Nuvole in scatola
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Ha scelto un nome onomatopeico e molto promettente, la casa editrice Terre di mezzo, per la sua nuova collana a fumetti: Uau! Un nome che in un semplice suono racconta già la tipologia delle pubblicazioni e la meraviglia nel leggerle.

Mitica Astrid

Questa avventura nel mondo dei fumetti e dei graphic novel inizia con una serie dedicata ai primi lettori, sui 7-8 anni: un target ideale per questo formato, che concilia il piacere di una storia "da grandi" con una quantità di testo ancora limitata e semplice da affrontare. Mitica Astrid. La casa infestata e Mitica Astrid. In classe con i fantasmi sono i primi due volumi di una serie firmata dal francese Fabrice Parme, che vede protagonista una ragazzina facoltosa, che vive in una grande villa con servitù. Roba d'altri tempi, insomma, anche se Astrid è un'eroina molto moderna.

In La casa infestata ha a che fare con la caduta del suo primo dente. Astrid si sente grande per credere al topino dei dentini, e quindi per scoprire la verità dissemina la stanza di trappole, e finirà poi per svelare trame segrete di veri topini dei denti e di topini impostori.

 Mitica Astrid - la casa infestata

Nell'avventura In classe con i fantasmi, vediamo invece Astrid frequentare un collegio privato, in seguito alle dimissioni della sua istitutrice. Sull'istituto, opportunamente ubicato in un luogo di nome Canterville, aleggia una leggenda di fantasmi, a cui ormai quasi nessuno crede più, tranne ovviamente Astrid, che troverà il modo di provare la sua teoria.

Mitica Astrid - in classe con i fantasmi

Astrid è un'eroina caotica, che ricorda un po' Dory Fantasmagorica (per rimanere su Terre di mezzo) e prima ancora Pippi Calzelunghe: uno spirito libero e fuori controllo, a suo modo geniale, che mal sopporta la noia e si inventa trovate sempre nuove per superarla. La narrazione segue lo spirito della protagonista: frenetica, ricca, con dialoghi incalzanti.

Pur inserito nella tradizione del fumetto franco-belga, la serie ha un'ambientazione decisamente british e a dirla tutta, l'espressività dei protagonisti ricorda, nei tratti grafici, le serie a cartoni statunitensi contemporanee. 

 Mitica Astrid - la casa infestata

Forte è il contrasto tra lo sfarzo dell'ambiente domestico e la vitalità della bambina, circondata secondo molti cliché, ripresi con una certa ironia, da genitori assenti e servitù particolarmente attenta e premurosa.

Mitica Astrid - la casa infestata

Ancora più interessante, a mio parere, il secondo capitolo, in cui Astrid esce dall'ambito domestico e si trova, pur nell'eccezionalità del contesto (un collegio infestato dai fantasmi!), a far fronte a problematiche molto quotidiane e comuni, in cui ogni bambino si può riconoscere: l'integrazione in un gruppo di amici, la diffidenza con cui viene guardato il "secchione" della classe.

L'allegria vince sulla morale (evviva! Anzi: Uau!), e ciò che resta di Astrid è la sua piacevole capacità di sostare tra normale e paranormale. Con i "topi dei denti" prima e con i fantasmi del collegio poi, Astrid dimostra una certa dimestichezza con le creature magiche, che pur senza essere dotata di poteri o facoltà speciali, riesce a vivere con molta naturalezza, integrandole nella realtà quotidiana.

Astrid, in questo, è specchio di quel pensiero magico tipico dei bambini, che non percepiscono nettamente il confine tra possibile e impossibile. Ed è un quel confine così sfumato che nascono le storie.

Dà sempre una sensazione di piacevole compiutezza vedere come una storia possa essere al tempo stesso semplice e sfaccettata.

George e Martha bis

Nella seconda raccolta delle loro avventure (della prima vi avevo parlato qui), ovvero George e Martha bis! i due strepitosi ippopotami di  James Marshall portati in Italia da Lupoguido con la traduzione di Sergio Ruzzier non smentiscono questa vocazione ad essere lievi e profondi insieme.

George e Martha bis

George e Martha bis! contiene i volumi che non erano rientrati nella prima raccolta: George e Martha Risate a Gogò, George e Martha Son tornati, George e Martha Gira e rigira, ognuno composto da cinque sketch brevi, arguti, semplici da leggere per il loro testo breve e il linguaggio diretto, ma profondi nel loro rispecchiare l'animo umano e nello spazio lasciato al lettore per riempire i non-detti.

George e Martha bis

George e Martha (non ci avevo fatto caso all'inizio, ma i loro nomi sono quelli di una coppia particolarmente celebre: i Washington!) si rivelano sempre di più due adulti-bambini: li troviamo alle prese con promesse non mantenute e tentazioni irresistibili (dal cibo alla curiosità di aprire un pacchetto sul quale c'è scritto "non aprire"), ma soprattutto con continui dispetti reciproci e con le conseguenti litigate.

Come bambini offesi, giurano di non fare pace mai più e poi non resistono più di un giorno l'uno lontano dall'altra.

Oppure li vediamo alle prese con il gioco dei ruoli, con George che fa il bagnino e deve ammonire Martha, e si trova in difficoltà, perché è al tempo stesso un'autorità e un amico. Se le situazioni che affrontano sono comuni e quotidiane, il punto di vista non è mai banale e scava nelle umane debolezze, portandole alla luce con garbo e ironia.

George e Martha bis

C'è spazio anche per un po' di sperimentazione nel linguaggio visivo: pur mantenendo il suo tratto pulito e semplice, l'autore osa qualche taglio inconsueto, come George inquadrato solo a metà mentre esce di scena, o Martha in un primissimo piano che le evidenzia denti e narici, in una fotografia alla macchinetta automatica.

Anche nell'illustrazione, insomma, si percorre la via della semplicità inconsueta, che comunica più di ciò che si vede a un primo sguardo.

Resta impagabile l'allegria che portano questi due personaggi straordinari a cui non riusciamo a non voler bene, perché in fondo, in questi due ippopotami, riconosciamo tutta la nostra umanità.

Non c'è libro di Anthony Browne che non parli di sogni.

Non perché il tema sia sempre quello, sia chiaro, ma nelle sue illustrazioni – nello stile, ma anche nei contenuti – vi è sempre qualcosa di onirico, di ineffabile, di perturbante su cui il lettore può decidere di soffermarsi o di passare oltre, ma che comunque lascia una traccia nella fruizione dell'opera.

È quel qualcosa che "disturba", di cui spesso è fatta l'arte, quell'elemento che spinge a guardare oltre e a terminare la lettura con un senso di apertura, anziché di compiutezza.

Willy sogna

Willy sogna, edito da Camelozampa con la traduzione di Sara Saorin, è forse l'apoteosi di questa poetica. Qui il sogno è contenuto e contenitore, è tema del libro e cifra stilistica delle illustrazioni.

Non ha una trama vera e propria, Willy sogna. La sua struttura è semplicemente l'esposizione, pagina dopo pagina, dei sogni più frequenti del gorilla protagonista (come lo stile onirico, anche il gorilla è un marchio di fabbrica di Browne). Ma la dimensione narrativa è sostituita da una profondità verticale: ogni tavola racconta molto più di quello che dice la didascalia.

Willy sogna

Si parte da sogni che rappresentano ambizioni: il gorilla sogna di essere un attore, un cantante, ma anche un ballerino in tutù (i sogni, si sa, non hanno i nostri limiti sociali).

Willy sogna

Vi sono poi i classici sogni ricorrenti, come quello di volare o, al contrario, di non riuscire a muoversi. Sogni in cui il bambino che legge può iniziare a riconoscersi, scoprendo l'universalità di certi archetipi.

Non so dare, a proposito, un'età di riferimento per questo albo. 
Credo che un bambino di 4 anni possa riconoscervi i propri sogni e che un adulto possa navigare nell'arte delle immagini. Il non-detto, qui, è talmente presente da diventare protagonista e aprire grandi spazi all'interpretazione.
Non manca nemmeno una componente giocosa: i risguardi, pieni di banane, invitano in modo implicito a cercare il frutto del libro. E sono davvero tanti gli inserimenti curiosi di banane, in ogni tavola (avevate notato le scarpette del ballerino?).

Rispecchiando la grammatica dei sogni, le tavole sono zeppe di elementi fuori contesto, assurdi, curiosi: porte che si aprono sul versante di una montagna, prospettive impossibili con fiumi che sfociano su un pavimento, castelli con ciminiere da industria.

Ma l'aspetto più evidente all'occhio adulto sono le innumerevoli citazioni: favole, film, personaggi, ma soprattutto pittori, e naturalmente, in tema di sogni, pittori surrealisti (anche se, quando Willy sogna di fare il pittore, dipinge quadri di Van Gogh). Non si contano i riferimenti a Dalì e Magritte, e talvolta il calco vero e proprio di una loro tela. 
Sono opere potenti, quelle dei surrealisti, capaci di far vibrare corde dell'inconscio proprio perché sull'inconscio poggiano la propria cifra stilistica, e che proprio per questo lasciano tracce anche in chi, come i bambini, manca ancora di un'alfabetizzazione storico-artistica.


Willy sogna

 
A proposito: l'omaggio ai surrealisti inizia già dal frontespizio, che sembra dichiarare allo stesso tempo l'ispirazione dell'albo e... la centralità delle banane.

"Se i muri potessero parlare...", si dice.

Ecco: certi muri parlano, in effetti, a volte perché portano i segni di qualche evento passato, altre volte perché qualcuno li ha resi testimonianza materiale della vita  – o della tragedia – che hanno vissuto. 

La vecchia casa sul canale

La vecchia casa sul canale di Thomas Harding e Britta Teckentrup (quella di L'albero dei ricordi, ma anche di L'altalena, pubblicato da Uovonero, come l'albo di cui vi parlo oggi) fa parlare i muri di una casa molto speciale, quella che fu il nascondiglio di Anne Frank, prima di essere catturata dai nazisti.

La vecchia casa sul canale

La prospettiva di quest'albo è molto originale: la storia della shoah viene approcciata in modo marginale, pur senza farle perdere di intensità, inserita in una più generale storia dell'umanità o, se vogliamo, del mondo.
La prima scena dell'albo ci riporta infatti a un'epoca in cui, nel luogo dove oggi sorge la casa, l'uomo non era ancora arrivato: nelle incantevoli illustrazioni di Britta Teckentrup non vediamo che una palude, con due aironi, un paio di mucche al pascolo, uccelli che punteggiano il cielo sereno.

Qui arriva il lavoro dell'uomo, che bonifica, costruisce un canale. La storia della casa diventa anche storia di Amsterdam stessa.

La vecchia casa sul canale

Nell'angolo in alto a destra, le date ci mostrano lo scorrere del tempo. La costruzione della casa, il passaggio da un proprietario all'altro, ma anche da una funzione all'altra: da dimora di un ricco mercante, a stalla, a bottega. Finché la casa non diventa nascondiglio.
Alla tragedia della deportazione di Anne viene dedicata appena qualche pagina in più. Ne vediamo i fatti, con qualche sfumatura di emozione, ma il punto di vista resta quello della casa e di ciò che può testimoniare.

La vecchia casa sul canale non è un libro pensato per raccontare la storia di Anne Frank, né la shoah: è certamente destinato a chi quel contesto già lo conosce. Potrebbe piuttosto essere trattato come una "guida turistica" prima di un viaggio ad Amsterdam, per leggere la vita e la storia di quella casa prima di visitarla.

Ma credo ci si possa leggere molto di più.

Nel raccontare la casa negli anni, ci sembra di avvertire l'indifferenza dello scorrere del tempo, di quel campanile che continua a battere le ore allo stesso modo, come se non ci fosse differenza tra un prima e un dopo. Il destino di Anne è un punto nella storia di un edificio che ignora la portata del fatto storico che ha contenuto. Questa impossibilità di entrare davvero nella vita di Anne genera nel lettore un senso di incompiutezza e di ingiustizia che forse raccontano il senso della giornata della memoria molto più di quanto non facciano le storie più dettagliate.

La vecchia casa sul canale è anche la dimostrazione di come quella memoria spetti a noi mantenerla viva, perché è solo grazie all'insistenza del padre di Anne che la casa, ormai quasi in rovina, è divenuta museo e testimonianza degli eventi tragici che ha vissuto.

Solo grazie a un uomo, al suo dolore, alla sua testarda volontà, la tragedia ha cabiato il corso delle cose, spezzando il susseguirsi di propietari e di destinazioni e rendendo quella casa una testimonianza.




"Un romanzo malvagiamente scritto e ignominiosamente illustrato dall'autrice": già il sottotitolo in copertina dice molto su questo irresistibile romanzo.

La famiglia Sappington

Non è certo una novità editoriale, La famiglia Sappington: la prima edizione in lingua originale è del 2008, quella italiana (per Il castoro) del 2009, ma ve ne voglio parlare perché è uno di quei romanzi a mio avviso imperdibili per la qualità della scrittura e dell'umorismo.

A casa nostra lo abbiamo letto in lettura condivisa e ci siamo dovuti fermare spesso (più di quanto non sia accaduto con qualsiasi altro libro, credo), perché letteralmente piegati in due dalle risate.

L'unico avvertimento che mi sento di dare è: tenetevene alla larga se cercate storie con una morale, storie "per bene", storie corrette (ma fanno davvero ridere, quelle?). In La famiglia Sappington il livello di cinismo è elevatissimo, e perdipiù trasmesso con una naturalezza e un aplomb molto british, che è la cifra stilistica principale di tutto il libro.

Non farebbe così ridere se i suoi aspetti caricaturali e paradossali fossero raccontati con incredulità e stupore. No: l'aspetto più divertente è il tono compassato e neutro della magistrale Lois Lowry (reso in modo molto efficace dalla traduzione di Pico Floridi) mentre racconta episodi di una cattiveria indicibile.

La famiglia Sappington

Forse più che continuare a descrivere, vale la pena di fare un esempio.

All'inizio del romanzo i Sappington trovano una neonata abbandonata fuori dalla porta di casa.

"Vorrei tenerla", disse Jane con una vocina timida. "È carina"

"No, non è affatto carina", disse Bernabò A, guardandola.

"Non è carina per niente", confermò Bernabò B.

"Ha i ricci", indicò Jane.

La madre scrutò la bambina; poi infilò la mano nel cesto da lavoro con la lana beige che teneva sul tavolo dell'ingresso. Tirò fuori uun paio di forbicine dorate e le provò, aprendole e chiudendole alcune volte, con aria pensierosa. Poi si piegò sulla cesta e cominciò a tagliare.

"Adesso non ce li ha più i ricci", commentò, e mise via le forbici.

Jane fissò il bebè. Improvvisamente smise di piangere e la fissò con gli occhi spalancati. "Oh, no. Senza i ricci non è più carina", disse Jane. "Mi sa che adesso non la voglio più".

La famiglia Sappington è costituita da due genitori che sognano di disfarsi dei propri figli, e quattro figli che sognano di disfarsi dei genitori, naturalmente gli uni all'insaputa degli altri, e tutto questo genererà una serie di avventure e di intrecci avvincenti ed esilaranti, ma soprattutto di dialoghi cinici, arguti e spiazzanti.

I genitori arrivano al punto di non ricordare i nomi dei figli, o di infastidirsi all'idea che i due gemelli pretendano di avere un maglione a testa, anziché uno condiviso.

Questo disprezzo reciproco, così radicato da diventare caricaturale, ha anche qualcosa di catartico, perché in qualche modo catalizza, ridimensiona e sdrammatizza tutti quei pensieri negativi che inevitabilmente genitori e figli fanno l'uno nei confronti dell'altro. La famiglia Sappington è un libro straordinario da leggere ad alta voce, forse anche per questo motivo.

Dal romanzo è stato tratto anche un film di animazione, che prende il nome dal titolo originale, "La famiglia Willoughby": una pellicola gradevole ma che a mio parere non riesce a esprimere lo humour della scrittura di Lois Lowry. Fa ridere, insomma, ma in modo più sguaiato e meno elegante, facendo diventare a tratti le caricature delle macchiette.

Come accade quasi sempre, "era meglio il libro".




Ci si aspetta in genere che un libro per bambini sia piano e lineare, almeno nel suo primo livello di lettura: che sia chiaro da subito qual è il tema, la direzione che prende la trama.

Non è detto che debba essere così.

Per catturare un rospo magico

Per catturare un rospo magico di Pierdomenico Baccalario e Daniela Demurtas, edito da Camelozampa, spiazza il lettore fin dalla prima pagina per il peculiare rapporto tra testo e immagine: di fatto, sembra che parole e illustrazioni raccontino due storie completamente diverse, in palese rottura, per chi mastica un po' di semiotica, della massima conversazionale di Grice sulla pertinenza.

Proseguendo la lettura, ci si aspetta che queste due strade si incontrino, ma questo non avviene mai, perlomeno non in modo esplicito e non totalmente, lasciando grande spazio alle inferenze compiute dal lettore. Quello che mi piace, di questo approccio, è che si pone di fronte al lettore bambino attribuendogli grande dignità e competenza: lo coinvolge nella costruzione della storia, e allo stesso tempo, attraverso questa operazione, gli insegna moltissimo su come la comunicazione e la narrazione funzionano.

Tornando al contenuto, il testo resta coerente, e fedele al titolo, dall'inizio alla fine, fornendo le istruzioni su come fare Per catturare un rospo magico, appunto: bisogna indossare un cappello viola, farsi accompagnare da un buon amico, conoscere almeno un passaggio segreto...

Le immagini, però, accanto a questa dimensione di gioco e avventura, ne raccontano un'altra, e i più attenti lo noteranno prima ancora di iniziare un libro, già dai risguardi: cosa c'entrano con il rospo magico quelle foto della protagonista col suo cane? E nell'illustrazione che apre la storia, perché vediamo in primo piano il volantino di un cane smarrito?

Per catturare un rospo magico

Proseguendo, queste tracce restano lì, sospese, e per un po' anche a livello visivo l'albo riprende il suo più tradizionale spirito avventuroso, con tanto di mappa-gioco disegnata dai bambini.

Per catturare un rospo magico

Non manca nemmeno il classico percorso in un bosco dalle forme spettrali e dai colori insoliti (Daniela Demurtas interpreta molto bene la dimensione in bilico tra gioco, magia e realtà di questa storia).

Per catturare un rospo magico

Il testo di Baccalario non lo dirà mai, ma dalle immagini scopriamo che la ricerca del rospo magico, capace di esprimere desideri, ha a che fare proprio con la scomparsa della cagnolina, e tutto il non-detto ritroverà infine un senso, sciogliendo una tensione che si fa via via più densa.

Eco la definirebbe probabilmente una vera e propria "passeggiata nel bosco letterario": e come tutte le passeggiate, conta dove ci porta, ma soprattutto quello che ci fa vivere lungo il cammino.


È stato un anno decisamente strampalato, per me.

Un anno di contrattempi, cose andate storte, progetti, ripensamenti, nuovi progetti, senza perdere mai un'allegria di fondo per superare tutto quello che non va.

Ecco perché quest'anno vi saluto, prima della pausa natalizia, con un accostamento ancora più strampalato tra due libri lontani tra loro come una commedia italiana da botteghino e un colossal hollywoodiano. Due libri che hanno in comune pochissimo, se non questo: entrambi raccontano il lato meno noto di Babbo Natale, quello che fa quando non è intento a consegnare i doni.

libri su Babbo Natale

Lo strampalatissimo diario di Babbo Natale di Marco Rosso, illustrato da AntonGionata Ferrari e edito da Storybox, fa parte di una collana di "strampalati diari" (che comprende anche quello di Dracula) ritrovati da un investigatore incaricato da Storybox (l'antefatto sul ritrovamento del diario è una delle parti più divertenti del libro!).

Lo strampalatissimo diario di Babbo Natale

 In queste pagine, dense di equivoci e situazioni umoristiche, scopriamo alcuni trucchi usati dal caro vecchietto, come lo spalmatempo, necessario per consegnare tutti i regali in una sola notte, ma soprattutto conosciamo alcuni personaggi che lo accompagnano nella vita di tutti i giorni, come la moglie (ebbene sì!) Mirtilla e una serie di elfi stravaganti. Il mio preferito? Camuffo, capace di tramutarsi in qualsiasi cosa e di mordere la mano a Babbo Natale quando meno se lo aspetta.

Lo strampalatissimo diario di Babbo Natale

Tra renne che... ehm... la fanno in cielo, feste, dispetti, multe per la slitta in divieto di sosta e vicende varie, Lo strampalatissimo diario di Babbo Natale scorre senza scendere in profondità e senza un vero climax nella narrazione, con un susseguirsi di episodi comici, agili da leggere, ideali anche per lettori alle prime armi (anche grazie al font ad alta leggibilità), che cercano una lettura di intrattenimento e una buona occasione per farsi quattro sane risate.

Con un tuffo in un passato dal sapore di classico, passiamo ora a Lettere da Babbo Natale di J.R.R. Tolkien (QUEL J.R.R. Tolkien!), una raccolta delle lettere che il più celebre autore fantasy, nel panni di Babbo Natale, ha scritto ai suoi figli in risposta alle loro letterine, dal 1920 al 1943.

Una tradizione che sembra iniziata per gioco, in risposta a una domanda lasciata su una letterina da uno dei bambini, e poi ampliata negli anni fino a includere nuovi personaggi e a prendere una trama sempre più narrativa.

Lettere da Babbo Natale

Lettere da Babbo Natale è al tempo stesso una godibilissima, affascinante storia e una testimonianza storica, perché negli anni entra nello scambio epistolare (del quale leggiamo solo le lettere di Babbo Natale e mai quelle dei bambini) anche l'eco di qualche vicenda esterna, come lo scoppio della guerra.

Lettere da Babbo Natale

Immerso in un mondo gelato e incantanto, Babbo Natale racconta avventure e difficoltà, e accanto a lui c'è l'Orso Bianco del Nord, un simpatico aiutante pasticcione che si insinua anche nelle lettere con qualche commento scritto di sua zampa. Al di là delle sventure, dei contrattempi e delle grandi avventure come gli attacchi dei goblin, è proprio il rapporto tra Babbo Natale e Orso a dare il sapore più intenso a queste lettere, con una gustosissima combinazione di affetto, ironia e battibecchi.

Lettere da Babbo Natale

"Babbo Natolkien" (permettetemi il gioco di parole) arricchisce le lettere con minuziosi disegni dai colori brillanti, che ci danno uno spaccato favoloso di questo mondo lontano.

Lettere da Babbo Natale

L'edizione Bompiani riporta anche le immagini originali di molte delle lettere, cosa che ci permette di ammirare i fregi che decorano le lettere, la grafia tremolante di Babbo Natale, ma anche i commenti lasciati (con una scrittura ben più grossolana e ricca di errori) dal simpatico orso.

Il confronto con le lettere originali toglie anche qualche dubbio sui giochi di parole, spesso presenti nel testo, che non sempre riescono a trovare adeguata resa nella traduzione. Il Polo Nord, ad esempio, è reso come un palo (sul quale si impiglia a un certo punto il berretto rosso del protagonista), perché in lingua originale è naturalmente il "North Pole".

La comicità che indiscutibilmente è presente in molte scene narrate in Lettere da Babbo Natale è stemperata dall'atmosfera magica e dal garbo con cui si esprime Tolk... ehm... Babbo. Ci sembra quasi di sentirlo, con il suo vocione, e di poter accarezzare l'Orso e i suoi nipoti, vedere i meravigliosi giochi di luci organizzati dai protagonisti, sentire il vento gelido che li colpisce.

Lettere da Babbo Natale è un libro ampiamente trasversale, che può essere apprezzato a molti livelli: può essere portato in lettura condivisa già dai 4-5 anni (magari omettendo l'introduzione che spiega la vera origine delle lettere), o letto in autonomia dagli 8, ma è anche un grande regalo per un adulto, specialmente se appassionato di fantasy.

E anche da "grandi", pur sapendo che stiamo leggendo lettere scritte in realtà da un celebre autore, pagina dopo pagina non possiamo fare a meno di appassionarci, di affezionarci ai personaggi e, in fondo, anche di crederci un po'.

Dicembre: è tempo di bilanci, che qui significa "è tempo di scegliere i libri più belli tra quelli usciti su per giù nell'ultimo anno per ispirare i vostri regali di Natale.

7+1 libri per bambini da regalare a Natale
 

E anche i miei, perché anch'io, di solito, in questo periodo mi guardo a ritroso le recensioni dell'anno per individuare i libri più interessanti e più adatti come regalo. Questa volta ne ho individuati sette, o meglio: sette più uno. Sette libri per bambini, uno per tutti, soprattutto per i grandi. Cominciamo!

Raccontami una storia

Raccontami una storia

Perché Raccontami una storia? Perché è un libro sull'immaginazione, sulla nostra capacità di vedere quello che leggiamo, sulla bellezza di condividere una storia. È una storia sulle storie, e io credo che tutto questo abbia molto a che fare anche con il Natale.

Di Elisabetta Pica e Silvia Borando, per minibombo. Dai 4 anni.

 Qui la mia recensione.


Animali bellissimi

Animali bellissimi

Di Animali bellissimi di Daniela Pareschi, edito da il Barbagianni, vi avevo invece parlato qui. Perché regalarlo? Perché prima di tutto è un albo affascinante, anche solo da sfogliare, con illustrazioni che tolgono il fiato e un profondo gusto estetico nell'impaginazione. E poi perché unisce in modo mirabile e originale arte, bellezza e divulgazione.

Dai 7 anni.


Il giorno in cui la talpa (quasi) vinse la lotteria

Il giorno in cui la talpa quasi vinse la lotteria
Il giorno in cui la talpa (quasi) vinse la lotteria, di Kurt Bracharz, edito da Lupoguido, profuma forse più d'autunno che d'inverno, con i suoi sentori di bosco, eppure la sua storia di buoni sentimenti, condita con sapiente ironia, il suo umorismo garbato, la sua scrittura così gustosa, ne fanno un libro senza tempo, e modernissimo.
Dai 7-8 anni per una lettura autonoma. E qui c'è la mia recensione.

Look book

Look book
Passiamo ai più piccoli, e profiamo ad affascinarli con le immagini fotografiche e con il ritmo. Possono delle immagini avere un ritmo? Sì. Come vi ho raccontato qui, la fotografa americana Tana Hoban riesce in questo silent book edito da Camelozampa a toccare le corde cognitive giuste per creare un meccanismo di scoperta e di cadenza che affascina e stimola i bambini di uno-due anni.


George e Martha

george e martha
Come non amare George e Martha? Lupoguido ce li porta in una raccolta di racconti minimali, poco più che un susseguirsi di vignette, eppure densi di arguzia e di una deliziosa levità che questi due protagonisti riescono ad emanare in modo spontaneo e irresistibile.
Qui ne ho parlato più approfonditamente. Dai 4-5 anni oppure dai 6-7 per una lettura autonoma.
 

 Hilohilo

Lo so che i consigli di quest'anno sono molto sbilanciati sulla fascia dei primi lettori, sui 7 anni o giù di lì, ma è stato per loro un anno davvero ricco di uscite di qualità.
Per chi ama i fumetti c'è Hilo. Il ragazzo precipitato sulla terra, un graphic novel edito da il Barbagianni che riesce a unire azioni incalzanti a momenti di pausa e introspezione. Scommetto che per molti lettori sarà l'inizio di un lungo amore (qui aspettiamo con ansia il prossimo libro!). Ve l'ho raccontato qui.

 Ti aspetto a San Qualcosa

ti aspetto a san qualcosa
E a proposito di introspezione, in Ti aspetto a San Qualcosa Beniamino Sidoti riesce ad addentrarcisi giocando con lo stile e con la prosa, affrontando drammi e speranze con un curiosià e magia. Stavolta siamo saliti di età: è un buon romanzo per i 10 anni e più. Qui la mia recensione. 
 
Sette più uno, dicevamo, vero?
E allora, se non ho contato male, eccoci arrivati al "più uno": un albo trasversale, che possono leggere anche i bambini di ogni età, ma indicherei più per quell'adulto speciale con cui condividete l'amore per la lettura.

101 posizioni per leggere appassionatamente

101 posizioni per leggere appassionatamente
 
In sostanza, 101 posizioni per leggere appassionatamente di Timothée de Fombelle, felicemente illustrato da Benjamin Chaud e edito in Italia da Il Castoro, è un kamasutra della lettura. Una carrellata di immagini ricca di ironia, in cui ogni buon lettore può giocare a riconoscersi. Qui la mia recensione, nella quale vi svelo anche qual è la posizione in cui più mi sono identificata.

Avete preso appunti? O avete già ordinato qualche libro prima ancora di finire il post?
Qualunque scelta abbiate fatto, tra questi, sarà una buona scelta.

Leggere una favola a un bambino, nell'immaginario collettivo: papà o mamma seduti su una poltrona al lato del letto, bambino che ascolta attento e poi, al momento del "felici e contenti" scivola rapidamente nel sonno.

Leggere una favola a un bambino, nella realtà: genitore che si infila nel letto del figlio, spesso in posizioni improbabili, figlio che si agita e assume a sua volta posizioni ancora più improbabili, lettura interrotta continuamente con domande, "perché", collegamenti con la propria esperienza, richieste varie tipo "me ne leggi un'altra?" prima ancora che la prima favola sia finita. 

Ma in fondo è così che ci piace, perché quelle domande sono segno di vitalità, di curiosità, di voglia di esplorare il mondo.

La gallinella strapazzastorie

Ritroviamo questo spirito in La gallinella strapazzastorie, di David Ezra Stein, edito in Italia da Il Barbagianni editore con la traduzione di Laura Bernaschi, un albo che ricorda in qualche modo il celebre racconto A sbagliare le storie di Rodari.

Protagonisti, una gallinella e papà gallo, due animali antropomorfi che potrebbero essere sostituiti da qualsiasi altro animale (se non che "la gallinella strapazzastorie", con la sua simpatica allitterazione, ci sta proprio bene, ancor più che "Interrupting Chicken" dell'originale inglese!).

La gallinella strapazzastorie

Papà gallo, quindi, racconta le fiabe più classiche alla sua piccola, e le immagini dell'albo fanno entrare anche noi nella lettura, mettendo in primo piano le immagini del libro di fiabe  un vero e proprio "libro nel libro". Ma la gallinella non è una tipa da "stereotipo delle storie", assomiglia molto di più a una bambina reale, che non si lascia narrare passivamente ma interviene e vuole mettere il becco (metafora azzeccatissima in questo caso!).

La gallinella strapazzastorie

E così ma lei non lo lascia mai finire, anzi: non lo lascia quasi cominciare, perché lo interrompe "risolvendo" la storia in una sola battuta.

Interviene avvisando Hansel e Gretel di non entrare nella casa di marzapane, perché la dolce vecchietta è una strega, o ammonendo Cappuccetto Rosso, perché non bisogna parlare con gli sconosciuti.

Gli interventi della gallinella si rivolgono direttamente ai personaggi della storia, "spoilerando" loro il finale per risolvere il problema alla radice. Il problema non si verifica, la storia non parte, e vissero tutti felici e contenti. Fine.

Si apre così un mondo di "cosa sarebbe successo se", quel mondo di cui tutti ci siamo stati esploratori con la mente. Perché in fondo tutti lo abbiamo pensato (e soprattutto i bambini lo pensano sempre!) che se Cappuccetto non avesse dato corda al lupo, il lupo non avrebbe raggiunto casa della nonna e via così.

La gallinella dà voce, con la sua razionalità, al sentire comune di molti di noi, che hanno almeno una volta nella vita avuto la tentazione di "aggiustare" le storie. 

Ma a me piace vedere La gallinella strapazzastorie anche come un inno all'errore, motore di narrazione. Sì, perché dal gioco della piccola, che interrompe il papà mettendo fine alle storie, emerge una grande verità di fondo: senza l'errore, la valutazione sbagliata, la distrazione, le storie semplicemente non esisterebbero.

Se tutto fosse perfetto e corretto, tutto sarebbe piuttosto banale e noioso. E chi "aggiusta" le storie, in fondo, non fa altro che strapazzarle.

Tutti o quasi, credo, abbiamo un parco giochi, "quel" parco giochi, che ci ha visti crescere.

Tutti o quasi, credo, ci siamo soffermati almeno una volta a pensare a quante persone aveva visto passare, a quante storie avrebbe potuto raccontare.

altalena

Nell'albo L'altalena, Britta Teckentrup (quella di L'albero dei ricordi) ritorna in quel luogo del passato di tutti. 

Non è un gioco scelto a caso, l'altalena: è quel gioco che ti accoglie anche quando sei troppo grande per  tutto il resto. Quello dove indugiano anche gli adolescenti, che si vergognerebbero a salire su uno scivolo. Quello su cui a volte si siedono perfino gli adulti, perché ognuno, l'altalena, può viverla a modo suo: ci si può dondolare fortissimo o la si può usare come un semplice sedia, un posto dove fermarsi a pensare o a chiacchierare, lasciandosi dondolare leggermente.

altalena

Dentro L'altalena, edito in Italia da Uovoneo, troviamo tutti questi modi di vivere quel posto.

In una serie lunghissima di tavole (l'abo ha 160 pagine!), accompagnate in genere solo da poche parole, vediamo amori che nascono, famiglie che si allargano, amici fraterni e amici immaginari, chiacchiere, giochi e notti in tenda, con una natura ricca e viva a fare da sfondo, e a volte anche da primo piano.

altalena

Non c'è un fluire lineare delle storie: alcune iniziano, poi si interrompono, solo alcune poi ritornano, qualche pagina più in là, quando le avevamo dimenticate: la narrazione segue un andamento incerto, come l'andirivieni dell'altalena stessa. Tutto si svolge lì, e per questo, di tutte queste vite che passano, noi possiamo cogliere soltanto alcuni frammenti, quelli vissuti nel passaggio in quel preciso luogo.

Ogni tavola, a ben guardare, è una poesia, uno scenario in cui immergersi, che porta con sé sensazioni ed emozioni sempre diverse. Alcune comunicano allegria e colore, altre, luminose ed eteree, una sorta di sospensione, altre ancora portano con sé il buio della notte, oppure giocano tra i limiti dell'illustrazione e quelli della pagina.

altalena

L'altalena stessa assume forme molto differenti: a volte le due sedute sono ferme, a volte intrecciate, oppure avviluppate su se stesse. In genere le vediamo frontalmente, ma non mancano le prospettive insolite, anche quelle che si soffermano sull'erba e gli insetti, tralasciando l'altalena stessa.

altalena

Ognuno troverà la propria storia e quella del proprio parco, dentro L'altalena, ma la storia principale, che si delinea poco per volta, è in realtà quella dell'altalena stessa, che dopo un cumulo di vicende vissute da spettatrice diventa nelle pagine finali co-protagonista, a fianco di un personaggio che abbiamo già incontrato e che, se siamo stati attenti, riconosciamo prima ancora che venga chiamato per nome.

Testimone di vita, l'altalena conserva una memoria che va oltre quella umana. Come quel posto speciale che ognuno di noi conosce bene.

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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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