Io, che imparo a crescere.

La conquista delle piccole autonomie quotidiane è uno degli aspetti più frustranti e allo stesso tempo entusiasmanti dell'essere bambini.

Procede inevitabilmente per tentativi ed errori, ed è uno di quei casi in cui il modo in cui si prende l'errore fa la differenza: solo chi lo accetta come un'occasione per imparare fa dei veri passi avanti. Chi al contrario lo vive male, si arrabbia e si scoraggia, generalmente rinuncia, almeno finché non ha dimenticato la frustrazione ed è pronto a riprovare.

Io so vestirmi da sola

Elena Odriozola racconta il primo di questi due atteggiamenti, quello positivo e determinato, in Io so vestirmi da sola, un libretto che parla ai bambini più piccoli (dai due anni circa) mettendo in scena il percorso di scoperta verso una nuova conquista.

Lupoguido inaugura con questo titolo una serie di libri dedicati proprio a questa fascia d'età, alle routine  e alle scoperte che comporta.

Io so vestirmi da sola

Con un gusto visivo un po' vintage, con colori caldi e spenti, quasi autunnali, e una copertina che richiama le grafiche degli anni Venti (quelli prima di questi Venti che stiamo vivendo, intendo), Io so vestirmi da sola sembra trattare "da adulti" i più piccoli, e in fondo anche in questa scelta riconosciamo una rappresentazione del loro desiderio di autonomia.

Non sembra essere un caso nemmeno il fatto che la protagonista sia sola, a esclusione del cane che osserva i suoi progressi: imparare a vestirsi è una conquista di cui il bambino che legge, così come la bambina rappresentata, vuole prendersi tutto il merito, con spirito caparbio e orgoglioso.

Io so vestirmi da sola in effetti parla direttamente ai bambini, con poche parole semplici e dirette, senza nulla sotto cui scavare, e un ritmo regolare e rassicurante, che si ripete dall'inizio alla fine con un susseguirsi di elementi quasi uguali a loro stessi.

Io so vestirmi da sola

Sulla pagina di sinistra vediamo l'armadio, scuro con gli indumenti bianchi. A destra, la bambina che di volta in volta ne prende uno e prova a indossarlo, chiedendosi come fare e sbagliando: una volta mette le mutande in testa, un'altra il vestito sottosopra.

Aprendo la pagina di destra, però, la scena si allarga e la situazione si risolve: la bambina ha indossato l'indumento correttamente. Via via che le pagine scorrono, l'armadio si svuota e la bambina si veste. Gli indumenti bianchi, che spiccano sul fondo, hanno un ruolo da co-protagonisti nell'albo: il piccolo lettore li vede gradualmente abbandonare l'armadio e trovare il proprio posto addosso alla bambina. Il volto della piccola non rivela grande emozione, di fatto non accade nulla se non questo processo di vestizione: ma è proprio questa semplicità, questa riconoscibilità del quotidiano, che parla ai bambini con il loro linguaggio, permettendo loro di riconoscersi.

Io so vestirmi da sola non è un libro nato per insegnare (per quanto, di fatto, lo faccia, presentando l'ordine dei gesti da seguire per imparare a vestirsi), è più una storia in cui rispecchiarsi, per rivivere quella frustrazione di sbagliare, quel passo falso che poi, se lo si sa superare, sa portare molto avanti nella strada per diventare grandi.


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