recente mi sono chiesta "Ma dov'è la Piccola M?" mentre ce l'avevo in braccio.
Quello che non è sotto la portata diretta del nostro sguardo ci sfugge facilmente. Dev'essere così anche con gli animali e la loro coda: chissà se si rendono conto di averne una, e sanno com'è fatta, e sono sicuri di averla sempre addosso.

Ha visto la mia coda

Ci scherza su Alberto Lot in Ha visto la mia coda?, una delle ultime uscite della casa editrice minibombo.

Ha visto la mia coda? ha tutta la genialità delle cose semplici a cui nessuno aveva mai pensato prima.
C'è un cane che chiede a una tartaruga: "Ha per caso visto la mia coda?".
La tartaruga non può che rispondergli che la coda si trova proprio dietro di lui.

Ha visto la mia coda

Ma quando il cane si gira, non vede nulla.
La scena si ripete più volte, e il cane si sente preso in giro dalla tartaruga, fino ad arrabbiarsi.

I dettagli contano, e Alberto Lot e minibimbo non lasciano i dettagli al caso. Quando il cane parla alla targaruga, il suo muso sbuca dalla pagina a destra, ma quando si gira lo vediamo a sinistra, con la pagina destra vuota.
Capiamo così che non si è piegato su se stesso, ma si è semplicemente girato di 180 gradi, e che sta guardando verso lo spazio dietro di sé, dove si aspetta di vedere una coda che invece è inevitabilmente girata insieme a lui.

Ha visto la mia coda

È una commedia degli equivoci breve, spassosa e arguta, Ha visto la mia coda?: fa riflettere sui punti di vista e coinvolge il piccolo lettore, che vorrebbe quasi entrare nella storia e spiegare al cane quello che non ha capito. E infine, non ci fa mancare un finale a effetto, per strapparci un'ultima risata.

Non servono molte pagine o storie complicate per fare un libro intelligente e godibile.

Indovina la coda


Questa storia della coda che non si vede mi ha fatto venire in mente un gioco nuovo, o meglio, una variante di un gioco che c'è già.
Lo conoscete quello in cui una persona si mette in fronte il cartello con il nome di un oggetto o un personaggio e deve indovinare chi è facendo domande su se stesso ai propri amici?
Ecco, perché non farlo con le code?

Ha visto la mia coda

Basta ritagliare alcune code dalle forme inequivocabili (la coda a pennello del leone, quella a ricciolino del porcellino, quella a batuffolo del conisglietto): qui ne vedete qualcuna ritagliata a mano, ma ho preparato anche un file Studio3 per la Silhouette Cameo, pronto per la funzione Print&cut, se volete scaricarlo:
https://drive.google.com/file/d/1biYposz7Y4X0gwdQk7loHOE7HATCW6j2/view?usp=sharing

Una volta ritagliate le code, un adulto le attacca col nastro adesivo al culetto dei bambini, senza che il bambino veda che coda ha.
Ogni bambino deve fare all'altro delle domande (devono essere delle "yes/no questions") su se stesso per scoprire qual è la sua coda: "Sono un mammifero?", "Sono feroce?", "Vivo in fattoria?".

Questa variante ha vita molto più corta del gioco originale (le forme delle code sono più limitative delle scritte), ma ha il vantaggio che può essere giocata anche da bambini più piccoli, che ancora non sanno leggere.
Buon divertimento!


La notte è un tempo, ma in letteratura diventa anche un luogo.
Un luogo sempre molto abitato, anche da creature che non abitano il giorno.
La notte trasfigura ogni spazio: perfino il più noto, come la propria camera o la propria casa, di notte si ammanta di mistero.

In punta di piedi

Così come la notte che lo ospita, anche In punta di piedi di Christine Schneider e Hervé Pinel (Orecchio Acerbo editore) muta le forme e i luoghi, inganna e nasconde qualche segreto.

In punta di piedi

I due fratelli Clara e Bernardo si svegliano nel loro lettone in casa dei nonni: hanno fame, così decidono di spingersi, di nascosto, fino in cucina, verso il frigorifero.
I colori cupi e sfumati lasciano presagire qualcosa di sinistro.
Leggiamo col fiato sospeso, senza sapere cosa aspettarci.

In punta di piedi

E infatti, mentre scendono le scale, vediamo l'inequivocabile profilo di un elefante. Sembra che i bimbi non si siano accorti della sua presenza.
Sarà pericoloso?
Cosa sta succedendo?
Clara e Bernardo cercano di muoversi silenziosi, ma finiscono per fare rumore. Il nonno e la nonna, che li credono a letto, si insospettiscono.

Ed è qui che il libro inizia a cambiare volto, svelando il suo lato comico.
Il pappagallo, l'elefante e gli altri animali non spaventano i nonni, che anzi li chiamano per nome: sono i loro animali domestici!

In punta di piedi

Ha inizio così una serie di equivoci: per ogni rumore provocato dai bambini, i nonni danno sempre la colpa a qualche animale, mentre Clara e Bernardo riescono sempre a svignarsela, a mimetizzarsi, a non farsi beccare, anche grazie alla complicità degli animali con cui la famiglia convive pacificamente.

In punta di piedi

Il testo in rima di di Christine Schneider (nella traduzione di Rosa Chefiuta) accompagna la narrazione con un ritmo cadenzato, interrotto da suoni e onomatopee quando i bambini rompono il silenzio destando l'attenzione dei nonni, fino a chiudersi in una battuta finale che scatenerà l'ilarità del lettore.

Le sfumature e le ombre di Hervé Pinel delineano un ambiente dai dettagli rétro, che invita l'occhio a cercare (e trovare) nell'arredamento dettagli nascosti.

In punta di piedi rovescia le prospettive tra assurdo e normale, tra paura e avventura, tra adulti e bambini: sono i grandi, per una volta, a vivere in un mondo fantastico, dalle regole sovvertite.

Un incantevole racconto da leggere prima della nanna, viaggiando verso una notte che sembra meno notte.


La quarantena ci ha fatto scoprire angoli della nostra casa che prima ignoravamo. O, se non altro, nuovi modi di viverli.
Chi non ha un giardino ha probabilmente organizzato corse a ostacoli in corridoio e pic nic in soggiorno, chi lavora da casa e ha figli in età scolare ha dovuto organizzare uffici, aule e sale riunioni. Ogni famiglia a modo suo, perché poche cose, come la casa, raccontano ciò che siamo.

le case degli animali

Potrebbe essere allora il momento ideale per scoprire o riscoprire un albo famosissimo e meraviglioso come Le case degli animali di Marianne Dubuc, tradotto da Paolo Cesari per Orecchio acerbo.

Le case degli animali è un albo dai due (e più) piani di lettura. Il primo è quello della storia scritta: quella di un topolino che un lunedì porta la posta (a casa mia il libro è stato presto ribattezzato "Topo postino").
Osservato semplicemente da questo punto di vista, quello del filo narrativo che si dipana dal testo, il libro è estremamente semplice, lineare, privo di momenti di rottura, di un climax che poi si risolve. Sembrerebbe adatto soltanto ai lettori piccolissimi, dai due anni, che trovano godimento anche in una semplice sequenza di azioni.

Ma il viaggio di Topo Postino, raccontato dalle parole, è qui soltanto l'espediente che accompagna un'altra narrazione, molto più potente: quella delle immagini.

le case degli animali

Di tutte le case che incontra Topo Postino lungo la strada vediamo infatti uno spaccato, come se fosse stata tolta la quarta parete. E in ogni casa ci divertiamo a scoprire dettagli, indizi, particolarità: talmente tanti che, lettura dopo lettura, non ci stancheremo mai di scoprirne di nuovi.

le case degli animali

C'è la casa dei conigli, che si sviluppa principalmente sotto terra (quanti letti a castello ci sono? E dove saranno tutti i coniglietti che li occupano? Scovarli e contarli è uno dei tanti giochi nel gioco della lettura di questo libro).
C'è la casa della tartaruga, ospitata sì nel suo guscio, ma ricca di ogni comfort. C'è la casa delle galline, dotata di cove in ogni stanza e di un ingegnoso sistema di raccolta delle uova. O quella del serpente, bassa e lunga, così lunga da estendersi su più pagine del libro.

le case degli animali

Ecco, dunque, il perché di questa narrazione testuale così semplice: la meraviglia di questo albo è tutta nella ricchezza di invenzioni, trovate e peculiarità visibili e nascoste tra le immagini.
Leggendo ci divertiamo a indagare le case, sì, ma anche i giardini, e anche i pacchi che Topo Postino consegna: lungo la strada, il suo carretto si svuota e intuiamo, dalla forma di ogni pacco, o dal momento in cui viene consegnato, contenuto e destinatario.

le case degli animali

Le case degli animali potrebbe essere considerato un wimmelbuch con le parole, tante solo le scenette, le storie, i dettagli da scovare in ogni pagina.
E ce n'è per tutte le età. Nonostante la semplicità della trama lo renda adatto ai più piccoli (dai 2-3 anni), anche i bimbi della scuola  primaria si divertiranno cogliendo particolari, meccanismi di funzionamento dei peculiari "impianti" domestici e riferimenti alle fiabe (chi sarà mai la bimba bionda a casa del Signor Orso?).

Perché, e mai come ora ce ne rendiamo conto, ogni casa è un mondo.


Leggere a un bambino è un atto di relazione.
Significa tenerlo sulle proprie ginocchia, o sedersi accanto a lui, dedicargli un momento esclusivo, donargli la propria voce, immergersi con lui in una dimensione diversa da quella reale. Qualunque genitore che abbia mai letto al proprio figlio lo ha sperimentato.

Quando il bambino è molto piccolo, però, leggere è qualcosa di più: è linguaggio, prima delle parole.

Quando nasce un bambino, uno degli aspetti che più mettono in difficoltà un genitore è la mancanza di un linguaggio comune.
L'adulto sa esprimersi con le parole per chiedere, rispondere, spiegare. E già con le parole, bisogna ammetterlo, non sempre ce la caviamo benissimo. Il bambino, no. Per il bambino il nostro linguaggio è un continuum di suoni senza senso, da cui pian piano, col tempo, riesce a estrapolare degli spezzoni riconoscibili, e dare loro un senso. E per parecchio tempo, anche dopo aver iniziato a comprendere alcune parole, la sua padronanza della lingua si ferma a una fase ricettiva: l'articolazione dei suoni e la produzione di parole intelleggibili arriveranno molto più tardi. Capisce, ma non lo sa dire.
È frustrante: adulto e bambino cercano di comunicare, ma spesso non trovano nell'altro un feedback che li rassicuri sul fatto che il loro messaggio è stato capito.

È in questa fase che la lettura ad alta voce può fare la differenza e diventare un linguaggio comune tra adulto e bambino. Il libro, e specialmente l'albo illustrato, diventa un patrimonio di simboli che i due condividono.
La corrispondenza tra significante e significato è più semplice in un libro che nella vita reale, e il bambino inizia a fare i suoi accoppiamenti tra un suono e un'immagine in modo molto più sicuro: quando la mamma o il papà arriva a quella pagina e indica quel disegno fa sempre lo stesso suono. È una ripetitività rassicurante, che insegna al bambino delle regole di abbinamento: una figura, una parola o un gesto.

È così che spesso, in questa relazione tutta da costruire, i primi segnali che ci dicono che la comunicazione funziona passano proprio attraverso il libro.
Il genitore chiede "Dov'è il gattino?" e il bimbo lo indica col dito.
Il genitore arriva a una certa pagina e il bimbo lo anticipa con il suono onomatopeico che il grande stava per leggere, o imitando il gesto che stava per fare.

Non sono ancora parole, ma sono segnali che il bambino manda per dire al genitore "Stiamo comunicando, sto capendo quello che dici". È un momento rassicurante per entrambi, in cui il bambino riesce finalmente, e con grande soddisfazione, ad entrare nel meccanismo del linguaggio simbolico, e l'adulto si rende conto che quello che legge e racconta viene recepito ed elaborato.

Molte delle prime parole, dei primi suoni o dei primi feedback gestuali emessi dai miei bimbi sono passati attraverso libri letti insieme.
Ricordo il "verso" del pesce del Piccolo T, che apriva e chiudeva le labbra quando arrivavo alla pagina corrispondente di L'uccellino fa (non sapendo ancora parlare, ha iniziato imitando un animale muto!).
Oppure lo schioccare della lingua del Piccolo D per chiedermi il biberon: un suono che mi aveva sentito fare sempre leggendo L'uccellino fa.
O ancora, il gesto della Piccola M, che ancora oggi appoggia le due dita di una mano sul dorso dell'altra per chiedermi di fare "La formica delle dita", una delle filastrocche-coccola di A fior di pelle, e tocca col suo indice il mio quando arrivo alle pagine finali di Il sogno di ditino.

Ilsogno di ditino

È essenziale, in questa fase (a spanne, a partire dai 10 mesi fino ai 18), che i libri proposti al bambino siano adatti al suo sviluppo, che abbiamo immagini identificabili (con poco sfondo e una sola figura protagonista alla volta) e catturino il bambino con suoni onomatopeici, rime che facilitano l'imitazione e l'anticipazione, piccoli semplici movimenti che possono accompagnare la lettura coinvolgendolo anche fisicamente, come lo "ssh!" fatto col dito davanti alla bocca, una carezza, un piccolo gesto di solletico (un altro esempio? Morsicotti, che contiene almeno tre di questi ingredienti: figure ben distinte, onomatopee, solletico o pizzicotti).

È importante anche affrontare la lettura in modo dialogico, chiedendo al bambino di indicare un oggetto, rispondendo alle sue domande implicite, fatte senza parlare ma indicando col ditino una figura (i libri della topolina Pina, attorno ai 18 mesi, sono ottimi per questo genere di approccio).

È lì, attraverso le storie, le immagini, le parole, che nasce quel primo dialogo tra adulto e bambino. Un dialogo ancora privo di parole, nella lingua comune dell'immaginazione.

In questo post ho parlato di:

   
Il gioco del nascondino è una splendida avventura per i bambini.
Improvvisamente una casa, un parco, un giardino si trasformano in teatri di avventure, di rifugi segreti, di calcoli strategici per celarsi agli occhi dell'avversario.

mamma volpe

È il gioco della presenza e dell'assenza, quello in cui, come nel "cucù", si testano i limiti, la persistenza dell'altro anche quando non siamo con lui.
Mamma volpe, di Amandine Momenceau, Pulce edizioni, racconta questo gioco nel suo aspetto più istintivo, calandolo nella natura, tra i cuccioli e la loro mamma.

mamma volpe

È inverno, il bosco è innevato e mamma Volpe va a spasso con i suoi cuccioli che, giocando, si allontanano da lei fino a scomparire.
È un po' in apprensione quando non li vede più, ma è un'apprensione appena accennata. Si intuisce che non è la prima volta che i piccoli si nascondono, e che si fida di loro.

mamma volpe

Nella ricerca di mamma Volpe, il libro viene coinvolto nel gioco, con la sua fisicità.
Le pagine fustellate, con il foglio diviso in settori orizzontali, fori che simulano tane e ritagli che ricreano la forma degli alberi, nascondono o rivelano i cuccioli.
Sfogliando Mamma volpe, il lettore partecipa all'esplorazione. Solleva lembi di pagina come fossero veli dietro cui i piccoli si rifugiano, gira pagina lasciandosi alle spalle tronchi d'albero, come se stesse entrando nella foresta.

mamma volpe

L'intera parte centrale del libro non è altro che un gioco a nascondino, in cui grafica e cartotecnica rappresentano un vagare che non è quello ordinato di chi ha una meta, ma quello casuale di chi si lascia guidare dallo sguardo e dall'istinto per scoprire un nascondiglio.

Anche il testo, privo di un narratore e interamente affidato al discorso diretto dei protagonisti, non avanza, ma "vaga":


Dove sono i miei volpacchiotti?
Saranno andati di là?
Forse laggiù?
Li cerco dappertutto, ma non li trovo da nessuna parte.


La pagina più affascinante è senza dubbio quella in cui la sagoma da sfogliare come fosse una pagina è quella di mamma Volpe stessa.

mamma volpe

Sembra di vederla girarsi, voltare lo sguardo, e scoprire il cucciolo nascosto dietro di lei.

mamma volpe

I volpacchiotti amano giocare perché così possono restare fuori più a lungo, ma alla fine si lasciano trovare dalla mamma, perché la sera è lei il rifugio migliore.
Mamma volpe racconta l'istinto del gioco e l'amore di mamma, la voglia di indipendenza e il bisogno di tornare. È un racconto universale, in cui ogni cucciolo d'uomo si può rispecchiare.

Un bosco di carta


Questa mamma umana che vi sta scrivendo, invece, è restata affascinata dal bosco di carta, tanto da volerne ricreare uno.
Ho preparato un file Silhouette Studio* che potete usare se avete la Silhouette Cameo (la trovate sul sito di Creativamente Plotter). Altrimenti, con un po' di attenzione, basteranno carta e forbici, o una buona taglierina.

*NB: ho preparato un file che tenesse tutti i riquadri nello stesso foglio A4, ma vi consiglio di ingrandirli per ottenere un bosco "giocabile".

bosco silhouette cameo

Ho preparato quattro rettangoli: uno sfondo marrone e poi varie tonalità di verde, con alberi via via più fitti.

bosco silhouette cameo

Li ho fissati dal lato più largo, in alto, con del nastro adesivo, in modo da poterli "sfogliare".

bosco silhouette cameo

E poi?
Il bosco può diventare un originale biglietto d'auguri (potete scrivere dei messaggi anche sui tronchi degli alberi, in modo che si svelino un po' alla volta), o lo scenario di un gioco, ritagliando piccoli animali di carta che giochino a nascondino tra tronchi e rami.

E se vi perdete


L'arte non sta soltanto nella tecnica, ma nella capacità di creare qualcosa di nuovo, di compiere una frattura.

lo specchio di henri

Ce lo racconta Roberto Prual-Reavis in Lo specchio di Henri (Sinnos editrice, traduzione di Federico Appel).
Henri è una lucertola che ama dipingere. Si sveglia di notte per uscire con la sua tela e i suoi pennelli e immortalare la natura.

lo specchio di henri

Le tavole che lo ritraggono sembrano già quadri esse stesse, bordate da vegetazione che fa da cornice sul fondo bianco della pagina.

lo specchio di henri

In un registro narrativo che alterna umorismo e poesia, vediamo Henri impegnarsi e non lasciarsi mai scoraggiare.
Sale la nebbia che offusca il soggetto da ritrarre? Tanto meglio: Henri si eserciterà nello sfumato.

lo specchio di henri

Sarà il suo amico Omar, un rospo, un intenditore d'arte che crede nel talento di Henri, a fargli conoscere il genio di Leonardo e a suggerirgli una nuova sfida: dipingere uno specchio.
Ancora una volta, la tenacia di Henri lo porterà a provare e riprovare, e a dipingere nei luoghi e nei modi più impensati.

lo specchio di henri

Finché Henri ce la farà: dipingerà un quadro in cui chiunque può specchiarsi, un quadro che, metaforicamente parlando, è un po' la quintessenza dell'arte, perché ognuno ci può scoprire qualcosa di se stesso.

lo specchio di henri

Sarà appagato, Henri, da questo successo?
Nessun artista vero può esserlo. E allora, quale sarà la sua prossima sfida?

Lo specchio di Henri riesce a toccare in modo coinvolgente e leggero, con numerosi momenti umoristici, delle corde profonde, che ci insegnano quale sia l'essenza dell'arte, e dell'artista.
Lo specchio è una metafora potente e comprensibile, che ci racconta che in un'opera, per amarla, dobbiamo prima di tutto riconoscerci.

Uno specchio per esplorare l'arte


Lo specchio è anche uno strumento affascinante per esplorare il disegno, le forme, le simmetrie.
Muovendo un piccolo specchio su un disegno o su una fotografia si possono creare singolari effetti visivi; piazzandolo sulla linea mediana dell'immagine di un volto umano, scopriamo come sarebbe strana una faccia perfettamente simmetrica.

lo specchio di henri

Con uno specchio possiamo costruire le metà mancanti: basta disegnare la metà di un disegno simmetrico (una casa, una farfalla) e poi completarlo virtualmente appoggiando lo specchio sul suo limite.

lo specchio di henri

Infine, possiamo usare a nostro favore un'illusione ottica che nasce dalla visione stereoscopica: basta piazzare lo specchio a metà del foglio, con la superficie riflettente rivolta verso la metà disegnata, e appoggiare il naso sul bordo superiore.
Ci sembrerà di vedere, al di là della barriera dello specchio, sul foglio bianco, la metà mancante del disegno. Con un po' di attenzione possiamo provare a ripassare queste linee immaginate con un pennarello, per poi togliere lo specchio e scoprirne il risultato.

Quante riflessioni possono nascere da una riflessione?

 
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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