Nuvole in scatola
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 Abbiamo sognato tutti di avere "quel" maestro, vero?

Quello stile "Attimo fuggente", che non si limita a darti nozioni ma ti offre qualcosa di più, una nuova visione della vita e di te stesso.

Joker
L'americana Susie Morgenstern ce ne presenta uno nel suo Joker, un racconto per primi lettori, dai 9 anni circa (serve un po' di dimestichezza con le dinamiche della scuola e con l'introspezione, e va tenuto conto che a un certo punto si parla di "fare l'amore", anche se per l'appunto se ne parla e basta), edito da Biancoenero Edizioni nella collana Zoom, stampata con font e impaginazione ad alta leggibilità.

Joker
 
All'ultimo anno della primaria, i bambini si trovano ad affrontare un nuovo maestro, ma non è come se lo aspettano: è grigio, pieno di rughe, ha un'aria strana.
Le illustrazioni di Giulio Castagnaro, essenziali nei tratti e nei colori, contribuiscono a farlo sembrare diverso, come distaccato dal resto del mondo.

Prima ancora di presentarsi, il maestro Biagio regala a ogni bambino un mazzo di carte speciali: sono dei "jolly", e ogni jolly è un lasciapassare per una libertà inaspettata: c'è il jolly per non andare a scuola, quello per ballare in classe, per non ascoltare la lezione.

Inizialmente increduli, i bambini imparano pian piano ad usare queste carte, ognuno a modo suo: c'è il bambino impaziente che le finisce subito, la parsimoniosa che li conserva per usarli nel momento più utile. Queste semplici carte racchiudono molte lezioni: la capacità di usare il proprio tempo e le proprie risorse, l'occasione di riflettere su molte consuetudini quotidiane date per scontate.

Ma le carte non sono il solo modo che ha il maestro Biagio per accompagnare i bambini in un percorso di autoconsapevolezza: ci sono le letture, la sfida a non guardare la tv, la "cassetta delle discussioni" da affrontare in classe.

Joker
 
Questi suoi metodi così poco ortodossi, come ci si potrebbe facilmente attendere, non sono visti di buon occhio dalla preside, e anche se il maestro Biagio prova a sua volta a "usare un jolly" per non affrontarla, dovrà alla fine rendere conto delle proprie scelte, compiute in un sistema che ancora non è pronto.

Joker
 
Il protagonista di Joker Ã¨ il prototipo di un insegnante che educa nel senso etimologico del termine, che non trasmette passivamente nozioni ma stimola il ragionamento indipendente, la consapevolezza di sé, e sa anche mostrare la strada verso la felicità di stare al mondo.

È il maestro che tutti avremmo voluto. Quello che vorrei, oggi, per i miei figli.
E chissà che, leggendo, non possano scoprire che la scuola non serve a dare voti, ma a far crescere esseri umani.
 

Un Jolly per...


L'idea delle carte, in ogni caso, è troppo ghiotta per lasciarla tra le pagine di un libro.
Quanti jolly potete inventare per i vostri bambini? E quanti per voi, da usare con loro?

Joker
 
Ogni jolly potrà essere usato contro di voi, questo sia chiaro.
Ma non è detto che sia sempre un male.


Sono "in una relazione complicata" con la poesia.
A tratti la amo, a giorni la odio, più spesso non la capisco; l'ho pensata morta, poi l'ho vista resuscitare. E a volte mi ritrovo persino a scriverla.

Nel pensare a quali titoli portarvi come testimoni di questo strano 2020, però, la poesia è emersa in modo prepotente.

poesia

La cosa non mi stupisce: è stato un anno che ci ha costretti alla pausa, alla lentezza, alla contemplazione, che ci ha messo di fronte a noi stessi come forse non succedeva da tempo.

 

Così, al posto del solito elenco dei "libri più belli" (che parzialmente vi ho già proposto nell'articolo sulle strenne), per questa fine 2020 vi porto qualcosa di più essenziale: quattro soli titoli per esplorare le emozioni di questi mesi, e due raccomandazioni.

 

L'amore a 126 cm da terra di Sara Carpani e Luca Tozzi (Pulce edizioni).

Per raccontare i primi sentimenti da grandi, quelli che un po' ci fanno vergognare, le amicizie che sembrano amori, gli amori che sembrano amicizie, e quelli che non sembrano nulla, perché sono diversi da ogni cosa mai provata prima. Ve ne ho parlato qui.

amore a 126 cm da terra

 

Io sono foglia, di Angelo Mozzillo e Marianna Balducci (Bacchilega Junior), poesia in versi e immagini, racconta la volubilità di una vita che impara a conoscersi, che si cerca, che si scopre ogni giorno diversa. Una danza da seguire incantati, che vi ho raccontato qui.

io sono foglia

 

Prima e poi, scritto da Teresa Porcella e illustrato da Giorgia Atzeni (edizioni Bacchilega Junior), parla di crescita e di cose che cambiano: persone, sentimenti, situazioni. Il tempo passa e fa cambiare il nostro sguardo. Qualcosa si perde, qualcosa si ritrova. Se vi siete persi la mia recensione, trovatela qui.

prima e poi

 

Occhio Ladro, di Chiara Carminati e Massimiliano Tappari (Lapis) è un invito a trovare frammenti di storie tra le cose che ci circondano ogni giorno, a scrutare, scoprire, inventare la meraviglia del mondo. Ne ho parlato qui.

Occhio ladro

Ecco, se dovessi riassumere il mio 2020 in libri, lo farei con questi, e con due raccomandazioni.

La prima: non abbiate paura di proporre la poesia ai bambini. La capiranno? Non la capiranno? Che importa. La poesia è musica, è sensazione, è ritmo, è bellezza della parola. Troverà un posto da cui entrare, e lì dentro qualcosa smuoverà.

La seconda: non abbiate paura di cercare poesia nella vostra vita, anche dove sembra non esserci, anche dove non la vedete più. Forse un giorno, come succede in Prima e poi tra due fratelli, riusciremo a guardare indietro verso questo 2020 e a dirgli che

in fondo non eri
del tutto sbagliato.


     

A che età proporre le fiabe classiche ai bambini?

Le versioni integrali non sono adatte, per linguaggio e complessità, a un pubblico di piccolissimi, d'altra parte le riduzioni tradiscono inevitabilmente l'opera originale.
E però va considerato che le fiabe permeano la nostra cultura, e che i bambini si troveranno di fronte una grande varietà di citazioni e riferimenti che non potranno cogliere senza conoscerle. Senza contare che a 6-7 anni, i bimbi di oggi, le fiabe non le leggono più.

Insomma: riduzione sì o riduzione no?

Biancaneve-attilio

Io dico riduzione sì, ma riduzione d'arte.

Ovvero: non semplicemente un testo semplificato, ma un'opera in qualche modo a sé, che pur conservando la trama della fiaba, abbia una dignità propria.
Le fiabe che Attilio (al secolo Attilio Cassinelli) sta producendo per Edizioni Lapis ne sono un esempio perfetto: semplici, adatte ai bambini dai 2 anni, per quantità e qualità di testo e per tipologia di illustrazione, aderenti alla storia originale, ma con il tratto unico di un artista originale e pluripremiato.

Dopo Cappuccetto Rosso, di cui vi avevo già parlato, e molti altri titoli, l'ultimo arrivato nella collana è Biancaneve e i sette nani.

Biancaneve-attilio

La storia non ve la sto a raccontare: che abbiate incontrato nella vostra vita il testo originale o una delle mille e mille varianti, sono certa che la conosciate bene.

Volevo però soffermarmi su alcuni dettagli che rendono la Biancaneve di Attilio degna di nota.

Le forme della madre, ad esempio, che felice con la sua pancia rotonda normalizza la gravidanza anche in un cartonato per piccolissimi.

Biancaneve-attilio

E poi Biancaneve stessa, capelli corti e abito poco sfarzoso, non è la principessa che ci aspettiamo, quella che siamo soliti vedere. "Le piaceva leggere e giocare", come una bambina qualsiasi, una in cui identificarsi.

Attilio disegna per i più piccoli con grande rispetto, con grande semplicità dei tratti e delle forme, riuscendo ad essere espressivo con l'utilizzo di poche geometrie, ma senza paura di lasciarli soli nel bosco, in una pagina priva di testo, ad affrontare un luogo così simbolico ed emotivamente forte, senza paura di usare la parola "morte", prima per la regina madre, poi per Biancaneve stessa (anche se quella, lo sappiamo, alla fine si risveglia con un bacio).

Biancaneve-attilio

I suoi personaggi sembrano muoversi come burattini su pagine in cui gli spazi bianchi o la disposizione delle figure non sono mai lasciati al caso, ma comunicano lontananza, vicinanza, solitudine, antagonismo.

L'essenza della fiaba, in fondo, è anche nel non detto.
 


Diventare genitore non ti rende adulto. Al contrario, ti riporta molti tratti e pensieri dell'adolescenza.
Ti ritrovi a interrogarti sul senso della vita, su identità e differenze, su cosa significhi essere nati in un certo posto, su quanto sia giusto indicare la strada e come invece tu possa guidare tuo figlio a trovare la propria.

Ti ritrovi tutt'a un tratto poeta e filosofo, a voler spiegare il mondo, senza averlo capito.

Se vieni sulla Terra


Capisci che i pensieri più semplici nascondono profondità insondabili, come avviene in Se vieni sulla Terra, (editrice il Castoro) un albo poetico e concreto, semplice e profondo al tempo stesso.

All'autrice, l'australiana Sophie Blackall, l'idea è venuta sull'Himalaya: facendo visita per Save the Children a una piccola scuola nel Buthan, ha sentito l'esigenza di trovare un territorio comune di comunicazione, un sostrato culturale che unisse popoli così lontani in qualcosa di più universale.

Se vieni sulla Terra Ã¨ strutturato come una guida, scritta da un bambino di nome Quinn, e rivolta a un ignoto "visitatore dello spazio".

Se vieni sulla Terra


Per prima cosa, Quinn fornisce all'extraterrestre indicazioni su come trovarci: il nostro pianeta "è quello verde e blu". Poi lo sguardo si avvicina, proprio come quello di un visitatore che arriva da lontano, e Quinn inizia a descrivere acqua e terra, città e villaggi, case e famiglie.

Il linguaggio è semplice, come ci si aspetta che sia, essendo rivolto a qualcuno che probabilmente non conosce bene la lingua, ma è una semplicità ben ponderata, dalla musicalità calda (ben resa dalla traduzione di Giusy Scarfone), e che nasconde significati immensi.

Se vieni sulla Terra

Colpisce, nella grande quantità di pagine – ben 80! – che si susseguono come quadri una dopo l'altra, la varietà delle soluzioni grafiche adottate.
Pur mantenendo uno stile ben riconoscibile, ogni illustrazione ha una sua diversa interpretazione dello spazio. Ci sono prospettive aeree, con visioni in pianta che accentuano distanze o vicinanze, solitudini o affollamenti.

Se vieni sulla Terra

Oppure carrellate di ritratti, di volti e persone.

Se vieni sulla Terra

O ancora, inventari di oggetti o animali incastrati l'uno accanto all'altro, sparpagliati confusamente sul foglio, disposti in file ordinate o arrangiati a creare forme definite.

Se vieni sulla Terra

Quinn racconta il mondo e racconta anche un po' se stesso, ma delicatamente, accennandosi appena. Non è lui, il protagonista, qui: 

I pesci sanno nuotare, ma non sanno camminare.
La maggior parte degli animali sa camminare o nuotare o galoppare o saltare
ma non sa volare.
Alcuni uccelli sanno nuotare e camminare e volare, 
quindi, se potessi scegliere, vorrei essere un uccello.

A volte, compare qualche dettaglio inaspettato, più astratto, come l'elenco dei colori con cui dipingere il mondo, che comprende tubetti di "sole splendente", "freddo", "giugno" o anche "rimpianto".

Se vieni sulla Terra

Ogni pagina è una sorpresa, qualcosa di nuovo che si apre sotto i nostri occhi. È come se nella varietà delle soluzioni espressive l'autrice avesse voluto esprimere anche la varietà che rende meraviglioso il nostro mondo. Ed è proprio questo il fil rouge che ci accompagna lungo tutta la lettura: la meraviglia di fronte alla diversità, la ricchezza che vive fuori e dentro l'uomo.

L'umanità è rappresentata con tutti i suoi talenti, abitudini, gusti e capacità.

Al di là dell'espediente narrativo dell'extraterrestre, per molti versi Se vieni sulla Terra mi ricorda molto Noi siamo qui di Oliver Jeffers, e in effetti anche questo albo si adatta perfettamente ad accogliere una nuova nascita, qualcuno che arriva sulla Terra per la prima volta, anche se non proviene da un altro pianeta.

Il messaggio è lo stesso: se sappiamo accoglierne la bellezza e la varietà, questo è un mondo meraviglioso.



Non so perché questa storia, che di natalizio non ha nulla, mi fa pensare al Natale.
Forse perché la protagonista è una pecora che si incanta a vedere una stella (anche se in effetti non si tratta di una cometa), forse è per i toni così magici delle illustrazioni, che mi fanno sentire nel bel mezzo di un presepe.

Amelia

Invece Amelia, albo di Cristina Bellemo illustrato da Simona Mulazzani (Editrice Il Castoro), parla di identità, di libertà, di sogni, di autodeterminazione.

Amelia è una pecora come le altre. Oppure no?

 Amelia

 

Anziché limitarsi a brucare, Amelia si guarda attorno, si lascia meravigliare dalla natura. E così una notte si attarda, per guardare una stella, e resta chiusa fuori dal suo recinto.

Tutte le altre sono dentro.
Amelia è fuori.

 

Amelia

È impaurita, Amelia. Lei conosce il giorno, ma non la notte.
Poi si fa forza, punta sulle sue risorse, sui suoi riccioli bianchi che la riparano dal freddo, e inizia ad esplorare. È così che scopre un mondo diverso, nuovo, meraviglioso, in cui le montagne sono gobbe di giganti e si può fare amicizia con un gufo.

Il mondo di Amelia è un mondo sinestetico; ogni sua scoperta, ogni sua sensazione, è accompagnata da un suono. Eplorando, la pecora scopre i suoni "fuori", ma anche quelli "dentro": nel silenzio della notte, sente per la prima volta il battito del proprio cuore.

Amelia

Non è narrato in versi, Amelia, eppure è un testo pieno di poesia.
Il linguaggio stupito di Cristina Bellemo, fatto di parole semplici e di sfumature liriche, è intervallato da onomatopee che danno voce all'atmosfera notturna, in cui il minimo rumore sembra avere un'eco gigantesca.

Le scelte cromatiche e i tratti onirici delle illustrazioni di Simona Mulazzani sembrano integrarsi con queste parole, come parte di una sinfonia armonica. La sensazione è che l'albo trasmetta molto di più della semplice somma di parole e immagini.

Quando Amelia torna tra le sue compagne, non sarà la stessa, perché ha scoperto qualcosa che le altre non conoscono, qualcosa che è fuori ma anche dentro di lei, e che la rende diversa.

Amelia

Amelia è una metaforica pecora nera, fuori dal gregge, ma la sua lana è bianchissima, e a distinguerla dalle altre non è il colore, ma lo sbocciare di fiori sul suo manto, segno di qualcosa che solo lei sa cogliere.



C'è una sensazione che ogni lettore forte conosce bene: quella di aprire un libro e ritrovarsi altrove.

Promenade

 

Altrove è esattamente il luogo dov'è ambientato Promenade, più che un albo una galleria d'arte, che fonde le opere dell'artista coreano Jungho Lee con le parole d'autore di Bernard Friot. 

Non una storia, ma un inno alla lettura, che Lapis Edizioni ha pubblicato in un libro di ampie dimensioni, in cui immergersi e perdersi.

Promenade

Un viaggio. Dove ti porterà, ancora non lo sai.
Ma fidati di me: non ti perderai.

Il tono di Friot è quello di una guida: rassicurante, sembra accompagnare un viaggiatore che esita, che si trova sperduto in un luogo nuovo.

Quel luogo, è chiaro fin da subito, è il libro.

L'ispirazione surrealista di Jungho Lee ce lo presenta come l'ala di un aereo: è lui l'oggetto che ci porta via, e che assumerà in ogni pagina un ruolo diverso.

Promenade

 

Hai trovato l'ingresso. Bene.

E il libro si fa soglia verso un mondo altro.

E via via, passando da una tavola all'altra, il libro diventa nave, diventa fetta di torta, diventa lago, diventa vetro di una finestra che staccandosi permette di volare. Sembra di esplorare una galleria di quadri di Magritte, soltanto più sfumati, più eterei.

Promenade


Il titolo è Promenade, passeggiata, ma si direbbe più un viaggio, o meglio un vagare senza meta, immersi nella meraviglia.

Non sempre è immediata la comprensione delle immagini: a volte il libro è così ben mimetizzato da cogliersi solo a un secondo sguardo, e gli scambi, le illusioni, le architetture impossibili lasciano spazio all'interpretazione personale, all'esperienza unica del lettore, come ogni buon libro dovrebbe fare. 

Anche il testo non segue logiche narrative o lineari, ma dialoga con il lettore, lo coinvolge, si prende pause, spiega senza dire. Non guida verso una meta, ma verso la contemplazione del percorso.

Promenade è un albo che apprezzeranno soprattutto gli adulti: quegli adulti che quel viaggio lo hanno già affrontato migliaia di volte, e per loro anche questa volta, come tutte le altre, sarà un viaggio nuovo.


Quante volte vi è capitato di vivere un momento così bello che avreste voluto fermarlo, con tutte le sue sensazioni? Quante volte avete desiderato poter tornare indietro e riprovare le stesse cose, anche solo per un attimo?


Un barattolo di stelle 

È questa la magia che racconta l'autrice americana Deborah Marcero nell'albo Un barattolo di stelle, pubblicato in Italia da Terre di mezzo editore.

Lewis, il protagonista, fa quello che fanno moltissimi bambini: raccoglie piccoli oggetti che trova qua e là – foglie, fiori, sassi, conchiglie – e li colleziona dentro barattoli di vetro. Poi, riguardandoli, ricorda.

Un barattolo di stelle

Quando Lewis conosce Iris è sera e il cielo ha sfumature color ciliegia. È qui che accade il primo cambio di registro del libro, che abbandona il racconto realistico e abbraccia la poesia: Lewis riempie tutti i barattoli che ha di quella luce così meravigliosa, e ne dona uno a Iris.

E quella sera, a casa di Iris, il barattolo si illumina di quell'incredibile colore del cielo.

Un barattolo di stelle

Da quel momento, Lewis e Iris "imbottigliano" le cose più incredibili, come "il rumore dell’oceano e quello del vento subito prima che inizi a nevicare".

E quando Iris si trasferirà in una città diversa, questo loro speciale modo di comunicare, accogliere e conservare la meraviglia diventerà un potente strumento di comunicazione: spedendosi i barattoli per posta, i due amici riusciranno a raccontarsi l'un l'altro le sensazioni dei propri rispettivi posti, dalle luci e i rumori della città di Iris alla pioggia di stelle cadenti nella notte di Lewis.

Un barattolo di stelle ci racconta di come le cose più belle siano tali solo se condivise: è solo con l'arrivo di Iris che Lewis inizia a conservare nei vasetti le cose più inafferrabili.

Ma soprattutto, Un barattolo di stelle celebra la forza dei ricordi, della costruzione di momenti speciali e della cura con cui conservarli. Lo fa con parole semplici e mai leziose, e con un registro visivo che accoglie efficacemente momenti di poesia e momenti di allegra curiosità.

Un barattolo di stelle

L'aspetto più affascinante dell'albo arriva infatti a una seconda lettura, quando l'attenzione può lasciar andare la storia e soffermarsi tra i dettagli delle pagine, tra le mille figure di vasi di ogni forma e dimensione che raccolgono le cose più strane.

In una stupefacente doppia pagina, l'illustrazione ci offre due intere pareti di casa di Lewis, con gli scaffali completamente pieni di vasi che racchiudono biciclette, montagne, scale, stormi di uccelli in volo, persino risate.

Se solo potessimo racchiuderle in un barattolo anche noi, per usarle quando serve.


La conserva di memorie

Un barattolo di stelle è un libro perfetto da regalare a una persona a cui si vuole bene, ma merita di essere accompagnato da un biglietto altrettanto perfetto.

Ad esempio, un vasetto di "conserva di memorie", da riempire di foglietti arrotolati, ognuno con un ricordo di un momento trascorso insieme, da leggere nei momenti di nostalgia.

Pensieri in vasetto

Un antidoto perfetto alla lontananza a cui la pandemia ci sta obbligando, ma un pensiero che vale anche in ogni altro momento, per raccontare quanto speciali siano le meraviglie condivise con qualcuno che conta.


Se mai vi siete trovati a desiderare un animale domestico, be', con molta probabilità suppongo che non fosse un pesce.

Broncio e coda

Ed è proprio così che inizia Broncio e Coda, prima ancora del primo capitolo: con un prologo fatto di un brevissimo botta e risposta tra Teresa e la mamma. Dopo il no a cane e gatto, Teresa chiede due pesci rossi.

Ma Teresa non li vede come un ripiego, anzi: li accoglie con tutto l'entusiasmo di cui una bambina è capace, tanto che inizia a studiarli e a trascrivere le sue osservazione e decide che da grande diventerà esperta in "psicopesciologia". Broncio e Coda, li chiama, e tutto il breve romanzo li vedrà, se non protagonisti, sempre presenti sulla scena.

Broncio e coda

La verità è che Broncio e Coda, scritto da Silvia Nalon e illustrato da Martina Motzo per Sinnos, è in realtà un romanzo di rapporti familiari. Stampato con criteri di alta leggibilità, è perfetto per primi lettori che vogliono passare oltre l'albo illustrato, con una storia un po' più lunga, ma semplice e scorrevole.

Pagina dopo pagina, i due pesci diventano il mezzo con cui la protagonista sblocca il suo rapporto con il fratello e la sorella maggiore. Teresa è la più piccola, e come tutti i piccoli di casa si sente meno importante: Antonio ha un talento per il teatro, Cecilia vince un sacco di gare sportive e lei li guarda con ammirazione, mentre cerca la sua strada.

Broncio e coda

Con la scusa dei due pesci, Teresa spia i fratelli (che, anche se grandi, finiscono col parlare con i due animaletti quando nessuno li vede), oppure si isola per impegnarsi in qualcosa di tutto suo.

«Teresa, hai finito i compiti?»,
mi chiede la mamma dalla cucina.
«Quasi. Devo studiare scienze».
Capire come si comportano
i pesci rossi è studiare scienze.

Teresa di talenti ne ha molti, lo scopriamo mentre si racconta in prima persona: è curiosa, osservatrice, spiritosa. Ma quella sua insicurezza da figlia minore la spinge a litigare e a fare piccoli dispetti, come nascondere la lettera di un provino del fratello. 

Quando scrive i suoi appunti sui pesci, a volte sembra che parli di se stessa:

Si può essere soli anche se
si vive nella stessa vaschetta
(a volte Broncio e Coda
non si salutano neanche).

Tra i suoi talenti, per fortuna, c'è anche la capacità di riconoscere quando sbaglia, e un grande amore per la sua famiglia, tutti fattori che alla fine riporteranno armonia dentro casa e dentro se stessa.

Per uscire dalla sua personale boccia di vetro, alla fine, le ci volevano solo due pesci. 


Sembra banale, a noi, e forse anche per questo ci innervosiamo quando loro non ce la fanno, ma riuscire a dominare le proprie emozioni non deve essere affatto facile, quando hai due anni e ti piombano addosso con tutta la loro forza.

Rabbia paura

 

Leslie Patricelli, autrice americana famosa per la sua serie per i più piccoli, le racconta con empatia e leggerezza in Niente paura Bubi e Rabbia vai via!, editi da Franco Cosimo Panini.

In Niente paura Bubi, il bimbo protagonista di tanti cartonati dell'autrice ci parla di tutte le paure di Bubi, il suo cane di pezza. Ma siamo sicuri che sia lui ad avere paura?

Niente paura Bubi

 

Mentre le elenca, vediamo il viso impaurito del bambino, che sembra usare il pupazzo come scusa per non affrontare i propri timori.

Niente paura Bubi

 

Finché, distratto, il bimbo non dimentica Bubi al parco giochi, e, finalmente senza difese, riesce a sfogarsi:

Mamma, ho tanta paura.

Niente paura Bubi

 

Quando lo ritrova, il gioco ricomincia: 

Povero Bubi, era terrorizzato.

Sembra non sia cambiato nulla, ma forse ora è presente una consapevolezza diversa. Ora è il bambino che consola il pupazzo, che non deve temere nulla, perché c'è lui a proteggerlo.

Le ultime due pagine raccolgono una carrellata di cose che fanno paura e di cose che la fanno passare (abbracci, respiri, amici, lucine notturne).

Niente paura Bubi

 

Rabbia vai via! inizia con il gattino che non vuole giocare con il protagonista.

Il bimbo si sente sopraffatto, passa nel giro di una pagina dalla tristezza all'esplosione di rabbia.

Rabbia vai via

 

Rifiuta ogni soluzione proposta, si comporta in modo contradditorio, poi piano piano prende consapevolezza del suo essere stanco, inizia ad accettare le coccole, si lascia guidare dal papà che gli propone qualche respiro profondo e gradualmente la rabbia scompare.

Rabbia vai via

 

Anche questo libro si chiude con un elenco: quello delle attività che aiutano a scacciare la rabbia.

Rabbia vai via

Entrambi cartonati e con uno stile illustrativo adatto ai bimbi più piccoli, ricchi di rime e assonanze che rendono gradevole e ritmica la lettura, Niente paura Bubi e Rabbia vai via! affrontano le emozioni con due approcci diversi: più ironico il primo (ma di una forma di ironia semplice e comprensibile anche ai piccoli), che sdrammatizza e aleggerisce le paure, più descrittivo ed empatico il secondo, che sembra percorrere insieme al bimbo le fasi di attraversamento della rabbia.

Due modi diversi, entrambi a misura di bimbo, di guardare alle emozioni, e di conoscersi un po' di più.
 


 

Prima o poi arriva anche quel momento, quel Natale. Quello in cui il vostro bambino fa il primo passo in direzione contraria alla magia, e intuisce (o scopre da un amico) la vera identità di chi ogni anno gli lascia i doni sotto l'albero.

Non si prendono in giro i bambini, di questo sono fermamente convinta: a domanda diretta, quando arriverà, risponderò con tutto l'amore e la sincerità di cui sono capace.

Ma credo anche che la verità sia in grado di includere quel briciolo di magia che rende il Natale un momento speciale, e che ci siano molti modi per conservare l'atmosfera di stupore anche dopo il fatidico svelamento.

Un milione di Babbi Natale

Uno di questi modi lo hanno trovato Hiroko Motai e Marika Maijala, con Un milione di Babbi Natale.

Portato in Italia da Terre di Mezzo editore, questo albo racconta una versione inedita della storia del vecchietto con la barba bianca.

Un milione di Babbi Natale

Vi si narra infatti che un tempo, sulla Terra, ci fossero pochissimi bambini, e quindi Babbo Natale riuscisse agevolmente a portare regali a tutti. L'aspetto curioso è che i bambini lo vedevano e potevano interagire con lui.

Un milione di Babbi Natale

Con l'aumentare della popolazione, però, il suo incarico si fece troppo pesante, e così espresse il desiderio di sdoppiarsi. Si trasformò in due Babbi Natale, e poi in quattro, e poi in otto, diventando però via via più piccolo: prima la metà, poi un quarto, un ottavo e così via. Quando i Babbi Natale divennero un milione, erano grandi un milionesimo di quello originale, impossibili da vedere a occhio nudo. È la dimensione, insomma, e non la magia, a rendere il caro vecchietto invisibile!

Un milione di Babbi Natale

Ma come possono degli esseri così piccoli portare regali così grandi? La soluzione è presto trovata. Con le loro minuscole dimensioni, riescono a infilarsi nelle orecchie dei grandi e sussurrare loro: 

"Fate un regalo a ogni bambino".
E noi adulti continuiamo a obbedire.

È curioso questo utilizzo della seconda persona, proprio nella frase finale del libro. È come se alla fine si scoprisse che tutta la storia è stata narrata da un genitore. Quel "noi" rappresenta la conciliazione tra la verità e la magia: l'adulto è investito di un compito, quello di preservare la meraviglia del Natale.

Il libro non spiega oltre. L'adulto non si fa domande, sembra obbedire solo per incanto, o perché sa che quello è il suo ruolo.

Un milione di Babbi Natale Ã¨ un libro che fonde età adulta e fanciullezza. Per la sua trama semplice potrebbe essere adatto già dai 4 anni, ma è evidente che andrà letto a chi già sa tutto su Babbo Natale. Inoltre, nonostante sia un adulto a raccontare la storia, le illustrazioni di Marika Majiala che la accompagnano si presentano come deliziosi scarabocchi fanciulleschi, segni di pastello a cera dal tratto incerto e a volte confuso.

Un milione di Babbi Natale si situa proprio al margine tra infanzia e maturità, in questo incontro tra due età diverse ma così profondamente legate. Esattamente lì, dove risiede la vera magia del Natale.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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