Nuvole in scatola
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Imparare a leggere non è solo una questione di decodifica delle lettere, delle parole e dei sintagmi. Bisogna anche saper interpretare le informazioni e rapportarle a un contesto, correlare gli elementi del testo alla realtà circostante, assegnare la giusta voce a ogni frase di un dialogo.
Non sempre i libri scolastici riescono a dare una preparazione completa in questo senso. L'unico allenamento possibile è leggere, leggere, leggere.
Leggere divertendosi, però, funziona di più.


La grande rapina al treno di Federico Appel è all'apparenza un libro "facile" da leggere: non troppo verboso, con frasi semplici dal punto di vista sintattico (il testo è composto unicamente da dialoghi diretti) e stampato con font ad alta leggibilità.
Ma la sua cifra stilistica, così originale, lo rende una palestra perfetta per allenare quelle abilità laterali alla lettura e riflettere contemporaneamente sulle diverse modalità comunicative di un libro.

Ok, forse l'ho fatta troppo complicata.
Ricominciamo da capo.

La grande rapina al treno (Sinnos editrice) è un libro dinamico, avventuroso, ma soprattutto unico nel suo genere.
Le sue pagine percorrono i vagoni di un lungo treno: l'illustrazione sembra una ripresa da una camera fissa, per cui ogni doppia pagina diventa uno sguardo su uno o due diversi vagoni. Sembra quasi che, se il libro si potesse aprire a fisarmonica, potremmo vedere il treno in tutta la sua lunghezza. In realtà le pagine non seguono l'ordine dei vagoni e l'inquadratura scorre avanti e indietro secondo le esigenze narrative.


Il testo, come dicevo, è composto da soli dialoghi, e dal momento che ogni doppia pagina mostra numerosi personaggi, sta al lettore interpretare chi sta dicendo cosa (a questo mi riferivo con la digressione iniziale).

Protagonista è un bambino, che la zia accompagna in un viaggio in treno.
Dai suoi occhi vediamo accadere qualcosa di insolito: il treno viene preso d'assalto dalla famigerata "Banda dei Tredici", tredici banditi tra cui donne, uomini e animali.

L'azione è incalzante e necessita di attenzione e intuizione per essere seguita a dovere: non solo bisogna capire chi dice cosa, ma anche in che punto del treno ci troviamo, cosa non del tutto scontata, dal momento che i passeggeri, per una serie di ragioni, si spostano da un vagone all'altro. Ad aiutarci, i numeri sui vagoni, che permettono di orientarci nello spazio.


Le pagine, dato il formato tascabile, sembrano contenere a fatica la grande quantità di dinamismo e di avventura della storia. L'effetto è quello di una scena d'azione incalzante e dirompente.
La visuale è limitata, perché dalla nostra inquadratura riusciamo a sbirciare dentro il treno soltanto dai finestrini, ma non solo: bisogna fare attenzione anche a quello che accade sopra il treno.


E davanti.


E perfino tra un vagone e l'altro.


Oltre ad essere un buon libro per un lettore in erba, La grande rapina al treno si presta anche ad essere letto e riletto più volte, per comprenderne meglio i dettagli, ma anche per seguire le vicende dei personaggi minori (presentati prima dell'inizio della vicenda), che a una prima lettura vengono necessariamente trascurati per meglio seguire il fulcro di questa storia rocambolesca, che vede in primo piano, oltre al bambino protagonista, un pellerossa e un orso.

E sì, c'è posto anche per l'amore.

A leggere questo libro, viene una gran voglia di prendere un foglio lungo lungo e ridisegnare tutto il treno, per provare a mettere in scena l'azione su uno spazio diverso.
Ma sapete che si può creare un lungo treno di carta con la stessa tecnica degli omini che si tengono per mano?
Basta avere un paio di forbici e una lunga striscia di carta.
La striscia andrà piegata a fisarmonica lasciando da un lato un bordo più lungo, dove disegnare la locomotiva.


Sulla fisarmonica, si disegnerà metà vagone, con la sua ruota, il suo mezzo finestrino, e il suo raccordo.


Un colpo di forbici.


E aprendo la fisarmonica si riveleranno tutti i vagoni che avete creato. Pronti per disegnarci la storia che volete.
E se vedete la Banda dei Tredici, tenete ben stretti borse e portafogli!


Se ripenso al giardino dei miei, nei miei giochi da bambina, lo rivedo popolato di aberi e piante che oggi non ci sono più, ma anche di animali e persone e costruzioni che non ci sono mai stati.
La fantasia dei bambini è in grado di creare mondi che ai loro occhi sono reali almeno quanto il nostro.
Motori potentissimi di questi generatori di storie e microcosmi sono tre: la noia, la solitudine e la natura. E di noia e solitudine vediamo qui l'accezione positiva, come tempo non strutturato, libero da schemi e obblighi verso cose o persone: quel tempo, insomma, tutto da costruire.


Questo tempo diventa racconto nelle parole di Susanna Mattiangeli, illustrate da Felicita Sala in Il posto segreto (edizioni Lupoguido).
L'albo si apre su una camera vuota, o meglio: piena di segni di una presenza passata.
Qualcuno chiama Arianna, che non risponde.


Arianna è nel suo "posto segreto", un bosco in mezzo al parco, dove vive da molto tempo, come vivrebbe un esploratore, o forse un selvaggio: dorme su un letto di foglie, si veste di piume, si scalda al fuoco.
Con lei, lo Strano Animale che Arianna ha incontrato.
Docile e amichevole, lo Strano Animale non parla: è Arianna a interpretare le sue intenzioni.


Mentre le parole descrivono un luogo irraggiungibile, nascosto e separato dal resto del mondo da grovigli di rami, le immagini ce lo mostrano lì, a un passo dalla vita comune dei comuni visitatori del parco.
È un'altra caratteristica tipica dei giochi dei bambini: basta una tenda di foglie, un ramo che nasconde, e il proprio luogo, il regno dove la nostra fantasia costruisce mondi, diventa una realtà a sé, completamente separata dalle logiche comuni. Ignare, le altre persone conducono la propria vita come nulla fosse.
Il posto segreto di Arianna è al sicuro: è inaccessibile, perché è dentro di lei.


Il suo è un regno dove le piccole cose diventano tesori.
Le vediamo in una grande immagine a doppia pagina, e le ritroviamo nei risguardi del libro: elementi naturali e piccoli oggetti lasciati dall'uomo, così protagonisti dell'illustrazione, vengono caricati del ruolo che la bambina dà loro: elementi preziosi per l'osservazione, la creazione, la sopravvivenza di quel mondo così suo.


Una voce chiama Arianna, la invita a tornare a casa: porterà con sé anche lo Strano Animale? O lo lascerà lì, per continuare a immaginare una storia nuova al suo ritorno?

Il posto segreto intreccia incastri di mondi che appaiono complessi ma sono naturali in ogni bambino: il mondo reale, il mondo immaginato, il mondo disegnato da Arianna su un foglio, alla fine dell'albo. Hanno tutti elementi che li richiamano l'uno all'altro ed è difficile dire dove finisca il vissuto e dove inizi l'immaginato.
Il testo non lo dice mai, lasciando ampi spazi da riempire, da inventare, come se lo stesso atto di leggere il libro fosse a sua volta un ulteriore mondo che si inserisce tra quelli vissuti e creati dalla protagonista.

Ad esclusione dello Strano Animale (che non a caso non vediamo mai nella sua interezza), le illustrazioni non ci presentano mai elementi irreali, ma con un sapiente uso dell'inquadratura e della prospettiva, sanno dare agli elementi raffigurati un valore che va oltre il reale ed è quello delle storie immaginate: intrichi di rami che separano magicamente spazi vicini, foglie, pigne e piume che viste così da vicino si trasformano in oggetti imprescindibili, di vitale importanza.

Il posto segreto è quel gioco a cui abbiamo giocato tutti, che sa creare in un posto vicino e con cose quotidiane un luogo inaccessibile ricco di tesori.

Trovare tesori nella natura è un talento tutto bambino, con cui è bello giocare.
E forse non saremo capaci di cucire un vestito di piume, ma possiamo perlomeno creare un braccialetto, con questi tesori.
È semplice e veloce: bastano un paio di forbici e un po' di nastro adesivo telato o nastro americano (il cosiddetto "duct tape": se ne trovano di tutti i colori).


Si avvolge un anello di nastro attorno al polso, lasciando all'esterno la parte appiccicosa, ed ecco fatto: si può iniziare ad esplorare la natura appiccicandosi al bracciale ogni piccolo tesoro incontrato.


Il bracciale può essere un modo pratico di portare con sé i tesori trovati, oppure può essere riempito a piacimento di fiori, legnetti, sassolini e quant'altro per diventare un bracciale decorativo.


Nel mondo della fantasia, sarà sicuramente un bracciale pieno di poteri magici.


 
Il piccolo D salta come una scimmietta, la piccola M a volte urla come un'aquila, il Piccolo T, la mattina, è lento come un bradipo. Sì, devo ammettere che a volte lo penso anch'io: la mia casa è uno zoo.



Ma quella di Carlotta, protagonista dell'albo che si intitola appunto La mia casa è uno zoo, è tutta un'altra cosa.
Lo si vede subito, perché la casa è l'unico edificio in mezzo a tantissime gabbie: Carlotta abita infatti in mezzo a un vero zoo. Ma dopo questa introduzione, di gabbie, nel libro, non se ne vedono, perché gli animali girano liberi e scandiscono la giornata di Carlotta, che si fa svegliare da una giraffa, fa colazione in cucina con gli orsi, si lava i denti in bagno con il coccodrillo.
Il testo di Sylvia Vanden Heede racconta questi gesti quotidiani con ritmo e semplicità. La traduzione inciampa forse un po' sulle rime, che a volte ci sono e a volte no, a volte chiudono il paragrafo, a volte sono in mezzo (sarebbe interessante un confronto con l'originale, ma con l'olandese non me la cavo molto bene).


Ma è nelle illustrazioni di Pieter Gaudesaboos (che avevamo già conosciuto con Terra in vista e Il bell'addormentato) che il lettore può liberare il suo stupore.
Con la sua tecnica mista tra digitale e collage e i curiosi effetti di prospettiva, dallo stile anni '50, riempie pagine di dettagli e personaggi, tanto da avvicinarsi alla logica dei wimmelbuch, quei libri senza parole, in cui cercare le storie nei tanti particolari.


La mia casa è uno zoo (edizioni Sinnos) ha una struttura impaginativa binaria: a sinistra una pagina "pulita", dal colore pieno, con il testo al centro, a destra la ricca illustrazione che trasmette il caos e il divertimento di una bimba che, in mezzo a tutti questi animali, ha sempre qualcosa da fare.

La lettura, dunque, va oltre il testo, che si limita a descrivere le azioni della giornata, e diventa lettura dell'immagine, sempre nuova perché lascia scoprire ogni volta qualcosa di diverso.
A sottolineare questa modalità di fruizione, un piccolo quiz che chiude ogni pagina di sinistra: sotto l'icona di un pinguino con la lente d'ingrandimento, il libro invita a cercare nell'illustrazione alcuni dettagli, come animali che compiono determinate azioni o che sono vestiti in un certo modo (le soluzioni sono in fondo al libro).


Non mancano i richiami tra una pagina e l'altra, tanto che alla fine è il libro stesso a chiudersi con un gioco in più, invitandoci a ricostruire la storia di alcuni personaggi minori, che ricorrono tra le figure.

A ben guardare le illustrazioni, e a paragonarle con il mio salotto, mi rendo conto che la mia casa forse non è uno zoo, ma è sicuramente un wimmelbuch.
Per fare un po' di ordine tra i giochi sparsi, si può prendere ispirazione proprio da uno zoo, e creare una "gabbia" dove riporre gli animali di peluche.


Ve la faccio vedere qui in versione mignon, "da post", in cartone, ma in rete potete trovarne di ogni dimensione e materiale (guardate ad esempio qui o qui per delle grandi gabbie in legno).

Comunque: per la mia versione procuratevi una scatola, delle dimensioni che volete.


Ritagliate dai lati dei rettangoli in modo da creare delle "sbarre" e con i bimbi dipingete l'insegna "Zoo".


Infine, se la vostra gabbia è abbastanza grande, popolatela di tutti gli animaletti che girano per casa (no, quelli a due zampe lasciateli fuori!).


C'è la noia dell'attesa, l'ansia per quello che sta per succedere, la necessità di stare zitti e buoni per non disturbare le altre persone: le sale d'aspetto non sono esattamente il posto ideale per un bambino, vero?


Con Sono il quinto (edizioni Babalibri), però, Norman Junge ed Erst Jandl riescono a trasformare una sala d'aspetto in un territorio di emozioni, misteri e giocattoli.
L'albo, in formato orizzontale, vede a sinistra pagine bianche di solo testo (davvero essenziale) e a destra pagine illustrate, piene, dal colore intenso.


Quella che vediamo è una sala l'attesa. È cupa, spoglia, illuminata soltanto da un lampadario che oscilla, quasi fosse vivo, ogni volta che la porta si apre.
Allineati sulle sedie, timorosi, siedono cinque giocattoli un po' ammaccati. Non si parlano tra loro.
L'unica voce che sentiamo è quella del piccolo Pinocchio dal naso rotto. Capiamo che è lui soltanto perché dice

sono il quinto


Uno alla volta, i giocattoli entrano. Dalla porta esce una luce calda, ma non si vede cosa c'è dentro.
È alto il senso dell'attesa, del mistero.
I visi dei giocattoli passano dal timore alla perplessità, con qualche sorriso ogni tanto. Sembrano farsi più nervosi man mano che si avvicina il loro turno.


La voce del piccolo Pinocchio non commenta, non si esprime, fa solo un conto alla rovescia, scandisce l'ordine di entrata:

porta aperta
esce uno
l'altro dentro


Dalla porta i giocattoli escono aggiustati e sorridenti. Per i bimbi è anche un gioco delle differenze: com'è ora il giocattolo? com'era prima?

In Sono il quinto non c'è un vero e proprio colpo di scena finale (questo deluderà forse i lettori più grandicelli), soltanto un dottore sorridente che aspetta dietro la porta, quando il turno del piccolo Pinocchio è arrivato e finalmente può vedere oltre quel varco che era rimasto fuori dalla sua portata.
Ma il tono di voce del giocattolo, che dà del tu al medico, il sorriso del dottore e i tanti nasi di ricambio che aspettano di essere usati sono in qualche modo rassicuranti, così come il colore, ora caldo, che si contrappone all'atmosfera tetra della sala d'attesa.

Passa il messaggio che a volte è l'attesa il momento peggiore, e che quel che viene dopo spesso è più semplice di come pensiamo.
Passa una sensazione di comprensione verso tutti quei sentimenti che possono attraversare l'animo prima di una visita: se anche i giocattoli contano "quanto manca", e scrutano, e si preoccupano, probabilmente è normale così.
E soprattutto passa il senso del gioco, dell'osservazione, della rilettura per scoprire nuovi dettagli.

E l'attesa del dottore, improvvisamente, diventa magia.

E a casa, ce l'avete qualche giocattolo rotto o malato? Per finta, s'intende.
Se volete allestire un reparto ortopedicoludico, ecco come preparare

il gesso per giocattoli


Basta della garza, un contenitore, e, come nelle migliori tradizioni, lei: la colla vinilica. Fatto? ;)



Nel contenitore, diluite la colla vinilica con un po' d'acqua.
Prendete poi la bambola fratturata (possibilmente di plastica: i peluche potrebbero danneggiarsi irrimediabilmente) e avvolgete l'arto con un po' di pellicola per non rovinarlo.


Come dei veri dottori, intingete ora le garze nella colla e avvolgetele attorno alla pellicola.
Ora, lasciate asciugare il finto gesso finché non si sarà indurito.


Si accettano anche autografi.

PS: altri strumenti medici fai da te li trovate in questo mio vecchio post, in cui parlavo di Buongiorno dottore, sempre di Babalibri.

 
Il primo è stato forse Totò con la fontana di Trevi: uno sketch satirico ma anche foriero di spunti di riflessione sui concetti di pubblico, privato, proprietà. Si può comprare ciò che è di tutti? E cosa significa "comprare" qualcosa che resta comunque lì, a disposizione del pubblico?


Gek Tessaro, con il suo tono beffardo e la sua sfrenata fantasia, gioca con questi pensieri in Il mare rubato, edito da Lapis.
Lo stile illustrativo è inconfondibile: l'arte di Tessaro si esprime con il suo solito mix giocoso di pittura e collage, i suoi volti asimmetrici, gli equilibri improbabili, i tagli grossolani.


Il mare rubato racconta la storia della principessa Petunia, che un giorno si rivolge al re:
Papà, quella piscina là, la voglio qua.

"Quella piscina" è in realtà il mare e anche un re, per quanto potente, non può comprare un mare.
Ma l'ironia di Tessaro e il senso pratico del re forniscono la risposta: è molto più semplice trasportare il mare in montagna che far cambiare idea alla principessa Petunia!


Il re manda il suo ciambellano a comprare il mare e poi si mettono in azione ruspe e macchinari (a proposito, vi ricordano qualcosa?), per trasportare il mare dentro un vulcano.


Dentro il vulcano, però, i pesci sono costretti a stare fermi in verticale, e pescatori, turisti e bagnini, rimasti a secco, non sono affatto contenti di trovarsi di fronte un deserto al posto di una distesa d'acqua.


A rimettere tutto in ordine (certo, a modo loro) ci penseranno i pirati, personaggi perfetti di un racconto senza tempo, ambientato in un regno fantastico con tutte le sue regole e le sue non-regole.
La prosa di Tessaro unisce come sempre leggeri giochi di parole a un lessico ricercato che strizza l'occhio alle fiabe d'altri tempi, e il continuo dinamismo delle azioni rende Il mare rubato coinvolgente e appassionante per chi ama l'avventura.

E voi, avete mai pensato di avere un mare portatile, tutto per voi? Ad esempio,

Il mare in un vasetto 


Io ne ho creato uno piccolo piccolo, in un vasetto di omogeneizzato.
Ho creato un fondo sabbioso con farina da polenta.


Ho poi aggiunto uno strato di acqua colorata di blu con della tempera (il colorante alimentare andrebbe ancora meglio, perché lascia l'acqua più trasparente) e uno strato di olio di semi, per fare il cielo.


Ma il mare va anche popolato! Ho scelto allora dei sassolini che mi ispirassero per la loro forma e ho disegnato dei pesciolini con un pennarello indelebile.
Ecco pronto il mare in vasetto!
Si può anche agitare immaginando le tempeste più violente.


Alla fine tutti gli elementi ritrovano la propria collocazione: il cielo sopra, il mare sotto, i pesci dentro e la sabbia sul fondo.


È un po' come la ricetta di certe storie: agitare bene e poi godersi lo spettacolo mentre tutto torna al suo posto.


Accomodatevi sulle vostre poltrone, spegnete i telefonini, preparate i pop-corn: oggi si va al cinema!
Un cinema d'altri tempi, però: danno un film muto, di quelli con i cartelli al posto dei dialoghi.


Il "regista" è Mo Willems (quello della meravigliosa serie di Reginald e Tina), quindi possiamo stare certi: anche questo libro sarà uno spettacolo.
Non è una buona idea! edito in Italia da Il Castoro nel 2015,  ricalca il linguaggio del cinema muto, con grandi illustrazioni prive di testo e i dialoghi a parte.

La storia inizia con uno scambio di sguardi tra una volpe, con un vestito da damerino, e un'anatra dall'apparenza ingenuotta, con cestino in mano e fazzoletto in testa.
Lo sguardo non ha direzione: sembra un colpo di fulmine reciproco. Ma che intenzioni avranno davvero i due?


La volpe invita l'anatra a fare una passeggiata nel bosco buio e profondo.
L'anatra, affascinata, risponde all'invito. Ma si sa, è sempre meglio non fidarsi degli sconosciuti.



Come in un film muto, i cartelli – scritta bianca su fondo nero, con una cornice decorata attorno – scandiscono il ritmo della storia, interrompendo le immagini.
Come in un film, muto, dobbiamo capire dal contesto chi è che pronuncia la frase del cartello (piccolo espediente che sarà poi utile al colpo di scena finale).


Ma a dare ritmo alla storia sono anche i commenti degli anatroccoli, che ad ogni invito della volpe, accolto con entusiasmo crescente dall'anatra, rispondono (anche loro con una concitazione sempre maggiore): "Non è una buona idea!".


La narrazione procede per ripetizione e accumulazione, una formula sempre vincente nei libri per bambini, perché unisce il piacere del già noto, la soddisfazione nel saper anticipare ciò che viene (vedrete che anche i vostri bimbi si uniranno al coro di "Non è una buona idea!"), con l'effetto sorpresa dell'elemento di novità.

Il crescendo dell'invito (prima a passeggiare, poi a cenare, poi a dare un'occhiata da vicino alla zuppa) si accompagna a un crescendo di anatroccoli, con il loro monito sempre più deciso.


E mentre la storia prosegue, il lettore cerca di leggere nelle illustrazioni le vere intenzioni dei protagonisti.
Mo Willems riuscirà non solo a farci ridere, ma anche a sorprenderci, con un finale inaspettato che rende questo libro  un piccolo gioiello della sceneggiatura.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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