Nuvole in scatola
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Ci sono parecchie storie che iniziano così: con un re che manda il suo eroe a compiere una missione importante.

Jeppe in missione

Jeppe in missione, edito da Terre di Mezzo, sembra proprio una di queste, ma bastano poche pagine per capire che non è esattamente così.

L'autrice Jutta Bauer (probabilmente la conoscete per il meritatamente celebrato Urlo di mamma) riesce qui a tessere una storia che è allo stesso tempo concreta e sfuggente. A partire da questo incipit così classico ha inizio quello che sembra essere il più classico dei temi, quello del viaggio.

Jeppe in missione

Ma anziché la meta l'obiettivo conteranno più le cose che succederanno in mezzo, o meglio, le persone che incontrerà. I viaggi, si sa, sono fatti anche di contrattempi, ma qui i contrattempi sembrano proprio la ragione del viaggio.

Con la sua generosità, Jeppe cambierà strada e si fermerà molte volte per aiutare uno scoiattolo in difficoltà, una bambina che ha perso una palla, una mamma che ha bisogno di una mano con i suoi bambini. I risguardi mostrano bene le differenze tra l'itinerario più breve e quello effettivamente percorso nella storia.

 Il viaggio cambia Jeppe, che nel frattempo cresce e incontra qualcuno da amare.

Ma anche il re è cambiato.

Jeppe in missione

La pluralità dei livelli di lettura viene resa anche dall'aspetto grafico-visivo:nella fascia inferiore vediamo ciò che succede al re durante la missione di Jeppe: la vita scorre, nella noia e nell'allegria, ci sono momenti felici e litigi e lutti (e anche alcune sequenze di difficile interpretazione).


Sono le cose della vita, che da un lato ci danno l'idea di quanto questo viaggio sia durato, dall'altro dimostrano quanto nella vita, più che le missioni e i messaggi da consegnare, siano le persone accanto a noi che contano di più. 

Anche il re lo ha capito. E quando Jeppe fallirà la sua missione (ma il come non ve lo svelo) sarà un nuovo inizio e una nuova consapevolezza per tutti.


Se i libri scritti a tavolino per comunicare un messaggio mi danno sempre una sensazione sgradevole, quanto è bello invece trovare una storia autentica, ben scritta e ben costruita, coinvolgente e divertente, dove il messaggio passa chiaro e limpido ugualmente, anzi, in modo molto più efficace proprio perché in primo piano c'è una storia in cui immedesimarsi e non una lezione da imparare.

Piume in libertà

Si potrebbe dire che Piume in libertà è un romanzo contro lo sfruttamento degli animali negli allevamenti intensivi, oppure che è una riflessione sul concetto di libertà e sui punti di vista: in fondo, quando un libro è scritto bene, sono tante le cose che è capace di trasmettere.

Scritto nel 1993 da John Yeoman e sapientemente illustrato da Quentin Blake, che sa valorizzare perfettamente con il suo tratto l'ironia del testo, Piume in libertà è ora edito in Italia da Camelozampa.

Le due protagoniste, Flossi e Bessi, vivono in gabbia, in un allevamento intensivo ironicamente chiamato "Radura felice" (questo almeno è il nome stampato sulle confezioni delle uova!). Flossi e Bessi non hanno mai visto altro che la loro gabbia. Non sono infelici, perché sono convinte che il mondo sia tutto lì: il sole è una lampadina che si acccende a orario, tutto il cibo possibile è quel mangime che arriva loro puntuale ogni giorno.

Piume in libertà
 
Le due galline sono cresciute in batteria, ma di loro non abbiamo un'immagine standardizzata: anche in quel loro piccolo mondo industrializzato, hanno sviluppato due caratteri ben distinti.
È questa la forza di questo romanzo: aver costruito dei personaggi a tutto tondo, ilari e chiassosi, anche in un contesto così limitante.
E così Bessi, la più esuberante e fantasiosa, ogni notte sogna, sì, ma sempre lo stesso pollaio.

Liberate da una taccola (un uccello simile a una cornacchia. Se non sapevate che esistesse, siete in buona compagnia), le due galline si muovono impacciate nel mondo reale. Gli spazi aperti fanno loro paura. Ignorano che si possa mangiare altro oltre al mangime che arriva puntuale sul nastro trasportatore.

Piume in libertà
 
 
È buffo e amaro al tempo stesso come le galline non riescano inizialmente a gioire per la ritrovata libertà, ma cerchino piuttosto di ritrovare la strada di casa, di rifugiarsi nel già noto – sì, sono galline molto, molto umane nell'animo.
È così che si ritroveranno ad esempio incastrate in tutto ciò che ricorda loro una gabbia!

Con pazienza e dedizione, la taccola si impegnerà a svezzarle dalle loro abitudini, fino a farle addirittura volare, e noi lettori ci lasceremo trascinare dalle loro esilaranti avventure, così come dalle contraddizioni dei loro pensieri, così simili ai nostri quando non vogliamo guardare oltre ciò che già conosciamo.

E così Piume in libertà può essere un romanzo sulla libertà, o sugli allevamenti intensivi, o sulla difficoltà ad affrontare l'ignoto, ma prima di tutto questo è una gran bella storia, scritta con maestria, con tre personaggi difficili da non amare.


Stare accanto a un bambino significa abbandonare tutto ciò che si è imparato sulla logica (e per gente come me, può essere un esercizio particolarmente complicato). Basti pensare ai loro "perché" che in realtà non sono solo dei "perché", ma sono dei "quando", o dei "raccontami", o dei "davvero?".

C'è in particolare un tipo di ragionamento che mi fa impazzire, e lo dico in entrambi i sensi: mi affascina da matti ma mi fa diventare pazza se ci penso. È quello di dimostrare qualcosa con la sua stessa premessa.

In logica è chiamato diallele o ragionamento circolare, ed è naturalmente considerato errato, eppure ai piccoli viene così naturale!

un orso alla porta

L'autenticità di Mamma, c’è un orso alla porta! (Sabine Lipan e Manuela Olten, Terre di mezzo editore) sta tutta in questa logica così lontana dal pensiero adulto.

un orso alla porta

L'albo si apre con due pagine mute. Un orso si allontana da un pianerottolo facendo cenno di silenzio a un bambino, affacciato alla porta.

Inizia da qui un incalzante dialogo, tutto da leggere in doppia voce, in cui il bambino cerca di convincere la madre di aver visto, come dice il titolo, un orso alla porta.

un orso alla porta

 Solo che alle domande della madre il bambino risponde immancabilmente con un'invenzione, e dimostra poi la verità della propria invenzione con un ragionamento circolare:

"E come ha fatto l'orso ad arrivare qui in città?"
"Con il bus... e come se no?!"
"Con il bus?"
"Sì, con il bus."

(la mamma chiede sempre conferma di ciò che sente, come a sottolinere l'assurdità della situazione, creando delle ripetizioni che diventano un po' il tormentone del libro)

"L'orso ha comprato il biglietto del bus?"
"Be', senza biglietto non si può salire sul bus. Quindi l'orso ne avrà comprato uno."
E lo stesso vale per la bici, ad esempio: se l'ha usata per raggiungere la fermata del bus, vuol dire che ne ha una. Se è salito in ascensore, vuol dire che ha premuto il pulsante.

un orso alla porta

Le immagini accompagnano il testo trasformando le fantasie del bambino in scenette deliziosamente spiritose.
Un attimo: ma saranno davvero fantasie?

Man mano che il bambino racconta il tortuoso e inverosimile percorso dell'orso, dimentichiamo quella prima immagine, quella in cui l'orso c'era davvero. Ma poi l'orso ritorna. Sarà reale? Sarà vero che mangia la torta con il bambino?

Forse anche qui dobbiamo uscire dalla logica adulta, quella che vuole che reale e immaginario siano opposti non conciliabili.

Meglio non farci troppe domande e fare spazio a un orso che ci viene a trovare.


Quello di cui vi parlo oggi non è un libro: sono due.

È molto curioso l'esperimento letterario ed editoriale di Davide Morosinotto e Camelozampa: prendere lo stesso, identico romanzo e pubblicarlo due volte, dando semplicemente (si fa per dire) un ordine diverso ai capitoli.

Temporali


Non si tratta di un ordine a caso, naturalmente: c'è la versione Fabula e la versione Intreccio.

Brevissima parentesi didattica per chi non ha ricordi di narratologia (sarò breve, lo prometto).
In un'opera narrativa, l'intreccio è l'ordine in cui un autore sceglie di raccontare una storia, che può includere flashback e flashforward, mentre la fabula è l'ordine cronologico degli eventi narrati.
Fine della parentesi didattica (visto che è stata breve?).

Ora però le cose si complicano, perché Temporali (così come l'altro Temporali) è un libro sui viaggi nel tempo. E come tutte le belle storie sui viaggi nel tempo, le cose non accadono in modo lineare. Chi torna indietro arriva dal futuro e però interviene sul passato modificandolo.

Nella versione Intreccio, tutto ha inizio con una bomba che scoppia in una scuola superiore di Bologna (città che da una bomba ha già subito, tutti lo ricordiamo, una ferita particolarmente profonda). È il "momento zero", ed è attorno ad esso che si dipana la narrazione.

Temporali

Da un lato, prima del momento zero, ci sono Ron ed Enrico, due studenti di quella scuola, ognuno con il proprio bagaglio di pensieri adolescenziali, di vite e famiglie complicate. Secondo il grande computer che governa i viaggi nel tempo, sono stati loro a piazzare la bomba, anche se leggendo tra le pagine i loro pensieri non si direbbe fosse loro intenzione farlo.

Dall'altro lato, quello che si dipana dopo il momento zero, c'è Michela, giovanissima e brillante agente di una squadra segreta militare che grazie alla macchina del tempo può tornare indietro e modificare il passato, cancellando così gli eventi più drammatici (come le bombe in un liceo).

A complicare le cose c'è anche una terza storyline, quella di un anziano malavitoso incarcerato che cerca di vendicarsi contro chi lo ha tradito, ma di questa non ci occuperemo qui: per quanto il personaggio sia ben costruito (e lo è: umanissimo e criminale), non è per lui che il fiato resta sospeso durante la lettura, non è il suo destino quello che ci preme seguire, non sono i suoi capitoli quelli che attendiamo con ansia girando freneticamente le pagine.

E così, l'Intreccio vede Michela saltare più volte indietro nel tempo per impedire ai ragazzi di posizionare la bomba, naturalmente mantenendosi il più strettamente aderente a quello che è il rigidissimo protocollo dei viaggi nel tempo (noi "grandi" lo sappiamo già: se alteri il continuum spazio-temporale succede un casino).

È qui che la scrittura, ma anche la scelta editoriale, diventa paradosso: in un certo senso, è Intreccio la vera Fabula, perché nel suo presente si innestano i viaggi dal tempo futuro, mentre Fabula vede la vicenda a posteriori, come se i viaggi nel tempo fossero già consolidati nella nuova linea temporale che essi stessi hanno creato.

Lo so: è difficile da spiegare (leggendo riesce tutto un po' più intuitivo). Ma d'altra parte questa sfida alla logica è proprio il fascino di questo tipo di storie.

Secondo il modo in cui si guarda alla linea temporale, insomma, dal passato o dal futuro, fabula e intreccio si cambiano prospettiva e non è nemmeno chiaro quale sia l'uno e quale sia l'altro. Senza contare il fatto che, se vogliamo attenerci alla definizione, oltre ad essere entrambi fabule sono anche entrambi intrecci, visto che è l'autore che ha scelto l'ordine di entrambe le narrazioni.

In una lettera ai lettori, per presentare il libro sul sito di Camelozampa, l'autore li propone così: leggendo i capitoli nell'ordine "intreccio", la storia è un thriller, seguendoli nell'ordine "fabula" è un giallo. E sorprendentemente questa scommessa è riuscita: Intreccio ci tiene col fiato sospeso in attesa di scoprire l'esito delle missioni di Michela, mentre Fabula ci accende interrogativi presentando una serie di accadimenti che appaiono sempre più misteriosi finché non scopriamo cosa sia successo davvero.

La creazione di paradossi temporali è un grande classico di tutte le narrazioni che ruotano attorno ai viaggi nel tempo, ma qui Davide Morosinotto ha portato il paradosso a un livello metanarrativo, lasciando il lettore a chiedersi quale sia l'ordine "giusto" di questa storia: forse lo sono entrambi, così come sono vere tutte le versioni alternative di passato e futuro che le nostre scelte generano.

Il lettore viene quindi catturato due volte: dalla trama, avvincente e ricca di climax, e dagli interrogativi sulla struttura narrativa. Impossibile, al termine del libro, non desiderare di leggere l'altro. Per fortuna non è necessario acquistarli entrambi, perché in coda a ognuno dei due volumi si trova un doppio indice: quello relativo al libro stesso e quello che rimette i capitoli nell'ordine dell'altro.

Temporali

E si tratta davvero di una mera questione di ordine: i capitoli sono identici, carattere per carattere, a eccezione di un capitolo "bonus" per ciascun libro (se proprio volete saperlo, ho apprezzato di più quello di Intreccio, ma è solo il mio gusto personale). Sembra incredibile come il romanzo riesca a reggere perfettamente in entrambi i modi: le informazioni essenziali per capire e costruire la storia sono disseminate nel testo con tale naturalezza da rendersi conto soltanto a una seconda lettura di come essi siano funzionali a far reggere il romanzo anche in un ordine diverso.

D'altra parte il tempo è un concetto relativo, soprattutto per chi lo naviga con così tanta abilità.


Nota per i genitori: il libro è indicato dai 13 anni. Io oserei anche dagli 11 o 12, a patto di essere consapevoli che nei capitoli si citino crimini legati a droga e prostituzione e si affronti il tema dell'instabilità psicologica. In fondo non esistono storie degne di essere chiamate tali che non abbiano temi oscuri.

Un altro PS: incuriosita da questa sfida editoriale, ho chiesto all'editore se avesse scommesso più su una versione o sull'altra. Ebbene, no: sono stati stampati in tirature identiche. Da cosa saranno più attratti i lettori? Fabula o intreccio?


 

Prendere in mano un albo di Oliver Jeffers è come ascoltare una nuova canzone di un cantante che si conosce bene: vi si ritrovano melodie, atmosfere, perfino un lessico che ci danno una sensazione familiare, come di qualcosa di già sentito, in cui riusciamo a riconoscerci, ma sappiamo sempre trovarci quell'elemento che fa scoccare una scintilla nuova.

Come tornare a casa

E così, anche in Come tornare a casa, edito da poco da Zoolibri, troviamo moltissimi fil rouge dell'artista nordirlandese, a  cominciare dal protagonista: lo stesso bimbo di Chi trova un pinguino e di Come trovare una stella. Che sia proprio lui medesimo lo sospettiamo dal suo aspetto, dall'abbigliamento, dalla sua barchetta tirata in riva al mare, ma il sospetto diventa certezza quando nella sua casetta troviamo come ospite, in un simpatico cameo, una nostra vecchia conoscenza.

Come tornare a casa

Ritroviamo anche il desiderio di viaggiare ed esplorare, l'incontro con qualcuno con cui si fatica a comunicare, la nascita di un'amicizia: temi cari a Jeffers raccontati con la delicatezza dei suoi acquerelli che sono un po' fumetto e un po' poesia.

La storia va così: il bambino trova un aeroplano nel sottoscala e decide di farsi un giretto. Anche questo è un fil rouge di Oliver Jeffers: i suoi mondi seguono logiche bambine, in cui un aereo può nascondersi in un sottoscala e un bambino lo può pilotare, sempre più su, fino alla luna.

Come tornare a casa

Ma sulla luna il carburante finisce, e inizia a paura di trovarsi da soli in un luogo sconosciuto. Paura che dura poco, però, perché anche un marziano è finito con la sua navicella in panne proprio sulla luna.

Come tornare a casa 

Come riusciranno il bimbo e il marziano a tornare a casa? E come faranno, da pianeti lontani, a conservare la loro amicizia?

L'impossibile, per Oliver Jeffers, è solo un'avventura a portata di immaginazione. A noi non resta che goderci il viaggio.


   

Da piccola sono andata a Berlino, in viaggio con i miei.

Era ancora divisa tra Berlino est e Berlino ovest, il che potrebbe darvi un'idea della mia veneranda età, ma ora smettete immediatamente di fare i conti e concentratevi su altro.

Io lo ricordo quel muro, è il ricordo più forte che ho di quel viaggio. Lo ricordo visto da ovest, coloratissimo, pieno di graffiti. Lo ricordo visto da est, immacolato e vigilato a vista da guardie armate. E ricordo (è il secondo ricordo più forte che ho) com'è stato passare la frontiera per tornare a Ovest, passando in una stanza piena di specchi dove le guardie ti scrutavano con attenzione per controllare che non stessi nascondendo nulla.

La città del muro

Sono queste le sensazioni che ho rivissuto leggendo La città del muro, un graphic novel di Roberta Balestrucci e Luogo Comune, edito da Sinnos, che racconta una storia vera che non conoscevo: quella delle famiglie Strelzyk e Wetzel, fuggite da Berlino Est con una mongolfiera fatta in casa nel 1979.

La città del muro

Avvincente, forse ancor di più sapendo che si tratta di una storia vera, La città del muro inizia con un breve antefatto: una delle protagoniste, bambina, si fa domande "scomode" guardando il muro e immaginando la vita dall'altra parte. La narrazione prosegue poi con la pianificazione e i tentativi di fuga, in un'atmosfera di continua pressione.

Spie vere o presunte e poliziotti della Stasi stanno alle calcagna dei nostri protagonisti, e quella che già senza tutto questo contorno sarebbe un'avventura  diventa una corsa contro il tempo per non far scoprire i propri piani.

La città del muro

La città del muro ha il pregio di far sentire sulla propria pelle e nel proprio cuore cosa significhi la mancanza di libertà.

Nelle illustrazioni di Luogo Comune, la DDR è dipinta con colori spenti, porte chiuse, segreti nascosti in stanze mai abbastanza private. Quella sensazione di oppressione la si sente nelle immagini prima ancora che nelle storie, così come si sente la forza di quel desiderio di evadere da quel luogo dove tutto è determinato e controllato dall'alto, dal lavoro al cibo alla vita privata.

La città del muro

Sembrerebbe un simbolo, la mongolfiera: questo mezzo colorato che eleva gli umani da un suolo grigio facendoli volare.
Potrebbe essere una metafora perfetta del desiderio di libertà. E lo è ancora di più, sapendo che è reale.


Lo conoscete quel detto secondo cui il battito d'ali di una farfalla può provocare un uragano dall'altra parte del mondo?

È un principio noto anche in fisica con il nome di "Butterfly effect".
Ecco, ora provate a sostituire le ali della farfalla con un calcio a un barattolo e otterrete (più o meno) il succo del libro di cui vi parlo oggi.

Tutta colpa del barattolo

Tutta colpa del barattolo, albo di Luca Tortolini illustrato da Maria Gabriella Gasparri e pubblicato da Sinnos, racconta una serie sempre più improbabile di eventi che hanno origine da un semplice, piccolo gesto: la protagonista, annoiata, vede a terra un barattolo, "tondo, lucido e perfetto", e decide di dargli un calcio.

Tutta colpa del barattolo

Poi il barattolo colpisce un lampione, che sveglia un topo, che attira l'attenzione di un gatto, che richiama un cane, che entrando in una stalla fa scappare dei bufali (...che al mercato mio padre comprò).

Pagina dopo pagina, accompagnati da poche parole e da illustrazioni dal gusto vintage, animate da ipnotici tocchi di colore fluo, i protagonisti coinvolti si fanno sempre più numerosi e lo spazio dell'illustrazione diventa sempre più caotico e improbabile.
Quella che inizialmente era una vicenda privata diventa un racconto corale (così come corale sarà la conclusione).

Il ritmo incalzante, che segna profondamente la lettura, si concede anche una pausa nel bel mezzo del racconto, depistando il lettore e convincendolo di trovarsi di fronte a una svolta, anche se si tratterà soltanto di un'illusione: il narratore sembra quasi giocare con un meccanismo che sembra ovvio ma riserva ancora delle sorprese.

Tutta colpa del barattolo

Il finale non rimetterà tutto in ordine (sarebbe impossibile) ma troverà in qualche modo un motivo a quanto successo: in un'ottica resiliente, i protagonisti sapranno guardare a tutti gli eventi accaduti come a una straordinaria avventura vissuta insieme.

Se c'è un insegnamento, in Tutta colpa del barattolo (non che sia necessario, sapete come la penso) è proprio questo: non puoi sapere cosa comporterà anche la più piccola delle tue azioni, ma c'è sempre qualcosa di buono che potrai ricavarne.


Capita mai ai vostri figli di giocare a dire le cose tutte al contrario?

È un esercizio tutt'altro che banale, perché bisogna capire quali parole si possano negare per non trovarsi, a furia di negazioni, a tornare al punto di partenza. Se si parte dalla frase "io amo la pizza", è possibile rovesciare il verbo (io odio la pizza) oppure l'oggetto (io amo l'insalata scondita), ma se si rovesciano entrambi ci si può ritrovare a enunciare una nuova verità, seppur diversa dalla prima (io odio l'insalata scondita).

È anche un gioco in cui l'allenamento aiuta ad affinare il lessico e una certa sensibilità per la lingua. Il Piccolo D, sei anni, si limita ad aggiungere delle negazioni qua e là, con effetti a volte cacofonici (io non ho non-fatto questo) mentre il Piccolo T, dieci anni, trova soluzioni più raffinate utilizzando i contrari o altre locuzioni.

Il libro bugiardo

È in questo gioco che ci si ritrova catapultati leggendo Il libro bugiardo di Fabrizio Silei, edito da Uovonero.

Se il titolo non fosse sufficiente, ci pensa il contrasto tra testo e immagini a far capire immediatamente il tono della narrazione: se le parole deescrivono il protagonista Gedeone come "basso e grasso" e con un "cane enorme e terribile", le illustrazioni ci mostrano un uomo longilineo che tiene in braccio un docile cagnolino. Il libro bugiardo è decisamente un libro in cui testo e immagini lavorano in modo complementare, e il senso nasce specificamente dal loro contrasto.

Il libro bugiardo
 
La narrazione procede narrando storie di strada, di senzatetto (che il libro bugiardo definisce "ricchi"), di lotte per il territorio, vite ai margini che non troviamo così facilmente in un albo illustrato. Ma qui c'è lo zampino di Uovonero, casa editrice attenta alla diversità e all'inclusione per vocazione.

Il libro bugiardo
 
Quando ai primi due protagonisti si aggiunge una terza "ricca", i senzatetto diventano artisti di strada, e mano a mano che la narrazione prende questa nuova piega risolutiva, in cui la coralità e la cooperazione si sostituiscono alla miseria e alla lotta, anche la prosa bugiarda si fa meno marcata, più pronta ad accogliere sfumature di verità, e l'esercizio di distinguere il falso dal vero si fa più complesso.

Il libro bugiardo

Al di là della storia in sé, Il libro bugiardo lascia nel lettore quella voglia di scardinare i meccanismi narrativi, di sollevare il velo della narrazione per scovare le bugie e le verità.

Il libro bugiardo resta però prima di tutto un libro profondamente divertente, che tocca un tasto molto vicino alla sensibilità comica dei bambini, sempre divertiti dai rovesciamenti della realtà, e lo fa con parole semplici e dritte (grasso/magro, ricco/povero), che non lasciano dubbi o incomprensioni.
A completare l'opera, c'è un ricco paratesto che fa il gioco del libro: copertina, retro, frase conclusiva sono tutti sberleffi verso il lettore (468 pagine! 500 miliardi di copie vendute, solo a Parma!), compresa l'esilarante scheda dal libro, raggiungibile da un qr code in quarta di copertina.

Dire le bugie è una cosa da non fare mai, insomma, a meno che non si voglia far ridere.


Lasciar vagare lo sguardo senza fissare un punto preciso, vedere come i dettagli balzino agli occhi quasi da soli, come se fossero loro a imporsi alla vista: mi affascina il meccanismo visivo e cognitivo che si attiva di fronte a un libro o a un gioco "cerca-trova". 

10 cani in città

10 cani in città di Charles Dutertre (Sinnos editrice) attiva proprio questo meccanismo e si presta a diverse modalità di lettura.

L'invito al gioco parte dal Camillo, un bambino che parte alla ricerca di dieci cani che si aggirano liberi in città.
Già: 10 in cifre, in barba alle consuete norme editoriali e giornalistiche, perché il numero è parte dell'aspetto ludico del gioco, che vede una progressione da 1 a 10 nei cani da cercare, dando così rilievo al dettaglio numerico.

Tutte le ambientazioni occupano una doppia pagina, brulicante di dettagli curiosi. Si passa dal parco al mercato, dall'autobus al museo.

10 cani in città

In ogni doppia pagina una didascalia (di volta in volta integrata nell'immagine in modo diverso) invita alla ricerca dei cani, ma propone anche delle sfide ulteriori:

8 cani vanitosi sono entrati nel salone di bellezza del parrucchiere.
Io pure avrei bisogno di una tagliatina di capelli!
CERCA ANCHE: 1 barbecue - 6 tazze di caffè - 3 gatti con i bigodini.

Il meccanismo ad accumulo (ogni volta c'è un cane in più) aggiunge un ulteriore elemento non scritto alla sfida: individuare di volta in volta quale sia il cane "nuovo", quello mai visto prima, che si aggiunge ai precedenti.

Ma anche senza seguire pedissequamente le istruzioni del libro, 10 cani in città può essere sfogliato ed esplorato come un vero e proprio wimmelbuch, alla scoperta di giraffe che guidano delle miniautomobili, castori pronti a mangiarsi un tronco servito su un piatto da portata, cavalli che sorseggiano una bibita con la cannuccia al tavolino di un bar: la città e i suoi ambienti regalano una varietà incredibile di situazioni, personaggi, scenette che catturano e divertono, con il gusto stilistico della vignetta e quello narrativo del nonsense.

Le storie finiscono solo quando il nostro sguardo decide di guardare altrove.


A volte non serve andare lontano per vivere la natura: ci sono piccoli tesori verdi che si possono trovare proprio sotto i nostri piedi.

Piccolo verde 

Ce lo raccontano Chiara Carminati e Massimiliano Tappari con Piccolo verde, un cartonato che Editoriale Scienza ha pubblicato nella collana "I libri dell'Orto", in collaborazione con l'Orto botanico dell'università di Padova (della stessa collana fanno parte anche Con le mani nella Terra e Tra foglie e fogli, di cui vi avevo già parlato).

In Piccolo verde ritroviamo il formato tanto caro ai due autori, poetessa lei, fotografo lui: un cartonato quadrato, dai bordi stondati, in cui sulla pagina di destra spicca una fotografia mentre quella sinistra ospita il testo.

 Piccolo verde

Avevamo già visto questa formula, ad esempio, in A fior di pelle, Quattro passi, e, in formato leggermente diverso, in Occhio ladro: l'occhio e l'obiettivo di Tappari colgono dettagli inconsueti, la penna di Carminati ne inventa la storia. 

È un percorso di scoperta, di attenzione al dettaglio, di sguardo nuovo su cose già viste.

C'è in Piccolo verde una differenza sostanziale rispetto agli altri libri citati: non troviamo infatti la consueta correlazione tra singola poesia e singola immagine, ma vi è un solo componimento che scorre lungo le pagine, due versi alla volta, raccontando di volta in volta la foto.

Foto e parole ci invitano a guardare a terra, anche in un contesto urbano, per scoprire piccoli giardini in miniatura che crescono dove meno ce lo aspettiamo: tra le fughe di due piastrelle, tra i fori di un tombino, da un tubo rimasto aperto, piantato a terra.

 Piccolo verde

Gli autori ci invitano a soffermarci, a meravigliarci, ad andare oltre la semplice idea di "pianta che cresce tra i sassi" e a immaginare mondi in miniatura e piccoli giardini, ammirarne le forme, le geometrie, le simmetrie e il caos, a costruirvi delle storie.

Anche l'attenzione per le cose si può allenare con un po' d'arte.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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