Nuvole in scatola
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C'è sempre una soluzione non-violenta alle cose.
O almeno, è quello che cerco di insegnare sempre ai miei figli (soprattutto quando si picchiano tra di loro!).

Lo pensano anche Pettson e il suo gatto Findus, i due strampalati, irresistibili personaggi nati dalla penna dello svedese Sven Nordqvist e pubblicati in Italia da Camelozampa con la traduzione di Samanta K. Milton Knowles.

Pettson e Findus - Caccia alla volpe

Dopo averli conosciuti in Una torta per Findus  (ve ne avevo parlato qui) li ritroviamo oggi in Caccia alla volpe, ed è come incontrare due vecchi amici che ci mancavano. Non possono non mancare i modi gentili di Pettson, la sua originalità, la sua sbadataggine compensata dall'arguzia del suo gatto.

Pettson e Findus - Caccia alla volpe

Questa volta c'è di mezzo una volpe che se ne va in giro a uccidere le galline. E c'è di mezzo il burbero vicino Gustavsson, pronto a cacciarla con tanto di cane e fucile. Ma Pettson e Findus credono esista un'altra via:  
 

"Alle volpi non bisogna sparare. Bisogna ingannarle. Io lo faccio sempre", disse Findus.
 
E così mettono in azione il loro piano, un progetto articolato al quale Findus, forse più per vezzo che per reale utilità, aggiunge continuamente dettagli. Tutto ha inizio dalla costruzione di una finta gallina ripiena di pepe, che dovrà spaventare la volpe. Sono le galline stesse ad essere coinvolte nel piano, donando a Pettson le loro piume.

La pianificazione è concitata e ricca di dettagli, suggerimenti, svolte in corso d'opera: il piacere della costruzione della trappola è probabilmente più grande della sua messa in atto, proprio come quando un bambino costruisce una capanna e poi non ci vuole più giocare.

Nelle illustrazioni, Pettson e Findus si moltiplicano: ogni pagina racchiude una sequenza di eventi in un'immagine sola, come se l'attività fosse così frenetica da non dare il tempo di girare pagina per seguirla.

Pettson e Findus - Caccia alla volpe

I dialoghi, con i siparietti tra i due protagonisti che si ripetono sempre uguali a se stessi, mantengono quell'ironia gentile che ce li ha fatti amare. Ci godiamo la storia e il finale scoppiettante (letteralmente!), ma soprattutto ci godiamo Pettson e Findus: due amici che non smetteremmo mai di ascoltare.


Vivere al Polo Nord è roba da gente solitaria: pochi vicini, poche possibilità di spostarsi da un posto all'altro. E pensate a quanto può essere difficile festeggiare un compleanno!

compleanno al polo nord
 

È da questo presupposto che Compleanno al Polo Nord, di Nora Brech, edito da Terre di mezzo, racconta una storia affascinante di viaggi ed esplorazioni.

Ida, l'orsa bianca protagonista dell'albo, vuole festeggiare ma dopo aver apparecchiato la tavola si accorge di essere sola, e anche quando prova a urlare per chiamare qualcuno, non c'è nessuno a risponderle.

compleanno al polo nord

È così che prende una mongolfiera e inizia il viaggio: toccherà terre e mari, boschi e foreste, fiumi e montagne, e ogni volta troverà qualcuno da invitare: balene, topini, pipistrelli, coccodrilli, capre e pinguini (tutti accolgono l'invito con entusiasmo!).

compleanno al polo nord

La storia è tutta qui: un viaggio alla ricerca di invitati per popolare la propria festa, ma come in ogni viaggio che si rispetti, il fascino di questo albo non è nell'arrivare da qualche parte, ma sta tutto nel percorso: le grandi pagine bianche in cui la mongolfiera campeggia, portata dal vento, con una sensazione di vuoto, di brivido di scoperta e di allerta, si alternano a tavole più piene, in cui esplorare i diversi ecosistemi alla ricerca degli animali del luogo.

compleanno al polo nord

Cambiano i colori, le densità, le atmosfere, ora misteriose, ora rilassanti, ora giocose, e il bambino lettore si sente trasportato con Ida, nel mondo.

Anche gli animali cambiano: a volte sono presenza mimetizzate nell'ambiente, a volte, come la volpe, hanno case e comportamenti antropomorfizzati, altre volte, ancora, stanno semplicemente al loro posto, sul ramo di un albero o immersi nel mare.

Una nota di merito va nel collocare i pinguini dove stanno davvero, al polo sud, al contrario di molti albi che li piazzano al nord insieme agli orsi.

Compleanno al Polo Nord Ã¨ un albo sempre uguale a se stesso, che ripete numerose volte la medesima struttura (il viaggio e poi l'invito), ma al tempo stesso mutevole, e il bimbo attende ogni sosta e la sua nuova illustrazione in cui viaggiare.


Settembre è un mese che guarda al futuro, quello in cui iniziano i progetti nuovi al lavoro e i bambini iniziano una nuova classe, a volte una nuova scuola.

Li guardiamo e ci chiediamo cosa diventeranno da grandi, se il percorso scelto con loro e per loro è quello giusto. 

E i bambini? Se lo immaginano cosa faranno "da grandi", o per loro "da grandi" è proprio ora, questo momento, in cui ritrovano già cresciuti rispetto a pochi mesi fa?

susy bell da grande faro

Ecco, è con questa visione che vorrei augurare un buon inizio a tutti, e per farlo ho scelto Susy Bell. Da grande farò... di Kenneth Wright e Sarah Jane Wright, edito in Italia da Lapis.

Susy è esplosiva e impaziente, e come succede a molti bambini, quando ha un'idea vuole metterla in azione subito. 

"Orso, abbiamo un'emergenza!"

dice allora al suo amico, quando stabilisce che è tempo di decidere cosa farà da grande, anche se è evidente che al suo "essere grande" manchi ancora un bel po'.

E così trascina nel "pensatoio" di orso tutta la sua banda di amici (un coccodrillo, una gru, un maialino), e tra un libro e l'altro trova l'illuminazione: sarà una cantante lirica!

susy bell da grande faro

Ognuno fa la sua parte per preparare tutto ciò che serve, finché la fantasia di Susy prende vita.

susy bell da grande faro

Ma subito dopo cambia idea: vuole fare l'inventrice, anzi, no, la botanica, oppure l'astronauta... ogni volta la macchina organizzativa si mette in moto e la strada verso il futuro che Susy desidera sembra spianata, con immaginazione e frenesia e, ogni volta, con risultati strabilianti.

L'albo non distingue sogni e realtà ma interpreta benissimo la passione di Susy, e lascia intendere che dietro ogni strada ci sia un lavoro da fare, anche se lì, tra una fantasia e l'altra, sembra tutto semplice e tutto possibile.

Forse, prima, è meglio che Susy faccia semplicemente la bambina.
È questo l'augurio che faccio a tutti, in questo settembre che sta per finire.


C'è uno strano fenomeno nei bambini più piccoli: da un lato percepiscono come sé anche quello che non lo è, come quando pretendono che l'adulto di riferimento sia a loro completa disposizione; dall'altro estromettono parti di sé, vivendole come altro da sé.

"Non sono stato io, è stata la mia mano", è la scusa che mi sono sentita dire più volte dopo che un oggetto era finito per terra.

Tom e pippo combinano un guaio

È così anche in Tom e Pippo combinano un guaio, il primo della serie di albi di Helen Oxenbury dedicati a questi due protagonisti che Camelozampa ha riportato in Italia dopo una lunga assenza, con l'efficace traduzione di Sara Saorin, nella collana per piccolissimi curata da Silvia Blezza Picherle e Luca Ganzerla.

Pippo è la scimmietta di pezza di Tom: una figura inanimata sulla quale il piccolo proietta però i propri pensieri.

E così, quando Tom, che vuole imitare il suo papà in tutto, prende il pennello e dipinge il muro proprio come aveva fatto lui, la colpa ricade sul pupazzo: 

Comunque è stato Pippo a dirmi che dovevamo aiutare il papà, Allora mi sono dovuto arrabbiare con lui.
 E il ditino alzato di Tom ricalca esattamente quello con cui il padre lo aveva sgridato poco prima, in perfetta sintonia con il suo gioco simbolico.

In poche pagine, Tom e Pippo combinano un guaio racconta moltissimo: momenti di vita quotidiana e momenti più insoliti, i gesti del bimbo che segue il padre in ciò che e poi quelli rivolti alla scimmietta Pippo, in cui è il bambino a farsi padre a sua volta. La semplicità di questo albo nasconde meccanismi cognitivi ed emozionali che dimostrano la profonda conoscenza che la Oxenbury ha dei bambini, in un libro tutto da maneggiare.

Tom e pippo combinano un guaio

Pur non essendo cartonato, Tom e Pippo combinano un guaio ha una copertina rigida e un formato decisamente grande rispetto al contenuto, con pagine resistenti dai bordi stondati: sembra nato per finire nelle mani di un piccolo, per lasciarsi esplorare come Tom esplora la vita, insieme a Pippo, dando ogni tanto la colpa a lui qundo ne combina una delle sue.


C'è spesso qualcosa di consumistico nell'adozione di un animale domestico: il suo status di regalo (di Natale, di compleanno), l'analisi che si fa prima di sceglierlo, valutando sesso, razza o taglia, e infine la sua scelta (in allevamento o in una struttura come un canile o il gattile), quasi si fosse davanti a uno scaffale.

Accogliere in casa un cane o un gatto è per alcuni versi come acquistare un oggetto, finché l'animale non diventa a pieno titolo parte della famiglia, con la sua presenza costante e la sua personalità, unica.

Il gattolaio

Il gattolaio, di Stella Nosella ed Evelise Obinu, Terre di Mezzo editore, affronta in qualche modo entrambi i lati di questo tema, con una delicata ironia che diventa calore.

Il "gattolaio" non vende gatti: li crea, su misura.
Ogni bambino entra, descrive al gattolaio ciò che vuole e poi esce soddisfatto. Mai un gatto è stato restituito.


Il gattolaio
 
Piccola digressione: trovo che la parola "gattolaio" abbia un suono bellissimo. Sa di bottega artigiana e di fumetto. È ironico e romantico al tempo stesso, proprio come lo spirito di questo albo.
E tutto il testo ha il sapore di questa parola, come quando il personaggio viene descritto mentre raccoglie qua e là nel suo negozio campanellini ed erba gatta. E così pure le illustrazioni, con occhi divertenti da fumetto e dettagli romantici di edera che si arrampica sulle insegne dei negozi.

E poi un giorno dal gattolaio arriva lui: un bimbo dalle idee molto chiare, che gli consegna istruzioni precise e dettagliate sul pelo, i gommini, ma anche sul carattere.
Ma il gatto, questa volta, non va bene. Non è il "suo" gatto, quello che il bambino ha perso.

Il gattolaio
 
E così, con levità e dolcezza, Il gattolaio introduce il tema della morte, della perdita, dell'impossibile sostituzione. Racconta un dramma con un sorriso e una prospettiva originale, e con un finale che lascia una porta aperta al futuro.

Lì, in quel punto della narrazione dove sul gioco creativo dell'artigiano fabbrica-gatti si innesca il sentimento di un bambino con il carico della sua perdita, proprio lì l'albo mostra e dimostra quel punto di svolta, quello in cui l'animale domestico non è più un oggetto di consumo ma un amico, un elemento della famiglia.

Qualcosa che puoi anche acquistare, ma non diventa tuo, perché appartiene solo a se stesso, ed è soltanto l'amore che può legarlo a te.


"Puoi essere tutto ciò che vuoi, purché tu sia felice", pensa il bravo genitore.

"E purché tu legga", aggiunge il genitore lettore, più o meno esplicitamente.

Leggere è importante per mille ragioni che ogni lettore conosce, ma il passaggio dalla lettura condivisa a quella autonoma non è sempre facile. Anche se abbiamo letto loro ad alta voce fin da quando erano ancora appena nati, o addirittura prima, invogliare i bambini a leggere da soli può essere più complicato di quanto ci aspettiamo. Come fare? 

L'esperienza (e anche i libri, naturalmente) mi hanno dato qualche consiglio che vi voglio lasciare.

bambini che leggono

 

1. Rendersi conto che leggere è faticoso.

Leggere, per noi, è un meccanismo così automatico che non riusciamo a guardare delle parole scritte nel nostro alfabeto senza decodificarle (vi ricordate l'esperimento sulla frase "non leggere" che vi avevo proposto in questo articolo?).

All'inizio, però, non era così.

Il nostro cervello non è "nato per leggere" e imparare a farlo richiede uno sforzo che probabilmente abbiamo dimenticato, ma che rende la lettura un compito faticoso, complesso, frustrante. Per godersi il piacere di un libro, poi, non è sufficiente aver imparato a riconoscere le lettere o le parole. Nel suo meraviglioso Proust e il calamaro, Maryanne Wolf ci fa notare inoltre che

(...) decodificare non significa capire. E perfino quando viene compreso il senso più immediato, non può dirsi raggiunto il vero scopo della lettura (...): una crescente capacità di applicare la comprensione dei vari usi delle parole (ironia, diatesi, metafora e punto di vista) per andare oltre la superficie del testo.

Comprendere questa difficoltà è fondamentale per calibrare le nostre aspettative ed evitare frustrazioni ai nostri bambini, che non riescono ancora a leggere bene, e a noi, che nonostante gli sforzi per motivare i bambini a leggere tardiamo a vedere risultati.

2. Non smettere di leggere per loro.

Proprio perché leggere è un'operazione complessa, i bambini di 6/7 anni si trovano di fronte a una situazione molto particolare: il loro cervello, già capace di accogliere, comprendere e apprezzare le storie lunghe e complesse dei bei romanzi per bambini, è in grado di affrontare in autonomia soltanto testi semplici, con poche parole, meglio se scritte con un font ad alta leggibilità.

Non è un'operazione molto gratificante.

Appassionare i bimbi alla lettura significa prima di tutto ricordare loro che la lettura è un piacere e non solamente fatica. Come? Continuando a leggere ad alta voce per loro libri che siano all'altezza delle loro capacità cognitive.

È il momento di leggere ad esempio i romanzi di Roald Dahl e di Astrid Lindgren, di divertirsi con Il trattamento ridarelli e con Winnie Puh (il libro non è troppo "da piccoli" come il cartone animato farebbe pensare), di provare il primo approccio con Pennac.

La lettura autonoma non deve sostituire quella condivisa, ma affiancarsi ad essa, fino a quando vostro figlio non deciderà da solo che quel romanzo che ha iniziato lo cattura così tanto che non vuole perdere tempo a leggere altre cose con voi. 

Gradualmente, potete anche provare a proporre di leggere un capitolo a testa, o di iniziare il libro insieme e poi concluderlo ognuno per conto proprio (con questa modalità io e il Piccolo T, quasi 11 anni, ci stiamo godendo la saga di Harry Potter, che nemmeno io avevo mai letto).

Leggere ad alta voce per loro, anche quando hanno già imparato a farlo da soli (ne avevo parlato più approfonditamente qui), lega indissolubilmente la lettura a un momento di condivisione e di piacere, ma fornisce anche competenze utili ai futuri lettori.

Nel suo Formare lettori, promuovere la lettura (un testo pensato per gli insegnanti ma che offre spunti interessanti anche ai genitori), Silvia Blezza Picherle sottolinea che

l'ascolto di letture eseguite ad alta voce dall'adulto assume una forte spinta motivazionale, poiché crea e alimenta costantemente il piacere, soprattutto nei bambini e nei ragazzi che non leggono scorrevolmente da soli. Infatti, quando l'esecuzione è stentata non si può certo godere della narrazione, perché la lentezza della decifrazione impedisce di cogliere rapidamente i significati del testo.

Lo ribadisce anche Aidan Chambers, che con Il lettore infinito mette a disposizione di insegnanti ed educatori proposte e riflessioni sullo stimolo alla lettura:

Ogni qualvolta ascoltiamo una storia o una poesia letta ad alta voce, acquisiamo esperienza su come quel tipo di testo "funziona", su come è costruito, su cosa ci possiamo aspettare. In altre parole, l'ascolto di un testo letto ad alta voce ci prepara a quello che possiamo trovare e a quello che dovremmo cercare nel momento in cui eserciteremo la difficile arte della lettura autonoma.

3. Proporre libri semplici ma non semplicistici.

Come dicevamo: i bambini di 6/7 anni faticano a leggere, ma il loro cervello accoglie già storie complesse. Mentre leggiamo per loro dei bei romanzi, allora, facciamo attenzione anche a ciò che scegliamo per la loro lettura autonoma.

Insomma: non proponiamo i libretti della Pimpa solo perché sono in stampatello maiuscolo e con poche parole per pagina! Cerchiamo invece tra i libri specifici per le prime letture, che con le stesse caratteristiche (font ad alta leggibilità, testo non troppo fitto e accostato a immagini) veicolano storie più dignitose per la loro età e le loro capacità.

Due case editrici molto attente a questa fascia sono Biancoenero edizioni, con la sua collana Minizoom (che contiene ad esempio l'ironica saga dei supereroi in pensione) e Sinnos, con Leggimi Prima (che comprende ad esempio, tra i titoli trattati sul blog, Ho catturato uno gnomo, o La maialina, la bicicletta e la luna).

4. Mettere a disposizione un'ampia varietà di libri.

Più o meno tutti i saggi sulla genitorialità ci insegnano a non proiettare le nostre aspettative o la nostra personalità sui figli. E più o meno tutti i genitori, in un modo o nell'altro, finiscono per farlo ugualmente.

Uno dei modi in cui un genitore lettore lo fa è proporre al figlio i libri che ha amato lui stesso da bambino, che spesso, però, hanno ritmi, linguaggi e sensibilità molto diversi da quelli delle nuove generazioni (avete mai provato a riguardare una vecchia serie TV e a percepirla come "vecchia" e lenta?).

Questo non significa che i nostri figli non leggeranno mai i classici per l'infanzia, ma di certo non possono essere queste le uniche proposte per loro. Sempre su Il lettore infinito, Aidan Chambers individua nella varietà di libri a disposizione uno dei fattori chiave per stimolare i bambini alla lettura.

Poche regole, ma importanti: lasciare al bambino ampia scelta (con scaffali bene assortiti, visite frequenti in libreria e biblioteca), assecondare i suoi interessi, variare stili, formati e generi in modo da offrirgli una "dieta" letteraria il più possibile varia. 

Cedete pure ad alcuni "libri esca" che li appassionino alla lettura, anche se di qualità non eccelsa o se non particolarmente profondi (da noi hanno avuto molto successo i libri di Dog Man e Capitan Mutanda di Dav Pilkey e la serie Gol di Luigi Garlando), spaziate tra albi, fumetti e romanzi, ma non ancoratevi a una serie o un genere solo perché hanno avuto successo: non precludete ai bambini la possibilità di esplorare e scoprire qualcosa di nuovo, anche oltre la loro comfort zone.

Soprattutto, non scegliete i libri per loro in base a quanto un libro abbia da insegnare: leggere è utile soprattutto quando è inutile.

5. Non proporre i libri come un'alternativa a TV, videogiochi o smartphone.

Prendo a prestito questa regola da Gianni Rodari, che nel suo articolo "Nove modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura", mise al numero uno "Presentare il libro come un’alternativa alla TV". Passato qualche anno, mi permetto di aggiungere al piccolo schermo anche videogiochi, tablet, smartphone e tecnologia varia.

È chiaro: di fronte a questa scelta sono ben pochi i bambini che sceglierebbero un libro. Come fare?

Il tempo dedicato agli schermi e alla tecnologia dovrebbe essere limitato e regolamentato a prescindere dalla lettura, definendo un momento dedicato o un limite orario (ad es. un massimo di un'ora e mezza al giorno, che il bambino sceglierà come gestirsi).


In questo modo, la lettura arriva in un momento in cui il tempo da dedicare allo schermo non è un'alternativa perché semplicemente è limitato o esaurito. È altrettanto utile dedicare alla lettura dei momenti specifici, come quello prima di dormire, per farla diventare una routine scontata, da non contrattare di volta in volta.

È utile anche un po' di astuzia o di psicologia inversa. 

https://www.offthemark.com/
Credits immagine: www.offthemark.com

Avete un figlio che non vuole mai spegnere la luce? Dimostratevi un po' più "morbidi" sugli orari se si tratta di finire un capitolo, o di leggere qualche pagina (così sarà lui stesso a scegliere di leggere pur di stare sveglio più a lungo). Vi ritroverete a dirgli "adesso basta leggere: è ora di dormire", e anche questo piccolo divieto renderà la lettura più accattivante. 

Non prendetela sul personale: è così che funziona.


6. Portare un libro sempre con sé.

Prendo a prestito un'altra regola, da un altro gigante: in Come un romanzo, Pennac enumera i suoi famosi "dieci diritti del lettore" tra i quali troviamo "Il diritto di leggere ovunque". 

Creare uno "spazio per la lettura" può essere stimolante per alcuni bambini, ma la verità che ogni lettore conosce è che chi ama leggere legge ovunque: in fila dal medico, sui mezzi, facendo colazione, a volte anche camminando.

In una società in cui il tempo è un dono sempre più limitato, fornite ogni occasione possibile per leggere. Portate sempre con voi un libro per i vostri figli, quando sapete di potervi trovare in situazioni di attesa, ma anche quando non lo sapete (gli imprevisti, per l'appunto, sono imprevedibili). Mostrate loro come il libro sia una risorsa potente contro la noia e i momenti in cui non sembra accadere nulla di interessante.

7. Dare l'esempio.

Chi è che lo diceva? I bambini imparano più dai nostri esempi che dai nostri consigli.

E allora fatevi scovare a leggere ogni volta che potete. Mostrate loro come vi rilassate, ridete, riempite i vostri momenti liberi con un buon libro in mano. Raccontate loro quanto vi ha fatto emozionare il vostro ultimo romanzo, o svelategli quella cosa curiosa che avete scoperto nell'ultimo saggio letto.

E leggete, leggete, leggete come se nessuno vi stesse guardando.

Ma questo è facile: se amate i libri, lo fate già.

 


     

C'è un fascino speciale, per i bambini, nelle fotografie.

Forse perché arrivano vicinissime al confine tra il vero e il non vero: più reali di un'illustrazione, catturano qualcosa che esiste, ma non è più lì.

È più facile riconoscersi, in una fotografia, entrare nella storia che ci sta dietro, riuscire a vedere oltre i margini. Eppure sono così pochi i libri fotografici per i bambini!

Il mio asinello Benjamin e io

Il mio asinello Benjamin e io, edito in Italia per Terre di Mezzo, è un classico della letteratura per bambini in Germania, e sfogliandolo si riconosce subito quel magnetismo che attrae i piccoli verso le sue pagine.

Pubblicato per la prima volta nel 1968, il libro racconta la storia vera di Susanna, la figlia dell'autore Hans Limmer, e del suo asinello Benjamin, ricostruita attraverso le fotografie di Lennart Osbeck, che ritraggono i due protagonisti reali.

È la piccola a parlare:

Questa sono io.
Mi chiamo Susanna.
Ma tutti mi chiamano Susi
perché sono ancora così piccola.

Il mio asinello Benjamin e io

E così, con la sua voce bambina, semplice, credibile, Susi racconta di come suo padre abbia salvato Benjamin, trovato da solo su una roccia a picco sul mare, sull'isola di Rodi dove Limmer e la sua famiglia si sono trasferiti.

Il resto è storia di vita quotidiana: scoprire di cosa si nutre l'asinello, imparare a portarlo a spasso, vivere una piccola avventura in cui Susi e Benjamin si danno coraggio a vicenda.

Le foto sono in bianco e nero, hanno un sapore antico, ma ci appaiono più vivide che mai.
Sembra di guardare un film, con inquadrature dal gusto cinematografico ma credibili nella loro autenticità: l'obiettivo coglie momenti, non pose.

Il mio asinello Benjamin e io

Gran parte del fascino di Il mio asinello Benjamin e io arriva dai due protagonisti, entrambi irresistibili: lei bionda, con uno sguardo vispo e guance tonde, lui soffice come un peluche, che le avvicina il muso per coccolarla.

Sembra di essere lì, di sentire l'aria salmastra, le rocce ruvide, il pelo morbido dell'asinello, l'erba fresca sotto i piedi. 

Chi legge si immedesima, diventa Susi, sente addosso la sua salopette e gli elastici che stringono i codini. E il suo asinello diventa anche un po' amico nostro.


Quante spiegazioni, quanti "perché" ci chiedono ogni giorno i bambini?
Eppure, quante volte li vediamo fare o dire cose che non hanno senso, forse nemmeno per loro?

E noi, quante volte abbiamo goduto del suono di una musica, di una poesia, o delle sensazioni di un quadro anche senza comprenderli pienamente?

Ehi cos e

Ehi! Che cos’è? di Cédric Ramadier e Vincent Bourgeau (Terre di Mezzo editore) ci accompagna in quel regno del non-colto, dell'ineffabile, fino a chiederci se serve veramente capire qualcosa per amarla o goderla.

Tranquilli: Ramadier e Bourgeau parlano un linguaggio, sia iconico che verbale, molto semplice e vicino ai bambini,  anche i più piccoli (li avevamo già incontrati in Aiuto! Arriva il lupo), quindi se questa premessa vi ha portato ad aspettarvi contenuti riflessivi e filosofici, siete fuori strada.

Ehi! Che cos’è? è una storia agile, curiosa e divertente, che racconta la voglia di sperimentare dei bambini. Avete presente la classica scatola di cartone che durante il gioco diventa auto, casa, areoplano? Ecco, qui il paradigma si rovescia: non è il bambino a trasformare l'oggetto, ma l'oggetto stesso che si svela al bambino (attraverso i protagonisti) nelle sue caratteristiche multiformi.

Ehi cos e

Tutto inizia con uno strano oggetto rotondo che cade dal cielo. I due protagonisti si chiedono cosa sia: forse una roccia? Ma è troppo morbido!

Allora forse si tratta di una palla?

Ehi cos e

Jack e George continuano a esplorare, usano questo strano oggetto, viaggiano, ne vengono travolti.

I dialoghi si ripetono con frasi sempre uguali a loro stesse, generando un effetto comico e diventando una formula che i bambini ameranno riconoscere, mentre la storia prosegue con sorprese sempre nuove. 

Le azioni sono semplici, il ritmo è cadenzato e rassicurante, i colori vivi e pieni catturano il bambino, attratto dalla curiosità verso quell'oggetto misterioso, che alla fin fine non si sa bene cosa sia, ma quel che conta è che Jack e George lo abbiano incontrato ed esplorato, trasformandolo in avventura.

Perché in fondo, nella vita, non dobbiamo per forza comprendere tutto.


In Italia non si può.

Chi lavora in comunicazione lo sa bene: ci sono dei totem, in Italia, che è meglio non toccare, per non scalfire le certezze su cui si regge la nostra società e non incorrere in polemiche, sguardi sdegnati, reazioni di biasimo.

Il primo è senza dubbio la mamma. Quando si racconta una mamma, in Italia, deve essere una mamma amorevole, che farebbe qualsiasi cosa per i figli, anche rinunciare alla propria felicità.
La nonna, poi, è una mamma al quadrato, costantemente dedita a preparare manicaretti per i nipoti.

Le pubblicità "alla Mulino bianco" non mentono: bisogna fare così.

 (Lo so, lo so che anche Barilla ha cambiato la sua rappresentazione del mondo, ma la "famiglia del Mulino Bianco" resta comunque un simbolo del nostro immaginario collettivo)

Nonna gnocchi

Mi ha quindi piacevolmente sorpreso il coraggio di Biancoenero Edizioni di portare sul nostro mercato un libro come Nonna Gnocchi, dell'americana Susie Morgenstern, che avevamo già letto in Joker (le illustrazioni sono di Bruno Zocca e la traduzione di Mara Dompè), un libro che si fa un baffo di tutti i mulinobianchismi a cui siamo abituati.

E lo fa fin dall'incipit, in cui assistiamo a una telefonata tra la mamma e la nonna di Confiance, il protagonista: la mamma vuole sbolognare il figlio alla nonna per le vacanze (blasfemia!), e la nonna non è nemmeno particolarmente contenta di portarlo in vacanza con sé (doppia blasfemia!), perché Confiance è in quella fase preadolescenziale (tra i 9 e i 10 anni) in cui spesso i bambini non sono particolarmente gradevoli da portare in vacanza.

Nonna gnocchi

Ancora più rivoluzionario rispetto ai consueti mulinobianchismi è il motivo per cui le due donne non sono entusiaste di passare il tempo con Confiance: entrambe sono alle prese con la costruzione del rapporto con un nuovo fidanzato: sì, anche la nonna.

Con questa telefonata, quindi, inizia la vacanza del giovane francese Confiance a Triora, il borgo ligure da cui proviene Eustachio, il fidanzato della nonna: un luogo che lo annoierà a morte finché non conoscerà la nipote di Eustachio e con lei inizierà a vivere avventure e complicità che condiscono ogni estate degna di questo nome.

La narrazione si dipana in modo peculiare, senza l'utilizzo di un narratore: in tutto il libro vengono riportati solamente i dialoghi, nudi e crudi, senza altra introduzione e senza nemmeno un'iniziale o un segnale che identifichi chi sia a parlare: lo si capisce comunque chiaramente dal testo, perché ogni personaggio ha un suo tono di voce ben determinato.
In cima a ogni capitolo, per guidarci nella lettura, vediamo i volti dei protagonisti del dialogo che segue, e l'immagine di un telefono qualora il dialogo avvenga a distanza.

Nonna gnocchi

Questa modalità narrativa sostiene un ritmo abbastanza serrato e mantiene il focus soprattutto sulle relazioni tra i personaggi: non c'è introspezione, ma i sentimenti traspaiono tra il detto e il non detto, tra le confidenze a uno e le reticenze verso l'altro.

L'Italia è rappresentata in modo poetico, mettendo l'accento in modo particolare sulla comunità dei paesani e – soprattutto – sul cibo (non a caso i protagonisti di danno a vicenda dei soprannomi culinari, come Pistacchio e Spaghetto), con qualche piccola caduta nello stereotipo (come il paesano che suona la fisarmonica).

Nonna Gnocchi rappresenta protagonisti reali ed emancipati, senza fare sconti: Confiance, come farebbe qualsiasi preadolescente, esprime più volte il suo ribrezzo all'idea che la nonna abbia un rapporto anche fisico, alla sua età. 
La nonna e il fidanzato sono complici, ironici, divertenti, le azioni si dipanano con leggerezza e per un lettore italiano emerge forte il tema dell'autodeterminazione, della volontà di vivere la propria vita senza rinchiudersi in un ruolo, del diritto di avere una vita piena e realizzata, a ogni età.

Crescere significa capire che non solo è possibile cavarsela da soli, ma che a volte fare da soli è perfino meglio. 

Manco per sogno

Se oggi vi parlo di Manco per sogno, uscito un anno fa per Topipittori, è perché è di nuovo "quel" momento, quello in cui ci si prepara per la scuola, con quella frattura tra il gioco e l'impegno, tra la voglia di crescere e quella di restare piccoli, che Beatrice Alemagna ha saputo cogliere così bene in questo albo.

Ritroviamo in Manco per sogno il segno grafico così immaginifico della Alemagna, che porta con sé interi mondi in quei tratti solo all'apparenza fanciulleschi, quei contorni imperfetti, quelle sfumature miste a segni più netti che mescolano spirito bambino e abilità adulta. L'ambiente naturale del bosco, con i suoi toni polverosi, è animato dai tocchi fluo tipici dell'autrice.

Manco per sogno

Pasqualina, la protagonista, è una pipistrella: non uno dei classici animaletti "pucciosi" da albo illustrato. ma questo ce la rende più simpatica, e sicuramente contribuisce a sottolineare il suo pensiero "a testa in giù".
Pasqualina ha tre anni e non ne vuole sapere di iniziare la scuola (l'età sembra indicare la scuola dell'infanzia, ma il resto della storia si addice meglio alla primaria, strutturata in lezioni di materie diverse): "Manco per sogno" dice a mamma e papà. E a un certo punto urla così forte il suo disappunto da rimpicciolirli.

Si rovescia così il paradigma del noto Urlo di mamma: stavolta è la rabbia della bambina ad avere un impatto fisico sui grandi. Ma questo espediente non punta i riflettori sul rapporto genitori-figli, bensì diventa motore di una storia ricca di momenti divertenti.

Manco per sogno

Già, perché a questo punto Pasqualina si porta a scuola i genitori, miniaturizzati.
Il che è un bel vantaggio, perché tra tanti altri alunni spaventati, lei è l'unica tranquilla. Questa scena rappresenta, per contrasto, un bel messaggio che normalizza la paura e l'ansia del nuovo percorso: un messaggio passato quasi come sottotesto, veicolato non attraverso la protagonista ma tramite le comparse, ma che non sfuggirà ai piccoli lettori in cerca di immedesimazione.
 
Manco per sogno

Senonché ben presto la presenza dei genitori, seppur miniaturizzati, da ancora di salvezza si trasforma in elemento di imbarazzo (come quando il padre cade nella minestra) o di zavorra.
Simbolica la scena che vede Pasqualina in difficoltà proprio al momento di volare: difficile spiccare il volo restando legati a mamma e papà.

Il percorso verso la conquista dell'indipendenza diventa così una storia leggera e per nulla didattica, misurata sul punto di vista del bambino che scopre giorno dopo giorno il bello di crescere.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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