Nuvole in scatola
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Le biografie di grandi donne sono un tema ricorrente, ultimamente, nell'editoria italiana.
Un bene? Un male? In un certo senso entrambi.
Se è bello che si sia sollevata una nuova attenzione sulla letteratura al femminile, è altrettanto vero che questa nuova moda tende a mettere in secondo piano tanta letteratura preesistente, e che in certi casi, anziché abbattere gli stereotipi, li acuisce (qui le mie riflessioni, in occasione della festa della donna).

Ci sono poi case editrici che non seguono questa moda, per un semplice motivo: l'hanno anticipata.



Senza il clamore e le manovre di altre collane o editori, Editoriale Scienza già da anni propone biografie di donne che si sono distinte in ambito scientifico, per ricordare che la scienza non fa alcuna distinzione di genere.

L'erba magica di Tu Youyou. La scienziata che sconfisse la malaria è un perfetto esempio di questa attenzione all'abbattimento dei pregiudizi di genere.
Il nome di Tu Youyou non è particolarmente noto, sebbene la donna abbia vinto il premio Nobel nel 2015. E questo ci insegna che non serve essere famosi, per essere grandi.
La sua storia inizia quando era bambina, in una Cina d'altri tempi. Affascinata dai gesti di un anziano signore, che se ne andava in giro con una cesta piena di erbe, decide di seguirlo.



Da lui, Tu Youyou impara che ogni erba ha una sua proprietà, e che per conoscerle bisogna usare tutti i sensi: osservare la natura, annusare, toccare, assaggiare.



Tu Youyou decide di dedicare la propria vita a curare con le erbe, proprio come faceva il vecchio che l'aveva fatta entrare nel proprio laboratorio.
Con tenacia e determinazione, si laurea in medicina, e nel suo laboratorio unisce l'antica sapienza della medicina cinese e della natura a ciò che ha imparato con i suoi studi.
Quando negli anni '60 una grande epidemia di malaria si diffonde in tutta la Cina, Tu YouYou e il suo staff vengono inseriti in un progetto finalizzato a trovare una cura per questa terribile malattia.



Tu Youyou cerca la soluzione tra gli antichi libri di medicina tradizionale cinese, ma il percorso non è semplice e prima di riuscire ad estrarre dall'erba individuata la sostanza curativa molti tentativi falliranno.

Le immagini riassumono in poche immagini simboliche l'iter che ha portato al rilascio di questa nuova medicina, tratta dall'Artemisia annua: l'estrazione del principio attivo sotto forma di pasta verde, la sperimentazione degli scienziati su se stessi, per verificare che non avesse effetti collaterali pericolosi, la fase di sperimentazione sui topi, la trasformazione nei cristalli che costituivano la medicina vera e propria.

L'artemisina, scoperta e sintetizzata da Tu Youyou, non solo si rivela un rimedio efficace contro la malaria, ma si scopre essere sicura, a differenza del chinino usato in precedenza, anche sulle donne in gravidanza e sui loro bambini.



In L'erba magica di Tu Youyou, le parole del poeta cinese Xu Lu accompagnano le immagini evocative dell'italiana Alice Coppini per raccontarci una storia piena di suggestioni quasi sensoriali.
Sfogliando le pagine, sembra di cogliere i profumi, di vivere le ambientazioni, di sfiorare le foglie, i fiori e le bacche e di sentirne il sapore, proprio come fa la protagonista.
Il racconto esprime perfettamente la fusione di due mondi: quello della fitoterapia e della sua arte, nata dall'osservzione e dall'armonia con la natura, e quello dello studio e del rigore scientifico, indispensabili per ottenere un risultato. Non c'è nulla di magico, nonistante il titolo del libro, tranne le atmosfere di quella Cina e la passione della protagonista.

Che si voglia diventare medici o scienziati o meno, dalla natura c'è sempre e comunque da imparare.
Per allenarci ad osservarla, abbiamo giocato a una piccola caccia al tesoro, iniziata da un foglio di carta, sul quale avevo disegnato i contorni di una foglia.

Al Piccolo T, il compito di esplorare le erbe del nostro prato fino a trovare quella giusta.



Dal nostro tarassaco non ricaveremo alcun rimedio per temibili malattie, naturalmente. Ma siamo gente semplice, io e il Piccolo T: ci accontenteremo di una frittatina.

C'è una tara di cui una bella fetta della produzione italiana di contenuti è affetta: la retorica.
La cosa appare abbastanza evidente confrontando serie tv, spot televisivi e spesso anche libri stranieri con i nostri. E forse, vedendo quante polemiche può sollevare qualcosa che osi anche solo minimamente distaccarsi dal politically correct, la cosa non dovrebbe neppure stupire.
Il problema della retorica è principalmente uno: è finta. E superficiale (ok, adesso sono due).
Uno forse non se ne accorge seguendo una storia, può anche appassionarsi alle vicende e ai personaggi, ma alla fine non riesce davvero a immedesimarsi, o se lo fa non gli resta nulla che lo abbia smosso, cambiato, fatto riflettere.
Questo diventa ancora più evidente quando si toccano tematiche sensibili come la disabilità.


Dove ti porta un bus di Anna Lavatelli (Giunti editore) mi è piaciuto per questo: perché non ha paura di dire cose scomode, di essere vero.
La co-protagonista, Lucilla, una bambina in sedia a rotelle, è una bimba intelligente e intraprendente, ma anche una rompiscatole che vuole sempre l'ultima parola. Perché nella realtà è questo che succede: nessuno diventa santo solo per essere diventato disabile, ed è questo il motivo per cui nelle storie patinate non ci si può immedesimare: perché poi, nella vita vera, non ci troviamo di fronte a esseri perfetti e senza sfaccettature.


Manolo, protagonista del libro, appena trasferito con sua madre in una nuova città, è timido e infastidito dall'esuberanza di Lucilla.
E come spesso succede, si lascia trascinare dal branco, cercando rifugio alla sua timidezza nel gruppo dei ragazzi più popolari della classe, finendo per lasciare Lucilla in disparte.

Non so se potete capire le mie ragioni, ma provate a immaginare quel che provavo dentro. [...] In fin dei conti, stavo anch'io seduto su una sedia a rotelle, di quelle che da fuori non si vedono, ma che rendono ugualmente difficile il cammino.

Ecco un'altra riflessione scomoda (ma come? paragonare la timidezza a un handicap?), ma reale: ognuno ha la propria sedia a rotelle, solo che alcune non si vedono.

No, non stiamo parlando di bullismo: Manolo e i suoi amici non fanno nulla di male a Lucilla. Si tratta semplicemente della situazione più naturale che possa succedere in ogni classe: quella dei "gruppetti". E i gruppetti, sì, possono finire per emarginare una bambina sulla sedia a rotelle, perché l'empatia e l'altruismo non sono sempre facili né spontanei, e dover modificare i propri giochi, o le destinazioni delle proprie gite, è seccante.


È questa la chiave che trova Dove ti porta un bus per parlare di disabilità in modo reale, concreto, vero: avere a che fare con un disabile non è facile, comporta una serie di problemi e di difficoltà da affrontare. Raccontare il contrario sarebbe semplicemente una bugia. Raccontare le cose come stanno è invece l'unico modo per permettere a chi legge di riconoscersi, e magari di riflettere, e magari di cambiare.


Grazie a una svolta inaspettata, Manolo si troverà alla fine al fianco di Lucilla, in un gesto "alla Rosa Parks" che porterà all'abbattimento di una delle barriere architettoniche che ogni giorno rendevano più difficile la vita della bambina.
E anche qui, i dettagli fanno la differenza: quando parla della risonanza mediatica del loro gesto, Manolo nomina prima di tutto Facebook, Twitter e YouTube (perché a un ragazzino, in fondo, interessa davvero finire sul giornale?).

Dove ti porta un bus è un romanzo breve, semplice (92 pagine in stampatello minuscolo, con font abbastanza grande da poter essere letto anche da lettori alle prime armi), che racconta la scuola e la disabilità, e offre molti spunti di riflessione sulle barriere architettoniche e sociali che possono ostacolare un ragazzo in sedia a rotelle.
Primo fra tutti: ma quant'è difficile immedesimarsi in qualcosa che non si è mai provato sulla propria pelle?

Ecco perché può essere interessante, dopo la lettura, fare qualche piccolo esperimento.

Primo step: una camminata a rotelle.
Alla prossima passeggiata in città, fingete di essere in sedia a rotelle. Evitate scalini e ostacoli e provate a vedere quanto è difficile trovare la strada giusta da percorrere.
Questa sfida può trasformarsi anche in un gioco: chi per primo "dimentica" il proprio handicap e sale un gradino, ha un punto di penalità. Vince chi riesce a completare il percorso immedesimandosi meglio.



Secondo step: architetti senza barriere.
La prossima volta che costruirete una casa o un palazzo con i Lego, fatelo senza barriere. Ogni volta che c'è una scala, ci deve essere anche uno scivolo, oppure un ascensore.
Quanto è più difficile progettarlo?

Certo questo non basterà a formare dei futuri architetti, ma forse aiuterà a crescere delle persone che da adulte non parcheggino al posto sbagliato.


Se c'è una cosa che nei libri e nelle storie rende gli animali simili agli uomini, più ancora dell'immagine antropomorfa, sono i sogni. Nei libri e nelle storie, gli animali sognano come esseri umani, hanno ambizioni, speranze e desideri, ed è questo che fa la differenza.


Viola, la protagonista di La maialina, la bicicletta e la luna, ha una vita tranquilla e serena, ma un giorno vede un bambino ("Un animaletto su due piedi, con orecchie tonde e nessuna coda attorcigliata") su una bicicletta, e da quel momento andare in bicicletta diventa il suo sogno.


Così una sera scappa dal porcile e prende la bicicletta rossa appoggiata al muro.


Certo, all'inizio non è semplice come crede: lo sanno tutti i bambini che ci hanno provato. Se non pedali abbastanza forte, la bicicletta cade di lato.


Per fortuna, Viola ha un bel po' di assi nella manica, almeno tre: la sua tenacia nel continuare a provare a ad allenarsi, la sua inventiva nel trasformare gli oggetti attorno a lei in strumenti indispensabili, come il casco ricavato da una padella, e soprattutto, tutti i suoi amici della fattoria, che la incitano e la aiutano in tutti i modi.


L'autrice canadese Pierrette Dubé ha trasformato un'esperienza comune a quasi tutti i bimbi in un'avventura, che ci parla anche di costanza e di amicizia.
E il tratto espressivo e umoristico di Orbie, l'illustratrice, rende la storia quasi viva, a metà tra il fumetto e il cartone animato. Sembra quasi di vedere Viola guardarsi in giro, stringere i denti, voltarsi indietro, e vedere i suoi sorrisi e le sue espressioni mette un'irrefrenabile allegria.

La maialina, la bicicletta e la luna è perfetto da proporre tra le prime letture autonome per chi sta imparando a leggere: semplice, di media lunghezza (48 pagine, molto illustrate), con un formato piccolo e maneggevole e scritto con lo speciale font in stampatello maiuscolo Leggimiprima di Sinnos, ad alta leggibilità.

E se anche qualcuno dei vostri animaletti di peluche (o meglio, viste le dimensioni, qualche sorpresina dell'ovetto) ha il sogno di andare in bicicletta, potete esaudirlo con due bottoni, due graffette e un paio di pinze.


Modellando la graffetta più piccola attorno a una ruota-bottone (che dovrà essere libera di ruotare), create un piccolo manubrio.
Nel preparare il resto del telaio con la graffetta più grande, create un anello che passi attorno al "tubo" del manubrio.


In questo modo potrete unire i due pezzi lasciando al manubrio libertà di girare.


Ora non vi resta che cercare una pista ciclabile adatta, tra camera e salotto. In prossimità delle piste dei trenini, però, rispettate i passaggi a livello!


Se state cercando un libro che vi aiuti a togliere il pannolino a vostro figlio, ho la risposta per voi. Putroppo, però, non è la risposta che speravate di sentire.

Non esistono libri che convincano un bambino a farla nel vasino e anzi, come succede con molti cosiddetti "libri aspirina" o "libri medicina" (quelli acquistati e letti con lo scopo di risolvere una situazione o un comportamento), a insistere sul tema si ottiene spesso l'effetto opposto. Se il bambino non è pronto, se non sa controllare lo stimolo o se è nella fase "la cacca è mia e me la tengo io", non c'è libro che tenga.

Però.
Se il bambino è pronto.
Se non state già insistendo sul tema.
Se non è nella fase del "blocco".
Se non avete ancora provato a togliere il pannolino e volete trovare solo il modo di incuriosirlo, di affrontare la cosa in un modo più giocoso.
Se il momento dello spannolinamento è lontano ma volete arrivarci senza tabù e presentandogli l'idea con tutta la calma possibile.
Se invece avete già iniziato e state vivendo il momento con serenità.
Se avete già raggiunto l'obiettivo e volete premiare il bimbo con un libro a tema.
Ecco: in tutti questi casi, un libro su pipì, cacca e pannolini può fare al caso vostro.


Fuggite a gambe levate, però, dai libri didattici e didascalici, quelli troppo descrittivi, che cercano di ricalcare la vostra realtà casalinga, e che trasformano la lettura in un noioso compito per casa.

Leggere è divertimento, è amore, è coccola, è curiosità. E allora, benvenuti ai libri "a tema", purché siano prima di tutto dei bei libri.
Eccone quattro, da leggere sul vasino o sul riduttore, ma anche a letto, sul divano, in macchina, al parco e dove vi pare (magari, ecco, al ristorante è meglio di no).


 Posso guardare nel tuo pannolino?
Alette! Alette da sollevare! E dentro? Cacca!
Come può non piacere ai bimbi un libro del genere? Topotto, il protagonista, è molto curioso, e vuole guardare dentro il pannolino di tutti i suoi amici: il leprotto, il cavallo, il maialino. Sollevando l'aletta del pannolino, scopriamo la forma di tutte le loro cacche, finché arriviamo al pannolino di Topotto, che è vuoto, perché lui la fa nel vasino. Un modo leggero, divertente e "interattivo" di affrontare l'argomento con i bimbi, magari provando poi a proporre "Vuoi fare come Topotto?".
Successo assicurato (del libro, non del risultato). Ne avevo parlato anche qui


Io vado!
Anche se l'espediente è il "viaggio" verso il vasino, questo libro parla in realtà di crescita, di indipendenza, degli strumenti che ogni adulto o coetaneo può dare a un bambino affinché impari a camminare con le proprie gambe (o, come in questo caso, a farla senza pannolino).
Lo fa con una leggerezza straordinaria, con le illustrazioni tenere e un po' ironiche di Maudet e con una struttura a ripetizione ed accumulo che conquista anche i lettori più piccoli, già da un anno o poco più. L'uccellino dichiara a tutti "Io vado", e i suoi interlocutori (mamma, papà, amici e parenti) gli forniscono tutta "l'attrezzatura" necessaria: un libro, una torcia, dei biscotti, finché il viaggio termina... in bagno.
Ne ho parlato anche qui

Corso di pipì per principianti
Che noia i manuali di istruzione! A meno che...
A meno che non siano scritti da topini che reggono cartelli, bandiere, paracaduti e striscioni, per spiegarti passo passo cosa fare quando provi "quella strana sensazione". Il tratto allegro e brioso di Mo Willems accompagna, incoraggia e rassicura i bimbi in questa importante fase di cambiamento.
La mia recensione completa la trovate qui 


Chi me l'ha fatta in testa?
E infine ci sono lei, l'irresistibile Piccola Talpa, e lui, Chi me l'ha fatta in testa?, il best seller più (virtualmente) puzzolente di tutta la letteratura d'infanzia.
Con l'ingenuità disarmante della sua protagonista e una trama "investigativa", questo libro racconta e descrive una carrellata di cacche di diversi animali, suscitando il divertimento e la curiosità dei piccoli, da due anni fino anche a sei, sette.
Se siete curiosi, ne avevo parlato meglio qui.

BONUS TRACK: Super P

Se invece il bambino (maschio, in questo caso. Sapete che non amo le distinzioni di genere nei libri e nei giochi, ma qui c'è di mezzo la biologia) la pipì la fa al posto giusto, ma... mirando male, provate a sfidarlo a diventare un supereroe come Super P, protagonista di un libro tutto da ridere di cui avevo parlato qui (da 4 anni).
NB: anche se non servirà a insegnare a "mirare", il libro è bello e divertente anche per le bambine!


E insomma, come si dice in questi casi?
Buona... ehm. Buona produzione, ecco. Buona produzione a tutti.



     
 
Ci hanno fatto paura per secoli, inseguendo bambine dal cappuccio rosso, triadi di porcellini e cucciolate di capretti.
Ma da qualche tempo le cose stanno cambiando. C'è un filone ben preciso, nella letteratura per bambini, che mira a vendicarsi del lupo, il vecchio e cattivo lupo delle fiabe, mettendolo in qualche modo in ridicolo (e facendoci ridere un sacco).


Il lupo e la caverna (Rob Hodgson, ed. Zoolibri) è l'ultimo esempio, almeno tra le pubblicazioni in Italia, di questa divertente tendenza.
Da dove iniziamo? Be', dal lupo, naturalmente. Quindi: c'è un lupo. E come avrete intuito dal titolo, c'è una caverna (nel titolo dell'edizione originale inglese c'è solo la caverna, chissà come mai). E nella caverna c'è una piccola creatura, che non esce mai, proprio a causa del lupo che l'aspetta fuori, con l'acquolina in bocca.


Passano le pagine e  il lupo si inventa ogni tipo di stratagemma per stanare la creatura: punta sul gioco, sulla noia, sulla fame... perfino sullo stalking, visto che si piazza davanti alla caverna e non si muove, giorno e notte, con qualsiasi condizione atmosferica.


Della creatura vediamo soltanto due occhi che brillano al buio.
Non si capisce chi sia, e nemmeno se sia davvero una piccola creatura.
Bastano gli occhi, però (ed è questo uno dei punti di forza di questo albo) ad esprimere tutto il personaggio, che con la sua immobilità fa da perfetto contrappunto, quasi da spalla comica, a un lupo irrequieto, istrionico e impaziente.


E dopo averci divertiti con i tentativi di far uscire la piccola creatura, Il lupo e la caverna ci regala un simpatico colpo di scena finale, che, incanalandosi nel filone di "vendetta sui lupi" di cui parlavo prima, rimetterà il protagonista al suo posto, anzi... non proprio al suo.

Quello che rende particolarmente accattivante Il lupo e la caverna è proprio l'alone di mistero che avvolge la creatura nascosta nella grotta: come vivrà lì dentro? Ma soprattutto, chi è?

Potete portare questo piccolo mistero in un semplice gioco da costruire con un po' di carta e cartoncino.
Bastano un cartoncino nero e uno grigio per costruire una caverna. La caverna andrà incollata lasciando un lato libero per farci passare l'animale.
Bisogna poi disegnare degli animali, da ritagliare lasciando un piccolo "manico" di carta per manovrarli. Io ho riciclato i disegni preparati per un altro gioco simile.


Ora si può infilare l'animale nella caverna e giocare a cucù.
Con i bimbi più piccoli si potrà fare il verso e lasciare che indovinino chi è l'animale, con i più grandicelli si potrà fare un gioco "domande e risposte" finché non indovinano.


Nessun lupo è stato torturato per realizzare questo giochino.
Sull'incolumità del personaggio del libro, invece, non possiamo assicurare nulla.


Ormai lo sapere come la penso, o se non altro lo avrete intuito: pur da grande amante dei libri e della letteratura, faccio un grande tifo perché la cultura scientifica in Italia non sia più considerata "di serie B" rispetto a quella umanistica.
Sogno una scuola che insegni davvero il metodo scientifico, e che trasmetta la passione per la ricerca, la scoperta, la ricerca della soluzione corretta e non di quella che sembra più facile o accattivante.


Siamo lontani da tutto questo, ahimè. Ma per fortuna esiste Editoriale scienza.
Il suo nuovo Apprendisti scienziati, scritto da Steve Martin con illustrazioni di Essi Kimpimäki, è una perfetta introduzione alle tante professioni della scienza.



La panoramica inizia con una suddivisione tra le varie categorie di scienziato, che verranno poi introdotte una ad una: scienziato di laboratorio, scienziato investigativo, scienziato dello spazio, scienziato della Terra e scienziato della vita.
Per ognuno di questi, c'è un'introduzione al suo lavoro e anche alle diverse discipline che abbraccia (lo scienziato di laboratorio può essere chimico, fisico, biologo, ecc).

E soprattutto, per ognuno c'è una varietà di applicazioni pratiche, quiz da risolvere sul libro e semplici esperimenti casalinghi, per scoprire il lato più divertente e sorprendente della scienza.
C'è perfino un piccolo caso investigativo da risolvere.



A ogni scheda completata, esercizio svolto, caso risolto, il lettore può applicare sulla pagina lo sticker che attesta la sua preparazione.

A completare il "kit" da perfetto scienziato, oltre agli stickers, delle carte "memory" botaniche, una meridiana fustellata da costruire e un poster con le scoperte scientifiche da un lato e la tavola periodica degli elementi dall'altro.



Il bello di Apprendisti scienziati è l'applicazione della scienza al quotidiano: per eseguire gli esperimenti, non servono dotazioni speciali, sostanze pericolose o speciali attrezzi, ma semplicemente quello che si trova in casa, come nell'esperimento sulla densità dei liquidi.



Vogliamo provare anche noi? E vogliamo, anziché giocare con i colori, come suggerito dal libro, provare a fare qualche strato in più?
In rete ho scovato parecchi suggerimenti, soprattutto da siti americani, per creare dei bicchieri multi-strato sperimentando le densità dei liquidi.

Quasi tutti consigliavano di iniziare con il sapone per i piatti.



A dirla tutta, molti suggerivano di iniziare con lo sciroppo d'acero, ma col cavolo! Quello me lo metto sui pancake e non certo in un esperimento scientifico.

Dopo il sapone, è il momento del latte.
Per non rischiare di mescolare troppo i liquidi al momento della creazione degli strati, li ho versati piano con una siringa.


Con l'acqua non ce l'ho fatta: si è inesorabilmente mescolata al latte. Forse perché ho usato un latte parzialmente scremato anziché intero?

In compenso ho avuto una sorpresa quando sopra l'olio vegetale (lo strato trasparente-giallino) ho versato il disinfettante (verde): è sceso subito, formando uno strato sotto l'olio e sopra il latte.


Importante: a fine esperimento tenere bene a mente di essere apprendisti scienziati e non apprendisti barman! Per quanto sia carino da vedere, non lo consiglierei come cocktail.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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