Nuvole in scatola
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Al liceo avevo otto in matematica, ma ho scelto un lavoro creativo.
Amo la letteratura ma alterno romanzi a saggi di divulgazione scientifica.
Se c'è una dicotomia che non sopporto, insomma, è quella tra sapere scientifico e sapere umanistico.
Credo che la scienza possa avere il fascino di una favola e che attraverso le favole si possano anche raccontare le leggi della natura, e mi piacerebbe poter insegnare tutto questo ai miei figli.
Credo sia anche per questo che le costruzioni sono tra i giochi che più amo e amo proporre: con esse, è necessario sottostare alle regole della fisica e della tecnologia (leve, gravità, baricentro, meccanismi di movimento ecc), per costruire qualsiasi cosa la fantasia ci ispri.
Ad esempio, trasformando una macchina da lavoro in una macchina da disegno.


Grazie a Dal Negro, distributore unico in Italia, ho potuto provare il sistema Engino. Ideato da un ex insegnante e ingegnere per aiutare i ragazzi a coniugare tecnologia e creatività, il sistema Engino ha oggi diverse linee di giochi, adatte a più fasce d'età, ma tutte orientate al gioco "STEM" (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

Noi ci siamo cimentati con la serie Inventor, adatta dai 6 anni (ma non vedo l'ora che il Piccolo T cresca un po' per potergli proporre la serie Discovery Stem, con concetti scientifici più avanzati e corredata di libretti che spiegano e completano il gioco con teoria, attività e quiz).


La nostra scatola prevedeva i pezzi per costruire 16 modelli di macchine da lavoro: i primi 3 presenti nel libretto di istruzioni cartaceo, gli altri visionabili in un pdf online, sul sito di Engino o con delle chiarissime istruzioni 3D passo-passo da visualizzare attraverso un'app gratuita.



Il set è composto da poche tipologie di pezzi dall'utilizzo molto flessibile. In questo modo, le istruzioni sono semplici da seguire (non serve cercare a lungo quale sia il pezzo giusto tra quelli a disposizione), e le possibilità di costruzione virtualmente infinite.
Gli angolari permettono di creare strutture a 45° e 90° e molti pezzi consentono incastri in ogni loro lato, per costruzioni tridimensionali senza limiti di direzione.

Inoltre, nel caso ci si renda conto di aver sbagliato un attacco, non sempre serve staccare i pezzi: tutti gli incastri ruotano su se stessi per permettere di proseguire la costruzione in qualsiasi direzione.



E in più, ci sono speciali pezzi "allungabili", che si possono fissare estendere e fissare alla dimensione desiderata semplicemente incastrando uno dei due elementi in corrispondenza della tacca scelta (volete vedere meglio i dettagli? C'è un video molto esaustivo su YouTube).




Certi incastri possono risultare un po' duri per i bambini e richiedono un po' di forza, ma una volta imparata la tecnica più corretta, diventa tutto più semplice.



La scelta dei pezzi da utilizzare è semplificata dai colori, che aiutano a identificare la forma indicata dalle istruzioni.
Con un po' di aiuto, in poco tempo il Piccolo T ha costruito la prima macchina da lavoro descritta nel libretto, stupendosi per come i movimenti e le giunture permettessero di collegare tra loro le strutture create.

Ma seguire le istruzioni è solo una piccola parte del divertimento, e noi non avevamo alcuna intenzione di fermarci lì.

Se avete sentito parlare di attività STEM, forse saprete che alcuni preferiscono applicarne una versione allargata, detta STEAM, che a Science, Technology, Engineering and Mathematics unisce Art. È un po' quello che abbiamo fatto io e il Piccolo T, sfruttando i movimenti concessi da queste costruzioni per creare la nostra macchina da disegno.
Prima osservazione: il tubicino d'inchostro di una penna a sfera colorata si incastra perfettamente in questo pezzo, creato come aggancio per un perno.
Così, lo abbiamo prontamente trasformato in un braccio da disegno.


Abbiamo poi creato una struttura rotante a cui fissarlo (come fare a farla stare dritta? Quanti pezzi servono per dare il giusto sostegno? Il concetto di baricentro è ancora molto difficile, ma questa è stata una sua piccola introduzione).
Ed ecco la nostra macchina-compasso (così ci mettiamo un po' di geometria: visto come nasce un cerchio?).



Il braccio del compasso è stato costruito con il pezzo allungabile di cui vi avevo parlato sopra: proviamo allora ad estenderlo e vediamo che succede al nostro cerchio.


E se aggiungiamo un perno al braccio che regge la penna?


Ecco come possiamo creare delle linee rette che attraversano tutta la circonferenza.



Ma il braccio si può anche collegare alla struttura base della macchina costruita in precedenza, creando un vero e proprio veicolo da scrittura ("Lo sai, Piccolo T, che è così che si disegnano le righe bianche sull'asfalto?").


E via, pronti a tracciare strade sempre nuove, ovunque ci porti la fantasia (e la tecnologia, naturalmente).


Post realizzato in collaborazione con Dal Negro. Potete trovare tutti i giochi Engino sul loro store online.
Diventare genitori è un viaggio che non finisce mai, fatto di tappe veloci che fuggono via senza quasi lasciarti il tempo di rendertene conto, e altre più impervie, che sembrano non finire mai.

La più lunga di tutte? Il duro, faticosissimo viaggio dal pannolino al vasino.



Deve pensarla allo stesso modo anche Mattheu Maudet (sono abbastanza certa di avervi già detto che amo Matthieu Maudet) o, se non lui, almeno i personaggi che ha creato nel suo delizioso Io vado!, un cartonato formato quadrotto di Babalibri, adatto anche per le manine dei bimbi.



Io vado! è la storia semplice e tenera di un uccellino che sta per partire.
La mamma gli dà un maglione, perché potrebbe fare freddo.
Il papà gli porge una torcia, nel caso dovesse tornare tardi.
E poi biscotti, libri, ombrelli: chiunque incontri nel suo cammino lo aiuta ad equipaggiarsi per questo suo viaggio che sembra così importante.



Così, l'uccellino finalmente parte, bello carico di attrezzi di ogni genere e per ogni evenienza.
Ma dove starà andando? Ops!



Avete sorriso anche voi?
Io vado! è così: semplice e divertente, aiuta bimbi e genitori a sdrammatizzare la lunga strada per la conquista del vasino.
Un libro da leggere ridendo, fatto di poche parole e immagini semplici e quotidiane, ma anche di un ritmo e di una struttura ripetitiva che rassicurano i bambini (e li aiutano a "leggere" il libro da soli, sfogliandolo).

Il vasino è solo una tappa del percorso di crescita, ma Io vado! coglie perfettamente il suo senso più ampio: la famiglia e gli amici che accompagnano verso l'indipendenza, dando tutti gli strumenti ma lasciando alla fine che il piccolo faccia da solo.
Sarà per questo, o per l'indiscusso fascino che ha sui bimbi, che Io vado! ha vinto il premio nazionale 2017 di Nati per leggere nella sezione "Crescere con i libri".

E voi, che strumenti avete dato al vostro bimbo lungo la strada dello spannolinamento?
Forse la torcia e l'ombrello sono un po' eccessivi, ma un piccolo "kit da vasino" (o da riduttore) può aiutare a rendere il momento più divertente.

Potreste ad esempio appendere delle istruzioni (se vi piacciono, le trovate nel mio pdf stampabile) che spiegano che dopo aver fatto pipì ci si pulisce, ci si lava e ci si asciuga le mani.



Per lavarsi le mani, potete mettere uno scalino per raggiungere il lavandino oppure usare il bidet, magari attaccando al muro uno specchio. Esistono anche dei supporti che trasformano il bidet in un lavandino accessoriato.

E poi, le cose più importanti: carta igienica a portata di mano e naturalmente un buon libro per passare il tempo. Magari, proprio uno di Matthieu Maudet.


Buon viaggio!



     
Sapete qual era il mio gioco preferito da piccola? No, non le Barbie. E nemmeno i Lego (forse quelli potrebbero occupare il secondo gradino del podio).
La cosa che adoravo di più era costruire capanne sull'albero.
Ok: non erano proprio sopra un albero. In genere erano sotto. E non erano nemmeno capanne vere e proprie. Simulavo le pareti legando e intrecciando rami, bastoni e grandi foglie tra di loro.
Per trasformare quella strana opera in una casetta, bastava l'ingrediente più importante di tutti i giochi: la fantasia.


Sarà per questo che mi sono immedesimata nella sorellina minore protagonista di La casetta segreta sull'albero, edizioni Terre di Mezzo, un libro che è un inno alla fantasia, al gioco all'aria aperta e all'amore tra sorelle.


La casetta segreta sull'albero è la storia di una bimba ha una voglia pazza di giocare con la sorella maggiore, che però è concentrata sul suo libro e non la bada.

Per incuriosirla, la piccola le racconta di avere una casetta segreta sull'albero.
E dal momento che la cosa sembra non impressionarla, condisce il racconto con dettagli sempre più curiosi e originali. Mentre parla, la sua fantasia prende forma sulle pagine del libro, e la casetta diventa sempre più reale, sempre più grande, sempre più bella, nelle ricche illustrazioni che riempiono le pagine e catturano l'attenzione dei piccoli lettori.


Ci sono lenti d'ingrandimento e altri strumenti per esplorare la natura, ci sono posti di vedetta per avvistare i nemici in arrivo ("Ci sono anche i pirati!" ha urlato il Piccolo T, sempre più incredulo, mentre leggevo), e simpatici mostri che cercano ospitalità.

E c'è un sistema di segnali per indicare ai passanti se la proprietaria è in casa o meno, se vuole ospiti o se ha bisogno di aiuto.


Il finale? È dolce e commovente: una rivincita della fantasia sull'indifferenza, ma soprattutto una vittoria dell'amore tra sorelle.
In qualche modo, la casetta diventa un rifugio di entrambe, un segreto condiviso, uno spazio di complicità, poco importa se reale o immaginario.

Già, perché ogni bimbo ha bisogno di un rifugio segreto, dove far vivere draghi, mostri e pirati. Anche se non è necessariamente su un albero, ma magari semplicemente in camera sua.
Ecco perché ho pensato di preparare al mio Piccolo T una "segnaletica" come quella della protagonista di La casetta segreta sull'albero, da appendere alla maniglia della sua porta.

Se vi piace l'idea, potete scaricare il mio pdf, con tre messaggi pronti da ritagliare e appendere e tre sagome vuote da colorare, per inventare e disegnare il vostro segnale personale e trasformare la cameretta in un rifugio.



Anche il Piccolo T si è messo all'opera con il suo segnale.

Ed è così che è nato... il divieto d'accesso al fratellino (indispensabile per giocare con i pezzi piccoli che il Piccolo D potrebbe mettere in bocca).

Un risultato non esattamente nello spirito del libro, vero?
Ma non importa: io so che un giorno anche loro costruiranno un rifugio insieme.


Cos'è in fondo un difetto? Un apostrofo rosa tra le parole "T'insulto"?
Qualcosa che fa parte di noi o che possiamo cancellare? Può un difetto diventare un pregio?

L'accettazione di sé e delle proprie caratteristiche, belle, brutte o comunque siano, è un processo lungo una vita intera. I difetti bisogna imparare a riconoscerli, ad accettarli, a capire che conseguenze hanno su di noi e sulla nostra vita sociale. Poi si decide se cercare di cambiarli, o almeno limarli un po', o prenderli da un punto di vista nuovo, guardandone il lato positivo. Mica facile.

Da piccoli, poi, tutti si sentono supereroi, potenti e perfetti.
Da dove iniziare, allora, il viaggio della conoscenza e dell'accettazione di sé?
Forse da un quintetto di eroi che perfetti proprio non sono.

I Cinque Malfatti di Beatrice Alemagna (ed. Topipittori) sono, appunto, malfatti. Uno è bucato, uno è molle, uno è tutto piegato, uno è all'incontrario e uno è tutto sbagliato, dalla testa ai piedi.
Cosa fanno tutto il giorno? Si divertono a fare a gara a chi è il più malfatto di tutti.
Non proprio un esempio di stacanovismo, insomma, ma i malfatti sono simpatici, anche solo a guardarli, e sono amici tra di loro.


Poi un giorno, a turbare il loro equilibrio, arriva lui: un tipo perfetto.
A vederlo, in realtà, fa anche un po' ridere, con quella chioma arancione fluente.
Il tipo perfetto entra nella casa dei malfatti (malfatta anche quella), li interroga con aria un po' snob sui loro progetti, e quando scopre che non ne hanno li definisce delle "nullità". Sarà anche perfetto, questo tipo perfetto, ma si atteggia un po' a bulletto della classe, insomma.
Ed è proprio dal confronto con il tipo perfetto che i malfatti scoprono il lato positivo dei loro difetti. 
Il bucato, ad esempio, non è mai arrabbiato, perché la rabbia gli esce dai buchi.
Il molle, invece, ci dorme sopra, e così via.
È un vero e proprio esercizio di resilienza.

Cosa ancora più importante, i malfatti sono amici. E non solo hanno imparato ad accettare se stessi, ma si accettano l'un l'altro.
E così, se ne vanno via dandosi allegre pacche sulle spalle, lasciando il tipo perfetto da solo, come "un vero perfetto stupido".

Insomma: essere perfetti non è importante. Anzi, è impossibile.
È molto meglio accettarsi, prendere il lato bello delle cose ed essere amici.
Non è un ottimo spunto, questa lettura, per parlare di difetti, per far vedere che ogni caratteristica può essere negativa ma se presa dal verso giusto può trasformarsi anche in qualcosa di buono?

È così che è nata la nostra attività su

il sesto malfatto.


Io e il Piccolo T abbiamo preso un foglio e provato a immaginare un personaggio con uno o più difetti. La "regola" era: immaginare il difetto, pensare a cosa avrebbe comportato di negativo, e poi trovarne il lato positivo.

Quando abbiamo trovato il personaggio che più ci convinceva, con il difetto/pregio più curioso e simpatico, il Piccolo T lo ha disegnato, con pennarelli e collage.


Dopo molte discussioni e un grande esercizio di fantasia, eccolo: il nostro "sesto malfatto" è diviso in due e ha dei fiori al posto delle orecchie.
Barcolla quando cammina e non ci sente tanto bene, ma in compenso può andare in due posti diversi contemporaneamente, e quando cammina lascia dietro di sé una scia di profumo floreale.
Mica male, essere malfatti così.

(Gliela racconto o no la storia di un certo Visconte dimezzato?)


Ogni anno la stessa storia: passa la Pasqua e loro restano lì. Buttarli via sembra uno spreco, ma non sai come riciclarli. 
No, non sto parlando dei pezzi di cioccolato delle uova di Pasqua: quelli a casa nostra non avanzano mai. Parlo di quei cosi di plastica a forma tronco conica che reggono l'uovo nella sua confezione.
In un primo momento, li uso per contenere la cioccolata avanzata, ma questa funzione ha generalmente una durata brevissima. E allora che farne?


Un gioco per bebè, ad esempio.
Basta avere a disposizione alcuni nastri colorati e, naturalmente, un bebè interessato (dai sei mesi all'anno e mezzo, suppergiù).




Per prima cosa, bisogna praticare dei fori, in numero pari, tutt'attorno al "coso" di plastica (come lo chiamiamo? reggiuovo?).
Io ho usato il mio Multiutensile Dremel, ma basta anche un trapano o, con un po' di attenzione, delle forbici appuntite.




Ora procuratevi nastri e nastrini di vari colori e texture: raso, tulle, nastro a coste, spago grosso.
Ricordate che quello che state costruendo non è solo un gioco, ma un'esperienza sensoriale (le sinapsi, le sinapsi!).



Passate ogni nastro da un buco a quello opposto e annodate le estremità, se serve più volte, per fare in modo che sia impossibile sfilarli. Lasciate un po' di lunghezza libera, in modo che i nastri possano scorrere.


Infine, affidate il gioco al bebè, perché possa toccare, tirare, sperimentare.
La cioccolata potete mangiarla voi. È per il suo bene, in fondo.



Tra i primi libri letti quando ero incinta del Piccolo T, per illudermi di potermi preparare all'evento, c'è Da zero a tre anni di Piero Angela, uno splendido viaggio nello sviluppo intellettivo della primissima infanzia, che mi ha affascinato, informato, ma soprattutto terrorizzato.

Immagino non fosse questo l'intento del buon Piero, certo, ma scoprire che i primi tre anni di vita gettano le basi per tutto lo sviluppo neuronale del bambino, e che è fondamentale dargli sufficienti stimoli entro questa età, perché la maggior parte delle sinapsi cerebrali si crea in quel momento o mai più, non è stato certo rassicurante.
Insomma: non mi stavano per arrivare addosso soltanto le responsabilità di poppate, pannolini, pappe, educazione alle regole e tutto ciò che ne consegue. No: avrei dovuto prendermi cura anche delle sue sinapsi! Ed entro i 36 mesi.
Un concetto tutto nuovo ma altrettanto pressante di "orologio biologico".
Da dove si inizia, dunque, a prendersi cura di queste sinapsi? Dalla stimolazione sensoriale, credo.
L'udito ce l'ho: leggo, canto e parlo.
La vista anche, con tanti libri adatti alla sua vista ancora immatura.
E poi c'è il tatto. Il tatto è fondamentale: è il primo senso a svilupparsi all'interno dell'utero materno.



E fuori? Per i primi mesi, "tatto" è soprattutto il contatto materno, poi iniziano i primi giochi (li ricordate i vari cesti dei tesori?).
Verso i nove mesi, suppergiù, il bimbo è pronto a giocare con i primi libri tattili.

L'offerta sul mercato è vastissima, ma la qualità può variare molto.
I miei preferiti sono senza dubbio i Carezzalibri Usborne.

Perché proprio loro? Perché hanno qualcosa in più rispetto ai soliti libri tattili: non sono un "libro dizionario", con un mero elenco di cose etichettate da una parola, ma contengono delle narrazioni minime (delle "protostorie", tecnicamente), con brevi frasi e una semplice sequenzialità: praticamente un'introduzione alle storie vere e proprie che il bambino apprezzerà più avanti.

Inutile poi specificare (ma facciamolo, già che ci sono) che come tutti i libri tattili i Carezzalibri contengono degli inserti in vari materiali (velluto, peluche, plastica ecc), da toccare con le dita.
Entro i tre anni, mi raccomando: non dimenticatevi le sinapsi da costruire!

Di Carezzalibri in casa ne abbiamo due: Dov'è il mio drago e Ruspe.


La serie "Dov'è il mio..." è strutturata sempre allo stesso modo: c'è una "voce narrante" (un topolino) alla ricerca di un animale o un oggetto (ma c'è anche "dov'è il mio elfo" o "Dov'è il mio bambino").
Dov'è il mio drago, ad esempio, è una carrellata di draghi, tutti con caratteristiche diverse. A ogni pagina il topolino nota ogni volta un dettaglio che non va, sottolineato dall'inserto tattile ("Questo non è il mio drago, ha gli artigli troppo bitorzoluti"), fino a trovare quello giusto ("Ecco il mio drago! Ha le ali così squamose!"). Una mini-trama deliziosa, che sfrutta la ripetizione per catturare i piccoli, avvicinandoli al concetto di storia.

Se la serie "Dov'è il mio" è la più famosa dei Carezzalibri, non meno belli sono alcuni titoli tematici su luoghi, oggetti, mezzi di trasporto.

Ruspe, ad esempio, descrive in ogni pagina una caratteristica diversa di una ruspa gialla (la benna ruvida, le ruote infangate, i finestrini luccicanti), per poi soffermarsi su una ruspa rossa, semplicemente perché "è enorme".


I carezzalibri sono cartonati, resistenti e facili da maneggiare, nati per resistere alle manine più dispettose.

Ma siccome le sinapsi non bastano mai, ho voluto estendere l'esperienza tattile creando

le sensory bags


Le sensory bags sono uno strumento casalingo che unisce l'esperienza tattile a un plus che poche esperienze tattili hanno: come i libri, non sporcano la casa.
E si creano con pochi materiali:
  • una bustina di plastica (quelle dei contenitori ad anelli, oppure buste per alimenti come quelle Ikea),
  • del nastro adesivo colorato e resistente,
  • forbici,
  • schiuma da barba o gel per capelli
  • piccoli oggetti a scelta per creare la sensazione tattile.



Prepararle è semplice: si inseriscono nella bustina prima il gel o la schiuma da barba, poi gli oggetti che preferite, e si sigilla bene il lato aperto con del nastro adesivo resistente.
Io, dal momento che avevo del nastro adesivo colorato che mi piaceva molto, ho preferito aggiungerne un giro su tutti i lati, per decorare meglio la "bag".



Di sensory bags ne ho preparate due. In una ho inserito il gel per capelli, per dare l'effetto morbido e scivoloso al tatto, e poi un paio di perline dure, dei pompon morbidi, alcune formine di gomma crepla e un elastico.

La seconda l'ho riempita di schiuma da barba, per poi inserire, in due punti diversi, un po' di colorante alimentare giallo e blu. Schiacciando e muovendo la bustina, i colori si sono mescolati tra le mani del Piccolo D (con qualche aiuto del fratello maggiore) fino a far diventare la schiuma verde. La "magia" funziona una volta sola, ma ne vale la pena.



Piccole dita in azione! "Ehi, ma queste palline si possono spostare!"



"E io, a cinque anni, sarò ancora in tempo per qualche sinapsi last-minute?"

   
Sarà forse la primavera, o il fatto che per la prima volta abbiamo una casa con giardino, ma qui siamo in piena fase "sperimentale". Il Piccolo D porta i sassolini dal vialetto alla porta di casa, sperimentando il curioso fenomeno per cui mamma e papà, poi, li riportano sempre al loro posto.
Il Piccolo T è invece alle prese con i suoi primi esperimenti seri (il pluviometro, la ruota idraulica, e l'anemometro), preso dall'entusiasmo per suoi due ultimi libri "scientifici" che ogni sera vuole leggere, sfogliare ed esplorare.



Vi ho già parlato qui dei due volumi della collana "il mio pianeta", di Editoriale Scienza: Il mio pianeta. Acqua e Il mio pianeta. Vento, soffermandomi soprattutto sul primo, con l'esperimento della nuvola in barattolo.
Vi avevo già raccontato del loro approccio multidisciplinare, in cui ogni pagina analizza un diverso aspetto dell'elemento naturale: dalla letteratura alla geografia, dalla fisica alla biologia, tutto naturalmente a portata di bimbo.



E vi avevo anche detto che ogni pagina propone un diverso tipo di attività: osservazione, sperimentazione e creatività, perché imparare è più facile quando si toccano con mano i fenomeni e soprattutto quando ci si diverte.



E infatti, così come è stato per l'acqua, anche con Il mio pianeta. Vento ogni pagina è stata una scoperta. Abbiamo imparato come nasce il vento, quale impatto ha sulla temperatura che percepiamo, come si chiamano i venti che soffiano dai diversi punti cardinali, come il vento trasporta i semi e come trasformare il vento in energia.



E abbiamo iniziato a sperimentare e toccare con mano quello che avevamo imparato, con le tante attività proposte. E una in più.
Dato che ci mancavano alcuni dei materiali richiesti per le "automobili a vela" descritte dal libro, infatti, abbiamo optato per delle più classiche barchette.




È bastato prendere alcuni tappi di sughero e degli stuzzicadenti.
Con la colla a caldo, ho inconcollato i tappi a due a due, fissando nel mezzo due stuzzicadenti che fungessero da "alberi" della nave.




Sugli stuzzicadenti ho infilato le vele create con dei rettangoli di carta colorata, fissate anch'esse con la colla a caldo.




Una cannuccia per sofiare e via: vento in poppa fino a gridare "Terra!".
Anzi: "Bordo della vasca!".





  
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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