Nuvole in scatola
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Lo conoscete quel detto secondo cui il battito d'ali di una farfalla può provocare un uragano dall'altra parte del mondo?

È un principio noto anche in fisica con il nome di "Butterfly effect".
Ecco, ora provate a sostituire le ali della farfalla con un calcio a un barattolo e otterrete (più o meno) il succo del libro di cui vi parlo oggi.

Tutta colpa del barattolo

Tutta colpa del barattolo, albo di Luca Tortolini illustrato da Maria Gabriella Gasparri e pubblicato da Sinnos, racconta una serie sempre più improbabile di eventi che hanno origine da un semplice, piccolo gesto: la protagonista, annoiata, vede a terra un barattolo, "tondo, lucido e perfetto", e decide di dargli un calcio.

Tutta colpa del barattolo

Poi il barattolo colpisce un lampione, che sveglia un topo, che attira l'attenzione di un gatto, che richiama un cane, che entrando in una stalla fa scappare dei bufali (...che al mercato mio padre comprò).

Pagina dopo pagina, accompagnati da poche parole e da illustrazioni dal gusto vintage, animate da ipnotici tocchi di colore fluo, i protagonisti coinvolti si fanno sempre più numerosi e lo spazio dell'illustrazione diventa sempre più caotico e improbabile.
Quella che inizialmente era una vicenda privata diventa un racconto corale (così come corale sarà la conclusione).

Il ritmo incalzante, che segna profondamente la lettura, si concede anche una pausa nel bel mezzo del racconto, depistando il lettore e convincendolo di trovarsi di fronte a una svolta, anche se si tratterà soltanto di un'illusione: il narratore sembra quasi giocare con un meccanismo che sembra ovvio ma riserva ancora delle sorprese.

Tutta colpa del barattolo

Il finale non rimetterà tutto in ordine (sarebbe impossibile) ma troverà in qualche modo un motivo a quanto successo: in un'ottica resiliente, i protagonisti sapranno guardare a tutti gli eventi accaduti come a una straordinaria avventura vissuta insieme.

Se c'è un insegnamento, in Tutta colpa del barattolo (non che sia necessario, sapete come la penso) è proprio questo: non puoi sapere cosa comporterà anche la più piccola delle tue azioni, ma c'è sempre qualcosa di buono che potrai ricavarne.


Capita mai ai vostri figli di giocare a dire le cose tutte al contrario?

È un esercizio tutt'altro che banale, perché bisogna capire quali parole si possano negare per non trovarsi, a furia di negazioni, a tornare al punto di partenza. Se si parte dalla frase "io amo la pizza", è possibile rovesciare il verbo (io odio la pizza) oppure l'oggetto (io amo l'insalata scondita), ma se si rovesciano entrambi ci si può ritrovare a enunciare una nuova verità, seppur diversa dalla prima (io odio l'insalata scondita).

È anche un gioco in cui l'allenamento aiuta ad affinare il lessico e una certa sensibilità per la lingua. Il Piccolo D, sei anni, si limita ad aggiungere delle negazioni qua e là, con effetti a volte cacofonici (io non ho non-fatto questo) mentre il Piccolo T, dieci anni, trova soluzioni più raffinate utilizzando i contrari o altre locuzioni.

Il libro bugiardo

È in questo gioco che ci si ritrova catapultati leggendo Il libro bugiardo di Fabrizio Silei, edito da Uovonero.

Se il titolo non fosse sufficiente, ci pensa il contrasto tra testo e immagini a far capire immediatamente il tono della narrazione: se le parole deescrivono il protagonista Gedeone come "basso e grasso" e con un "cane enorme e terribile", le illustrazioni ci mostrano un uomo longilineo che tiene in braccio un docile cagnolino. Il libro bugiardo è decisamente un libro in cui testo e immagini lavorano in modo complementare, e il senso nasce specificamente dal loro contrasto.

Il libro bugiardo
 
La narrazione procede narrando storie di strada, di senzatetto (che il libro bugiardo definisce "ricchi"), di lotte per il territorio, vite ai margini che non troviamo così facilmente in un albo illustrato. Ma qui c'è lo zampino di Uovonero, casa editrice attenta alla diversità e all'inclusione per vocazione.

Il libro bugiardo
 
Quando ai primi due protagonisti si aggiunge una terza "ricca", i senzatetto diventano artisti di strada, e mano a mano che la narrazione prende questa nuova piega risolutiva, in cui la coralità e la cooperazione si sostituiscono alla miseria e alla lotta, anche la prosa bugiarda si fa meno marcata, più pronta ad accogliere sfumature di verità, e l'esercizio di distinguere il falso dal vero si fa più complesso.

Il libro bugiardo

Al di là della storia in sé, Il libro bugiardo lascia nel lettore quella voglia di scardinare i meccanismi narrativi, di sollevare il velo della narrazione per scovare le bugie e le verità.

Il libro bugiardo resta però prima di tutto un libro profondamente divertente, che tocca un tasto molto vicino alla sensibilità comica dei bambini, sempre divertiti dai rovesciamenti della realtà, e lo fa con parole semplici e dritte (grasso/magro, ricco/povero), che non lasciano dubbi o incomprensioni.
A completare l'opera, c'è un ricco paratesto che fa il gioco del libro: copertina, retro, frase conclusiva sono tutti sberleffi verso il lettore (468 pagine! 500 miliardi di copie vendute, solo a Parma!), compresa l'esilarante scheda dal libro, raggiungibile da un qr code in quarta di copertina.

Dire le bugie è una cosa da non fare mai, insomma, a meno che non si voglia far ridere.


Lasciar vagare lo sguardo senza fissare un punto preciso, vedere come i dettagli balzino agli occhi quasi da soli, come se fossero loro a imporsi alla vista: mi affascina il meccanismo visivo e cognitivo che si attiva di fronte a un libro o a un gioco "cerca-trova". 

10 cani in città

10 cani in città di Charles Dutertre (Sinnos editrice) attiva proprio questo meccanismo e si presta a diverse modalità di lettura.

L'invito al gioco parte dal Camillo, un bambino che parte alla ricerca di dieci cani che si aggirano liberi in città.
Già: 10 in cifre, in barba alle consuete norme editoriali e giornalistiche, perché il numero è parte dell'aspetto ludico del gioco, che vede una progressione da 1 a 10 nei cani da cercare, dando così rilievo al dettaglio numerico.

Tutte le ambientazioni occupano una doppia pagina, brulicante di dettagli curiosi. Si passa dal parco al mercato, dall'autobus al museo.

10 cani in città

In ogni doppia pagina una didascalia (di volta in volta integrata nell'immagine in modo diverso) invita alla ricerca dei cani, ma propone anche delle sfide ulteriori:

8 cani vanitosi sono entrati nel salone di bellezza del parrucchiere.
Io pure avrei bisogno di una tagliatina di capelli!
CERCA ANCHE: 1 barbecue - 6 tazze di caffè - 3 gatti con i bigodini.

Il meccanismo ad accumulo (ogni volta c'è un cane in più) aggiunge un ulteriore elemento non scritto alla sfida: individuare di volta in volta quale sia il cane "nuovo", quello mai visto prima, che si aggiunge ai precedenti.

Ma anche senza seguire pedissequamente le istruzioni del libro, 10 cani in città può essere sfogliato ed esplorato come un vero e proprio wimmelbuch, alla scoperta di giraffe che guidano delle miniautomobili, castori pronti a mangiarsi un tronco servito su un piatto da portata, cavalli che sorseggiano una bibita con la cannuccia al tavolino di un bar: la città e i suoi ambienti regalano una varietà incredibile di situazioni, personaggi, scenette che catturano e divertono, con il gusto stilistico della vignetta e quello narrativo del nonsense.

Le storie finiscono solo quando il nostro sguardo decide di guardare altrove.


A volte non serve andare lontano per vivere la natura: ci sono piccoli tesori verdi che si possono trovare proprio sotto i nostri piedi.

Piccolo verde 

Ce lo raccontano Chiara Carminati e Massimiliano Tappari con Piccolo verde, un cartonato che Editoriale Scienza ha pubblicato nella collana "I libri dell'Orto", in collaborazione con l'Orto botanico dell'università di Padova (della stessa collana fanno parte anche Con le mani nella Terra e Tra foglie e fogli, di cui vi avevo già parlato).

In Piccolo verde ritroviamo il formato tanto caro ai due autori, poetessa lei, fotografo lui: un cartonato quadrato, dai bordi stondati, in cui sulla pagina di destra spicca una fotografia mentre quella sinistra ospita il testo.

 Piccolo verde

Avevamo già visto questa formula, ad esempio, in A fior di pelle, Quattro passi, e, in formato leggermente diverso, in Occhio ladro: l'occhio e l'obiettivo di Tappari colgono dettagli inconsueti, la penna di Carminati ne inventa la storia. 

È un percorso di scoperta, di attenzione al dettaglio, di sguardo nuovo su cose già viste.

C'è in Piccolo verde una differenza sostanziale rispetto agli altri libri citati: non troviamo infatti la consueta correlazione tra singola poesia e singola immagine, ma vi è un solo componimento che scorre lungo le pagine, due versi alla volta, raccontando di volta in volta la foto.

Foto e parole ci invitano a guardare a terra, anche in un contesto urbano, per scoprire piccoli giardini in miniatura che crescono dove meno ce lo aspettiamo: tra le fughe di due piastrelle, tra i fori di un tombino, da un tubo rimasto aperto, piantato a terra.

 Piccolo verde

Gli autori ci invitano a soffermarci, a meravigliarci, ad andare oltre la semplice idea di "pianta che cresce tra i sassi" e a immaginare mondi in miniatura e piccoli giardini, ammirarne le forme, le geometrie, le simmetrie e il caos, a costruirvi delle storie.

Anche l'attenzione per le cose si può allenare con un po' d'arte.


C'è un periodo, nemmeno tanto breve, dopo la nascita, in cui la mamma non è una persona, ma un odore, un certo tipo di calore, una voce: un insieme di sensazioni fisiche che fanno stare bene il bambino.

Piccola pantera

È così che la racconta Chiara Raineri in Piccola pantera, un albo pubblicato da Camelozampa che invita il piccolo lettore ad assaporare le informazioni sensoriali di ciò che lo circonda.

Con le sue parole semplici, le frasi brevi, le ripetizioni, Piccola pantera parla il linguaggio dei più piccoli (non esiterei a proporlo già dai 2 anni o poco prima), che saranno catturati anche dal meccanismo di scoperta dato dalle alette.
Ogni pagina di destra, infatti, si apre spalancando un nuovo spazio allo sguardo e dando un ritmo molto regolare alla lettura.

La pagina di sinistra ospita una constatazione sensoriale: è morbida, è nera, ha un buon odore.
Sulla destra vediamo l'oggetto a cui questa affermazione sembra riferirsi: una felce, la notte, un fiore.

Piccola pantera

Quando la pagina di destra si apre, vediamo la piccola pantera nell'atto di "sentire": toccare la felce, guardare e ascoltare la notte, annusare il fiore.

Piccola pantera

Troviamo in Piccola pantera un altro elemento comune al pensiero dei più piccoli: la personificazione degli organi di senso e movimento:

È morbida,
dice la zampa di piccola pantera.

È come se la zampa avesse vita propria, un proprio intelletto, una propria capacità autonoma di sentire e dire (vi è mai capitato di sentire un bambino dire "non è colpa mia, sono le mie mani che lo hanno fatto cadere"?).

La pagina di sinistra è scura, con piccoli punti bianchi. Sulle prime verrebbe da pensare alla pantera che tiene gli occhi chiusi, per concentrarsi meglio sulle altre sensazioni.
Solo alla fine (spoiler, ma inevitabile per raccontare il libro) scopriamo che tutte le caratteristiche che la pantera esplora nel mondo attorno a sé sono quelle della sua mamma: morbida, nera, dolce e così via.

Piccola pantera rappresenta un po' il percorso esplorativo tipico di ogni bambino, che scopre il mondo con sicurezza solo perché ha il porto sicuro della mamma ad accoglierlo al suo ritorno, e che parametra tutto, all'inizio, a ciò che conosce meglio di ogni altra cosa: lei.


Una cosa che apprezzo di molte trame di fiction (siano libri o film o serie tv) è quando scopro che un particolare che sembra messo lì a caso in realtà trova il suo preciso posto nella storia. Come quei gialli in cui il colpevole emerge a ritroso ricostruendo pezzetto per pezzetto tutti gli indizi lasciati sulla scena del crimine.

Una torta per Findus

Tolto l'elemento truculento del delitto, Una torta per Findus dello svedese Sven Nordqvist, recentemente pubblicato in Italia da Camelozampa con la traduzione di Samanta K. Milton Knowles, presenta un po' gli elementi del giallo che da una scena iniziale ci porta a scoprire la sua origine.

Il "caso" da risolvere è questo: la gente dice che Pettson, il protagonista dall'aspetto rustico e un po' burbero, sia un po' matto. È stato visto passare dal tetto per andare in negozio e legare al gatto una lunga tenda colorata. Saranno illazioni oppure a tutto c'è una spiegazione?

È così che si avvia la narrazione, che ritorna a quel giorno, in cui Pettson festeggiava il compleanno del suo gatto Findus.

Findus festeggiava il compleanno due volte l'anno, perché così era più divertente.

E il suo padrone Pettson gli vuole preparare una torta di pannkakor (che bello il suono di certe parole svedesi, che già ti trasporta lontano), ma manca la farina.

"Hai mangiato tu la farina, Findus?"
"Io non ho mangiato proprio nessuna farina" disse Findus, impermalito.
"Allora sarò stato io" mormorò l'omino, grattandosi il naso.

Questi simpatici siparietti si ripeteranno con la stessa struttura più volte durante il racconto, che fa di queste formule una delle chiavi su cui si regge l'inanellarsi delle vicende.

Una torta per Findus

Per prendere la farina, serve la bici, per riparare la bici servono gli attrezzi, per prendere gli attrezzi serve la chiave della falegnameria... è in questa concatenazione di eventi che scopriamo piano piano tutti gli elementi di quella famosa scena chiave.

Ma lungi dal risolversi tutto in una formula ingessata e ripetitiva, Una torta per Findus inserisce questo piacevole meccanismo di ripetizione e accumulo in una storia articolata, dal ritmo sostenuto, ricca di dettagli e di scene divertenti, che ci immerge nell'ambiente ma soprattutto ci fa conoscere i due insoliti protagonisti, l'adulto/anziano con la testa fra le nuvole e il suo gatto parlante con i pantaloni verdi, personaggi amatissimi in Svezia e nel mondo, con la loro serie di cui questo non è che il primo capitolo (in Italia ne erano usciti solo due titoli).

Se come me anche voi avevate conosciuto Sven Nordqvist per Passeggiata col cane, potreste restare stupiti dalla varietà di toni che questo autore sa esprimere. Con l'onirico silent book che abbiamo conosciuto, Una torta per Findus condivide forse soltanto il gusto per le illustrazioni dettagliate e per una certa "stramberia".

Ma l'atmosfera surreale e visionaria della "Passeggiata", è qui sostituita da uno stile allegro e fumettistico. 

Sono stravaganti, certamente, alcuni ragionamenti di Pettson o l'abbigliamento di Findus, così come insolite sono certe prospettive che trasformano la pagina quasi in una tavola architettonica, con le stanze riportate sul foglio da angolature differenti, che pongono il punto di vista del lettore quasi dentro la scena, dentro il percorso compiuto da Pettson, anziché davanti al libro.

Una torta per Findus

Restano, di Una torta per Findus, una sensazione di leggerezza data dall'impianto comico della narrazione, ma anche un affetto inevitabile verso i due protagonisti, che incuranti delle disavventure e delle dicerie della gente, vanno dritti per la loro strada, perché una buona torta in buona compagnia conta più di una buona reputazione.


Uno dei problemi della sensibilizzazione sulle tematiche ambientali è la difficoltà di trasmettere il senso di urgenza.

È un po' quello che succede quando si parla di rischi dilazionati nel tempo, come la cattiva alimentazione che porta a problemi di salute ma solo in differita: c'è sempre il pensiero che "c'è tempo" o, per quanto irrazionale, che "a me non succederà".

Estintopedia
 

Forse per uscire da questo vicolo cieco può essere d'aiuto visualizzare chiaramente quello che già è successo, focalizzare le conseguenze che si sono già avverate. Ecco, credo sia questa l'importanza di un albo come Estintopedia, che accanto alla funzione meramente divulgativa contiene come un monito a non ripetere gli errori del passato.

Estintopedia

Scritto da Serenella Quarello, con le illustrazioni di Alessio Alcini e la revisione scientifica di Marco Ferrari,  Estintopedia, edito da Camelozampa, ricorda nello stile grafico gli antichi bestiari ottocenteschi: la forma visiva rispecchia così il messaggio: stiamo parlando infatti di animali del passato, che non ci sono più, ed è come se li guardassimo attraverso pagine antiche.

Dopo un iniziale storytelling su due specifici esemplari, gli ultimi della propria specie ormai scomparsa, Estintopedia si snoda su capitoli tematici suddivisi con logiche variabili: si parla di animali per categoria (ad esempio gli uccelli), ma anche di "classici" come il Dodo, o di animali passati alla leggenda. 

Le affascinanti illustrazioni ci portano alla scoperta delle diverse specie scomparse o quasi: alcune molto somiglianti a quelle che ancora calcano la terra del nostro pianeta, altre molto più curiose (è stata fonte di grande meraviglia, per me, la zampa dell'ayé ayé, in grave pericolo ma non ancora scomparso, con il suo "dito a spiedino").

Estintopedia

Accanto ai capitoli più descrittivi, Estintopedia parla anche di metodo, raccontando ad esempio  le tecniche con cui siamo riusciti a risalire a caratteristiche e fattezze di animali scomparsi da tempo, grazie ai reperti ritrovati, e storie di indagine scientifica che hanno portato a scoprire che alcune specie che si credevano estinte in realtà non lo erano.

Estintopedia

Si indagano le cause, in larghissima parte di origine antropica, e gli strumenti che abbiamo per arginare il fenomeno; si raccontano storie di ricerca scientifica e nuove prospettive.

Estintopedia

Quello che emerge da Estintopedia non è insomma soltanto il racconto di qualcosa che è stato, ma quello di un processo, ancora in corso, di studio e di ricerca per non ripetere gli stessi errori.

Imparare dagli animali del passato è un'assicurazione sul nostro futuro.


Di solito funziona così: passiamo cinque giorni chiusi tra case auto libri e fogli di giornale, poi nel week end cerchiamo la natura in qualche posto più o meno lontano.

Forse invece sarebbe un buon esercizio imparare a riconoscere che la natura è anche attorno a noi. Imparare a vederla, prima di tutto, poi a guardarla e infine, per salire di livello, ad averci a che fare.

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana di Colonel Moutarde, Guido Tommasi Editore (il "papà" di LupoGuido) ce lo insegna, con un gradevole albo che unisce gusto adulto e bambino: le illustrazioni nette e stilizzate, talvolta virate allo stile del fumetto, si accompagnano a colori rilassanti e polverosi, e il testo è breve ma denso, e si accosta alle immagini quasi esclusivamente sotto forma di didascalia.

Pagina dopo pagina, Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana fa quel che promette nel titolo: ci porta alla scoperta di uccelli, piccoli mammiferi e insetti che possiamo incontrare senza andare troppo lontano, nel parco cittadino o nel giardino di casa: passeri, cince, piccioni, scoiattoli, ricci, rane, api, coccinelle e molto altro. È quasi sorprendente scoprire la biodiversità che ci abita sotto gli occhi e che normalmente non notiamo.

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana

Ogni specie viene descritta nelle sue caratteristiche per poterla riconoscere, ne vengono esposte alcune curiosità e abitudini, il verso (difficile riconoscerlo tramite un'onomatopea su un libro, ma ci si prova!), lo stato di conservazione: alcune specie sono protette, di altre è meglio evitare la proliferazione.

Soprattutto, il libro si sofferma sul contributo che possiamo dare noi umani. Come nutrire un uccellino durante l'inverno? Come capire quando un riccio ha bisogno di aiuto? Ma anche: come evitare la proliferazione delle vespe nel posto sbagliato?

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana dà a queste domande risposte puntuali spesso affiancate a quello spirito creativo dil riciclo e recupero dei materiali di rifiuto, che trasforma bottiglie di plastica in mangiatoie e vecchi vasi da fiori in ripari per gli animali.

Non mancano, infine, alcune soluzioni pratiche per il giardino o il terrazzo, piccoli consigli di giardinaggio e una panoramica sulle piante che ci circondano, quelle tossiche e quelle utili.

Si tratta di un manuale agile, da sfogliare per soffermarsi solo dove serve o da leggere da cima a fondo per capire meglio l'ambiente attorno a noi. Un libro adatto ad adulti e bambini, se non fosse per il font, uno script che purtroppo rende poco leggibile il testo.

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana

 Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana ci mostra insomma che per fare un'esperienza nella natura, a volte, non serve andare lontano.


"Vale più la pratica che la grammatica" recita un detto popolare.

La pedagogia e le teorie didattiche più moderne lo confermano: le indicazioni vanno verso una didattica non più frontale, in cui il bambino è parte del processo di scoperta e di acquisizione della conoscenza, in cui si stimolano la condivisione e la discussione in un'ottica maieutica, in cui la nozione non viene calata dall'alto, ma scaturisce dal bambino stesso.

Fin qui, però, è tutta teoria: è ancora la grammatica della pratica, se mi perdonate il bisticcio.
Come trasformare queste linee guida in qualcosa di operativo?

Laboratorio minimo con l acqua

A volte per guardare avanti basta fare un passo indietro: era il 1995 quando Mario Lodi iniziava a dirigere la collana "Laboratorio minimo", dei testi mirati a stimolare una mentalità di ricerca nelle classi.

Oggi, in occasione del centenario della nascita (Mario Lodi è nato il 17 febbraio 1922), Editoriale Scienza ripropone in versione aggiornata Laboratorio minimo con l'acqua, uno dei titoli di questa collana, scritto con Gioacchino Maviglia e Aldo Pallotti, che con Lodi fondarono la  “Casa delle arti e del gioco" di Drizzona (Cremona) e illustrato da Marisa Moretti.

Laboratorio minimo con l acqua

Esposto in forma di resoconto, narrato in prima persona da un bambino, Laboratorio minimo con l'acqua racconta l'esperienza di esplorazione dell'acqua fatta in classe. La forma pseudo-narrativa facilita l'accesso al libro anche da parte di un bambino che desidera ripercorrere le stesse esperienze, ma non c'è dubbio che il pubblico privilegiato di questa opera sia l'adulto, insegnante o educatore che vuole riproporre alla propria classe questa modalità di lezione così coinvolgente ed efficace.

Non a caso, in appendice, segnalate da una differente impaginazione, si trovano alcune note didattiche, che motivano la scelta dell'acqua come tema portante e lasciano spunti e riflessioni sulle modalità da utilizzare per proporre il laboratorio ai bambini e sull'efficacia di questo metodo.

Laboratorio minimo con l acqua

La prima cosa che stupisce leggendo queste pagine è l'assoluta naturalezza dello svolgimento del laboratorio: Laboratorio minimo con l'acqua sembra rispondere a tanti dubbi sulla reale applicabilità di metodiche partecipative.

I gesti da cui prende avvio ogni laboratorio sono semplici, anzi: molti di essi ogni bambino li ha già provati spontaneamente, assecondando il proprio istinto all'esplorazione. La differenza sta nella guida del maestro che invita a osservare, a comparare, a trarre conclusioni.

Laboratorio minimo con l acqua
 
La lezione-che-non-sembra-lezione avanza così, tra gocce che cadono su una superficie e dita infilate nell'acqua, travasi, piccole pozzanghere dai bordi curvi, tentativi di schiacciare l'acqua.
 
Si tratta di attività solo all'apparenza oziose, che in realtà mirano a esplorare le caratteristiche di un liquido, il concetto di trasparenza, la tensione superficiale e altre caratteristiche fisiche dell'acqua: nozioni che verranno acquisite in modo molto più sicuro ed efficace (e più "scieintifico") di quanto non si possa fare attraverso un libro. 
 
Perché è così che si impara meglio: mettendo le mani in pasta. Anzi, nell'acqua.

Non ci siamo già visti da qualche parte?

Isotta

È questo il primo pensiero che si fa di fronte a Isotta, o perlomeno è questo il pensiero di chi ha già letto Pluk e il Grangrattacielo (io ve ne ho parlato qui mentre qui vi ho recensito il secondo volume Pluk e gli animali da salvare), degli stessi autori Annie Schmidt e Fiep Westendorp, sempre edito da LupoGuido.

Sì, perché in Isotta ritroviamo moltissime delle tematiche care a Pluk: la presenza di bambini che si dimostrano a volte più maturi degli adulti, un rapporto speciale con la natura e in particolare con alcune specie animali, con cui i protagonisti riescono a parlare, una coralità fatta di personaggi decisamente sui generis.

Anche la struttura editoriale è analoga, con capitoli di media lunghezza, adatti all'ascolto anche in età prescolare, e grandi illustrazioni.

Emerge qui come sostanziale differenza l'elemento della famiglia, per quanto si tratti di una famiglia nucleare, composta da Isotta e dal padre. Se Pluk era solo, sebbene circondato da una pluralità di amici e compagni d'avventura, Isotta viaggia con il padre, lo chef Toni (no, non è "quello" chef Tony e non vende coltelli miracolosi!).

Isotta

E come in una famiglia, i due si prendono cura l'uno dell'altra, anche se in un modo più paritario del consueto: se è vero che Toni cerca di proteggere la figlia e di assicurarle una vita tranquilla, è più spesso Isotta a tirare fuori il padre dai guai: è lei, ad esempio, l'unico rimedio alle folli crisi di rabbia di Toni, che gli causano parecchi guai, tra i quali il licenziamento con cui si apre il libro.

Toni è un cuoco molto abile, ma "non ha le carte in regola" e questo aspetto, unito agli irrefrenabili accessi d'ira, gli impedisce di trovarsi un contratto di lavoro stabile.


Isotta è, in sostanza, il racconto del vagabondaggio della bambina e di suo padre dopo il licenziamento, alla ricerca di soluzioni per vivere e per guadagnare qualcosa: i due si accamperanno accanto a un lago, poi Toni troverà una serie di lavori saltuari che non avranno esito positivo, fino alla rasserenante soluzione che chiude il romanzo, sempre ricco di personaggi curiosi, di avventure colorate e di alleanze improbabili con stormi di uccelli, una famiglia di topolini e con un cane poliziotto di buon cuore ma ligio al dovere.

A fare da sottotesto alla mera trama, vi sono diversi dilemmi più o meno esplicitati dal testo.

Ad esempio quello della diversa dignità data agli animali, secondo il rapporto che abbiamo con loro (Toni si rifiuta di fare un paté di tordi, che sono suoi amici, ma li sostituisce con del pollo, che sempre un uccello è), o quello della tensione tra senso del dovere e affetti (il cane poliziotto viene meno al suo ruolo, almeno per un po', perché ammaliato dalle carezze di Isotta).

Isotta

L'elemento che forse ho trovato più divertente è stato però l'enfasi data alle "carte" di Toni, quei documenti non in regola che gli impediscono di trovare lavoro.
Gli uccelli, che vogliono aiutare Isotta e il padre, rubacchiano cartacce di ogni genere per fargli avere "le carte" che gli mancano, senza rendersi conto che non gli bastano dei pezzi di carta qualsiasi.
Ho colto tra le righe una certa satira sull'eccesso di burocratizzazione che rallenta la nostra società e a volte ostacola anche le persone meritevoli, e forse anche un'ottica un po' bambina, quello sguardo che vede "il lavoro" e "le scartoffie" dei genitori come qualcosa di astratto, adulto, incomprensibile e forse un po' vuoto.

Leggere Isotta Ã¨ quindi un equilibrio continuo tra infanzia ed età adulta, in cui non sempre è chiaro da che parte stia il senno e da che parte l'irrazionalità: un bell'esercizio, per grandi e piccoli, a non dare nulla per scontato.


   
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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