Nuvole in scatola
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Non siamo abituati a pensare contemporaneamente in modo analitico e sintetico.
Quando diciamo "buongiorno" pensiamo alla formula di saluto, non ci rendiamo conto che stiamo augurando una buona giornata.
E così (sembra un salto considerevole, ma la logica è la stessa), quando vediamo uno scheletro, inteso come personaggio del nostro immaginario di storie gotiche, non pensiamo nel dettaglio che si tratti di un insieme di ossi. 

Tibia e Biagio L'amicizia è servita

Tibia e Biagio. L'amicizia è servita, brevissimo e lieve romanzo per primi lettori di Ludovic Lecomte, illustrato da Irene Bonacina e pubblicato da Terre di mezzo editore, nasce proprio da quest'idea: parlare dello scheletro nella sua materialità.

Tibia (nomen omen) lavora per l'appunto come scheletro in un'attrazione da luna park dove spaventa i visitatori, ma di giorno è lui ad avere paura e a doversi rifugiare nella propria roulotte per sfuggire ai cani, che non vedono l'ora di rosicchiare le sue ossa (o i suoi ossi. Caso curioso: entrambe le sfumature di significato stavolta sono corrette).

Tibia e Biagio L'amicizia è servita

Poi arriva Biagio, un cucciolo dai grandi occhi supplicanti, a cercare la sua amicizia. 
Dapprima scontroso e sospettoso, Tibia cede all'insistenza del cagnolino e lo accoglie nella roulotte, dove gli insegnerà a leggere e a scrivere grazie... alla minestra.

Avete presente quella pastina a forma di lettere dell'alfabeto? In effetti è più famosa all'estero che da noi puristi della pasta, ma di sicuro i vostri figli l'avranno vista in qualche film o cartone.
Ecco: mettendo in fila queste pastine sotto la guida di Tibia, Biagio impara a scrivere il suo nome e poi gradualmente tutto il resto. 

Non tutto è idilliaco, però: anche una cosa bella come l'aver imparato a leggere avrà conseguenze negative, portando a un'incomprensione che fortunatamente verrà superata.


Tibia e Biagio L'amicizia è servita

Sotto l'apparenza di una lettura leggera e disimpegnata, Tibia e Biagio. L'amicizia è servita parla al lettore di un'amicizia improbabile che supera preconcetti e differenze, ma anche dello scarto tra le buone intenzioni e i risultati inaspettati: piccoli semi lanciati in un racconto che sembra soltanto una storia di halloween, e invece è una storia di vita.
 


Se siete genitori e lettori probabilmente questa domanda ve la siete posta: quando si inizia a leggere a un bambino? (risposta facile: subito).

Meno frequente, ma altrettanto importante, è invece la domanda opposta: quando si smette?

Condividere un libro viene spontaneo quando un bambino non sa ancora leggere in autonomia, ma accade spesso che questa bella abitudine svanisca non appena inizia l'età scolare.
Questa idea è figlia di una mentalità binaria, secondo la quale la capacità di leggere è come un interruttore on/off: si è capaci di leggere oppure no. Ma dipende anche da un concetto performativo della lettura, legato soltanto a una capacità: si legge ad alta voce così come si imbocca con il cucchiaio durante le prime pappe, come se l'unico motivo per cui si legge a un figlio fosse che lui, appunto, non può farlo da solo.

Ma se ci pensiamo, sappiamo bene che condividere il momento della lettura è molto più di questo.

è importante leggere a voce alta a un bambino

 

Dunque, perché è importante leggere ai bambini ad alta voce anche dopo che hanno imparato a leggere?

Le motivazioni che ho individuato riflettendo e cercando tra la letteratura di riferimento sono davvero moltissime. Ho provato a suddividerle in due macro-aree ed entrambe hanno a che fare in qualche modo con l'amore per la lettura.

1. Leggere insieme non è soltanto leggere

Sedersi l'uno accanto all'altro, condividere una storia, donare la propria voce: sono gesti che vanno ben al di là della semplice lettura e, se diventano consuetudine, contribuiscono a rafforzare la relazione tra genitore e figlio.
È la condivisione di un momento intimo, ma anche di un "mondo" diverso da quello reale, senza incombenze, camere da riordinare e compiti da finire: un mondo fatto di avventure e di emozioni che difficilmente un genitore può sperimentare dal vivo con i propri figli.

Un genitore che legge ad alta voce al figlio rafforza l'idea che leggere sia un piacere, legando indissolubilmente l'esperienza di lettura a un ricordo di serenità e benessere, e questo è uno dei fattori più importanti per crescere un futuro lettore.

2. Il bambino sa leggere, ma non sa ancora leggere 

Se seguite il mio blog, probabilmente i vostri figli sono già abituati all'ascolto. Con ogni probabilità sono arrivati alla scuola primaria già in grado di seguire brevi romanzi a capitoli, o perlomeno lunghi albi illustrati dalla struttura un po' complessa.

Ora, pensate al tipo di libro che è in grado di affrontare un bambino che ha appena imparato a leggere: sarà probabilmente un albo breve, con poche parole scritte in stampato maiuscolo. Lo scarto tra le storie che il bambino ama ascoltare e quelle che è in grado di leggere in autonomia è molto ampio.

Abbandonarlo alla lettura autonoma significa allontanarlo dal piacere del testo, condannarlo a faticare (perché leggere è faticoso!) per arrivare alla conclusione di una storia che tutto sommato gli lascia poco, che è molto al di sotto delle sue capacità emotive e cognitive di ascoltatore.

Ora, provate a guardare le parole qui sotto senza leggerle:

NON LEGGERE

Non ci siene riusciti, vero? Forse proprio per questo  automatismo ormai acquisito da tanti anni fatichiamo a pensare a quanto leggere, all'inizio, possa essere difficile.

Imparare a leggere non è solo questione di saper decodificare le lettere, ma coinvolge una serie di capacità che richiedono molto tempo per essere acquisite.

Ce lo insegna splendidamente Maryanne Wolf nel suo Proust e il calamaro:

La fluidità non è solo questione di velocità: riguarda il fatto di riuscire a usare tutte le cognizioni speciali che il bambino possiede su una parola – le lettere e gli schemi di lettere, i significati, le funzioni grammaticali, le radici e le desinenze – abbastanza rapidamente da avere il tempo di pensare e capire.

E accanto al riconoscimento della parola, ci sono tutti i collegamenti intra e intertestuali, il saper cogliere figure retoriche come metafore e ironia, non ultima la capacità di capire che dietro una frase c'è qualcosa di più e che per comprenderla è necessario rileggerla una seconda volta (come probabilmente avete fatto con il titolo di questo paragrafo): tutte operazioni complesse, che il lettore neofita non riesce a compiere, perché il suo cervello è già impegnato nell'attività di decodifica.

Anche Aidan Chambers, grande autore e promotore della lettura, nel suo Il lettore infinito, prova a stendere un elenco delle competenze che un adulto può trasmettere al bambino leggendo per lui. Tra queste c'è anche la capacità di capire come funziona un testo, come è costruito, cosa ci possiamo aspettare, ma anche la scoperta del pathos della pagina scritta, con il ritmo, lo stile, le voci dei personaggi, l'interpretazione che il lettore può aggiungere al testo:

Dato che il processo con cui si riporta in vita la pagina scritta avviene nella mente del lettore, e non può quindi essere mostrato, la cosa migliore che possiamo fare per far rivivere questa magia è leggere ad alta voce, in modo che gli ascoltatori percepiscano tutte le emozioni che i lettori sperimentano attraverso la lettura.

Si tratta di coltivare la cosiddetta "zona di sviluppo prossimale", mostrando al bambino qualcosa che non è ancora nelle sue competenze ma gli è già comprensibile e che potrà gradualmente padroneggiare, anche grazie all'osservazione di chi è più abile di lui.

Silvia Blezza Picherle, citando a sua volta Jim Trelease, sintetizza efficacemente gli obiettivi che si possono raggiungere leggendo a un bambino. 

L'esecuzione orale permette quindi di raggiungere una serie di importanti obiettivi: a) crea un legame tra lettura e piacere, poiché i bisogni umani sono centrati su quest'ultimo; b) costruisce un bagaglio di conoscenze utili per effettuare le inferenze necessarie per leggere; c) permette di riconoscere i suoni delle parole e di arricchire il vocabolario; d) propone un modello di lettura e alimenta la motivazione a voler imparare a leggere.
[Formare lettori, promuovere la lettura]

Insomma: a dispetto di quello che molti pensano, cioè che smettendo di leggere per loro, i bambini si sentano spronati a farlo da soli, è importante proseguire nell'abitudine della lettura ad alta voce anche in età scolare.

La risposta alla domanda "quando smettere di leggere?" è quindi "più o meno quando il bambino si chiuderà in camera a chiave perché vorrà leggere soltanto per conto suo".

Perché leggendo ai bambini non doniamo soltanto la nostra voce, ma anche il nostro amore per i libri.


Per chi vuole approfondire, questi i libri che ho citato in questo post:

  

A volte per stimolare il linguaggio nei bambino, il libro migliore da usare è un libro senza parole.
Vi sembra strano?
In realtà la cosa non dovrebbe stupire più di tanto: in fondo nella prima infanzia un bambino non sa leggere, quindi che differenza fa se le parole sono scritte o no?

Michi e Meo scoprono il mondo

In questa fase di acquisizione di nuovi vocaboli, preziosa è la modalità di lettura dialogica, quella in cui il bimbo indica, nomina e chiede di nominare le cose. L'interazione tra genitore e figlio rafforza l'apprendimento, sia perché il bambino ottiene un feedback immediato dei suoi progressi, sia perché l'emozione positiva che nasce dal momento di condivisione stimola maggiormente l'attività cerebrale del bimbo.

Ecco: i due cofanetti  Michi e Meo scoprono il mondo di Jeanne Ashbé, editi da Babalibri sembrano fatti apposta per condividere questi momenti di lettura dialogica con i bambini, ma possono anche essere lasciati in mano al bambino stesso, che li può sfogliare in autonomia riconoscendovi oggetti e situazioni che appartengono al suo quotidiano.

Vi ritroviamo i due personaggi di Michi e Meo, il bambino e il suo pupazzo, che già avevamo conosciuto in un cartonato con le alette, un primo approccio alla struttura narrativa. Questi quattro libretti si collocano in una fase ancora più precoce dello sviluppo cognitivo del bambino: si possono proporre già dai 6 mesi, pur continuando a svolgere la loro funzione anche a 18 mesi / 2 anni.

Michi e Meo scoprono il mondo

I due cofanetti contengono ognuno due volumetti: Il bagno / la pappa e Il mattino / la sera, tutti dedicati a routine quotidiane.
In perfetto allineamento con le capacità cognitive dei bambini più piccoli, le figure hanno colori piatti, bordature nere ben definite e sfondi semplici, non dettagliati.
Sulla pagina di destra troviamo una situazione quotidiana, riferita al tema del libro (bagnetto, pappa, routine della mattina e della sera), sulla sinistra il primo piano, su fondo neutro, di un elemento chiave della scena di destra.
Questa scansione di scene e dettagli aiuta il bambino a focalizzare l'argomento e a entrare nella scena, a cogliere l'unità nell'insieme e l'insieme a partire dall'unità, a dare un nome alle cose, insomma: a crescere.

Michi e Meo scoprono il mondo

Jeanne Ashbé si dimostra sempre un'attenta osservatrice dei bambini: le scene che descrive, pur essendo semplici, non sono mai stereotipate e banali. Michi e Meo si schizzano l'acqua del bagno, giocano a infilarsi l'uno le pantofole dell'altro, si sporcano la maglia, spandono il dentifricio. Le immagini lasciano sempre intendere un prima e un dopo e raccontano episodi credibili e concreti.

Questa ricchezza di letture, che va dal riconoscimento dell'istantanea di un momento alla ricostruzione di un contesto narrativo, rende i cofanetti di Michi e Meo scoprono il mondo un'opera trasversale, che attraversa più età senza perdere di interesse.

Michi e Meo scoprono il mondo
 
Michi e Meo interagiscono come fossero entrambi umani: Meo è solo un pupazzo, ma sappiamo che per i piccoli, animisti per natura, questo confine è labile. Tuttavia, in alcuni momenti, vediamo Michi accanto ad altri protagonisti, come il gruppo dei pari all'asilo.

Michi e Meo scoprono il mondo

Come accade nella realtà, l'esempio dei pari è educativo, e Michi inizia a mangiare i broccoli, che prima rifiuta, proprio perché lo vede fare a un compagno di classe: un potere che nessun pupazzo come Meo potrebbe avere (e nemmeno mamma e papà!).


 

Chi è che non ha avuto una nonna che sferruzzava?
Fare maglioni, così come cucinare, fa in qualche modo parte dell'essenza stessa dell'essere nonna, di quel rispondere a dei bisogni primari (il cibo, il calore) come modalità di trasmissione dell'amore.

Tricot

È in questo mondo di gesti antichi e amorevoli che troviamo Tricot, di Jacques Goldstyn (l'autore di Bertolt), pubblicato in Italia da Lupoguido.

È Madeleine, la protagonista del libro, a parlare della nonna e della sua passione per la maglia.

Tricot 

Le creazioni della nonna hanno un che di magico, sono oggetti ma al tempo stesso raccontano storie, sembrano prendere vita, forse per l'abilità della nonna o forse per gli occhi ammirati e pieni d'amore della nipote, che danno a quei semplici indumenti un valore in più.

 Tricot 

Madeleine si cruccia di non essere brava come la nonna, e allora la nonna le racconta come aveva iniziato: sferruzzando avanzi di lana per creare una lunga sciarpa, la sua prima sciarpa.

Ogni sezione di quel suo primo lavoro a maglia racconta una storia, quella della lana da cui proviene: c'è lo scialle del matrimono di una zia, la sciarpa portata al fronte da un altro zio, il berretto di un portiere di hockey, e così via: quel semplice e coloratissimo capo d'abbigliamento racchiude in sé pezzi di storia, di tradizioni, di ricordi di famiglia.

Tricot

E così Madeleine la indossa con orgoglio, peccato che uscendo di casa un filo rimanga impigliato e la sciarpa inizi a sfilarsi (ma lo sanno, i bambini di oggi che è così che si può disfare un capo fatto a maglia? Forse questo libro è anche una buona occasione per riacquisire conoscenze perdute nel passare delle generazioni).

Tricot

Come sempre le scelte editoriali di Lupoguido non sono scontate né casuali. Il formato molto orizzontale del libro sembra voler dar conto della lunghezza di questo filo che si dipana dalla sciarpa e segna il percorso di Madeleine.

Senza raccontarvi il finale, mi limito a dire che Tricot è un albo che emana il calore di un gesto d'amore e di una tradizione tramandata di generazione in generazione, di quelle che bisogna imparare per non lasciarle morire.

Il telaio-cannuccia.

Lavorare la lana non è solo una tradizione e un gesto d'affetto, ma anche un ottimo esercizio di motricità fine.
Per questo tra i blog di attività per bambini troviamo molte proposte e tecniche varie. Sempre parlando di due albi di Terre di Mezzo, vi avevo già proposto l'accessorio per la maglia tubolare e un telaio fai da te.

Oggi invece vi insegno a costruire un telaio-cannuccia.

Tricot

Per prima cosa infilate dei fili di lana dentro le cannucce, da lato a lato. Le cannucce devono essere almeno tre. Se avete difficoltà a infilare la lana, fissatene un capo a uno stuzzicadenti da spiedino con un po' di nastro adesico, in modo da spingerla più facilmente.

Fissate con un nodo i fili da un lato, quindi prendete un altro filo, fissatelo con un nodo a uno di questi e iniziate a passarlo attorno alle cannucce, alternando sopra e sotto e compattando il lavoro a ogni passaggio.

 Tricot

Quando sarete soddisfatti della lunghezza, sfilate le cannucce e fissate i fili di base anche dall'altro lato.

Questo piccolo telaio è ideale per creazioni come braccialetti.

Tricot

Quante storie riuscirete a raccontare con la vostra lana?


La maggior parte delle ninne nanne funziona così, con l'iterazione di immagini di altre creature, spesso animali, che dormono beate, come a dire "insomma, dormono tutti, ti dai una mossa e ti addormenti pure tu?".

Buonanotte bosco 

Non fa eccezione Buonanotte bosco di Karen Jameson, illustrato da Marc Boutavant e recentemente edito da Terre di Mezzo editore, un albo denso di sensazioni che accompagnano al sonno.

La struttura ricorda molto un'altra uscita recente: Tutto dormirà, di Astrid Lindgren. Anche qui si assiste a una passeggiata notturna nella natura, anche qui la poesia della voce e delle immagini rilassa il bambino che ascolta, creando il clima adatto alla nanna.

Se Tutto dormirà era immerso in atmosfere più misteriose, in Buonanotte bosco Ã¨ la dimensione sensoriale a prevalere. I colori tenui, caldi e rilassanti e il tratteggio delle cortecce, delle pellicce degli animali e degli aghi di pino sembrano lasciar trasparire dalle pagine i profumi di resina, muschio e clorofilla del bosco autunnale e la sensazione umida delle foglie secche che hanno ormai steso un tappeto sul terreno.

 

Il suono, invece, non è quello del bosco, ma quello di una lieve poesia, tradotta con la sensibilità e la maestria di Chiara Carminati.

Tra le pagine vediamo passeggiare una bambina col suo cane, che passando accanto agli animali della foresta, dedica loro qualche verso e qualche momento di attenzione.

Buonanotte bosco 

Con un gusto che ci riporta ai nomi e ai racconti dei nativi americani, ogni animale è chiamato attraverso una sua caratteristica che diventa nome proprio. E così l'orso bruno è Ombra Enorme, il cervo Passi Leggeri, la volpe Rapide Zampe.

Mentre leggiamo, ci sembra di percepirle, queste proprietà, di veder calare la luce perché l'orso la copre, di sentire il tocco lieve degli zoccoli del cervo nel sottobosco.

A ognuno di questi animali sono dedicati quattro versi dalle rime delicate e mai cantilenanti, ricchi anch'essi di materia e sensorialità. 


Infine, la voce cambia: è il padre, che aspettava a casa, a dedicare l'ultima quartina alla figlia, Piccoli Piedi:

Esploratrice curiosa del mondo
Sguardo preciso, attento e profondo

La bambina ha accompagnato il bosco verso il sonno, e finalmente può chiudere gli occhi, in compagnia del suo cane. L'ultima pagina, senza parole, perché ormai non servono, ci mostra i suoi disegni, che raccontano il bosco e i suoi abitanti: restano lì, come un ricordo della giornata trascorsa, che attraverso i sogni la piccola sta elaborando, e che ritroverà il giorno dopo, quando il bosco, insieme a lei, si sveglierà. 


Vedere le cose che altri non vedono, capire le situazioni, scovare i colpevoli: quello dell'investigatore è un mondo dal fascino innegabile, e non a caso questo è forse l'unica professione a poter vantare un genere letterario a sé, oltre a numerosi casi di parodia del genere stesso (dall'ispettore Clouseau in poi).

Troviamo dei Clouseau anche nel mondo della letteratura dell'infanzia. L'ultimo di questi è una simpatica talpa che fa il suo esordio in Il primo caso dell’investigatore Talpone di Camilla Pintonato, per Terre di Mezzo editore.

investigatore talpone

Talpone è uno chef che ha un fiuto eccezionale per il cibo, e sogna di poter sfruttare queste sue caratteristiche per vivere il suo sogno: diventare un detective.

investigatore talpone

Una talpa che ha occhio per i dettagli, penserete, è una contraddizione in termini, e infatti Talpone si dimostra una vera schiappa. Nel seguire il suo primo caso, la scomparsa dello scoiattolo Armando, disegna identikit irriconoscibili, segue false piste, si lascia sfuggire gli indizi più palesi e riesce a non riconoscere l'oggetto delle se ricerche perfino quando se lo trova davanti!

investigatore talpone

L'albo gioca a coinvolgere il lettore nella ricerca, anche grazie a un ironico gioco di contrasti tra testo e immagini: di fronte a un testo descrittivo, che coglie il punto di vista di Talpone, le immagini ci mostrano qualcosa di più, invitano a trovare quegli indizi e quelle tracce che l'nvestigatore non vede.

investigatore talpone

Questo doppio registro ha la funzione di "investire" il lettore del ruolo di investigatore, ma anche quello di creare un meccanismo comico (a volte fin troppo spiegato, come quando uno degli animali, di fronte all'identikit, chiede "Ma sei sicuro di saper disegnare?").

Come un Clouseau che si rispetti, l’investigatore Talpone alla fine alla soluzione ci arriva, ma per puro caso. E a noi non resta che aspettare con trepidazione un nuovo mistero da risolvere.



Abbandonarsi al sonno è per un bambino, in un certo senso, un atto di coraggio. Significa rinunciare al proprio stato cosciente con la fiducia che al proprio risveglio troverà ancora tutto al suo posto: mamma e papà, pupazzi, giochi, ma anche tutte le proprie routine.

Chi dorme nel lettone

La ripetizione di gesti e parole è fonte di grande rassicurazione per ogni bambino, ed è proprio sul meccanismo della reiterazione che si fondano i cartonati di Susanne Strasser (come La torta è troppo in alto e Balena, vengo anch'io, anch'essi editi da Terre di Mezzo editore e amatissimi dalla piccola di casa).

In questo terzo titolo, Chi dorme nel lettone? (link affiliato) , ritroviamo tutti gli elementi che già caratterizzavano i primi due: la presenza di animali (e di un bambino con cui identificarsi), la struttura fatta di ripetizioni e variazioni, che cattura perché riesce a incuriosire e rassicurare allo stesso tempo, le onomatopee che accompagnano la narrazione rendendo la lettura ritmica e coinvolgente. Ma non è tutto qui.

Nei diversi animali protagonisti di questo albo ritroviamo abitudini, scuse e bisogni che rispecchiano quelli di ogni bambino che va a fare la nanna, toccando tasti in qualche modo più profondi che nei primi due titoli.

Chi dorme nel lettone

Se La torta è troppo in alto e Balena, vengo anch'io si costruivano sull'accumulo, con un animale che si aggiungeva ai precedenti, qui le cose sembrano invertirsi: Chi dorme nel lettone? (link affiliato) inizia con un letto ben affollato di animali e procede per sottrazione. Uno alla volta, con una scusa o l'altra, gli animali si allontanano: la foca deve fare la pipì, il coccodrillo deve lavarsi i denti, il pellicano vuole bere un po' d'acqua. Se avete avuto a che fare con bambini non molto intenzionati a dormire, queste scuse le riconoscerete sicuramente, e proprio per questo credo che questo cartonato, fatto per ridere e per divertire, riesca a raggiungere spazi più sensibili e nascosti dei piccoli lettori.

Curiosa, poi, a un livello linguistico, anche la ripetizione di formule che accostano ogni protagonista a paragoni tipicamente animali: "il coccodrillo dorme come un ghiro", "la foca è sveglia come un grillo".

Chi dorme nel lettone

Chi dorme nel lettone? (link affiliato)  Ã¨ un contenitore talmente completo di tutti quegli elementi che catturano i bambini da sembrare quasi un libro scritto a tavolino, se non fosse che la sua trama procede senza forzature, con una naturalezza e una sincerità tali da lasciare la storia e le sue emozioni in primo piano.

Già, perché c'è un elemento a cui ancora non ho accennato: la fuga di questi animali dal lettone li porta... su un altro lettone: quello dove dorme il bambino che già abbiamo trovato nei libri precedenti (che restano comunque completamente indipendenti l'uno dall'altro). 

Chi dorme nel lettone


La struttura in due tempi del libro (prima gli animali che se ne vanno dal letto, poi quello che accadrà sul letto del bimbo, su cui non vi anticipo nulla se non che vi strapperà più di una risata) dà alla trama quel pizzico di imprevedibilità, ma anche la serenità di riconoscersi in uno schema comportamentale: quello della ricerca di conforto, di notte, nella figura di riferimento.

Perché alla fine, grandi o piccoli, animali o bambini, a tutti piace dormire insieme.

In molti grandi dolori, ciò che fa più male non è un fatto concreto, ma la sua ripercussione su di noi, sulla nostra identità.

Arriviamo a volte a non riconoscerci, a scoprirci diversi da come credevamo, a non accettarci più.

Io e Leo

 

Con una delicatezza straordinaria, quasi parlasse d'altro, Io e Leo racconta di un percorso di perdita e ritrovamento di se stessi. 

Scritto da Stefan Boonen con illustrazioni di Melvin e pubblicato da Sinnos con la traduzione di Laura Pignatti, Io e Leo si maschera da libro umoristico, quasi nonsense, perché inizia con Leo che si perde, ma non nel senso che non ritrova la strada: si perde perché non si trova più.

Le persone attorno a lui lo vedono e non lo riconoscono: la mamma non gli lascia il solito biglietto accanto alla tazza da colazione, il cane non lo saluta, la maestra gli chiede chi sia.

Io e Leo

In un meccanismo iperbolico, viene concretizzata la metafora del "non ti riconosco più": Leo è così cambiato che non è più lui.

Inizia così il suo viaggio alla ricerca di se stesso, costellato di momenti dolceamari. Accanto allo smarrimento (letterale!) di Leo, che si percepisce diffusamente nel libro, non mancano momenti di forte ironia e leggerezza, come quando si paragona ad altri bambini smarriti nelle situazioni più assurde, descritti da divertenti illustrazioni.

Io e Leo

In compagnia di un uomo curioso ma determinante, l'ex stuntman Max Halters (sì, proprio lo stesso protagonista di un altro libro, di tutt'altro tenore, degli stessi autori. No, non è assolutamente necessario averlo letto per leggere Io e Leo: i due titoli sono completamente indipendenti), Leo si cerca dalla polizia, in un grande magazzino che vende proprio di tutto, nel bar più piccolo del mondo, e anche a casa dei nonni.

Io e Leo

Narrato in un format che è un po' romanzo e un po' graphic novel, il viaggio di Leo e Max ha molto di surreale, ma proprio questa dimensione inverosimile aiuta il ragazzo a riprendere contatto con la realtà: piano piano, Leo ritrova degli indizi che riportano la sua memoria al padre e al suo incidente, che lo ha strappato dalla sua vita.

Il ricordo del padre riemerge come qualcosa di rimosso, e si rivela la causa dello smarrimento di Leo.
Affrontare quel dolore lo aiuta a ritrovarsi, a ritrovare il suo posto nel mondo.

Io e Leo parla ai bambini, ma il tema che affronta è trasversale, e il modo in cui viene affrontato, insolito ma profondamente vero, stimola l'autoanalisi e la riflessione anche negli adulti.

La morte di un proprio caro non è soltanto mancanza dell'altro, è mancanza di qualcosa dentro di noi. È una mancanza che a volte ci fa smarrire, e per ritrovarsi, a volte, bisogna ripercorrere la strada del dolore. 


Che bella quell'età in cui si può credere che qualcuno ci possa rubare il naso!

Che bello quel pensiero magico unito alla sensazione che tutto sia fluido, che una parte del tuo corpo non ti appartenga necessariamente, e magari invece ad appartenerti è quella di qualcun altro (le braccia della mamma, ad esempio).

E che bello ritrovare questa magia e questo gioco in un libro!

Bobò pupazzo distratto

Bobò pupazzo distratto, di Édouard Manceau (Terre di Mezzo editore) è un cartonato interattivo in cui i più piccoli ritrovano ritmi, meccanismi e sensazioni che fanno parte del loro giocare quotidiano con gli adulti di riferimento. Un libro che parla con il loro linguaggio e con la loro stessa logica illogica.

Nell'incipit, ci viene presentato Bobò, "il più buffo di tutti i pupazzi": la sua figura si staglia netta sulla pagina bianca, senza sfondi o distrazioni. Bobò ha colori carichi e linee morbide ben evidenziate dai contorni neri, per catturare l'attenzione anche dei bimbi più distratti. Le sue caratteristiche visive lo rendono adatto già dall'anno di età, ma per cogliere pienamente il meccanismo narrativo, non lo proporrei prima dei 18 mesi/2 anni.

Pagina dopo pagina, Bobò perde sempre qualcosa:

Ma Bobò, hai perso la bocca?
È proprio distratto il mio Bobò.

Il tono di voce con cui il narratore si rivolge al personaggio è materno, simile a quello che il bimbo è abituato a sentire da chi lo accudisce.

Bobò pupazzo distratto

Il pupazzo Bobò mantiene in ogni pagina la medesima posizione, ma gli scompaiono di volta in volta cappello, braccia, pancino. Gli occhi sono quasi gli ultimi ad andarsene, così Bobò mantiene la sua buffa espressione fino alla fine, quando con un tocco del bambino, tornerà tutto al suo posto.

Bobò pupazzo distratto

Può diventare un semplice gioco, quello di Bobò: basta ricalcare il personaggio, ritagliarne i pezzi e farli cercare e ricomporre dal bambino, in una sorta di caccia al tesoro, sul tavolo o, per i più grandicelli, in giro per tutta la casa. Ricomporre Bobò e vederlo sorridere è sempre una gioia, un po' come ritrovare un amico.

Bobò pupazzo distratto

Bonus track: con un pizzico di fantasia, abbiamo provato a leggere Bobò pupazzo distratto anche a ritroso, partendo dal fondo e facendo ritrovare a Bobò, a ogni pagina, un pezzetto. Anche così, la magia è assicurata.


Non è utile alla crescita di un bambino, né giusto nei suoi confronti, tenerlo sotto una campana di vetro.

Il ruolo del genitore dovrebbe bilanciare istinto di protezione e sprone all'autonomia, all'esplorazione, alle scoperte. Ma quanti dilemmi sorgono da questo difficile equilibrio, e quante situazioni a volte ilari o paradossali!

Le disavventure di Frederick

Ritroviamo questi dilemmi, resi quasi paradossali, in Le disavventure di Frederick, un albo scritto da Ben Manley con le illustrazioni Emma Chichester Clark, pubblicato in Italia da Terre di Mezzo editore, che in una cornice solo apparentemente elegante e poetica racchiude una forte portata ironica.

Le disavventure di Frederick

Chiuso nella sua elegante cameretta, Frederick riceve dall'ampia finestra un aeroplanino di carta con un messaggio di Emily, che lo ha visto dal bosco e lo invita a mangiare un gelato.

Subito Frederick chiede a sua madre il permesso di uscire, permesso che gli viene negato, perché 

Frederick, ricordi cosa è successo l'ultima volta?


Le disavventure di Frederick

Quello che è successo lo scopriamo soltanto nella risposta che Frederick manda ad Emily, sempre via aeroplano: non può uscire perché potrebbe nuovamente sentirsi male e vomitare nel carillon.

Le disavventure di Frederick

L'albo prosegue con un ritmo che pian piano diventa prevedibile (rendendo più emozionante, alla fine, scoprirne la svolta): Emily invita Frederick a fare qualcosa, lui chiede il permesso alla madre e infine declina l'invito, riferendosi a qualche sventura trascorsa in passato durante situazioni simili. 

A rendere divertente questo albo è soprattutto la caratterizzazione dei due mondi, quello di Emily e quello di Frederick.

Lei, libera e dinamica, circondata da una natura spontanea, scrive messaggi semplici e diretti, mentre lui, quasi rinchiuso in una casa dai soffitti alti e dall'arredamento raffinato, tra soprammobili, pezzi d'antiquariato, letti a baldacchino e ritratti alle pareti, si rivolge alla nuova amica (ma anche a sua madre) con una prosa ricercata e antica, come se stesse scrivendo sonetti anziché comunicando a persone a lui vicine:

Mammina, è una bella giornata e l'aria profuma di dolce caprifoglio. Potrei uscire per mangiare un gelato?

 

Le disavventure di Frederick

Frederick ci sembra un po' un inetto, cresciuto in un mondo aristocratico, una realtà d'altri tempi che non rispetta il suo essere bambino e ci paiono eccessive tutte queste protezioni.
Eppure, quando il racconto arriverà a una svolta e Frederick proverà a rispondere all'invito, le cose non andranno proprio come ci aspettiamo.

Le disavventure di Frederick ci fa fare il tifo per la libertà e per la scelta di affrontare i propri rischi, ma accoglie in qualche modo anche le ragioni opposte, pur sorridendo sempre degli eccessi e degli stereotipi.

Ma quello che rende speciale questo libro sono i contrasti e il loro effetto umoristico.
Parlo del contrasto tra le due realtà rappresentate, ma soprattutto di quello tra il tono di voce apparente quello effettivo dell'albo stesso. 
Da una prosa così leziosa (ben resa dalla traduzione di Sara Ragusa), da immagini così ricche di dettagli descrittivi, da un meccanismo narrativo basato su uno scambio epistolare, perlopiù veicolato da qualcosa di così romantico come un aeroplano di carta, non ci si aspetta una narrazione che fa leva sull'ironia, ed è proprio questo a rendere l'ironia ancora più potente.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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