Nuvole in scatola
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È in qualche modo rassicurante ritrovare personaggi conosciuti. Sembra di incontrare di nuovo un vecchio amico, con cui si sono trascorsi momenti speciali.

Ma non sempre le persone (e i personaggi) che incontriamo sono uguali a se stesse.

Le signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi

La signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi è il seguito di La signora Lana e il profumo della cioccolata di Jutta Richter, anch'esso edito da Beisler: qui ritroviamo Merle e Moritz, con molti misteri ancora da risolvere.

Li ritroviamo più grandi e più consapevoli, e ne percepiamo la crescita interiore: di fatto, della misteriosa signora Lana, di Fanciullopoli e del padre lontano non sanno molto di più di quanto sapessero nel primo volume (sono addirittura convinti che il loro viaggio oltre la porta magica fosse stato un sogno), ma si accostano a un nuovo viaggio con meno timori e più sicurezza.

Le signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi

Questa volta, il viaggio a Fanciullopoli è dettato da un'emergenza: Sebastian, un compagno di scuola dei bambini, è stato rapito, probabilmente proprio dai terribili gnomi zannaguzza.

Ad accompagnare i bambini sono due ombrellini di carta che la bambinaia Nuvolana Wolkenstein ha piazzato sulla loro cioccolata calda e che, all'occorrenza, crescono e si trasformano in strumenti di volo.

Le signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi

La prosa della Richter, ben resa dalla traduzione armonica di Bice Rinaldi, ci accompagna nel mistero, accompagnata dalle illustrazioni cupe e contrastate di Günter Mattei, lasciandosi andare però ad alcuni momenti di leggerezza, come anche ad alcune citazioni, come il pupazzo di Fùcur, il fortunadrago della Storia Infinita, nel negozio di giocattoli.

Le signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi

Nonostante la presenza di personaggi ambigui, la sensazione è che i due bambini non si trovino mai davvero in pericolo, questa volta, grazie al sostegno di aiutanti come la volpe Lacrima d'Argento, che manda loro dei messaggi attraverso le ali di speciali falene.

Le signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi

Se l'avventura alla ricerca di Sebastian si conclude, quasi tutti i nodi principali del mistero restano ancora aperti. Salutiamo Merle e Moritz con un arrivederci, in attesa dell'ultimo episodio della trilogia.


PS: per lettori alle prime armi, La signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi viene distribuito con la formula Leggi e ascolta di Beisler, con audiolibro a supporto, di cui vi avevo parlato qui.


 

Si incontra sempre una certa distanza emotiva, nel raccontare i fatti storici.

La guerra, quella che si studia sui libri, appare sempre lontana, non solo nel tempo, ma soprattutto nei sentimenti. Le scelte di re, dittatori e presidenti non ci appaiono come materia viva e pulsante. Lo sono invece le singole guerre, quelle vissute dalla gente comune, le loro storie singole e singolari.

La guerra di Becky

È forse questo il modo più efficace di raccontare l'Olocausto ai bambini, ed è quello che fa Antonio Ferrara, narratore con un occhio particolarmente sensibile sulla storia, con La guerra di Becky, edita per la collana Le Rane di Interlinea (sullo stesso tema e dello stesso editore, vi avevo già parlato di Il violino di Auschwitz).

La guerra di Becky

Becky racconta le proprie vicende in prima persona: il suo è una sorta di diario, seppur non dichiarato.
La sua storia è quella di una famiglia ebrea che fugge dai bombardamenti su Milano e si rifugia nell'albergo di proprietà del padre a Meina, sul Lago Maggiore. Qui le SS imprigioneranno lei e altri ospiti ebrei dell'albergo. Becky racconta la reclusione, stipata con gli altri in una piccola stanza d'albergo, l'amicizia con un ragazzo, l'eccidio dei suoi compagni di prigionia, la fuga verso la Svizzera.

È la tragedia nota come Olocausto del Lago Maggiore, una delle più grandi stragi di ebrei in Italia.

La guerra di Becky

È crudo La guerra di Becky, non fa sconti a chi legge.
Dietro a una sintassi semplice, con cui Ferrara dà voce alla ragazzina, nasconde verità difficili. Non tace la morte dell'amato cane, né quella di un amico che era diventato per lei un punto di riferimento.

Non scava in profondità, la voce di Becky: non ce n'è bisogno.
Sono già abbastanza intensi i fatti, nella loro esposizione più semplice e lineare, e l'espressione limpida dei suoi sentimenti di paura e di speranza.

La guerra di Becky

A dare respiro a una narrazione così pregna di tensione, le illustrazioni dello stesso autore, che affiancano ognuno dei brevi 28 capitoli di cui si compone il romanzo: sono perlopiù dettagli e ritratti, quasi mai quadri più ampi, quasi a voler stringere il punto di vista sulle prospettive così ridotte di una bambina ebrea. I volti si fanno caricature, a esprimere la disumanità dei soldati da un lato, l'intensità delle vittime dall'altro.

C'è una lucida consapevolezza di sopravvissuta, nelle parole di Becky: un finale che non può dirsi lieto, ma che racconta di un mondo che quella follia l'ha superata e che forse, se ne manteniamo viva la memoria, saprà non ripeterla più.


 
A proposito di libri educativi o diseducativi e di leggere per il solo piacere di farlo, ecco un albo che rispecchia perfettamente questa filosofia.

gattaccia maledetta

Gattaccia maledetta nasce dalla matita ironica di Tony Ross e, ve lo dico subito, non porta ai vostri bambini un modello educativo esemplare. In Italia l'albo è pubblicato da Camelozampa, casa editrice attenta a fornire punti di vista inediti, e sempre dalla parte dei bambini.

gattaccia maledetta

La gattaccia in questione si chiama Susy, o meglio, "Gatta Susy Baggot" (divertente e ben misurata la traduzione di Sara Saorin) e ne combina di tutti i colori, dai graffi sul divano alla pipì nella sacca da golf di papà, e ogni volta viene apostrofata allo stesso modo: "gattaccia maledetta!".

gattaccia maledetta

E se a un certo punto della narrazione vi sorgesse il dubbio che Susy subisca delle ingiustizie, niente paura: l'autore ci tiene a sottolineare che se tutti danno la colpa alla gatta è  

anche perché di solito era proprio colpa sua.

gattaccia maledetta

Poi, la svolta: un giorno Susy smette di mangiare e bere. Sarà malata?

La famiglia Baggot si preoccupa, e lo fa anche il lettore. Improvvisamente proviamo compassione per questa gatta così dispettosa e irriverente.

gattaccia maledetta

Quando torna, dopo alcuni giorni dal veterinario, Susy viene celebrata e trattata con ogni possibile riguardo. Nessuno la sgrida più e le viene offerta la pappa migliore. Cosa sia sucesso davvero lo sa solo lei, ma lo scoprirà anche il lettore, quando la "gattaccia" lo confesserà al cane dei vicini.

È un po' la natura dei gatti, in fondo, quella di essere parac... ehm... molto attenti ai propri bisogni prima di ogni altra cosa. In questo senso Gattaccia maledetta racconta bene, seppur con qualche iperbole, l'animo animale e in fondo anche la furbizia e i sotterfugi dei bambini, che a volte si lasciano sfuggire una lacrima di troppo solo per avere qualche coccola extra. 

Il libro non dà giudizi, si limita a raccontare, ma non mancherà di stimolare emozioni e sensazioni contrapposte: il senso di ingiustizia, un po' di comprensione.

Quello che non ci si aspetta, in un libro per bambini, è che un furbetto la faccia franca, alla faccia del karma e della morale. Ma è la vita, è la letteratura. Non deve per forza finire come ci aspettiamo.
 


Avete presente quello stato d'animo che ci prende a volte, quando un elemento comico si introduce in un contesto drammatico?
Avete mai riso a una battuta di un amico, a un funerale, sentendovi in colpa per il contrasto tra le emozioni provate? Avete mai pensato, in circostanze luttuose, a quanto fosse bello avere un'occasione per sentirvi emotivamente e fisicamente vicini a parenti o amici che non vedevate da un po'? La conoscete quella sensazione di essere tristi e felici, in colpa e sollevati al momento stesso? 

Ecco, I tre funerali del mio cane, di Guillaume Guéraud, restituisce esattamente quell'atmosfera: c'è il dramma della perdita dell'amico a quattro zampe, il clima mesto che si addice a un funerale, ma c'è anche la presenza degli amici, che porta calore e conforto, e una serie di equivoci e contrattempi dal taglio umoristico che smorzano la mestizia della narrazione e restituiscono al romanzo quel clima così strano e così sospeso di questi momenti.
 
I tre funerali del mio cane

Edito da Biancoenero nella collana MaxiZoom, che raccoglie brevi romanzi ad alta leggibilità dedicati ai lettori tra 11 e 14 anni I tre funerali del mio cane, racconta la storia di Nemo, che si trova ad affrontare la morte del suo fedele amico Babino, investito davanti a casa.

I tre funerali del mio cane
 
Nemo si trova ad affrontare una situazione nuova, sia emotivamente, sia materialmente: non era pronto a salutare il suo cane, né è in grado di gestirne l'addio: come si fa un funerale? Dove si potrà seppellire il cane?
Attorno a Nemo si muovono altre figure che danno al racconto una coralità rassicurante: la famiglia di Nemo – papà, mamma e sorella – e i tre amici Morgana, Nadir e Giulio (per Morgana, Nemo ha un debole, anche se questa simpatia non si manifesterà mai esplicitamente nel corso della narrazione).

Nessuno di loro prende in giro Nemo per il suo dolore o lo sminuisce: Babino era parte della famiglia, ma anche del gruppo di amici, e sono tutti sinceramente tristi per la sua scomparsa. La condivisione del dolore rassicura Nemo, che si sente capito. Ognuno a modo suo, tutti daranno il proprio apporto all'estremo saluto del cane.

In questo filo narrativo così triste si innestano però momenti dal sapore comico: sono gli equivoci, gli errori e i contrattempi che portano alla ripetizione del funerale, circostanza che dà il titolo al libro.

Riso e pianto si uniscono e si fondono tra loro in una cosa sola, in una narrazione leggera e profonda al tempo stesso. Come nel lutto. Come nella vita.


Sempre più spesso trovo libri che, più che insegnare qualcosa ai bambini, insegnano ai genitori.
Lì per lì la cosa è spiazzante: siamo culturalmente portati a identificare le storie per bambini con fiabe dotate di morale più o meno esplicita.
Ma a pensarci bene, non potrebbe che essere così: la letteratura per bambini, per l'appunto, è per bambini, e deve stare dalla loro parte. Siamo noi, semmai, a dover imparare a rispettare il loro sentire, a parlare il loro linguaggio.

Pokko e il suo tamburo

Pokko e il suo tamburo, del canadese Matthew Forsythe (Terre di mezzo editore), sta proprio lì, dalla parte dei bambini, ma lo fa con un'ironia che non può non strappare un sorriso anche ai grandi.

Regalarle un tamburo era stato il più grosso errore che i genitori di Pokko avessero mai fatto.

Così inizia l'albo, e non c'è bisogno di spiegare perché mamma e papà rana lo ritengano un errore: è un'immagine fin troppo radicata nel nostro vissuto quella dei piccoli che fanno rumore e dei grandi che sognano un po' di pace.

Pokko e il suo tamburo

Ma non si tratta solo del rumore: come il testo specifica i genitori 
in passato, avevano già fatto degli errori.
Come la fionda.
E il lama.
Le immagini lasciano intuire qualcosa, ma il non detto resta preponderante, e quel non detto è una chiave importante del meccanismo di coinvolgimento del lettore, perché crea complicità, provoca risate, ma mette in moto anche la fantasia, per immaginare cosa mai abbia combinato Pokko con la fionda e con il lama.

Pokko e il suo tamburo

Dopo un dialogo surreale, in cui parlano senza capirsi a causa del rumore del tamburo, il papà e la mamma di Pokko la allontanano per trovare un po' di pace.
Nel bosco, Pokko non saprà resistere al richiamo della musica e ricomincerà a suonare. Subito, dietro di lei si forma una coda di animali che la segue, come a formare una banda: c'è un procione con il banjo, un coniglio con la tromba, e anche un lupo, che non sa suonare ma ama la musica.

Pokko e il suo tamburo

È nella foresta che l'albo cambia registro, con le sue tavole affollate di animali sedotti dalla musica: pur conservando qualche momento comico, la storia inizia a coinvolgere sensi e sentimenti.
Sembra di sentire il ritmo, la festa, ma anche l'orgoglio della piccola Pokko, che con il suo talento ha saputo coinvolgere una folla di appassionati, tanto che alla fine, anche la mamma e il papà dovranno riconoscerlo.

L'occhio si perde tra le campiture scure e le molte presenze del bosco.
Le immagini degli animali, con la fissità dei loro sguardi e delle espressioni, ancor più accentuata in Pokko e nella sua famiglia per via delle pupille orizzontali, creano una sensazione straniante che affascina e quasi ipnotizza. Sembra che tutti i personaggi siano rapiti dalla musica, come se l'arte fosse una forza superiore a tutto, anche allo scetticismo dei genitori.
Quei genitori che a volte dovrebbero alzare l'asticella della sopportazione e permettere ad ogni bambino di suonare la propria musica.


La tambulattina

 
Avete mai costruito un tamburo in casa?
È molto semplice, e può diventare un piccolo esperimento scientifico per parlare ai bambini di vibrazioni, casse di risonanza e trasmissione del suono.


Tamburo di latta
 
Prendete un semplice barattolo di latta e un palloncino.
Tagliate la cima del palloncino e usatela come "pelle" del tamburo, tirandola bene ai bordi (se è molto tesa, non servirà nemmeno un elastico per fissarla).
Per suonarlo, basteranno penne o matite o bastoncini di qualsiasi tipo.

Tamburo di latta

Se volete un'orchestra intera, potete aggiungere maracas fatte di contenitori pieni di riso o fagioli secchi, nacchere costruite con tappi a corona incollati a un cartoncino piegato, perfino strumenti a corda, con fili tesi su una scatola forata a fare da cassa.
(Prossimamente: il tutorial per i tappi nelle orecchie.)


Provate a rispondere a questa domanda: perché leggete? 

Ora, provate a rispondere a questa: perché leggete ai vostri figli?

Fatemi indovinare, adesso: la risposta era diversa. Quando leggiamo per noi stessi, lo facciamo essenzialmente a scopo ricreativo o tuttalpiù, se ci orientiamo verso la saggistica, per soddisfare qualche nostra specifica curiosità.

Il genitore che legge al bambino, invece, è in genere mosso da intenti diversi: stimolare, educare, insegnare, fornire un modello. Ma tutto questo è giusto? È utile? È necessario?

Nei mesi scorsi, sulle pagine Facebook e Instagram di Nuvole in Scatola, ho voluto lanciare una serie di riflessioni, invitando a #leggereperpiacere. Ve le ripropongo anche sul blog, arricchite dagli spunti nati dai vostri commenti.

Foto: Shutterstock

 

Fatti della stessa materia di cui son fatti i sussidari.

Ci avete mai fatto caso?
Anche se consideriamo la letteratura un'arte, non la trattiamo come tutte le altre arti.

Quando facciamo ascoltare a un bambino una canzone, pretendiamo forse che nel testo si declamino le tabelline? Quando li portiamo a una mostra, controlliamo forse che i personaggi raffigurati nei quadri siedano tutti composti e senza gomiti sul tavolo? 

Eppure nessuno metterebbe mai in dubbio che queste siano attività educative e formative.


Perché allora si chiede alla lettura quello che non si chiede all’arte o alla musica?
Il fatto che i libri di narrativa siano fatti della stessa materia dei testi scolastici – pagine, immagini e parole – implica forse che debbano condividerne anche lo scopo?

 

Scegliete libri belli, non libri buoni.

Torniamo per un attimo alla differenza di approccio tra letteratura per bambini e per adulti.

Ci sono genitori che credono fortemente a una determinata visione della vita, della società o della pedagogia, e non accettano libri che se ne discostino.

Ad esempio? Chi aderisce alla "disciplina dolce" ed è contrario a un'educazione basata su premi e punizioni, potrebbe giudicare male un albo in cui un personaggio viene premiato o punito.
Molti animalisti evitano le fiabe in cui il lupo viene dipinto come cattivo.
Più in generale, alcuni genitori lasciano sullo scaffale libri senza una morale chiara ed esplicita.

Ora, però, pensate ai romanzi che più avete amato: andava sempre tutto liscio e secondo i vostri canoni? I buoni erano buoni e i cattivi cattivi?
Non erano forse le sfumature a rendere affascinante la storia?
Non era forse quell’elemento disturbante e ineffabile a tenervi incollati alle pagine?

Non sono l’ostacolo e il conflitto il motore stesso della narrazione?
E affrontare la complessità con gli occhi dei personaggi non vi ha forse dato uno sguardo nuovo sulla complessità della vita?


Ecco: perché dovrebbe essere diverso con la letteratura per l’infanzia?
Polarizzare il mondo non aiuterà loro a orientarsi in una vita che non è mai bianca e nera.
Raccontare una realtà edulcorata non li salverà dalle amarezze che incontreranno.

Appiattire la narrazione, soggiogarla a un’ideologia o a una morale, può avere un solo risultato: togliere ai bambini l'emozione di leggere.

Non sto dicendo, naturalmente, che tutti i libri con una morale, o che insegnano qualcosa, siano libri brutti, ma che andrebbe sovvertito il paradigma che a volte, senza che ce ne accorgiamo, ci guida nella scelta. Il criterio principale, oserei dire l'unico, dovrebbe essere e restare la qualità della scrittura, della narrazione, delle illustrazioni, e non lo scopo educativo.

Un libro non è bello perché è "buono", è bello perché è bello.

 

Leggere insegna a fare un sacco di cose.
Soprattutto quelle che non si possono fare.

A proposito di punti di vista scomodi e scorretti: vi siete mai chiesti perché i protagonisti di romanzi per ragazzi sono spesso orfani?
Certo, sarebbe difficile immaginare Pippi Calzelunghe saltare sul tavolo sotto gli occhi della mamma, o Peter Pan battersi con i pirati con il beneplacito di papà.

In fondo la letteratura serve anche a questo: a sperimentare quello che altrimenti un bambino non potrebbe mai conoscere, ad aprire nuove possibilità, affrontare avventure altrimenti impossibili, non solo perché sovvertono le leggi del reale, ma anche, semplicemente, perché nella realtà ci farebbero paura, o chissà, magari non sarebbero nemmeno legali. 

Nessun bambino desidera essere orfano! Leggendo, però, può sperimentare l'ebbrezza di essere l'eroe di se stesso.

Un bambino che si diverte a leggere marachelle non necessariamente si diverte a farle, anzi: forse trova proprio nel libro una dimensione diversa dalla propria, in cui esplorare sentimenti e sensazioni che non gli appartengono.

Non abbiamo bisogno di fuggire su un’isola per “attaccare la ridda selvaggia”: lo abbiamo già fatto con Max. E il fatto che lui, rientrando nella sua camera, non venga punito, ma anzi trovi "la cena ad aspettarlo, che era ancora calda", non fa di questo albo un testo "cattivo", ma semplicemente lo rende più appagante da leggere. 

Anziché cercare necessariamente in un libro dei modelli educativi, a volte è addirittura più utile dare sfogo a quelli "diseducativi".

Leggere per il piacere di leggere significa andare oltre le buone maniere, la morale e il buon esempio, consapevoli che è proprio la rottura di una perfezione ad essere il motore di una storia.  


Leggere è utile soprattutto quando è inutile


A volte la ricerca ossessiva di una morale o di un insegnamento orienta le scelte di un genitore o di un insegnante verso libri scritti con un preciso scopo: ad esempio capire le proprie emozioni, rispettare chi è diverso da noi, conoscere il mondo.

Spesso, però, diciamocelo: i libri scritti specificamente "per" qualcosa sono scritti così male che questo scopo non lo raggiungono affatto.


Fateci caso: un bel libro che non ha la pretesa di insegnare nulla insegna molto più di quanto crediamo.
• un libro oscuro insegna a cercare nuovi punti di vista;
• un libro “immorale” insegna la complessità;
• un libro nonsense insegna a rompere gli schemi;
• un libro emozionante insegna a comprendere noi stessi molto più di un libro sulle emozioni;
• un libro divertente insegna a scardinare i meccanismi dell’umorismo;
• un libro di poesie, o con una prosa ritmata e musicale, ci insegna la lingua meglio di un manuale di stile.
 

In fondo, se ci pensate, l’unica cosa che un libro dovrebbe sempre insegnare è ad amare la letteratura.

E allora, per piacere, non leggete per istruire, per correggere, per insegnare, e nemmeno per educare.
Leggete soltanto per il bello di leggere.
Leggete per piacere.

Ecco: una delle cose meravigliose dell'infanzia, e una delle distanze più grandi tra "noi" e "loro", è la capacità di vedere anche i più piccoli traguardi. Se noi adulti chiediamo a noi stessi e agli altri sempre di più, per un bambino imparare a scrivere una sola lettera, riuscire a pedalare per tre metri in bicicletta senza rotelle o a fare un semplice nodo sono conquiste che danno grande soddisfazione (cerchiamo di assecondarli, quando ce le mostrano con orgoglio!).

Barnabè alla scoperta del mondo

Il protagonista di Barnabè alla scoperta del mondo ci racconta proprio questo: di quanto sia bello gioire anche dei piccoli traguardi raggiunti (e di come sia bello raggiungerli con degli amici).

Scritto da Gilles Bizouerne e illustrato da Béatrice Rodriguez, abile narratrice per immagini di silent book e non solo (suo La principessa, il lupo, il cavaliere e il drago, di cui avevo già parlato sul blog), Barnabè alla scoperta del mondo è edito da Terre di Mezzo editore in un formato orizzontale che rende bene l'idea del percorso e lo svolgersi della storia.

Barnabè alla scoperta del mondo

Barnabè è un tasso, un tipo molto sedentario, che però un giorno si sveglia e decide che di fare un viaggio fino "in capo al mondo!".

Il suo entusiasmo è contagioso e il paesaggio che attraversa è verde e luminoso. Tutto nell'albo mette allegria. Lungo la strada, Barnabè incontra prima una tartaruga e poi una talpa che decidono di seguirlo nell'impresa.

Barnabè alla scoperta del mondo

Nel loro cammino, i tre si trovano davanti alcuni ostacoli "insormontabili" (in realtà un piccolo fosso e un masso), che riescono ad affrontare grazie al lavoro di squadra. La tartaruga, ad esempio, si offre di fare da "ponte" agli altri due animali che passeranno sul suo carapace.

Tutto il libro è pervaso da un gioco ironico (ma mai avvilente per i protagonisti) tra i toni del testo e la realtà che vediamo nelle illustrazioni, che ci appare sempre più evidente a ogni successiva lettura, grazie ai dettagli disseminati qua e là.

Barnabè alla scoperta del mondo

Dopo aver sentito parlare di lunghe camminate, ci accorgiamo grazie al campo largo della doppia pagina, che si vede ancora vicina l'entrata della tana di Barnabè, e molte altre piccole presenze cointribuiscono sempre di più a darci un quadro più preciso di questa traversata.

Divertente, spensierato, ottimista, Barnabè alla scoperta del mondo è un albo che offre diversi livelli di analisi e lettura che dipenderanno dall'età del bambino (che a tre anni seguirà empaticamente la storia e poi progressivamente ne coglierà la portata ironica).

Quando, stanchi della camminata, i protagonisti incontreranno una formica, questa racconterà la propria traversata lunga e avventurosa per arrivare fin lì, e confermerà che sì: sono  proprio giunti in capo al mondo.

Tutto è relativo, insomma: anche i traguardi per cui esultare.


 Abbiamo sognato tutti di avere "quel" maestro, vero?

Quello stile "Attimo fuggente", che non si limita a darti nozioni ma ti offre qualcosa di più, una nuova visione della vita e di te stesso.

Joker
L'americana Susie Morgenstern ce ne presenta uno nel suo Joker, un racconto per primi lettori, dai 9 anni circa (serve un po' di dimestichezza con le dinamiche della scuola e con l'introspezione, e va tenuto conto che a un certo punto si parla di "fare l'amore", anche se per l'appunto se ne parla e basta), edito da Biancoenero Edizioni nella collana Zoom, stampata con font e impaginazione ad alta leggibilità.

Joker
 
All'ultimo anno della primaria, i bambini si trovano ad affrontare un nuovo maestro, ma non è come se lo aspettano: è grigio, pieno di rughe, ha un'aria strana.
Le illustrazioni di Giulio Castagnaro, essenziali nei tratti e nei colori, contribuiscono a farlo sembrare diverso, come distaccato dal resto del mondo.

Prima ancora di presentarsi, il maestro Biagio regala a ogni bambino un mazzo di carte speciali: sono dei "jolly", e ogni jolly è un lasciapassare per una libertà inaspettata: c'è il jolly per non andare a scuola, quello per ballare in classe, per non ascoltare la lezione.

Inizialmente increduli, i bambini imparano pian piano ad usare queste carte, ognuno a modo suo: c'è il bambino impaziente che le finisce subito, la parsimoniosa che li conserva per usarli nel momento più utile. Queste semplici carte racchiudono molte lezioni: la capacità di usare il proprio tempo e le proprie risorse, l'occasione di riflettere su molte consuetudini quotidiane date per scontate.

Ma le carte non sono il solo modo che ha il maestro Biagio per accompagnare i bambini in un percorso di autoconsapevolezza: ci sono le letture, la sfida a non guardare la tv, la "cassetta delle discussioni" da affrontare in classe.

Joker
 
Questi suoi metodi così poco ortodossi, come ci si potrebbe facilmente attendere, non sono visti di buon occhio dalla preside, e anche se il maestro Biagio prova a sua volta a "usare un jolly" per non affrontarla, dovrà alla fine rendere conto delle proprie scelte, compiute in un sistema che ancora non è pronto.

Joker
 
Il protagonista di Joker Ã¨ il prototipo di un insegnante che educa nel senso etimologico del termine, che non trasmette passivamente nozioni ma stimola il ragionamento indipendente, la consapevolezza di sé, e sa anche mostrare la strada verso la felicità di stare al mondo.

È il maestro che tutti avremmo voluto. Quello che vorrei, oggi, per i miei figli.
E chissà che, leggendo, non possano scoprire che la scuola non serve a dare voti, ma a far crescere esseri umani.
 

Un Jolly per...


L'idea delle carte, in ogni caso, è troppo ghiotta per lasciarla tra le pagine di un libro.
Quanti jolly potete inventare per i vostri bambini? E quanti per voi, da usare con loro?

Joker
 
Ogni jolly potrà essere usato contro di voi, questo sia chiaro.
Ma non è detto che sia sempre un male.


Sono "in una relazione complicata" con la poesia.
A tratti la amo, a giorni la odio, più spesso non la capisco; l'ho pensata morta, poi l'ho vista resuscitare. E a volte mi ritrovo persino a scriverla.

Nel pensare a quali titoli portarvi come testimoni di questo strano 2020, però, la poesia è emersa in modo prepotente.

poesia

La cosa non mi stupisce: è stato un anno che ci ha costretti alla pausa, alla lentezza, alla contemplazione, che ci ha messo di fronte a noi stessi come forse non succedeva da tempo.

 

Così, al posto del solito elenco dei "libri più belli" (che parzialmente vi ho già proposto nell'articolo sulle strenne), per questa fine 2020 vi porto qualcosa di più essenziale: quattro soli titoli per esplorare le emozioni di questi mesi, e due raccomandazioni.

 

L'amore a 126 cm da terra di Sara Carpani e Luca Tozzi (Pulce edizioni).

Per raccontare i primi sentimenti da grandi, quelli che un po' ci fanno vergognare, le amicizie che sembrano amori, gli amori che sembrano amicizie, e quelli che non sembrano nulla, perché sono diversi da ogni cosa mai provata prima. Ve ne ho parlato qui.

amore a 126 cm da terra

 

Io sono foglia, di Angelo Mozzillo e Marianna Balducci (Bacchilega Junior), poesia in versi e immagini, racconta la volubilità di una vita che impara a conoscersi, che si cerca, che si scopre ogni giorno diversa. Una danza da seguire incantati, che vi ho raccontato qui.

io sono foglia

 

Prima e poi, scritto da Teresa Porcella e illustrato da Giorgia Atzeni (edizioni Bacchilega Junior), parla di crescita e di cose che cambiano: persone, sentimenti, situazioni. Il tempo passa e fa cambiare il nostro sguardo. Qualcosa si perde, qualcosa si ritrova. Se vi siete persi la mia recensione, trovatela qui.

prima e poi

 

Occhio Ladro, di Chiara Carminati e Massimiliano Tappari (Lapis) è un invito a trovare frammenti di storie tra le cose che ci circondano ogni giorno, a scrutare, scoprire, inventare la meraviglia del mondo. Ne ho parlato qui.

Occhio ladro

Ecco, se dovessi riassumere il mio 2020 in libri, lo farei con questi, e con due raccomandazioni.

La prima: non abbiate paura di proporre la poesia ai bambini. La capiranno? Non la capiranno? Che importa. La poesia è musica, è sensazione, è ritmo, è bellezza della parola. Troverà un posto da cui entrare, e lì dentro qualcosa smuoverà.

La seconda: non abbiate paura di cercare poesia nella vostra vita, anche dove sembra non esserci, anche dove non la vedete più. Forse un giorno, come succede in Prima e poi tra due fratelli, riusciremo a guardare indietro verso questo 2020 e a dirgli che

in fondo non eri
del tutto sbagliato.


     

A che età proporre le fiabe classiche ai bambini?

Le versioni integrali non sono adatte, per linguaggio e complessità, a un pubblico di piccolissimi, d'altra parte le riduzioni tradiscono inevitabilmente l'opera originale.
E però va considerato che le fiabe permeano la nostra cultura, e che i bambini si troveranno di fronte una grande varietà di citazioni e riferimenti che non potranno cogliere senza conoscerle. Senza contare che a 6-7 anni, i bimbi di oggi, le fiabe non le leggono più.

Insomma: riduzione sì o riduzione no?

Biancaneve-attilio

Io dico riduzione sì, ma riduzione d'arte.

Ovvero: non semplicemente un testo semplificato, ma un'opera in qualche modo a sé, che pur conservando la trama della fiaba, abbia una dignità propria.
Le fiabe che Attilio (al secolo Attilio Cassinelli) sta producendo per Edizioni Lapis ne sono un esempio perfetto: semplici, adatte ai bambini dai 2 anni, per quantità e qualità di testo e per tipologia di illustrazione, aderenti alla storia originale, ma con il tratto unico di un artista originale e pluripremiato.

Dopo Cappuccetto Rosso, di cui vi avevo già parlato, e molti altri titoli, l'ultimo arrivato nella collana è Biancaneve e i sette nani.

Biancaneve-attilio

La storia non ve la sto a raccontare: che abbiate incontrato nella vostra vita il testo originale o una delle mille e mille varianti, sono certa che la conosciate bene.

Volevo però soffermarmi su alcuni dettagli che rendono la Biancaneve di Attilio degna di nota.

Le forme della madre, ad esempio, che felice con la sua pancia rotonda normalizza la gravidanza anche in un cartonato per piccolissimi.

Biancaneve-attilio

E poi Biancaneve stessa, capelli corti e abito poco sfarzoso, non è la principessa che ci aspettiamo, quella che siamo soliti vedere. "Le piaceva leggere e giocare", come una bambina qualsiasi, una in cui identificarsi.

Attilio disegna per i più piccoli con grande rispetto, con grande semplicità dei tratti e delle forme, riuscendo ad essere espressivo con l'utilizzo di poche geometrie, ma senza paura di lasciarli soli nel bosco, in una pagina priva di testo, ad affrontare un luogo così simbolico ed emotivamente forte, senza paura di usare la parola "morte", prima per la regina madre, poi per Biancaneve stessa (anche se quella, lo sappiamo, alla fine si risveglia con un bacio).

Biancaneve-attilio

I suoi personaggi sembrano muoversi come burattini su pagine in cui gli spazi bianchi o la disposizione delle figure non sono mai lasciati al caso, ma comunicano lontananza, vicinanza, solitudine, antagonismo.

L'essenza della fiaba, in fondo, è anche nel non detto.
 


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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