Nuvole in scatola
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Avete presente l'emozione con cui comprate il primo completino taglia un mese quando aspettate un bimbo, e la velocità con cui poi lo riponete nell'armadio (o nel sacchetto per la Caritas, o nella scatola che passerete all'amico con un figlio più piccolo)?

Ecco, accade lo stesso per i primi libri: le capacità cognitive dei bambini, nei primi mesi, evolvono così in fretta che i cartonati adatti ai primi mesi diventano presto obsoleti, alimentando i sospiri dei genitori che vedono i figli crescere così in fretta.

 Il mio mondo

I libri in bianco e nero sono perfetti per stimolare e catturare l'attenzione dei bimbi, prima ancora dei sei mesi: rispondono alle loro capacità sensoriali grazie ai forti contrasti e allenano il loro sguardo all'attenzione e al riconoscimento delle forme.

Ma – inutile negarlo – stancano presto, sia il bambino sia il genitore, che si trova per l'ennesima volta a girare le stesse quattro pagine e indicare le stesse quattro silhouette.

In questo panorama, Il mio mondo, illustrato da Raffaella Castagna per Lapis edizioni, si presenta come un'interessante evoluzione del classico modello di cartonato in bianco e nero, destinato ora a un utilizzo più prolungato.

Il mio mondo

Alla proposta di oggetti ed elementi della quotidianità del bambino, Il mio mondo affianca infatti un meccanismo a scorrimento che svela ulteriori immagini variamente correlate a quella iniziale: l'illustrazione che viene scoperta di volta in volta può avere un rapporto di contiguità spaziale (la giostrina e la carrozzina), una relazione di similarità (un gioco e un altro gioco) o un'evoluzione temporale (le piccole posate che vengono dopo il biberon).

Il mio mondo

Si tratta di relazioni semplici e riconoscibili, che non evadono dal contesto quotidiano e familiare per il bambino, ma regalano al libro una nuova fruizione: dopo una prima fase di riconoscimento dei singoli oggetti, il bimbo potrà esercitarsi nella scoperta, con il meccanismo del cucù che tanto piace ai piccoli, ma anche nel riconoscimento delle connessioni e nell'anticipazione del già visto, che gradualmente lo porteranno a conoscere e capire gli schemi di causa-effetto, alla base della narrazione.

Così come stare seduti e gattonare sono solo dei passaggi che portano ai primi passi, anche alle storie si arriva gradualmente, sviluppando le competenze necessarie per la comprensione.
È passando dal bianco e nero che si possono capire tutte le sfumature di una storia.


Che posizione avete sul tema "lasciar vincere i bambini"?

Per me è uno di quei casi in cui credo di avere un'idea chiara e invece, nei fatti, mi comporto diversamente. Il mio principio sarebbe quello di scegliere giochi alla portata dei bambini e giocarmeli senza sconti (non sono sicurissima che questo principio sia dettato da un intento educativo. Potrebbe anche essere più semplicemente la mia voglia di vincere). :P
Però è anche vero che a volte il fratello o la sorella più piccoli vogliono giocare a un gioco più da grandi, e in quel caso faccio l'occhiolino al fratello maggiore e lascio vincere i piccoli.

Elvis e Otto

 "Vincere o lasciar vincere" è il tema al centro di Elvis e Otto. L'amicizia vince!, di Chris Naylor-Ballesteros (Terre di Mezzo editore).

Elvis e Otto sono una volpe e un orso, irresistibili nel loro tratto fumettistico e nei colori sgargianti del cappello e della sciarpa (un fucsia fluo che rallegra anche copertina e risguardi).

È Elvis a raccontare la storia, guardando direttamente in faccia il lettore e spiegando che a lui e a Otto piace moltissimo giocare a nascondino.

Elvis e Otto

Ma Otto non vince mai: sarà la sua stazza o la sua scarsa abilità, ma nascondersi bene non è proprio il suo forte.

I nascondigli di Otto sono la chiave che rende il libro esilarante: grande e grosso, crede di potersi coprire dietro ai sottili rami di un albero, o dietro a massi decisamente troppo piccoli. Per non mortificarlo, Elvis gli concede di contare fino a 100, per dagli modo di nascondersi meglio.

 Elvis e Otto

Le pagine seguono la corsa di Otto verso il nascondiglio perfetto, accompagnata dalla serie dei numeri declamati da Elvis (se leggete Elvis e Otto a un bambino che sta imparando a contare, riposatevi pure: sarà lui a seguire col dito – uno per uno – i numeri da 1 a 100, pronunciandoli ad alta voce, e parlo per esperienza).

Ma è evidente che anche stavolta a Otto è sfuggito qualcosa.


Elvis e Otto

È più importante vincere o non deludere un amico? Qual è, in fondo, il senso del gioco?

Elvis e Otto coinvolge il bambino come terzo elemento di questo nascondino: il piccolo lettore conta insieme a Elvis, con Elvis è portato a cercare Otto tra le pagine, segue con il dito il filo di lana che lo porta da lui, facendosi parte integrante della narrazione, e questo meccanismo rende la lettura più appassionante e l'immedesimazione (in entrambi i personaggi) più viva.

Non importa chi, nella vita reale, sia Elvis e chi Otto: quello che conta, alla fine, è sempre giocare.

PS: Dopo Lucy e il filo dell'amicizia e quel capolavoro di Filo magico mi chiedo: chi è in Terre di Mezzo che ama tanto sferruzzare? ;)


Con Darwin, e soprattutto con la sua teoria, è accaduto quello che accade spesso con i libri classici: tutti ne parlano, pochi li conoscono davvero.

Usata come bandiera (ad esempio in chiave anticlericale), snobbata da chi la proclama superata (in realtà va solo contestualizzata rispetto alle nuove conoscenze scientifiche), spesso citata male e a sproposito (vi dice qualcosa il "virus che necessariamente diventa più buono"?), è in realtà spesso poco compresa, a volte anche dagli scienziati stessi.

Io credo ci sia ancora un gran bisogno di capire il senso dell'evoluzione darwiniana, e per questo trovo utilissima una pubblicazione come Charles Darwin - L’origine delle specie, uno splendido volume di grande formato (28 × 37 cm) di Anna Brett, con le illustrazioni di Nick Hayes, edito da Editoriale Scienza.

Tra storia e scienza, il volume segue il percorso di scoperta di Darwin: dopo una presentazione dello scienziato, racconta lo stato della conoscenza alla sua epoca, per poi percorrere con lui il viaggio a bordo del Beagle, l'imbarcazione che lo porterà a esplorare le Galapagos e altre isole, dove osservando le specie animali formulerà la sua teoria.  

Diverse pagine sono dedicate ad esaminare le differenze tra una specie e l'altra e come esse siano state selezionate perché più adatte all'ambiente circostante: dai fringuelli alle tartarughe alle piante, molte sono le carrellate sulle caratteristiche vincenti in termini evolutivi.

La teoria darwiniana viene quindi raccontata attraverso numerosi esempi, spaziando e approfondendo temi come la ricerca sui fossili per scoprire come si evolve una specie nel tempo, i dubbi nati riguardo alla teoria, la sua evoluzione (scusate il bisticcio) grazie alle nuove conoscenze acquisite dalla scienza negli anni.*


Charles Darwin - L’origine delle specie è un testo articolato e ben approfondito, pensato per i ragazzi (dai 10-11 anni), ma interessante anche per un pubblico adulto, e bello anche da guardare.

Una copertina ruvida impreziosita da inserti dorati racchiude pagine solide dall'elegante stampa opaca, con illustrazioni dal gusto vintage e moderno al tempo stesso: colori polverosi e pieni che, giustapponendosi tra loro in piccole campiture, riproducono con una tecnica quasi impressionista sfumature e contrasti. Un segnalibro in raso turchese dà il tocco finale all'opera: sembra di sfogliare un libro d'altri tempi, un documento prezioso e originale, rielaborato con gusto moderno.

Potremmo definirla una grafica antica, evoluta per adattarsi al nostro gusto.


* A proposito, se siete interessati al tema, ho appena finito di leggere un'interessante saggio su come si è evoluto nel tempo il concetto di "albero della vita", si chiama L'albero intricato e lo ha scritto David Quammen, il giornalista scientifico autore di Spillover. Stiamo naturalmente parlando di un libro per adulti, ma se vi interessano l'evoluzione in chiave genetica e la storia di alcuni degli scienziati che l'hanno rivoluzionata, è una lettura imprescindibile.


Disclaimer: nessun libro convince un bambino a dormire / lavarsi i denti / mangiare / lavarsi.
Anzi, se anche solo vagamente vostro figlio intuisce che quello è il reale motivo per cui state leggendo, probabilmente otterrete l'effetto opposto.

Per non parlare del fatto che sono profondamente convinta che non si debba leggere per ottenere qualche risultato, ma solo per piacere.

Fai il bagno, piccione

Finite queste premesse necessarie, bisogna ammettere che il piccione di Mo Willems vale anche il rischio di un rifiuto al bagnetto per ripicca! E nonostante le apparenze portino a vederlo come un "libro per convincere a fare il bagno", io ci vedo prima di tutto un meccanismo divertente, un ritmo incalzante, un personaggio che riesce a comunicare con un solo occhio una varietà di intenzioni sorprendente, insomma: un lieto momento di lettura di qualità da condividere con i bambini.

Fai il bagno, piccione

Fai il bagno, Piccione! arriva in Italia dopo Ãˆ ora di dormire, piccione! (di cui vi avevo parlato qui), edito sempre da Editrice il Castoro, e ci riporta il testardo, capriccioso, irresistibile personaggio che dialoga direttamente con il lettore, cercando motivazioni per evitare di fare il bagno:

Perché dovrei fare il bagno?
L'ho già fatto il mese scorso.

(non so a voi, ma a me questa frase suona molto familiare – per fortuna con orizzonti temporali decisamente più brevi!)

Fai il bagno, piccione

Seguiranno, in un susseguirsi sempre più incalzante, altre scuse, dalla negazione del cattivo odore al problema dell'acqua che è troppo fredda, troppo calda, troppo tiepida e perfino troppo bagnata.

Fai il bagno, piccione
 

È prorompente, il piccione: non resta nel testo. Oltre a rompere la quarta parete per rivolgersi al lettore, invade il frontespizio e i risguardi, e anche in questi dettagli sentiamo il suo fare chiassoso e impertinente, che fa di lui un personaggio che va oltre ogni supposto intento pedagogico, regalandoci più semplicemente delle sane, stupite risate.



 

 "Not all those who wander are lost"


Mi è venuta in mente questa frase di Tolkien quando ho preso in mano Quattro passi, l'ultimo albo di Chiara Carminati e Massimiliano Tappari edito da Lapis.

Quattro passi

Quattro passi si inserisce nel filone già collaudato dai due autori in Occhio Ladro (di cui vi avevo parlato qui) e Ninna no, e in modo più laterale in A fior di pelle (di cui vi avevo parlato qui): quello di intrecciare suggestioni visive a storie e parole.

Una sorta di poesia di strada, in cui l'occhio ruba dettagli, l'immaginazione li veste e la parola li racconta.

Quattro passi

Quattro passi Ã¨, forse più degli altri, un gioco a cercare connessioni.

Non vi è un unica immagine che "sembra" qualcos'altro, ma un'accostamento che fa nascere idee. L'unico elemento di vera continuità è proprio il numero quattro, riportato in copertina attraverso fotografie che "ritagliano" le cifre negli elementi ambientali.

Ogni doppia pagina presenta sulla destra quattro immagini tra loro variamente legate: possono essere quattro varianti di uno stesso cartello, quattro facce "scovate" nei campanelli, quattro cortecce d'albero diverse tra loro.

La logica che unisce le quattro immagini cambia di volta in volta, e forse più ancora della poesia che le affianca stimola a riflettere, scovare, inventare.

Quattro passi

Le parole della Carminati, dal suono e dalla musicalità sempre eccellenti, hanno la funzione del cantastorie che dà un senso narrativo a ciò che vede l'occhio errante.

Quattro passi può essere letto e guardato, per evidenziare le connessioni tra parola e immagine. 
Può essere soltanto letto, per apprezzare la musicalità della poesia o abituare a quel suono letterario un orecchio anche molto molto piccolo.
Può essere sfogliato e guardato, lasciando correre il pensiero, anche da mani piccine, grazie al formato quadrato e cartonato.

È un libro che non si legge, si vaga, che è proprio ciò che ci invita a fare.


Quattro passi dentro casa


Quattro passi Ã¨ anche un libro che invita a uscire e ripetere questo gioco, imparando ad osservare con occhi nuovi ciò che ci circonda. E quando invece non si può uscire?

Bastano una rivista o un catalogo (o anche il volantino di un negozio!) per cercare storie, connessioni e personaggi, aggiungere occhi e fumetti, inventare.

Quattro passi

Come i paesaggi, ogni immagine che ci capita sotto mano può diventare una storia.


   

Io non so spiegare la guerra ai bambini.
Non la so spiegare a me stessa.

Vista dallo spazio, la Terra non ha confini, non ha nazioni, non ha governanti.
Per quanto smisurato, l'ego umano non si vede, da lassù.

Tutto quello che vorrei dire è che siamo solo dei cosi minuscoli su questa palla nell'universo, e che il punto preciso in cui siamo nati, su questa palla, non dipende da noi.

Io non so spiegare la guerra ai bambini.
A dire il vero, non credo si possa spiegare affatto.

Forse ognuno dovrebbe trovare le proprie parole, o i propri silenzi, per affrontare le notizie che arrivano, senza fingere che a ogni perché ci debba essere una risposta.

Io non credo ci siano dei libri capaci di spiegare la guerra ai bambini.
Ci sono, forse, delle storie che raccontano perché non farla.
A dire il vero, è l'esistenza stessa delle storie a dirci che la guerra non ha una ragione: perché sono le storie a renderci umani, tutti, in qualunque posto della Terra ci troviamo.

La Terra - foto da Wikipedia
Foto: Wikipedia

Ve ne lascio qualcuna, di storia.
Nessuna di queste spiega la guerra, forse qualcuna può accompagnarci verso la pace.

 

La guerra di chi vuole conquistare il suo spazio.

Lucertole verdi e rettangoli rossi, di Steve Antony (edizioni Zoolibri) è un libro fortemente simbolico, spiazzante nel suo animo astratto, che racconta della lotta di due schieramenti molto diversi tra loro per la conquista di uno spazio, fino a scoprire il modo di convivere insieme. Qui la mia recensione.

La guerra di chi ha paura del diverso.


Cinque regni, cinque colori. Ognuno convinto di essere migliore, senza rendersi conto che è la diversità la vera ricchezza: lo scopriranno solo abbattendo i muri che li separano. Il paese dei colori di Paolo Marabotto (edizioni Lapis) è una favola dallo sviluppo classico, simbolica e trasversale per età, che porta un forte messaggio.

Qui la mia recensione.

La guerra di chi in guerra ci si è trovato.


E poi ci sono i soldati, addestrati a combattere, finiti in guerra perché in realtà nessuno ha mai fatto conoscere loro la pace. Il soldatino di Cristina Bellemo e Veronica Ruffato (Zoolibri) è un albo sui conflitti in senso lato, sulla guerra vera ma anche su quella interiore. Una storia su come a volte, con l'amore, si possa trovare un'uscita anche da quelli che sembrano vicoli ciechi. Qui la mia recensione. 

La guerra di chi... ma che motivo c'è di andare in guerra?

Ironico e scanzonato, forse Il cavaliere Panciaterra (edizioni Il Castoro) non è la proposta adatta allo spirito attuale, ma in fondo è sempre un buon momento per leggere Gilles Bachelet. Il protagonista di questo albo è lentissimo, così lento che quando arriva in guerra non c'è più tempo per combattere. Il cavaliere Panciaterra è una storia ricca di richiami e citazioni in cui emerge l'insensatezza della guerra di fronte a tutta la bellezza che c'è nel mondo. Ve l'ho presentato qui.

La guerra di chi fugge dalla guerra.


La guerra è fatta da chi combatte ma anche da chi ci si trova in mezzo. E in questo momento in cui l'Europa deve farsi ancora più accogliente verso i profughi, forse vale la pena raccontare le storie vere di chi fugge da territori difficili. Lo fa Mary Beth Leatherdale, con In mezzo al mare. Storie di giovani rifugiati (edizioni Il Castoro), di cui vi ho parlato qui.

E poi noi, nell'universo.

notte piena di promesse

In La notte è piena di promesse di Jérémie Decalf (Terre di mezzo editore, ve ne ho parlato qui) è una sonda spaziale che parla, guardandoci dallo spazio. Non parla di conflitti, né di nazioni, né di governanti.
Eppure io credo che il modo migliore di parlare di guerra sia questo: mostrando la nostra Terra così come la natura l'ha disegnata, senza confini, e con noi così piccoli che nemmeno si capisce su quale parte di mondo abitiamo.
E in fondo non ha nemmeno importanza.
Siamo capaci di raccontare storie e quindi siamo, semplicemente, umani.



         

La prima cosa che si perde diventando genitori non è la libertà, o l'indipendenza, ma il sonno. 

Lo esprime con la sua ironia Matthieu Maudet in Dai papà!, un cartonato (anche se lo consiglierei dai 4 anni in su) edito da Babalibri, che ci racconta l'abnegazione di un padre e i suoi sforzi per non deludere il suo piccolo.

dai papà

Il figlio lo sveglia in piena notte (non è colpa loro: li disegnano così!) e vuole giocare.

dai papà

Incalzante, con i suoi continui "dai papà", lo porta fuori, si fa portare sulle spalle, gioca a palla, poi sull'altalena... il padre è stremato, alterna momenti di allegria e coinvolgimento ad altri in cui, evidentemente, non ce la fa più, ma l'entusiasmo del piccolo è travolgente.

dai papà

E alla fine, quando per il padre verrà il momento del riposo, e anche il figlio chiuderà la giornata con un "Dai, papà, ora riposati", per lui non sarà finita.

Più che un albo "imperdibile" per bambini (che comunque apprezzeranno la lettura e si divertiranno), Dai papà! Ã¨ il classico libro da regalare proprio ai papà stessi, per mostrare loro quanto preziosa sia la loro presenza, e quanto apprezzati i loro sforzi.

Sarà un piccolo momento da condividere, una storia da citare, ridendoci insieme, quando all'ennesima richiesta i papà proprio non ne possono più.


Noi grandi lo diamo per scontato, ma le storie presuppongono la coscienza che a un prima corrisponda un poi, che a una causa corrisponda una conseguenza: sono cognizioni che non sono innate, ma si sviluppano nei primi anni di vita. È quello che accade ad esempio quando un bambino fa cadere ripetutamente il cucchiaio dal seggiolone e riesce a constatare che sì: cade sempre, e sì: ogni volta la mamma fa un lungo sospiro (anche questo è un rapporto causa-effetto, no?).

È attorno ai 18 mesi che questa capacità si forma e si consolida, e i prodotti dedicati a questo target devono tenerne conto, proponendo strutture narrative che il bambino sia in grado di cogliere.

Heppu - Hippu

Hippu e Heppu sono due personaggi non nuovi ma inediti, nel senso che sono appena sbarcati in Italia, grazie a Lupoguido, ma la loro creazione risale agli anni Sessanta e Settanta, ad opera di Oili Tanninen, una tra le più apprezzate autrici finlandesi per bambini, ed è chiaro immediatamente che si rivolgono proprio a questa fascia d'età.

Lo si vede innanzitutto dalle caratteristiche dell'illustrazione: i contorni netti, le forme semplici, i colori pieni, valorizzati da una stampa di qualità. Sono immagini adatte a catturare lo sguardo dei più piccoli, che si approcciano ai libri e che imparano a scoprirne le qualità, non ultima la gradevole copertina ruvida e quadrata. E le narrazioni? Seguono anch'esse di pari passo.

Hippu

Quella di Hippu Ã¨ ciò che si può definire una protostoria: un susseguirsi di azioni prive di una vera e propria parabola narrativa, che rappresentano la forma minima del racconto. I protagonisti sono animali (Hippu è un topolino, Heppu un cane), ma compiono azioni umane, quotidiane e riconoscibili, descritte con frasi minime che anche i più piccoli sanno comprendere bene:

"Il cane si chiama Heppu"

e poi 

"Hippu va al mercato.
Hippu e Heppu mangiano"

Hippu

Bastano due colori a raccontare questa storia: il rosso e il nero (oltre al bianco della pagina). Sono i primi colori che un neonato riesce a distinguere bene, per cui non disdegnerei di sfogliare Hippu già dai primi mesi di vita, per accostarsi alle figure, alle forme, al suono delle frasi.

Pur mantenendo le caratteristiche di base del primo albo, Heppu e la casa fa un passo avanti, e lo fa in entrambi i codici: quello visivo e quello testuale.

Le forme restano semplici e pulite, ma al rosso e al nero si aggiungono ora azzurro e giallo, mentre la storia inizia ad avere un principio, uno sviluppo e una fine.

Heppu

Heppu ha una casa troppo piccola, con una ciotola troppo piccola. Incontra Briciola, un cane molto piccolo con una casa troppo grande per lui, e potete immaginare come la storia si concluda.


Heppu


Heppu e la casa introduce quindi anche concetti astratti come "grande" e "piccolo", l'idea di un problema e di una soluzione.

Insieme, i due libri accompagnano i più piccoli alla scoperta delle prime storie e dei loro meccanismi, con un codice visivo e testuale alla loro portata. Immaginate un bambino che inizia a costruire con i suoi grossi blocchi di legno, e solo col tempo arriverà ai Lego con i pezzi piccoli: in fondo anche alle storia bisogna dare forma pian piano.


 

Sono ancora in tempo per presentarvi un libro dallo squisito sapore invernale?

Credo di sì, e non solo perché non sappiamo mai quando arriva l'ultima neve dell'anno, ma anche perché una storia ben riuscita non ha stagioni.

Nino e Taddeo e i primi fiocchi di neve
Chi mi segue già conosce bene Nino e Taddeo, due personaggi straordinariamente sensibili e surreali che amo molto e ho già raccontato attraverso le recensioni dei primi tre volumi "stagionali":  Nino & Taddeo dipingono la primavera, Nino & Taddeo e la torta di lombrichi, Nino & Taddeo. Un'estate in tandem.

Per l'inverno, Terre di Mezzo editore ci porta una nuova raccolta di storie, scritte da Henri Meunier e illustrate con il tocco ironico e vagamente fumettistico di Benjamin Chaud.

Nino & Taddeo e i primi fiocchi di neve ci riporta in quel contesto fatto di natura, amicizia e quotidianità che abbiamo già imparato a conoscere e ad amare, e ancora una volta ci fa assaporare quell'amicizia unica tra due personaggi diversi ma uniti da un profondo affetto.
C'è il rischio, dopo tante storie, di soffrire un po' della monotonia del già visto, invece Nino & Taddeo e i primi fiocchi di neve inserisce un equilibrio nuovo nel rapporto tra i due protagonisti.

Nino e Taddeo e i primi fiocchi di neve

Se nelle puntate precedenti Topo Taddeo si dimostrava protettivo nei confronti di Nino la Talpa, e sopperiva ai problemi causati dalla sua scarsissima vista con qualche innocente bugia o intervenendo al suo posto, vediamo stavolta i ruoli in qualche modo rovesciarsi.

Nel primo dei racconti contenuti in questa raccolta, Nino la Talpa getta nel fuoco il libro di avventure che voleva farsi leggere, credendolo un ciocco di legno. Ma è lui stesso, stavolta, a trovare la soluzione, dimostrando la propria unicità. Se il libro è finito nel fuoco, si può leggere il ciocco di legno!
E solo Nino la Talpa, così poco abituato a vedere le cose e così avvezzo a immaginarle, può avere abbastanza immagini interiori da ricavare un romanzo da un ciocco di legno.


Nino e Taddeo e i primi fiocchi di neve


E anche quando, all'arrivo della prima neve, i due fanno a gara a chi riesce ad acchiappare con la bocca il primo fiocco, improvvisamente la vista non sembra più un senso così importante, perché i fiocchi cadono senza badare a chi li vede.

Nino ritrova insomma in questo capitolo una sua nuova singolarità, che fa del suo piccolo handicap un punto di forza: non sempre ciò che si vede è poi così importante.


     

Come si tiene viva la memoria di qualcosa che non si è vissuto?
Come si fa a spiegare l'inspiegabile?

La frattura enorme tra ciò che consideriamo normale e accettabile e ciò che avvenne durante l'Olocausto è anche uno dei limiti alla sua comunicazione: i racconti dei sopravvissuti ci appaiono talvolta così estremi e inaccettabili da sembrarci soltanto un brutto film distopico.

Ho l'impressione che questa frattura si allarghi, poi, col passare delle generazioni, mentre il tempo diventa un ulteriore elemento di distanza tra il presente e quel passato.

Il sole splende ancora

Credo che una delle chiavi per mantenere vivo il ricordo e il senso-privo-di-senso di quel tragico periodo sia cercare, nella tragedia, quella normalità che fa scattare l'immedesimazione, e questo vale, credo, specialmente per un pubblico di bambini e ragazzi.

Ci riesce efficacemente Michael Gruenbaum, che con il supporto dello scrittore ebreo americano Todd Hasak-Lowy ha raccontato la sua storia di bambino deportato al campo di Terezín nel romanzo Il sole splende ancora, che Lapis ha portato in Italia con la traduzione di Matteo Corradini (a sua volta autore di diversi titoli sull'Olocausto tra cui La repubblica delle farfalle, ambientato proprio a Terezín).

Il sole splende ancora

Nelle 358 pagine del romanzo (contando anche prefazioni e postfazioni, che è impossibile non leggere per il desiderio di capire meglio e di restare ancora un po' attaccati alle persone e alle loro storie) scopriamo così la storia di Misha, a partire dalla sua vita a Praga, quando ancora le leggi razziali erano una novità, un impiccio alla vita normale ma non ancora qualcosa da guardare con terrore.

Vediamo il suo essere bambino in quel giocare a superare i passanti su uno dei ponti di Praga e percepiamo la sua quotidianità in modo autentico e concreto. E così, la spirale che lo conduce al campo di deportazione di Terezín, dopo avergli fatto perdere tutto ciò che rappresentava la sua vita abituale, viene vissuta attraverso i fatti e le sue sensazioni, senza digressioni storiche o filosofiche.

La storia è raccontata nella concretezza dei giorni, con pochi accenni alle sorti della guerra.
Resta la curiosità di approfondire, a volte, di capire dove si colloca nei fatti storici una certa scena del libro, e in questo i capitoli, che non hanno titolo ma semplici date, aiutano molto, stimolando anche la ricerca personale.

Il romanzo sfiora soltanto l'orrore dei campi di sterminio, narrando il terrore con cui venivano vissuti i trasporti, con il treno che portava i deportati da Terezín ad Aushwitz e Birchenau, e infine nel descrivere coloro che da là sono tornati, nel loro aspetto che ben poco aveva di umano.
Ma l'esperienza di Misha resta lì, in quella terra di mezzo tra la libertà e lo sterminio che è il campo di Terezín.

Cosa trova Misha a Terezín? Un mondo sospeso, fuori dalle norme abituali, in cui le famiglie vengono divise e la vita si vive alla giornata, senza conoscere il destino o il perché delle cose, concentrati soprattutto a sopravvivere. Ma soprattutto trova i Nesharim.
Nella grande stanza dove viene mandato a dormire insieme ad altri ragazzi della sua età (Misha ha 8 anni all'inizio del libro), c'è Franta, un ragazzo più grande che li guida e li protegge. Franta ha capito che per sopravvivere nel campo è necessario non lasciarsi andare, osservare regole precise e un'igiene scrupolosa. Soprattutto, ha capito che solo lo spirito di gruppo può tenere alto il morale, e così cambia le sorti di quei ragazzi prima di tutto dando loro un nome in cui riconoscersi: i Nesharim (aquile in ebraico) e poi organizzando una squadra di calcio e altre attività per tenere unite le persone e impegnate le loro menti.

È in questo spirito di gruppo, credo, che un lettore contemporaneo può trovare quel filo che unisce il suo essere ragazzo oggi con l'esperienza di Misha: la forza della compagnia di amici, con tutte le sue dinamiche, è qualcosa che un bambino conosce bene, che fa parte della sua esperienza quotidiana.

Lo stesso elemento che ha salvato molti dei Nesharim, tra cui Michael Gruenbaum, che ci ha potuto raccontare la sua storia, è la chiave che può far immedesimare il lettore in quei fatti così lontani eppure vissuti da un ragazzo come lui.

Il sole splende ancora

Il libro si chiude con un album fotografico in cui vediamo Michael e altri protagonisti del romanzo, prima e dopo l'Olocausto. 
E ce n'è bisogno, dopo storie come questa, di guardare quei volti e saperli reali.


 
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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