Nuvole in scatola
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"Puoi essere tutto ciò che vuoi, purché tu sia felice", pensa il bravo genitore.

"E purché tu legga", aggiunge il genitore lettore, più o meno esplicitamente.

Leggere è importante per mille ragioni che ogni lettore conosce, ma il passaggio dalla lettura condivisa a quella autonoma non è sempre facile. Anche se abbiamo letto loro ad alta voce fin da quando erano ancora appena nati, o addirittura prima, invogliare i bambini a leggere da soli può essere più complicato di quanto ci aspettiamo. Come fare? 

L'esperienza (e anche i libri, naturalmente) mi hanno dato qualche consiglio che vi voglio lasciare.

bambini che leggono

 

1. Rendersi conto che leggere è faticoso.

Leggere, per noi, è un meccanismo così automatico che non riusciamo a guardare delle parole scritte nel nostro alfabeto senza decodificarle (vi ricordate l'esperimento sulla frase "non leggere" che vi avevo proposto in questo articolo?).

All'inizio, però, non era così.

Il nostro cervello non è "nato per leggere" e imparare a farlo richiede uno sforzo che probabilmente abbiamo dimenticato, ma che rende la lettura un compito faticoso, complesso, frustrante. Per godersi il piacere di un libro, poi, non è sufficiente aver imparato a riconoscere le lettere o le parole. Nel suo meraviglioso Proust e il calamaro, Maryanne Wolf ci fa notare inoltre che

(...) decodificare non significa capire. E perfino quando viene compreso il senso più immediato, non può dirsi raggiunto il vero scopo della lettura (...): una crescente capacità di applicare la comprensione dei vari usi delle parole (ironia, diatesi, metafora e punto di vista) per andare oltre la superficie del testo.

Comprendere questa difficoltà è fondamentale per calibrare le nostre aspettative ed evitare frustrazioni ai nostri bambini, che non riescono ancora a leggere bene, e a noi, che nonostante gli sforzi per motivare i bambini a leggere tardiamo a vedere risultati.

2. Non smettere di leggere per loro.

Proprio perché leggere è un'operazione complessa, i bambini di 6/7 anni si trovano di fronte a una situazione molto particolare: il loro cervello, già capace di accogliere, comprendere e apprezzare le storie lunghe e complesse dei bei romanzi per bambini, è in grado di affrontare in autonomia soltanto testi semplici, con poche parole, meglio se scritte con un font ad alta leggibilità.

Non è un'operazione molto gratificante.

Appassionare i bimbi alla lettura significa prima di tutto ricordare loro che la lettura è un piacere e non solamente fatica. Come? Continuando a leggere ad alta voce per loro libri che siano all'altezza delle loro capacità cognitive.

È il momento di leggere ad esempio i romanzi di Roald Dahl e di Astrid Lindgren, di divertirsi con Il trattamento ridarelli e con Winnie Puh (il libro non è troppo "da piccoli" come il cartone animato farebbe pensare), di provare il primo approccio con Pennac.

La lettura autonoma non deve sostituire quella condivisa, ma affiancarsi ad essa, fino a quando vostro figlio non deciderà da solo che quel romanzo che ha iniziato lo cattura così tanto che non vuole perdere tempo a leggere altre cose con voi. 

Gradualmente, potete anche provare a proporre di leggere un capitolo a testa, o di iniziare il libro insieme e poi concluderlo ognuno per conto proprio (con questa modalità io e il Piccolo T, quasi 11 anni, ci stiamo godendo la saga di Harry Potter, che nemmeno io avevo mai letto).

Leggere ad alta voce per loro, anche quando hanno già imparato a farlo da soli (ne avevo parlato più approfonditamente qui), lega indissolubilmente la lettura a un momento di condivisione e di piacere, ma fornisce anche competenze utili ai futuri lettori.

Nel suo Formare lettori, promuovere la lettura (un testo pensato per gli insegnanti ma che offre spunti interessanti anche ai genitori), Silvia Blezza Picherle sottolinea che

l'ascolto di letture eseguite ad alta voce dall'adulto assume una forte spinta motivazionale, poiché crea e alimenta costantemente il piacere, soprattutto nei bambini e nei ragazzi che non leggono scorrevolmente da soli. Infatti, quando l'esecuzione è stentata non si può certo godere della narrazione, perché la lentezza della decifrazione impedisce di cogliere rapidamente i significati del testo.

Lo ribadisce anche Aidan Chambers, che con Il lettore infinito mette a disposizione di insegnanti ed educatori proposte e riflessioni sullo stimolo alla lettura:

Ogni qualvolta ascoltiamo una storia o una poesia letta ad alta voce, acquisiamo esperienza su come quel tipo di testo "funziona", su come è costruito, su cosa ci possiamo aspettare. In altre parole, l'ascolto di un testo letto ad alta voce ci prepara a quello che possiamo trovare e a quello che dovremmo cercare nel momento in cui eserciteremo la difficile arte della lettura autonoma.

3. Proporre libri semplici ma non semplicistici.

Come dicevamo: i bambini di 6/7 anni faticano a leggere, ma il loro cervello accoglie già storie complesse. Mentre leggiamo per loro dei bei romanzi, allora, facciamo attenzione anche a ciò che scegliamo per la loro lettura autonoma.

Insomma: non proponiamo i libretti della Pimpa solo perché sono in stampatello maiuscolo e con poche parole per pagina! Cerchiamo invece tra i libri specifici per le prime letture, che con le stesse caratteristiche (font ad alta leggibilità, testo non troppo fitto e accostato a immagini) veicolano storie più dignitose per la loro età e le loro capacità.

Due case editrici molto attente a questa fascia sono Biancoenero edizioni, con la sua collana Minizoom (che contiene ad esempio l'ironica saga dei supereroi in pensione) e Sinnos, con Leggimi Prima (che comprende ad esempio, tra i titoli trattati sul blog, Ho catturato uno gnomo, o La maialina, la bicicletta e la luna).

4. Mettere a disposizione un'ampia varietà di libri.

Più o meno tutti i saggi sulla genitorialità ci insegnano a non proiettare le nostre aspettative o la nostra personalità sui figli. E più o meno tutti i genitori, in un modo o nell'altro, finiscono per farlo ugualmente.

Uno dei modi in cui un genitore lettore lo fa è proporre al figlio i libri che ha amato lui stesso da bambino, che spesso, però, hanno ritmi, linguaggi e sensibilità molto diversi da quelli delle nuove generazioni (avete mai provato a riguardare una vecchia serie TV e a percepirla come "vecchia" e lenta?).

Questo non significa che i nostri figli non leggeranno mai i classici per l'infanzia, ma di certo non possono essere queste le uniche proposte per loro. Sempre su Il lettore infinito, Aidan Chambers individua nella varietà di libri a disposizione uno dei fattori chiave per stimolare i bambini alla lettura.

Poche regole, ma importanti: lasciare al bambino ampia scelta (con scaffali bene assortiti, visite frequenti in libreria e biblioteca), assecondare i suoi interessi, variare stili, formati e generi in modo da offrirgli una "dieta" letteraria il più possibile varia. 

Cedete pure ad alcuni "libri esca" che li appassionino alla lettura, anche se di qualità non eccelsa o se non particolarmente profondi (da noi hanno avuto molto successo i libri di Dog Man e Capitan Mutanda di Dav Pilkey e la serie Gol di Luigi Garlando), spaziate tra albi, fumetti e romanzi, ma non ancoratevi a una serie o un genere solo perché hanno avuto successo: non precludete ai bambini la possibilità di esplorare e scoprire qualcosa di nuovo, anche oltre la loro comfort zone.

Soprattutto, non scegliete i libri per loro in base a quanto un libro abbia da insegnare: leggere è utile soprattutto quando è inutile.

5. Non proporre i libri come un'alternativa a TV, videogiochi o smartphone.

Prendo a prestito questa regola da Gianni Rodari, che nel suo articolo "Nove modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura", mise al numero uno "Presentare il libro come un’alternativa alla TV". Passato qualche anno, mi permetto di aggiungere al piccolo schermo anche videogiochi, tablet, smartphone e tecnologia varia.

È chiaro: di fronte a questa scelta sono ben pochi i bambini che sceglierebbero un libro. Come fare?

Il tempo dedicato agli schermi e alla tecnologia dovrebbe essere limitato e regolamentato a prescindere dalla lettura, definendo un momento dedicato o un limite orario (ad es. un massimo di un'ora e mezza al giorno, che il bambino sceglierà come gestirsi).


In questo modo, la lettura arriva in un momento in cui il tempo da dedicare allo schermo non è un'alternativa perché semplicemente è limitato o esaurito. È altrettanto utile dedicare alla lettura dei momenti specifici, come quello prima di dormire, per farla diventare una routine scontata, da non contrattare di volta in volta.

È utile anche un po' di astuzia o di psicologia inversa. 

https://www.offthemark.com/
Credits immagine: www.offthemark.com

Avete un figlio che non vuole mai spegnere la luce? Dimostratevi un po' più "morbidi" sugli orari se si tratta di finire un capitolo, o di leggere qualche pagina (così sarà lui stesso a scegliere di leggere pur di stare sveglio più a lungo). Vi ritroverete a dirgli "adesso basta leggere: è ora di dormire", e anche questo piccolo divieto renderà la lettura più accattivante. 

Non prendetela sul personale: è così che funziona.


6. Portare un libro sempre con sé.

Prendo a prestito un'altra regola, da un altro gigante: in Come un romanzo, Pennac enumera i suoi famosi "dieci diritti del lettore" tra i quali troviamo "Il diritto di leggere ovunque". 

Creare uno "spazio per la lettura" può essere stimolante per alcuni bambini, ma la verità che ogni lettore conosce è che chi ama leggere legge ovunque: in fila dal medico, sui mezzi, facendo colazione, a volte anche camminando.

In una società in cui il tempo è un dono sempre più limitato, fornite ogni occasione possibile per leggere. Portate sempre con voi un libro per i vostri figli, quando sapete di potervi trovare in situazioni di attesa, ma anche quando non lo sapete (gli imprevisti, per l'appunto, sono imprevedibili). Mostrate loro come il libro sia una risorsa potente contro la noia e i momenti in cui non sembra accadere nulla di interessante.

7. Dare l'esempio.

Chi è che lo diceva? I bambini imparano più dai nostri esempi che dai nostri consigli.

E allora fatevi scovare a leggere ogni volta che potete. Mostrate loro come vi rilassate, ridete, riempite i vostri momenti liberi con un buon libro in mano. Raccontate loro quanto vi ha fatto emozionare il vostro ultimo romanzo, o svelategli quella cosa curiosa che avete scoperto nell'ultimo saggio letto.

E leggete, leggete, leggete come se nessuno vi stesse guardando.

Ma questo è facile: se amate i libri, lo fate già.

 


     

C'è un fascino speciale, per i bambini, nelle fotografie.

Forse perché arrivano vicinissime al confine tra il vero e il non vero: più reali di un'illustrazione, catturano qualcosa che esiste, ma non è più lì.

È più facile riconoscersi, in una fotografia, entrare nella storia che ci sta dietro, riuscire a vedere oltre i margini. Eppure sono così pochi i libri fotografici per i bambini!

Il mio asinello Benjamin e io

Il mio asinello Benjamin e io, edito in Italia per Terre di Mezzo, è un classico della letteratura per bambini in Germania, e sfogliandolo si riconosce subito quel magnetismo che attrae i piccoli verso le sue pagine.

Pubblicato per la prima volta nel 1968, il libro racconta la storia vera di Susanna, la figlia dell'autore Hans Limmer, e del suo asinello Benjamin, ricostruita attraverso le fotografie di Lennart Osbeck, che ritraggono i due protagonisti reali.

È la piccola a parlare:

Questa sono io.
Mi chiamo Susanna.
Ma tutti mi chiamano Susi
perché sono ancora così piccola.

Il mio asinello Benjamin e io

E così, con la sua voce bambina, semplice, credibile, Susi racconta di come suo padre abbia salvato Benjamin, trovato da solo su una roccia a picco sul mare, sull'isola di Rodi dove Limmer e la sua famiglia si sono trasferiti.

Il resto è storia di vita quotidiana: scoprire di cosa si nutre l'asinello, imparare a portarlo a spasso, vivere una piccola avventura in cui Susi e Benjamin si danno coraggio a vicenda.

Le foto sono in bianco e nero, hanno un sapore antico, ma ci appaiono più vivide che mai.
Sembra di guardare un film, con inquadrature dal gusto cinematografico ma credibili nella loro autenticità: l'obiettivo coglie momenti, non pose.

Il mio asinello Benjamin e io

Gran parte del fascino di Il mio asinello Benjamin e io arriva dai due protagonisti, entrambi irresistibili: lei bionda, con uno sguardo vispo e guance tonde, lui soffice come un peluche, che le avvicina il muso per coccolarla.

Sembra di essere lì, di sentire l'aria salmastra, le rocce ruvide, il pelo morbido dell'asinello, l'erba fresca sotto i piedi. 

Chi legge si immedesima, diventa Susi, sente addosso la sua salopette e gli elastici che stringono i codini. E il suo asinello diventa anche un po' amico nostro.


Quante spiegazioni, quanti "perché" ci chiedono ogni giorno i bambini?
Eppure, quante volte li vediamo fare o dire cose che non hanno senso, forse nemmeno per loro?

E noi, quante volte abbiamo goduto del suono di una musica, di una poesia, o delle sensazioni di un quadro anche senza comprenderli pienamente?

Ehi cos e

Ehi! Che cos’è? di Cédric Ramadier e Vincent Bourgeau (Terre di Mezzo editore) ci accompagna in quel regno del non-colto, dell'ineffabile, fino a chiederci se serve veramente capire qualcosa per amarla o goderla.

Tranquilli: Ramadier e Bourgeau parlano un linguaggio, sia iconico che verbale, molto semplice e vicino ai bambini,  anche i più piccoli (li avevamo già incontrati in Aiuto! Arriva il lupo), quindi se questa premessa vi ha portato ad aspettarvi contenuti riflessivi e filosofici, siete fuori strada.

Ehi! Che cos’è? è una storia agile, curiosa e divertente, che racconta la voglia di sperimentare dei bambini. Avete presente la classica scatola di cartone che durante il gioco diventa auto, casa, areoplano? Ecco, qui il paradigma si rovescia: non è il bambino a trasformare l'oggetto, ma l'oggetto stesso che si svela al bambino (attraverso i protagonisti) nelle sue caratteristiche multiformi.

Ehi cos e

Tutto inizia con uno strano oggetto rotondo che cade dal cielo. I due protagonisti si chiedono cosa sia: forse una roccia? Ma è troppo morbido!

Allora forse si tratta di una palla?

Ehi cos e

Jack e George continuano a esplorare, usano questo strano oggetto, viaggiano, ne vengono travolti.

I dialoghi si ripetono con frasi sempre uguali a loro stesse, generando un effetto comico e diventando una formula che i bambini ameranno riconoscere, mentre la storia prosegue con sorprese sempre nuove. 

Le azioni sono semplici, il ritmo è cadenzato e rassicurante, i colori vivi e pieni catturano il bambino, attratto dalla curiosità verso quell'oggetto misterioso, che alla fin fine non si sa bene cosa sia, ma quel che conta è che Jack e George lo abbiano incontrato ed esplorato, trasformandolo in avventura.

Perché in fondo, nella vita, non dobbiamo per forza comprendere tutto.


In Italia non si può.

Chi lavora in comunicazione lo sa bene: ci sono dei totem, in Italia, che è meglio non toccare, per non scalfire le certezze su cui si regge la nostra società e non incorrere in polemiche, sguardi sdegnati, reazioni di biasimo.

Il primo è senza dubbio la mamma. Quando si racconta una mamma, in Italia, deve essere una mamma amorevole, che farebbe qualsiasi cosa per i figli, anche rinunciare alla propria felicità.
La nonna, poi, è una mamma al quadrato, costantemente dedita a preparare manicaretti per i nipoti.

Le pubblicità "alla Mulino bianco" non mentono: bisogna fare così.

 (Lo so, lo so che anche Barilla ha cambiato la sua rappresentazione del mondo, ma la "famiglia del Mulino Bianco" resta comunque un simbolo del nostro immaginario collettivo)

Nonna gnocchi

Mi ha quindi piacevolmente sorpreso il coraggio di Biancoenero Edizioni di portare sul nostro mercato un libro come Nonna Gnocchi, dell'americana Susie Morgenstern, che avevamo già letto in Joker (le illustrazioni sono di Bruno Zocca e la traduzione di Mara Dompè), un libro che si fa un baffo di tutti i mulinobianchismi a cui siamo abituati.

E lo fa fin dall'incipit, in cui assistiamo a una telefonata tra la mamma e la nonna di Confiance, il protagonista: la mamma vuole sbolognare il figlio alla nonna per le vacanze (blasfemia!), e la nonna non è nemmeno particolarmente contenta di portarlo in vacanza con sé (doppia blasfemia!), perché Confiance è in quella fase preadolescenziale (tra i 9 e i 10 anni) in cui spesso i bambini non sono particolarmente gradevoli da portare in vacanza.

Nonna gnocchi

Ancora più rivoluzionario rispetto ai consueti mulinobianchismi è il motivo per cui le due donne non sono entusiaste di passare il tempo con Confiance: entrambe sono alle prese con la costruzione del rapporto con un nuovo fidanzato: sì, anche la nonna.

Con questa telefonata, quindi, inizia la vacanza del giovane francese Confiance a Triora, il borgo ligure da cui proviene Eustachio, il fidanzato della nonna: un luogo che lo annoierà a morte finché non conoscerà la nipote di Eustachio e con lei inizierà a vivere avventure e complicità che condiscono ogni estate degna di questo nome.

La narrazione si dipana in modo peculiare, senza l'utilizzo di un narratore: in tutto il libro vengono riportati solamente i dialoghi, nudi e crudi, senza altra introduzione e senza nemmeno un'iniziale o un segnale che identifichi chi sia a parlare: lo si capisce comunque chiaramente dal testo, perché ogni personaggio ha un suo tono di voce ben determinato.
In cima a ogni capitolo, per guidarci nella lettura, vediamo i volti dei protagonisti del dialogo che segue, e l'immagine di un telefono qualora il dialogo avvenga a distanza.

Nonna gnocchi

Questa modalità narrativa sostiene un ritmo abbastanza serrato e mantiene il focus soprattutto sulle relazioni tra i personaggi: non c'è introspezione, ma i sentimenti traspaiono tra il detto e il non detto, tra le confidenze a uno e le reticenze verso l'altro.

L'Italia è rappresentata in modo poetico, mettendo l'accento in modo particolare sulla comunità dei paesani e – soprattutto – sul cibo (non a caso i protagonisti di danno a vicenda dei soprannomi culinari, come Pistacchio e Spaghetto), con qualche piccola caduta nello stereotipo (come il paesano che suona la fisarmonica).

Nonna Gnocchi rappresenta protagonisti reali ed emancipati, senza fare sconti: Confiance, come farebbe qualsiasi preadolescente, esprime più volte il suo ribrezzo all'idea che la nonna abbia un rapporto anche fisico, alla sua età. 
La nonna e il fidanzato sono complici, ironici, divertenti, le azioni si dipanano con leggerezza e per un lettore italiano emerge forte il tema dell'autodeterminazione, della volontà di vivere la propria vita senza rinchiudersi in un ruolo, del diritto di avere una vita piena e realizzata, a ogni età.

Crescere significa capire che non solo è possibile cavarsela da soli, ma che a volte fare da soli è perfino meglio. 

Manco per sogno

Se oggi vi parlo di Manco per sogno, uscito un anno fa per Topipittori, è perché è di nuovo "quel" momento, quello in cui ci si prepara per la scuola, con quella frattura tra il gioco e l'impegno, tra la voglia di crescere e quella di restare piccoli, che Beatrice Alemagna ha saputo cogliere così bene in questo albo.

Ritroviamo in Manco per sogno il segno grafico così immaginifico della Alemagna, che porta con sé interi mondi in quei tratti solo all'apparenza fanciulleschi, quei contorni imperfetti, quelle sfumature miste a segni più netti che mescolano spirito bambino e abilità adulta. L'ambiente naturale del bosco, con i suoi toni polverosi, è animato dai tocchi fluo tipici dell'autrice.

Manco per sogno

Pasqualina, la protagonista, è una pipistrella: non uno dei classici animaletti "pucciosi" da albo illustrato. ma questo ce la rende più simpatica, e sicuramente contribuisce a sottolineare il suo pensiero "a testa in giù".
Pasqualina ha tre anni e non ne vuole sapere di iniziare la scuola (l'età sembra indicare la scuola dell'infanzia, ma il resto della storia si addice meglio alla primaria, strutturata in lezioni di materie diverse): "Manco per sogno" dice a mamma e papà. E a un certo punto urla così forte il suo disappunto da rimpicciolirli.

Si rovescia così il paradigma del noto Urlo di mamma: stavolta è la rabbia della bambina ad avere un impatto fisico sui grandi. Ma questo espediente non punta i riflettori sul rapporto genitori-figli, bensì diventa motore di una storia ricca di momenti divertenti.

Manco per sogno

Già, perché a questo punto Pasqualina si porta a scuola i genitori, miniaturizzati.
Il che è un bel vantaggio, perché tra tanti altri alunni spaventati, lei è l'unica tranquilla. Questa scena rappresenta, per contrasto, un bel messaggio che normalizza la paura e l'ansia del nuovo percorso: un messaggio passato quasi come sottotesto, veicolato non attraverso la protagonista ma tramite le comparse, ma che non sfuggirà ai piccoli lettori in cerca di immedesimazione.
 
Manco per sogno

Senonché ben presto la presenza dei genitori, seppur miniaturizzati, da ancora di salvezza si trasforma in elemento di imbarazzo (come quando il padre cade nella minestra) o di zavorra.
Simbolica la scena che vede Pasqualina in difficoltà proprio al momento di volare: difficile spiccare il volo restando legati a mamma e papà.

Il percorso verso la conquista dell'indipendenza diventa così una storia leggera e per nulla didattica, misurata sul punto di vista del bambino che scopre giorno dopo giorno il bello di crescere.


Ci sono parecchie storie che iniziano così: con un re che manda il suo eroe a compiere una missione importante.

Jeppe in missione

Jeppe in missione, edito da Terre di Mezzo, sembra proprio una di queste, ma bastano poche pagine per capire che non è esattamente così.

L'autrice Jutta Bauer (probabilmente la conoscete per il meritatamente celebrato Urlo di mamma) riesce qui a tessere una storia che è allo stesso tempo concreta e sfuggente. A partire da questo incipit così classico ha inizio quello che sembra essere il più classico dei temi, quello del viaggio.

Jeppe in missione

Ma anziché la meta l'obiettivo conteranno più le cose che succederanno in mezzo, o meglio, le persone che incontrerà. I viaggi, si sa, sono fatti anche di contrattempi, ma qui i contrattempi sembrano proprio la ragione del viaggio.

Con la sua generosità, Jeppe cambierà strada e si fermerà molte volte per aiutare uno scoiattolo in difficoltà, una bambina che ha perso una palla, una mamma che ha bisogno di una mano con i suoi bambini. I risguardi mostrano bene le differenze tra l'itinerario più breve e quello effettivamente percorso nella storia.

 Il viaggio cambia Jeppe, che nel frattempo cresce e incontra qualcuno da amare.

Ma anche il re è cambiato.

Jeppe in missione

La pluralità dei livelli di lettura viene resa anche dall'aspetto grafico-visivo:nella fascia inferiore vediamo ciò che succede al re durante la missione di Jeppe: la vita scorre, nella noia e nell'allegria, ci sono momenti felici e litigi e lutti (e anche alcune sequenze di difficile interpretazione).


Sono le cose della vita, che da un lato ci danno l'idea di quanto questo viaggio sia durato, dall'altro dimostrano quanto nella vita, più che le missioni e i messaggi da consegnare, siano le persone accanto a noi che contano di più. 

Anche il re lo ha capito. E quando Jeppe fallirà la sua missione (ma il come non ve lo svelo) sarà un nuovo inizio e una nuova consapevolezza per tutti.


Se i libri scritti a tavolino per comunicare un messaggio mi danno sempre una sensazione sgradevole, quanto è bello invece trovare una storia autentica, ben scritta e ben costruita, coinvolgente e divertente, dove il messaggio passa chiaro e limpido ugualmente, anzi, in modo molto più efficace proprio perché in primo piano c'è una storia in cui immedesimarsi e non una lezione da imparare.

Piume in libertà

Si potrebbe dire che Piume in libertà è un romanzo contro lo sfruttamento degli animali negli allevamenti intensivi, oppure che è una riflessione sul concetto di libertà e sui punti di vista: in fondo, quando un libro è scritto bene, sono tante le cose che è capace di trasmettere.

Scritto nel 1993 da John Yeoman e sapientemente illustrato da Quentin Blake, che sa valorizzare perfettamente con il suo tratto l'ironia del testo, Piume in libertà è ora edito in Italia da Camelozampa.

Le due protagoniste, Flossi e Bessi, vivono in gabbia, in un allevamento intensivo ironicamente chiamato "Radura felice" (questo almeno è il nome stampato sulle confezioni delle uova!). Flossi e Bessi non hanno mai visto altro che la loro gabbia. Non sono infelici, perché sono convinte che il mondo sia tutto lì: il sole è una lampadina che si acccende a orario, tutto il cibo possibile è quel mangime che arriva loro puntuale ogni giorno.

Piume in libertà
 
Le due galline sono cresciute in batteria, ma di loro non abbiamo un'immagine standardizzata: anche in quel loro piccolo mondo industrializzato, hanno sviluppato due caratteri ben distinti.
È questa la forza di questo romanzo: aver costruito dei personaggi a tutto tondo, ilari e chiassosi, anche in un contesto così limitante.
E così Bessi, la più esuberante e fantasiosa, ogni notte sogna, sì, ma sempre lo stesso pollaio.

Liberate da una taccola (un uccello simile a una cornacchia. Se non sapevate che esistesse, siete in buona compagnia), le due galline si muovono impacciate nel mondo reale. Gli spazi aperti fanno loro paura. Ignorano che si possa mangiare altro oltre al mangime che arriva puntuale sul nastro trasportatore.

Piume in libertà
 
 
È buffo e amaro al tempo stesso come le galline non riescano inizialmente a gioire per la ritrovata libertà, ma cerchino piuttosto di ritrovare la strada di casa, di rifugiarsi nel già noto – sì, sono galline molto, molto umane nell'animo.
È così che si ritroveranno ad esempio incastrate in tutto ciò che ricorda loro una gabbia!

Con pazienza e dedizione, la taccola si impegnerà a svezzarle dalle loro abitudini, fino a farle addirittura volare, e noi lettori ci lasceremo trascinare dalle loro esilaranti avventure, così come dalle contraddizioni dei loro pensieri, così simili ai nostri quando non vogliamo guardare oltre ciò che già conosciamo.

E così Piume in libertà può essere un romanzo sulla libertà, o sugli allevamenti intensivi, o sulla difficoltà ad affrontare l'ignoto, ma prima di tutto questo è una gran bella storia, scritta con maestria, con tre personaggi difficili da non amare.


Stare accanto a un bambino significa abbandonare tutto ciò che si è imparato sulla logica (e per gente come me, può essere un esercizio particolarmente complicato). Basti pensare ai loro "perché" che in realtà non sono solo dei "perché", ma sono dei "quando", o dei "raccontami", o dei "davvero?".

C'è in particolare un tipo di ragionamento che mi fa impazzire, e lo dico in entrambi i sensi: mi affascina da matti ma mi fa diventare pazza se ci penso. È quello di dimostrare qualcosa con la sua stessa premessa.

In logica è chiamato diallele o ragionamento circolare, ed è naturalmente considerato errato, eppure ai piccoli viene così naturale!

un orso alla porta

L'autenticità di Mamma, c’è un orso alla porta! (Sabine Lipan e Manuela Olten, Terre di mezzo editore) sta tutta in questa logica così lontana dal pensiero adulto.

un orso alla porta

L'albo si apre con due pagine mute. Un orso si allontana da un pianerottolo facendo cenno di silenzio a un bambino, affacciato alla porta.

Inizia da qui un incalzante dialogo, tutto da leggere in doppia voce, in cui il bambino cerca di convincere la madre di aver visto, come dice il titolo, un orso alla porta.

un orso alla porta

 Solo che alle domande della madre il bambino risponde immancabilmente con un'invenzione, e dimostra poi la verità della propria invenzione con un ragionamento circolare:

"E come ha fatto l'orso ad arrivare qui in città?"
"Con il bus... e come se no?!"
"Con il bus?"
"Sì, con il bus."

(la mamma chiede sempre conferma di ciò che sente, come a sottolinere l'assurdità della situazione, creando delle ripetizioni che diventano un po' il tormentone del libro)

"L'orso ha comprato il biglietto del bus?"
"Be', senza biglietto non si può salire sul bus. Quindi l'orso ne avrà comprato uno."
E lo stesso vale per la bici, ad esempio: se l'ha usata per raggiungere la fermata del bus, vuol dire che ne ha una. Se è salito in ascensore, vuol dire che ha premuto il pulsante.

un orso alla porta

Le immagini accompagnano il testo trasformando le fantasie del bambino in scenette deliziosamente spiritose.
Un attimo: ma saranno davvero fantasie?

Man mano che il bambino racconta il tortuoso e inverosimile percorso dell'orso, dimentichiamo quella prima immagine, quella in cui l'orso c'era davvero. Ma poi l'orso ritorna. Sarà reale? Sarà vero che mangia la torta con il bambino?

Forse anche qui dobbiamo uscire dalla logica adulta, quella che vuole che reale e immaginario siano opposti non conciliabili.

Meglio non farci troppe domande e fare spazio a un orso che ci viene a trovare.


Quello di cui vi parlo oggi non è un libro: sono due.

È molto curioso l'esperimento letterario ed editoriale di Davide Morosinotto e Camelozampa: prendere lo stesso, identico romanzo e pubblicarlo due volte, dando semplicemente (si fa per dire) un ordine diverso ai capitoli.

Temporali


Non si tratta di un ordine a caso, naturalmente: c'è la versione Fabula e la versione Intreccio.

Brevissima parentesi didattica per chi non ha ricordi di narratologia (sarò breve, lo prometto).
In un'opera narrativa, l'intreccio è l'ordine in cui un autore sceglie di raccontare una storia, che può includere flashback e flashforward, mentre la fabula è l'ordine cronologico degli eventi narrati.
Fine della parentesi didattica (visto che è stata breve?).

Ora però le cose si complicano, perché Temporali (così come l'altro Temporali) è un libro sui viaggi nel tempo. E come tutte le belle storie sui viaggi nel tempo, le cose non accadono in modo lineare. Chi torna indietro arriva dal futuro e però interviene sul passato modificandolo.

Nella versione Intreccio, tutto ha inizio con una bomba che scoppia in una scuola superiore di Bologna (città che da una bomba ha già subito, tutti lo ricordiamo, una ferita particolarmente profonda). È il "momento zero", ed è attorno ad esso che si dipana la narrazione.

Temporali

Da un lato, prima del momento zero, ci sono Ron ed Enrico, due studenti di quella scuola, ognuno con il proprio bagaglio di pensieri adolescenziali, di vite e famiglie complicate. Secondo il grande computer che governa i viaggi nel tempo, sono stati loro a piazzare la bomba, anche se leggendo tra le pagine i loro pensieri non si direbbe fosse loro intenzione farlo.

Dall'altro lato, quello che si dipana dopo il momento zero, c'è Michela, giovanissima e brillante agente di una squadra segreta militare che grazie alla macchina del tempo può tornare indietro e modificare il passato, cancellando così gli eventi più drammatici (come le bombe in un liceo).

A complicare le cose c'è anche una terza storyline, quella di un anziano malavitoso incarcerato che cerca di vendicarsi contro chi lo ha tradito, ma di questa non ci occuperemo qui: per quanto il personaggio sia ben costruito (e lo è: umanissimo e criminale), non è per lui che il fiato resta sospeso durante la lettura, non è il suo destino quello che ci preme seguire, non sono i suoi capitoli quelli che attendiamo con ansia girando freneticamente le pagine.

E così, l'Intreccio vede Michela saltare più volte indietro nel tempo per impedire ai ragazzi di posizionare la bomba, naturalmente mantenendosi il più strettamente aderente a quello che è il rigidissimo protocollo dei viaggi nel tempo (noi "grandi" lo sappiamo già: se alteri il continuum spazio-temporale succede un casino).

È qui che la scrittura, ma anche la scelta editoriale, diventa paradosso: in un certo senso, è Intreccio la vera Fabula, perché nel suo presente si innestano i viaggi dal tempo futuro, mentre Fabula vede la vicenda a posteriori, come se i viaggi nel tempo fossero già consolidati nella nuova linea temporale che essi stessi hanno creato.

Lo so: è difficile da spiegare (leggendo riesce tutto un po' più intuitivo). Ma d'altra parte questa sfida alla logica è proprio il fascino di questo tipo di storie.

Secondo il modo in cui si guarda alla linea temporale, insomma, dal passato o dal futuro, fabula e intreccio si cambiano prospettiva e non è nemmeno chiaro quale sia l'uno e quale sia l'altro. Senza contare il fatto che, se vogliamo attenerci alla definizione, oltre ad essere entrambi fabule sono anche entrambi intrecci, visto che è l'autore che ha scelto l'ordine di entrambe le narrazioni.

In una lettera ai lettori, per presentare il libro sul sito di Camelozampa, l'autore li propone così: leggendo i capitoli nell'ordine "intreccio", la storia è un thriller, seguendoli nell'ordine "fabula" è un giallo. E sorprendentemente questa scommessa è riuscita: Intreccio ci tiene col fiato sospeso in attesa di scoprire l'esito delle missioni di Michela, mentre Fabula ci accende interrogativi presentando una serie di accadimenti che appaiono sempre più misteriosi finché non scopriamo cosa sia successo davvero.

La creazione di paradossi temporali è un grande classico di tutte le narrazioni che ruotano attorno ai viaggi nel tempo, ma qui Davide Morosinotto ha portato il paradosso a un livello metanarrativo, lasciando il lettore a chiedersi quale sia l'ordine "giusto" di questa storia: forse lo sono entrambi, così come sono vere tutte le versioni alternative di passato e futuro che le nostre scelte generano.

Il lettore viene quindi catturato due volte: dalla trama, avvincente e ricca di climax, e dagli interrogativi sulla struttura narrativa. Impossibile, al termine del libro, non desiderare di leggere l'altro. Per fortuna non è necessario acquistarli entrambi, perché in coda a ognuno dei due volumi si trova un doppio indice: quello relativo al libro stesso e quello che rimette i capitoli nell'ordine dell'altro.

Temporali

E si tratta davvero di una mera questione di ordine: i capitoli sono identici, carattere per carattere, a eccezione di un capitolo "bonus" per ciascun libro (se proprio volete saperlo, ho apprezzato di più quello di Intreccio, ma è solo il mio gusto personale). Sembra incredibile come il romanzo riesca a reggere perfettamente in entrambi i modi: le informazioni essenziali per capire e costruire la storia sono disseminate nel testo con tale naturalezza da rendersi conto soltanto a una seconda lettura di come essi siano funzionali a far reggere il romanzo anche in un ordine diverso.

D'altra parte il tempo è un concetto relativo, soprattutto per chi lo naviga con così tanta abilità.


Nota per i genitori: il libro è indicato dai 13 anni. Io oserei anche dagli 11 o 12, a patto di essere consapevoli che nei capitoli si citino crimini legati a droga e prostituzione e si affronti il tema dell'instabilità psicologica. In fondo non esistono storie degne di essere chiamate tali che non abbiano temi oscuri.

Un altro PS: incuriosita da questa sfida editoriale, ho chiesto all'editore se avesse scommesso più su una versione o sull'altra. Ebbene, no: sono stati stampati in tirature identiche. Da cosa saranno più attratti i lettori? Fabula o intreccio?


 

Prendere in mano un albo di Oliver Jeffers è come ascoltare una nuova canzone di un cantante che si conosce bene: vi si ritrovano melodie, atmosfere, perfino un lessico che ci danno una sensazione familiare, come di qualcosa di già sentito, in cui riusciamo a riconoscerci, ma sappiamo sempre trovarci quell'elemento che fa scoccare una scintilla nuova.

Come tornare a casa

E così, anche in Come tornare a casa, edito da poco da Zoolibri, troviamo moltissimi fil rouge dell'artista nordirlandese, a  cominciare dal protagonista: lo stesso bimbo di Chi trova un pinguino e di Come trovare una stella. Che sia proprio lui medesimo lo sospettiamo dal suo aspetto, dall'abbigliamento, dalla sua barchetta tirata in riva al mare, ma il sospetto diventa certezza quando nella sua casetta troviamo come ospite, in un simpatico cameo, una nostra vecchia conoscenza.

Come tornare a casa

Ritroviamo anche il desiderio di viaggiare ed esplorare, l'incontro con qualcuno con cui si fatica a comunicare, la nascita di un'amicizia: temi cari a Jeffers raccontati con la delicatezza dei suoi acquerelli che sono un po' fumetto e un po' poesia.

La storia va così: il bambino trova un aeroplano nel sottoscala e decide di farsi un giretto. Anche questo è un fil rouge di Oliver Jeffers: i suoi mondi seguono logiche bambine, in cui un aereo può nascondersi in un sottoscala e un bambino lo può pilotare, sempre più su, fino alla luna.

Come tornare a casa

Ma sulla luna il carburante finisce, e inizia a paura di trovarsi da soli in un luogo sconosciuto. Paura che dura poco, però, perché anche un marziano è finito con la sua navicella in panne proprio sulla luna.

Come tornare a casa 

Come riusciranno il bimbo e il marziano a tornare a casa? E come faranno, da pianeti lontani, a conservare la loro amicizia?

L'impossibile, per Oliver Jeffers, è solo un'avventura a portata di immaginazione. A noi non resta che goderci il viaggio.


   
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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