Nuvole in scatola
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Ho una certa avversione per i libri-gioco: quelli sonori con i rumori e le lucine, quelli con le ruote, i lustrini e i brillantini. Sopporto poco anche un certo tipo di libri pop-up: non quelli con le finestrelle da aprire per cercare un personaggio o un'informazione nascosta, ma quelli in cui la cartotecnica serve solo a "decorare" il racconto.
Il libro per me è un oggetto sacro, e la protagonista deve essere soltanto lei: la storia, con le sue parole e le sue immagini. Il resto è solo un "lifting", che fa chi preferisce imbellettarsi perché non crede abbastanza a com'è fatto dentro.

A meno che...

A meno che, certo, non sia la storia stessa ad essere un gioco. E minibombo, lo sappiamo (e se non lo sapete, ecco qualche ripasso), è un'esperta in queste cose.

Questo libro fa di tutto è un albo unico nel suo genere, in cui l'oggetto-libro si intreccia con il suo contenuto fino a diventarne protagonista ("Il medium è il messaggio", avrebbe detto McLuhan, e mai come questa volta sarebbe stato vero).

Un libro sperimentale, che osa inventando un nuovo linguaggio, un'inedita forma espressiva.
E la cosa sorprendente è che lo fa restando nei confini delle sue pagine e della sua copertina. Senza pop-up, senza aggiunte, senza realtà virtuale. Solo con intelligenza.


Ogni pagina descrive un'azione, dal semplice "si apre" a "sta in piedi", "morde", perfino "abbronza" (con una pagina-specchio, da tenere sotto il mento per riflettere il sole, in un gesto molto anni '80).
Durante la lettura, quindi, libro "interpreta" l'azione insieme al lettore, che dovrà muovere la copertina, batterlo, sventolarlo.



E mentre "vola", "rinfresca" e "fa rumore", questo libro fa anche un altro mucchio di cose, che sul libro non sono scritte:
  • incuriosisce,  con colori brillanti e piccoli segni grafici che aiutano a capire l'azione (facendo in modo che anche chi non sa leggere possa "leggerlo");
  • apre la mente, insegnando il pensiero laterale, oltre i confini del consueto: un libro è un libro ma non è solo un libro;
  • fa scoprire anche ai più refrattari alla lettura che leggere è un'avventura bellissima e per nulla noiosa; 
e soprattutto:
  • diverte, diverte da pazzi, e
  • sfida i piccoli lettori a continuare il gioco, a trovare nuove cose che può "fare".
Ad esempio, la sedia:


Il tetto:


Il ponte:



Già: questo libro fa proprio di tutto. Tra le altre cose, fa anche il libro.
E lo fa decisamente bene.


Ci sono libri che emozionano, libri che fanno ridere, libri che fanno riflettere, e anche libri che fanno sbadigliare.
E se pensate che in quest'ultimo caso il libro in questione sia meglio lasciarlo perdere, be', forse vi sbagliate. Almeno per questa volta.


Sbadigli (ed. Il castoro) è un albo insolito e originale.
Avete mai notato come sia difficile trattenersi dallo sbadigliare, quando qualcuno lo fa davanti a voi? Ecco, Sbadigli è questo: la descrizione, un po' poetica e un po' buffa, ma sempre curiosa, di quanto sia contagioso uno sbadiglio.

Pagina dopo pagina, scopriamo una carrellata di personaggi a bocca aperta.
Un insetto (forse una mosca) traccia la sua traiettoria di volo da una pagina all'altra, quasi a simboleggiare la contagiosità di quel gesto, che passa di figura in figura.
Ci sembra di vedere i protagonisti di tante storie ripresi in un momento di backstage, da una visuale inedita, in cui la bocca spalancata la fa da padrona.




A una prima lettura, Sbadigli può sembrare un vero e proprio libro della buonanotte: voi lo leggete, lentamente e un po' sottovoce, mimando il sonno, sbadigliando tra una parola e l'altra, e zac! Anche il vostro bimbo crolla, inizia a sbadigliare e inevitabilmente si addormenta.
Riuscite a immaginarlo?
Ecco: io no. Perché anche se sì, in effetti può far sbadigliare, per un bimbo curioso questo libro è tutt'altro che soporifero.

Chi si nasconde dietro queste enormi fauci? Riuscite a riconoscere tutti i personaggi, umani e animali? Che rapporto hanno i personaggi tra di loro?
Cosa succede a causa di questa improvvisa sonnolenza? Che conseguenze hanno tutti questi sbadigli?
Guardando bene le illustrazioni, scopriamo personaggi inaspettati (perché un domatore di leoni?), ma anche tanti piccoli dettagli e tante piccole azioni che si inseriscono nel filo narrativo principale: un palloncino che vola via, una mela che cade in testa, un animale che non si capisce bene cosa sia e cosa ci faccia lì.
E poi c'è la mosca (sì, ho deciso che è una mosca, di quelle che di solito ronzano e disturbano il sonno e che stavolta invece lo trasporta, come un'ape fa col polline). La mosca non si limita a volare da una pagina all'altra: interagisce con i personaggi, modifica la sua traiettoria, si insinua in un'orecchio ed esce dall'altra parte.

Anche se non ha una vera e propria trama, insomma, in questo libro si sovrappongono tanti livelli di lettura delle immagini, dalla decodifica di questa prospettiva insolita, che vede i nasi in cima all'ovale del viso, alla ricerca delle microstorie nascoste nei curiosi e divertenti dettagli.

Il Piccolo T ha seguito col dito il volo della mosca, e insieme abbiamo creato la nostra storia, immaginando un ruolo per ognuno dei personaggi.
Insomma: anche da uno sbadiglio può nascere un gioco. Anzi, due.

Immedesimandomi in questa piccola mosca porta-sonno, ho costruito

Il gioco degli sbadigli.

(se vi piace, scaricate il pdf stampabile e giocate anche voi.)



https://drive.google.com/file/d/0B_dFi1TzHvBERVltMXJ1Qzk5LVU/view?usp=sharing


Si parte con la costruzione della plancia di gioco: attaccate il cerchio a un cartoncino e ritagliatelo.
Poi ritagliate le facce sbadiglianti una ad una restando dentro i contorni: il bordo grigio non dovrà comparire nel cerchietto ritagliato.



Ora, piegate in due ogni cerchietto in senso orizzontale (gli occhi dovranno rimanere tutti dallo stesso lato) e incollate la parte inferiore al bordo inferiore del viso di ogni personaggio sulla plancia di gioco (facendo naturalmente corrispondere i cerchi con i baffi ai personaggi con i baffi).



Il risultato finale dovrebbe essere questo: tenendo il cerchietto piegato, vedrete il personaggio sorridente, aprendolo lo farete sbadigliare.
Ora non resta che aggiungere un dado, due pedine e un timer, e giocare.

Si inizia mettendo le due pedine vicine sulla plancia e facendo partire il timer (decidete voi quanto far durare la partita).
I personaggi dovranno essere inizialmente metà sorridenti e metà sbadiglianti (alternate un sorriso e uno sbadiglio).
Scegliete il ruolo di ogni pedina (e quindi lo scopo di ogni giocatore): una farà sbadigliare, l'altra fermerà gli sbadigli.
A turno tirate il dado e muovetevi nella direzione che preferite. Se siete una pedina "porta sbadigli" e finite su una casella con il personaggio sorridente, lo farete sbadigliare. Se il personaggio sbadiglia già, non dovrete fare nulla.
Viceversa, se siete una pedina ferma-sbadigli, dovrete "chiudere la bocca" ai personaggi corrispondenti alla casella dove capitate.
Vince il giocatore che, allo scadere del tempo, ha il maggior numero di personaggi della plancia di gioco nella condizione desiderata (sorridenti o sbadiglianti, secondo il suo scopo iniziale).










Abbiamo anche provato a giocare a chi per primo riesce a trasformare tutti i personaggi (tutti tranne uno, in realtà: portarli tutti a una stessa condizione è matematicamente impossibile), ma la partita è durata un tempo spropositato. Altro che sbadigli: stava diventando il gioco più noioso del mondo.

A proposito: tutto questo sbadigliare metterà finalmente sonno al Piccolo T, o sarà la mamma a crollare per prima?


Al liceo avevo otto in matematica, ma ho scelto un lavoro creativo.
Amo la letteratura ma alterno romanzi a saggi di divulgazione scientifica.
Se c'è una dicotomia che non sopporto, insomma, è quella tra sapere scientifico e sapere umanistico.
Credo che la scienza possa avere il fascino di una favola e che attraverso le favole si possano anche raccontare le leggi della natura, e mi piacerebbe poter insegnare tutto questo ai miei figli.
Credo sia anche per questo che le costruzioni sono tra i giochi che più amo e amo proporre: con esse, è necessario sottostare alle regole della fisica e della tecnologia (leve, gravità, baricentro, meccanismi di movimento ecc), per costruire qualsiasi cosa la fantasia ci ispri.
Ad esempio, trasformando una macchina da lavoro in una macchina da disegno.


Grazie a Dal Negro, distributore unico in Italia, ho potuto provare il sistema Engino. Ideato da un ex insegnante e ingegnere per aiutare i ragazzi a coniugare tecnologia e creatività, il sistema Engino ha oggi diverse linee di giochi, adatte a più fasce d'età, ma tutte orientate al gioco "STEM" (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

Noi ci siamo cimentati con la serie Inventor, adatta dai 6 anni (ma non vedo l'ora che il Piccolo T cresca un po' per potergli proporre la serie Discovery Stem, con concetti scientifici più avanzati e corredata di libretti che spiegano e completano il gioco con teoria, attività e quiz).


La nostra scatola prevedeva i pezzi per costruire 16 modelli di macchine da lavoro: i primi 3 presenti nel libretto di istruzioni cartaceo, gli altri visionabili in un pdf online, sul sito di Engino o con delle chiarissime istruzioni 3D passo-passo da visualizzare attraverso un'app gratuita.



Il set è composto da poche tipologie di pezzi dall'utilizzo molto flessibile. In questo modo, le istruzioni sono semplici da seguire (non serve cercare a lungo quale sia il pezzo giusto tra quelli a disposizione), e le possibilità di costruzione virtualmente infinite.
Gli angolari permettono di creare strutture a 45° e 90° e molti pezzi consentono incastri in ogni loro lato, per costruzioni tridimensionali senza limiti di direzione.

Inoltre, nel caso ci si renda conto di aver sbagliato un attacco, non sempre serve staccare i pezzi: tutti gli incastri ruotano su se stessi per permettere di proseguire la costruzione in qualsiasi direzione.



E in più, ci sono speciali pezzi "allungabili", che si possono fissare estendere e fissare alla dimensione desiderata semplicemente incastrando uno dei due elementi in corrispondenza della tacca scelta (volete vedere meglio i dettagli? C'è un video molto esaustivo su YouTube).




Certi incastri possono risultare un po' duri per i bambini e richiedono un po' di forza, ma una volta imparata la tecnica più corretta, diventa tutto più semplice.



La scelta dei pezzi da utilizzare è semplificata dai colori, che aiutano a identificare la forma indicata dalle istruzioni.
Con un po' di aiuto, in poco tempo il Piccolo T ha costruito la prima macchina da lavoro descritta nel libretto, stupendosi per come i movimenti e le giunture permettessero di collegare tra loro le strutture create.

Ma seguire le istruzioni è solo una piccola parte del divertimento, e noi non avevamo alcuna intenzione di fermarci lì.

Se avete sentito parlare di attività STEM, forse saprete che alcuni preferiscono applicarne una versione allargata, detta STEAM, che a Science, Technology, Engineering and Mathematics unisce Art. È un po' quello che abbiamo fatto io e il Piccolo T, sfruttando i movimenti concessi da queste costruzioni per creare la nostra macchina da disegno.
Prima osservazione: il tubicino d'inchostro di una penna a sfera colorata si incastra perfettamente in questo pezzo, creato come aggancio per un perno.
Così, lo abbiamo prontamente trasformato in un braccio da disegno.


Abbiamo poi creato una struttura rotante a cui fissarlo (come fare a farla stare dritta? Quanti pezzi servono per dare il giusto sostegno? Il concetto di baricentro è ancora molto difficile, ma questa è stata una sua piccola introduzione).
Ed ecco la nostra macchina-compasso (così ci mettiamo un po' di geometria: visto come nasce un cerchio?).



Il braccio del compasso è stato costruito con il pezzo allungabile di cui vi avevo parlato sopra: proviamo allora ad estenderlo e vediamo che succede al nostro cerchio.


E se aggiungiamo un perno al braccio che regge la penna?


Ecco come possiamo creare delle linee rette che attraversano tutta la circonferenza.



Ma il braccio si può anche collegare alla struttura base della macchina costruita in precedenza, creando un vero e proprio veicolo da scrittura ("Lo sai, Piccolo T, che è così che si disegnano le righe bianche sull'asfalto?").


E via, pronti a tracciare strade sempre nuove, ovunque ci porti la fantasia (e la tecnologia, naturalmente).


Post realizzato in collaborazione con Dal Negro. Potete trovare tutti i giochi Engino sul loro store online.
Diventare genitori è un viaggio che non finisce mai, fatto di tappe veloci che fuggono via senza quasi lasciarti il tempo di rendertene conto, e altre più impervie, che sembrano non finire mai.

La più lunga di tutte? Il duro, faticosissimo viaggio dal pannolino al vasino.



Deve pensarla allo stesso modo anche Mattheu Maudet (sono abbastanza certa di avervi già detto che amo Matthieu Maudet) o, se non lui, almeno i personaggi che ha creato nel suo delizioso Io vado!, un cartonato formato quadrotto di Babalibri, adatto anche per le manine dei bimbi.



Io vado! è la storia semplice e tenera di un uccellino che sta per partire.
La mamma gli dà un maglione, perché potrebbe fare freddo.
Il papà gli porge una torcia, nel caso dovesse tornare tardi.
E poi biscotti, libri, ombrelli: chiunque incontri nel suo cammino lo aiuta ad equipaggiarsi per questo suo viaggio che sembra così importante.



Così, l'uccellino finalmente parte, bello carico di attrezzi di ogni genere e per ogni evenienza.
Ma dove starà andando? Ops!



Avete sorriso anche voi?
Io vado! è così: semplice e divertente, aiuta bimbi e genitori a sdrammatizzare la lunga strada per la conquista del vasino.
Un libro da leggere ridendo, fatto di poche parole e immagini semplici e quotidiane, ma anche di un ritmo e di una struttura ripetitiva che rassicurano i bambini (e li aiutano a "leggere" il libro da soli, sfogliandolo).

Il vasino è solo una tappa del percorso di crescita, ma Io vado! coglie perfettamente il suo senso più ampio: la famiglia e gli amici che accompagnano verso l'indipendenza, dando tutti gli strumenti ma lasciando alla fine che il piccolo faccia da solo.
Sarà per questo, o per l'indiscusso fascino che ha sui bimbi, che Io vado! ha vinto il premio nazionale 2017 di Nati per leggere nella sezione "Crescere con i libri".

E voi, che strumenti avete dato al vostro bimbo lungo la strada dello spannolinamento?
Forse la torcia e l'ombrello sono un po' eccessivi, ma un piccolo "kit da vasino" (o da riduttore) può aiutare a rendere il momento più divertente.

Potreste ad esempio appendere delle istruzioni (se vi piacciono, le trovate nel mio pdf stampabile) che spiegano che dopo aver fatto pipì ci si pulisce, ci si lava e ci si asciuga le mani.



Per lavarsi le mani, potete mettere uno scalino per raggiungere il lavandino oppure usare il bidet, magari attaccando al muro uno specchio. Esistono anche dei supporti che trasformano il bidet in un lavandino accessoriato.

E poi, le cose più importanti: carta igienica a portata di mano e naturalmente un buon libro per passare il tempo. Magari, proprio uno di Matthieu Maudet.


Buon viaggio!



     
Sapete qual era il mio gioco preferito da piccola? No, non le Barbie. E nemmeno i Lego (forse quelli potrebbero occupare il secondo gradino del podio).
La cosa che adoravo di più era costruire capanne sull'albero.
Ok: non erano proprio sopra un albero. In genere erano sotto. E non erano nemmeno capanne vere e proprie. Simulavo le pareti legando e intrecciando rami, bastoni e grandi foglie tra di loro.
Per trasformare quella strana opera in una casetta, bastava l'ingrediente più importante di tutti i giochi: la fantasia.


Sarà per questo che mi sono immedesimata nella sorellina minore protagonista di La casetta segreta sull'albero, edizioni Terre di Mezzo, un libro che è un inno alla fantasia, al gioco all'aria aperta e all'amore tra sorelle.


La casetta segreta sull'albero è la storia di una bimba ha una voglia pazza di giocare con la sorella maggiore, che però è concentrata sul suo libro e non la bada.

Per incuriosirla, la piccola le racconta di avere una casetta segreta sull'albero.
E dal momento che la cosa sembra non impressionarla, condisce il racconto con dettagli sempre più curiosi e originali. Mentre parla, la sua fantasia prende forma sulle pagine del libro, e la casetta diventa sempre più reale, sempre più grande, sempre più bella, nelle ricche illustrazioni che riempiono le pagine e catturano l'attenzione dei piccoli lettori.


Ci sono lenti d'ingrandimento e altri strumenti per esplorare la natura, ci sono posti di vedetta per avvistare i nemici in arrivo ("Ci sono anche i pirati!" ha urlato il Piccolo T, sempre più incredulo, mentre leggevo), e simpatici mostri che cercano ospitalità.

E c'è un sistema di segnali per indicare ai passanti se la proprietaria è in casa o meno, se vuole ospiti o se ha bisogno di aiuto.


Il finale? È dolce e commovente: una rivincita della fantasia sull'indifferenza, ma soprattutto una vittoria dell'amore tra sorelle.
In qualche modo, la casetta diventa un rifugio di entrambe, un segreto condiviso, uno spazio di complicità, poco importa se reale o immaginario.

Già, perché ogni bimbo ha bisogno di un rifugio segreto, dove far vivere draghi, mostri e pirati. Anche se non è necessariamente su un albero, ma magari semplicemente in camera sua.
Ecco perché ho pensato di preparare al mio Piccolo T una "segnaletica" come quella della protagonista di La casetta segreta sull'albero, da appendere alla maniglia della sua porta.

Se vi piace l'idea, potete scaricare il mio pdf, con tre messaggi pronti da ritagliare e appendere e tre sagome vuote da colorare, per inventare e disegnare il vostro segnale personale e trasformare la cameretta in un rifugio.



Anche il Piccolo T si è messo all'opera con il suo segnale.

Ed è così che è nato... il divieto d'accesso al fratellino (indispensabile per giocare con i pezzi piccoli che il Piccolo D potrebbe mettere in bocca).

Un risultato non esattamente nello spirito del libro, vero?
Ma non importa: io so che un giorno anche loro costruiranno un rifugio insieme.


Cos'è in fondo un difetto? Un apostrofo rosa tra le parole "T'insulto"?
Qualcosa che fa parte di noi o che possiamo cancellare? Può un difetto diventare un pregio?

L'accettazione di sé e delle proprie caratteristiche, belle, brutte o comunque siano, è un processo lungo una vita intera. I difetti bisogna imparare a riconoscerli, ad accettarli, a capire che conseguenze hanno su di noi e sulla nostra vita sociale. Poi si decide se cercare di cambiarli, o almeno limarli un po', o prenderli da un punto di vista nuovo, guardandone il lato positivo. Mica facile.

Da piccoli, poi, tutti si sentono supereroi, potenti e perfetti.
Da dove iniziare, allora, il viaggio della conoscenza e dell'accettazione di sé?
Forse da un quintetto di eroi che perfetti proprio non sono.

I Cinque Malfatti di Beatrice Alemagna (ed. Topipittori) sono, appunto, malfatti. Uno è bucato, uno è molle, uno è tutto piegato, uno è all'incontrario e uno è tutto sbagliato, dalla testa ai piedi.
Cosa fanno tutto il giorno? Si divertono a fare a gara a chi è il più malfatto di tutti.
Non proprio un esempio di stacanovismo, insomma, ma i malfatti sono simpatici, anche solo a guardarli, e sono amici tra di loro.


Poi un giorno, a turbare il loro equilibrio, arriva lui: un tipo perfetto.
A vederlo, in realtà, fa anche un po' ridere, con quella chioma arancione fluente.
Il tipo perfetto entra nella casa dei malfatti (malfatta anche quella), li interroga con aria un po' snob sui loro progetti, e quando scopre che non ne hanno li definisce delle "nullità". Sarà anche perfetto, questo tipo perfetto, ma si atteggia un po' a bulletto della classe, insomma.
Ed è proprio dal confronto con il tipo perfetto che i malfatti scoprono il lato positivo dei loro difetti. 
Il bucato, ad esempio, non è mai arrabbiato, perché la rabbia gli esce dai buchi.
Il molle, invece, ci dorme sopra, e così via.
È un vero e proprio esercizio di resilienza.

Cosa ancora più importante, i malfatti sono amici. E non solo hanno imparato ad accettare se stessi, ma si accettano l'un l'altro.
E così, se ne vanno via dandosi allegre pacche sulle spalle, lasciando il tipo perfetto da solo, come "un vero perfetto stupido".

Insomma: essere perfetti non è importante. Anzi, è impossibile.
È molto meglio accettarsi, prendere il lato bello delle cose ed essere amici.
Non è un ottimo spunto, questa lettura, per parlare di difetti, per far vedere che ogni caratteristica può essere negativa ma se presa dal verso giusto può trasformarsi anche in qualcosa di buono?

È così che è nata la nostra attività su

il sesto malfatto.


Io e il Piccolo T abbiamo preso un foglio e provato a immaginare un personaggio con uno o più difetti. La "regola" era: immaginare il difetto, pensare a cosa avrebbe comportato di negativo, e poi trovarne il lato positivo.

Quando abbiamo trovato il personaggio che più ci convinceva, con il difetto/pregio più curioso e simpatico, il Piccolo T lo ha disegnato, con pennarelli e collage.


Dopo molte discussioni e un grande esercizio di fantasia, eccolo: il nostro "sesto malfatto" è diviso in due e ha dei fiori al posto delle orecchie.
Barcolla quando cammina e non ci sente tanto bene, ma in compenso può andare in due posti diversi contemporaneamente, e quando cammina lascia dietro di sé una scia di profumo floreale.
Mica male, essere malfatti così.

(Gliela racconto o no la storia di un certo Visconte dimezzato?)


Ogni anno la stessa storia: passa la Pasqua e loro restano lì. Buttarli via sembra uno spreco, ma non sai come riciclarli. 
No, non sto parlando dei pezzi di cioccolato delle uova di Pasqua: quelli a casa nostra non avanzano mai. Parlo di quei cosi di plastica a forma tronco conica che reggono l'uovo nella sua confezione.
In un primo momento, li uso per contenere la cioccolata avanzata, ma questa funzione ha generalmente una durata brevissima. E allora che farne?


Un gioco per bebè, ad esempio.
Basta avere a disposizione alcuni nastri colorati e, naturalmente, un bebè interessato (dai sei mesi all'anno e mezzo, suppergiù).




Per prima cosa, bisogna praticare dei fori, in numero pari, tutt'attorno al "coso" di plastica (come lo chiamiamo? reggiuovo?).
Io ho usato il mio Multiutensile Dremel, ma basta anche un trapano o, con un po' di attenzione, delle forbici appuntite.




Ora procuratevi nastri e nastrini di vari colori e texture: raso, tulle, nastro a coste, spago grosso.
Ricordate che quello che state costruendo non è solo un gioco, ma un'esperienza sensoriale (le sinapsi, le sinapsi!).



Passate ogni nastro da un buco a quello opposto e annodate le estremità, se serve più volte, per fare in modo che sia impossibile sfilarli. Lasciate un po' di lunghezza libera, in modo che i nastri possano scorrere.


Infine, affidate il gioco al bebè, perché possa toccare, tirare, sperimentare.
La cioccolata potete mangiarla voi. È per il suo bene, in fondo.



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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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