Nuvole in scatola
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La maggior parte delle ninne nanne funziona così, con l'iterazione di immagini di altre creature, spesso animali, che dormono beate, come a dire "insomma, dormono tutti, ti dai una mossa e ti addormenti pure tu?".

Buonanotte bosco 

Non fa eccezione Buonanotte bosco di Karen Jameson, illustrato da Marc Boutavant e recentemente edito da Terre di Mezzo editore, un albo denso di sensazioni che accompagnano al sonno.

La struttura ricorda molto un'altra uscita recente: Tutto dormirà, di Astrid Lindgren. Anche qui si assiste a una passeggiata notturna nella natura, anche qui la poesia della voce e delle immagini rilassa il bambino che ascolta, creando il clima adatto alla nanna.

Se Tutto dormirà era immerso in atmosfere più misteriose, in Buonanotte bosco Ã¨ la dimensione sensoriale a prevalere. I colori tenui, caldi e rilassanti e il tratteggio delle cortecce, delle pellicce degli animali e degli aghi di pino sembrano lasciar trasparire dalle pagine i profumi di resina, muschio e clorofilla del bosco autunnale e la sensazione umida delle foglie secche che hanno ormai steso un tappeto sul terreno.

 

Il suono, invece, non è quello del bosco, ma quello di una lieve poesia, tradotta con la sensibilità e la maestria di Chiara Carminati.

Tra le pagine vediamo passeggiare una bambina col suo cane, che passando accanto agli animali della foresta, dedica loro qualche verso e qualche momento di attenzione.

Buonanotte bosco 

Con un gusto che ci riporta ai nomi e ai racconti dei nativi americani, ogni animale è chiamato attraverso una sua caratteristica che diventa nome proprio. E così l'orso bruno è Ombra Enorme, il cervo Passi Leggeri, la volpe Rapide Zampe.

Mentre leggiamo, ci sembra di percepirle, queste proprietà, di veder calare la luce perché l'orso la copre, di sentire il tocco lieve degli zoccoli del cervo nel sottobosco.

A ognuno di questi animali sono dedicati quattro versi dalle rime delicate e mai cantilenanti, ricchi anch'essi di materia e sensorialità. 


Infine, la voce cambia: è il padre, che aspettava a casa, a dedicare l'ultima quartina alla figlia, Piccoli Piedi:

Esploratrice curiosa del mondo
Sguardo preciso, attento e profondo

La bambina ha accompagnato il bosco verso il sonno, e finalmente può chiudere gli occhi, in compagnia del suo cane. L'ultima pagina, senza parole, perché ormai non servono, ci mostra i suoi disegni, che raccontano il bosco e i suoi abitanti: restano lì, come un ricordo della giornata trascorsa, che attraverso i sogni la piccola sta elaborando, e che ritroverà il giorno dopo, quando il bosco, insieme a lei, si sveglierà. 


Vedere le cose che altri non vedono, capire le situazioni, scovare i colpevoli: quello dell'investigatore è un mondo dal fascino innegabile, e non a caso questo è forse l'unica professione a poter vantare un genere letterario a sé, oltre a numerosi casi di parodia del genere stesso (dall'ispettore Clouseau in poi).

Troviamo dei Clouseau anche nel mondo della letteratura dell'infanzia. L'ultimo di questi è una simpatica talpa che fa il suo esordio in Il primo caso dell’investigatore Talpone di Camilla Pintonato, per Terre di Mezzo editore.

investigatore talpone

Talpone è uno chef che ha un fiuto eccezionale per il cibo, e sogna di poter sfruttare queste sue caratteristiche per vivere il suo sogno: diventare un detective.

investigatore talpone

Una talpa che ha occhio per i dettagli, penserete, è una contraddizione in termini, e infatti Talpone si dimostra una vera schiappa. Nel seguire il suo primo caso, la scomparsa dello scoiattolo Armando, disegna identikit irriconoscibili, segue false piste, si lascia sfuggire gli indizi più palesi e riesce a non riconoscere l'oggetto delle se ricerche perfino quando se lo trova davanti!

investigatore talpone

L'albo gioca a coinvolgere il lettore nella ricerca, anche grazie a un ironico gioco di contrasti tra testo e immagini: di fronte a un testo descrittivo, che coglie il punto di vista di Talpone, le immagini ci mostrano qualcosa di più, invitano a trovare quegli indizi e quelle tracce che l'nvestigatore non vede.

investigatore talpone

Questo doppio registro ha la funzione di "investire" il lettore del ruolo di investigatore, ma anche quello di creare un meccanismo comico (a volte fin troppo spiegato, come quando uno degli animali, di fronte all'identikit, chiede "Ma sei sicuro di saper disegnare?").

Come un Clouseau che si rispetti, l’investigatore Talpone alla fine alla soluzione ci arriva, ma per puro caso. E a noi non resta che aspettare con trepidazione un nuovo mistero da risolvere.



Abbandonarsi al sonno è per un bambino, in un certo senso, un atto di coraggio. Significa rinunciare al proprio stato cosciente con la fiducia che al proprio risveglio troverà ancora tutto al suo posto: mamma e papà, pupazzi, giochi, ma anche tutte le proprie routine.

Chi dorme nel lettone

La ripetizione di gesti e parole è fonte di grande rassicurazione per ogni bambino, ed è proprio sul meccanismo della reiterazione che si fondano i cartonati di Susanne Strasser (come La torta è troppo in alto e Balena, vengo anch'io, anch'essi editi da Terre di Mezzo editore e amatissimi dalla piccola di casa).

In questo terzo titolo, Chi dorme nel lettone? (link affiliato) , ritroviamo tutti gli elementi che già caratterizzavano i primi due: la presenza di animali (e di un bambino con cui identificarsi), la struttura fatta di ripetizioni e variazioni, che cattura perché riesce a incuriosire e rassicurare allo stesso tempo, le onomatopee che accompagnano la narrazione rendendo la lettura ritmica e coinvolgente. Ma non è tutto qui.

Nei diversi animali protagonisti di questo albo ritroviamo abitudini, scuse e bisogni che rispecchiano quelli di ogni bambino che va a fare la nanna, toccando tasti in qualche modo più profondi che nei primi due titoli.

Chi dorme nel lettone

Se La torta è troppo in alto e Balena, vengo anch'io si costruivano sull'accumulo, con un animale che si aggiungeva ai precedenti, qui le cose sembrano invertirsi: Chi dorme nel lettone? (link affiliato) inizia con un letto ben affollato di animali e procede per sottrazione. Uno alla volta, con una scusa o l'altra, gli animali si allontanano: la foca deve fare la pipì, il coccodrillo deve lavarsi i denti, il pellicano vuole bere un po' d'acqua. Se avete avuto a che fare con bambini non molto intenzionati a dormire, queste scuse le riconoscerete sicuramente, e proprio per questo credo che questo cartonato, fatto per ridere e per divertire, riesca a raggiungere spazi più sensibili e nascosti dei piccoli lettori.

Curiosa, poi, a un livello linguistico, anche la ripetizione di formule che accostano ogni protagonista a paragoni tipicamente animali: "il coccodrillo dorme come un ghiro", "la foca è sveglia come un grillo".

Chi dorme nel lettone

Chi dorme nel lettone? (link affiliato)  Ã¨ un contenitore talmente completo di tutti quegli elementi che catturano i bambini da sembrare quasi un libro scritto a tavolino, se non fosse che la sua trama procede senza forzature, con una naturalezza e una sincerità tali da lasciare la storia e le sue emozioni in primo piano.

Già, perché c'è un elemento a cui ancora non ho accennato: la fuga di questi animali dal lettone li porta... su un altro lettone: quello dove dorme il bambino che già abbiamo trovato nei libri precedenti (che restano comunque completamente indipendenti l'uno dall'altro). 

Chi dorme nel lettone


La struttura in due tempi del libro (prima gli animali che se ne vanno dal letto, poi quello che accadrà sul letto del bimbo, su cui non vi anticipo nulla se non che vi strapperà più di una risata) dà alla trama quel pizzico di imprevedibilità, ma anche la serenità di riconoscersi in uno schema comportamentale: quello della ricerca di conforto, di notte, nella figura di riferimento.

Perché alla fine, grandi o piccoli, animali o bambini, a tutti piace dormire insieme.

In molti grandi dolori, ciò che fa più male non è un fatto concreto, ma la sua ripercussione su di noi, sulla nostra identità.

Arriviamo a volte a non riconoscerci, a scoprirci diversi da come credevamo, a non accettarci più.

Io e Leo

 

Con una delicatezza straordinaria, quasi parlasse d'altro, Io e Leo racconta di un percorso di perdita e ritrovamento di se stessi. 

Scritto da Stefan Boonen con illustrazioni di Melvin e pubblicato da Sinnos con la traduzione di Laura Pignatti, Io e Leo si maschera da libro umoristico, quasi nonsense, perché inizia con Leo che si perde, ma non nel senso che non ritrova la strada: si perde perché non si trova più.

Le persone attorno a lui lo vedono e non lo riconoscono: la mamma non gli lascia il solito biglietto accanto alla tazza da colazione, il cane non lo saluta, la maestra gli chiede chi sia.

Io e Leo

In un meccanismo iperbolico, viene concretizzata la metafora del "non ti riconosco più": Leo è così cambiato che non è più lui.

Inizia così il suo viaggio alla ricerca di se stesso, costellato di momenti dolceamari. Accanto allo smarrimento (letterale!) di Leo, che si percepisce diffusamente nel libro, non mancano momenti di forte ironia e leggerezza, come quando si paragona ad altri bambini smarriti nelle situazioni più assurde, descritti da divertenti illustrazioni.

Io e Leo

In compagnia di un uomo curioso ma determinante, l'ex stuntman Max Halters (sì, proprio lo stesso protagonista di un altro libro, di tutt'altro tenore, degli stessi autori. No, non è assolutamente necessario averlo letto per leggere Io e Leo: i due titoli sono completamente indipendenti), Leo si cerca dalla polizia, in un grande magazzino che vende proprio di tutto, nel bar più piccolo del mondo, e anche a casa dei nonni.

Io e Leo

Narrato in un format che è un po' romanzo e un po' graphic novel, il viaggio di Leo e Max ha molto di surreale, ma proprio questa dimensione inverosimile aiuta il ragazzo a riprendere contatto con la realtà: piano piano, Leo ritrova degli indizi che riportano la sua memoria al padre e al suo incidente, che lo ha strappato dalla sua vita.

Il ricordo del padre riemerge come qualcosa di rimosso, e si rivela la causa dello smarrimento di Leo.
Affrontare quel dolore lo aiuta a ritrovarsi, a ritrovare il suo posto nel mondo.

Io e Leo parla ai bambini, ma il tema che affronta è trasversale, e il modo in cui viene affrontato, insolito ma profondamente vero, stimola l'autoanalisi e la riflessione anche negli adulti.

La morte di un proprio caro non è soltanto mancanza dell'altro, è mancanza di qualcosa dentro di noi. È una mancanza che a volte ci fa smarrire, e per ritrovarsi, a volte, bisogna ripercorrere la strada del dolore. 


Che bella quell'età in cui si può credere che qualcuno ci possa rubare il naso!

Che bello quel pensiero magico unito alla sensazione che tutto sia fluido, che una parte del tuo corpo non ti appartenga necessariamente, e magari invece ad appartenerti è quella di qualcun altro (le braccia della mamma, ad esempio).

E che bello ritrovare questa magia e questo gioco in un libro!

Bobò pupazzo distratto

Bobò pupazzo distratto, di Édouard Manceau (Terre di Mezzo editore) è un cartonato interattivo in cui i più piccoli ritrovano ritmi, meccanismi e sensazioni che fanno parte del loro giocare quotidiano con gli adulti di riferimento. Un libro che parla con il loro linguaggio e con la loro stessa logica illogica.

Nell'incipit, ci viene presentato Bobò, "il più buffo di tutti i pupazzi": la sua figura si staglia netta sulla pagina bianca, senza sfondi o distrazioni. Bobò ha colori carichi e linee morbide ben evidenziate dai contorni neri, per catturare l'attenzione anche dei bimbi più distratti. Le sue caratteristiche visive lo rendono adatto già dall'anno di età, ma per cogliere pienamente il meccanismo narrativo, non lo proporrei prima dei 18 mesi/2 anni.

Pagina dopo pagina, Bobò perde sempre qualcosa:

Ma Bobò, hai perso la bocca?
È proprio distratto il mio Bobò.

Il tono di voce con cui il narratore si rivolge al personaggio è materno, simile a quello che il bimbo è abituato a sentire da chi lo accudisce.

Bobò pupazzo distratto

Il pupazzo Bobò mantiene in ogni pagina la medesima posizione, ma gli scompaiono di volta in volta cappello, braccia, pancino. Gli occhi sono quasi gli ultimi ad andarsene, così Bobò mantiene la sua buffa espressione fino alla fine, quando con un tocco del bambino, tornerà tutto al suo posto.

Bobò pupazzo distratto

Può diventare un semplice gioco, quello di Bobò: basta ricalcare il personaggio, ritagliarne i pezzi e farli cercare e ricomporre dal bambino, in una sorta di caccia al tesoro, sul tavolo o, per i più grandicelli, in giro per tutta la casa. Ricomporre Bobò e vederlo sorridere è sempre una gioia, un po' come ritrovare un amico.

Bobò pupazzo distratto

Bonus track: con un pizzico di fantasia, abbiamo provato a leggere Bobò pupazzo distratto anche a ritroso, partendo dal fondo e facendo ritrovare a Bobò, a ogni pagina, un pezzetto. Anche così, la magia è assicurata.


Non è utile alla crescita di un bambino, né giusto nei suoi confronti, tenerlo sotto una campana di vetro.

Il ruolo del genitore dovrebbe bilanciare istinto di protezione e sprone all'autonomia, all'esplorazione, alle scoperte. Ma quanti dilemmi sorgono da questo difficile equilibrio, e quante situazioni a volte ilari o paradossali!

Le disavventure di Frederick

Ritroviamo questi dilemmi, resi quasi paradossali, in Le disavventure di Frederick, un albo scritto da Ben Manley con le illustrazioni Emma Chichester Clark, pubblicato in Italia da Terre di Mezzo editore, che in una cornice solo apparentemente elegante e poetica racchiude una forte portata ironica.

Le disavventure di Frederick

Chiuso nella sua elegante cameretta, Frederick riceve dall'ampia finestra un aeroplanino di carta con un messaggio di Emily, che lo ha visto dal bosco e lo invita a mangiare un gelato.

Subito Frederick chiede a sua madre il permesso di uscire, permesso che gli viene negato, perché 

Frederick, ricordi cosa è successo l'ultima volta?


Le disavventure di Frederick

Quello che è successo lo scopriamo soltanto nella risposta che Frederick manda ad Emily, sempre via aeroplano: non può uscire perché potrebbe nuovamente sentirsi male e vomitare nel carillon.

Le disavventure di Frederick

L'albo prosegue con un ritmo che pian piano diventa prevedibile (rendendo più emozionante, alla fine, scoprirne la svolta): Emily invita Frederick a fare qualcosa, lui chiede il permesso alla madre e infine declina l'invito, riferendosi a qualche sventura trascorsa in passato durante situazioni simili. 

A rendere divertente questo albo è soprattutto la caratterizzazione dei due mondi, quello di Emily e quello di Frederick.

Lei, libera e dinamica, circondata da una natura spontanea, scrive messaggi semplici e diretti, mentre lui, quasi rinchiuso in una casa dai soffitti alti e dall'arredamento raffinato, tra soprammobili, pezzi d'antiquariato, letti a baldacchino e ritratti alle pareti, si rivolge alla nuova amica (ma anche a sua madre) con una prosa ricercata e antica, come se stesse scrivendo sonetti anziché comunicando a persone a lui vicine:

Mammina, è una bella giornata e l'aria profuma di dolce caprifoglio. Potrei uscire per mangiare un gelato?

 

Le disavventure di Frederick

Frederick ci sembra un po' un inetto, cresciuto in un mondo aristocratico, una realtà d'altri tempi che non rispetta il suo essere bambino e ci paiono eccessive tutte queste protezioni.
Eppure, quando il racconto arriverà a una svolta e Frederick proverà a rispondere all'invito, le cose non andranno proprio come ci aspettiamo.

Le disavventure di Frederick ci fa fare il tifo per la libertà e per la scelta di affrontare i propri rischi, ma accoglie in qualche modo anche le ragioni opposte, pur sorridendo sempre degli eccessi e degli stereotipi.

Ma quello che rende speciale questo libro sono i contrasti e il loro effetto umoristico.
Parlo del contrasto tra le due realtà rappresentate, ma soprattutto di quello tra il tono di voce apparente quello effettivo dell'albo stesso. 
Da una prosa così leziosa (ben resa dalla traduzione di Sara Ragusa), da immagini così ricche di dettagli descrittivi, da un meccanismo narrativo basato su uno scambio epistolare, perlopiù veicolato da qualcosa di così romantico come un aeroplano di carta, non ci si aspetta una narrazione che fa leva sull'ironia, ed è proprio questo a rendere l'ironia ancora più potente.


Il papà si chiama Mariolo e la figlia Ale, diminutivo di Criminale. Fa già ridere così, vero?

La famiglia Sgraffignoni - Il furto di compleanno

È in effetti pieno di trovate buffe e simpatici equivoci La famiglia Sgraffignoni. Il furto di compleanno, degli svedesi Anders Sparring e Per Gustavsson, primo capitolo di una saga che promette risate, avventure e una lettura scorrevole, perché è inserito nella collana Leggimi! di Sinnos, fatta di libri ad alta leggibilità per primi lettori o bambini con difficoltà nella lettura.

La famiglia Sgraffignoni - Il furto di compleanno

Come suggerisce il nome La famiglia Sgraffignoni Ã¨ composta da ladri impenitenti, tutti tranne il figlio Fausto, che ha il "vizio" di volersi comportare in modo corretto e seguire le regole. Una specie di serpe in seno, insomma, se non fosse che Fausto resta comunque leale alla famiglia che ama.
I protagonisti non sembrano cattivi, ma esprimono valori del tutto sballati, sognando per la piccola Ale un futuro da "briccona perfetta".

Il breve romanzo poggia tutto su questo confronto tra buoni e cattivi, i cui confini si fanno sempre più confusi: Paul Iziotto, il vicino impiccione, ci sta quasi antipatico quando tenta di stanare i piani dei ladruncoli, e anche leggendo le vicende di Fausto oscilliamo tra il parteggiare per lui e il considerarlo un po' d'intralcio.

La famiglia Sgraffignoni - Il furto di compleanno

Ma la dicotomia tra bene e male resta sempre su un piano giocoso, senza mai addentrarsi in riflessioni profonde.
Sono bambineschi, gli Sgraffignoni, e quando si dicono le bugie tra loro tengono sempre le dita incrociate dietro la schiena: ladri sì, ma con un loro codice!

In questa avventura, si troveranno alle prese con un furto particolarmente difficile: i gioielli della corona? il caveau di una banca? No: un lecca lecca gigante, che Fausto sogna di ricevere per il suo compleanno.

"Non vi eravate mica dimenticati che dopodomani è il mio compleanno?"

Mamma Fia si sbriga a mettere una mano dietro la schiena.
"Certo che no!", mente.

Tra tunnel che sbucano nel posto sbagliato, allarmi che scattano e fraintendimenti vari, la storia avrà un epilogo inaspettato (almeno per i protagonisti).

Non sono molto credibili come ladri, questi Sgraffignoli. 

Forse anche per questo ci stanno tanto simpatici.


Quante cose può diventare una semplice sedia? O un letto, o un pezzo di corda?
Solo un bambino può rispondere a questa domanda, perché è ai suoi occhi che ogni oggetto si trasforma per diventare scenografia di una storia appena inventata.

Jip e Jannecke. Vieni a giocare?

Questo secondo volume dedicato a Jip e Janneke (del primo vi avevo parlato qui) è dedicato interamente al gioco, e per la maggior parte al gioco simbolico, quello in cui, per l'appunto, una sedia può diventare un aereo e tutto inizia con un "facciamo che ero...".

Jip e Janneke. Vieni a giocare?, ci riporta in compagnia dei due bambini dipinti così bene da Annie M.G. Schmidt e Fiep Westendorp (quelli di Pluk e il Grangrattacielo, altra chicca scovata da Lupoguido).

 Jip e Jannecke. Vieni a giocare?

Anche questo volume è fatto di capitoli brevi, che non raccontano una storia che progredisce nel tempo, ma fotografano diversi momenti, scene e situazioni: vediamo Jip e Janneke giocare con le bolle, infilare i piedi in una pozzanghera, fingersi re e regine, piloti e cowboy, sempre utilizzando come strumenti di gioco gli elementi naturali e casalinghi attorno a sé.

La lettura così spezzettata rende adatto questo libro anche ai piccoli, dai tre anni in su, che possono così accostarsi a storie poco illustrate, allenando l'ascolto e l'immaginazione.

Quello di Jip e Janneke è un mondo reale, concreto, in cui il bambino può riconoscersi: i protagonisti sono credibili e niente affatto romanzati, tanto che spesso, nel corso del libro, si trovano a battibeccare nel più comune dei cliché infantili, la cui ripetizione farà certamente ridere i piccoli lettori:

"E invece no", fa Jip
"E invece sì", ribadisce Janneke


Jip e Jannecke. Vieni a giocare?

Nel mondo di Jip e Janneke gli adulti passano soltanto di striscio, per concedere permessi, dare regole o bacchettare un po' (ma sempre in modo lieve e rispettoso): non li vediamo quasi mai nelle illustrazioni.

Sono invece presenze costanti la bambolina di Janneke (anzi, Bambolina: è il suo nome proprio) e Sippi e Takki (un gatto e un cane), rivestiti, nel tipico pensiero magico infantile, di ruoli e capacità che vanno certamente oltre quelli di un animale e di un pupazzo di pezza. 

Jip e Jannecke. Vieni a giocare?


È proprio la comprensione della logica bambina la cifra più significativa di Jip e Janneke. Vieni a giocare?. Per ben due volte, i due bambini si costruiscono un riparo, una "casetta" per gioco, ad esempio dentro un grande tubo trovato in un cantiere, e si rammaricano perché non piove.

"Se piove siamo all'asciutto", osserva Jip.
"Ma non piove", dice Janneke.
No, non piove. È un peccato.

È evidente che il ragionamento manchi di logica in senso stretto: se non piove, i due sono comunque all'asciutto. Eppure la pioggia avrebbe reso più reale il riparo, lo avrebbe trasformato da gioco in realtà, da avventura immaginata ad avventura vissuta e questo, per un bambino, ha molto, moltissimo senso.


Come ve lo immaginate un pony?
No, non fisicamente, parlo del suo carattere, dei suoi pensieri. Probabilmente immaginate un animale dolce, giocherellone, pronto a farsi coccolare da tutti i bambini. Il pony, d'altra parte, sembra quasi un anello di congiunzione tra l'animale vero e il peluche.

Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà

Ecco: Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà è pronto a scardinare questa idilliaca visione con un protagonista musone, scorbutico e lamentoso, ma che non può non catturare la simpatia dei lettori.

Nel romanzo, scritto da Cécile Alix con le (poche) illustrazioni di Louis Thomas e pubblicato in Italia da Terre di Mezzo editore, Tarzan racconta la sua storia in prima persona: la famiglia del suo amato padroncino Noè si trasferisce per un anno, a causa del lavoro del padre, e lui viene mandato a tradimento nel maneggio Edelweiss, dove è costretto ad avere a che fare con altri animali e soprattutto con bambine e bambini che partecipano alle gite e alle attività del campo estivo.

Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà

Tarzan sembra un uomo solitario infilato a forza in un villaggio vacanze con servizio animazione: detesta tutto e tutti e non si risparmia nel manifestarlo.

Più volte tenterà la fuga, fino a riuscirci e a restare coinvolto in un'avventura proprio insieme alle due bambine che non poteva soffrire.
La paura e le emozioni vissute insieme contribuiranno a cambiare la sua percezione e a dare una svolta ai suoi sentimenti verso il maneggio, i suoi gestori e i suoi visitatori.

Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà

Ma al di là della parabola narrativa, agile e abbastanza incalzante, a rendere il libro divertente e godibile è proprio il tono di voce di Tarzan, pony musone.
Rivolgendosi direttamente al lettore, lo coinvolge in riflessioni sull'assurdità di certi comportamenti umani e condisce gli avvenimenti con il suo stile sarcastico.

Tarzan musolungo. Un pony al galoppo verso la libertà

Anche i titoli dei capitoli contribuiscono alla costruzione di questo scorbutico personaggio: tutti (o quasi) iniziano con la parola "Odio": "Odio i van", "Odio gli addii", "Odio il maneggio degli Edelweiss", "Odio questo prato"... la lettura diventa quasi un gioco che spinge il bambino a immaginare quale sarà la prossima vittima dell'odio di Tarzan.

Tarzan musolungo Ã¨ una lettura divertente, in qualche modo catartica (verso tutte quelle attività alle quali anche i bambini si sentono costretti), con quel pizzico di sentimento che rende tutto più pieno, e che ci fa amare anche un protagonista che, all'apparenza, odia tutti.


Dare dell'avvoltoio a qualcuno, almeno in Italia, non suona proprio come un complimento. 

Non so se questa metafora sia presente anche nella lingua francese (qualche esperto o madrelingua sta leggendo e può illuminarmi?), ma visto che oggi parliamo di un albo di Tomi Ungerer, partiamo da una visione del mondo animale che non è certo quella dei luoghi comuni.

Orlando

 

Come tanti dei protagonisti di Ungerer (qui trovate le altre recensioni fatte sul blog), Orlando, l'avvoltoio coraggioso è altruista e pronto a sacrificarsi per i suoi amici umani.

Lupoguido ancora una volta dimostra gusto letterario e coraggio riportando in Italia un albo dalle atmosfere poco abituali nella letteratura per l'infanzia più recente.

Orlando

L'albo si apre infatti con Orlando che trova il corpo di un cercatore d'oro steso a terra. L'immagine non è certo rasserenante, ma la tranquillità con cui Ungerer la accompagna, con la sua prosa sempre garbata e misurata, ce la fa accettare come semplice parte della storia.

Orlando si china sul cercatore d'oro e raccoglie i suoi oggetti, ma non per derubarlo: con la fotografia della moglie e del figlio, vola a cercare aiuto, finché li troverà, dopo diversi tentativi e spostamenti.

Orlando

Orlando ha colori caldi sui toni del rosso, del grigio e del marrone, è un western nello stile visivo e anche, parzialmente, nell'intreccio, che vede entrare in scena a un certo punto dei banditi con il sombrero.

L'illustrazione strizza l'occhio anche al fumetto quando vediamo le silhouette dei banditi correre nella notte di luna piena.

Orlando

E tra sparatorie, rapimenti e inseguimenti, tutto tornerà al suo posto, grazie alla generosità d'animo di un avvoltoio, l'animale che non ti aspetti.
 


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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