Nuvole in scatola
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Più del primo passo, più della prima parola, forse anche più del primo sorriso, una delle cose che, da mamma, mi emoziona di più, è il primo segnale che il bambino capisca le nostre parole, anche se ancora non le sa usare.
Per il Piccolo D, questa emozione è passata attraverso uno dei nostri libri preferiti.



È stato durante un cambio, sul fasciatoio, quando ho detto al Piccolo D: "Mi dai una manina, così la assaggio?". Non mi aspettavo reazioni da parte sua se non un sorriso in risposta al mio, ma lui, per la prima volta, me l'ha allungata, e sapevo che il merito era di Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini.

Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini è ormai un classico per la prima infanzia, ed è forse, tra quelli che conosco, il primo "vero libro" adatto fin dai primi mesi, nei quali di solito ci si limita ai
cosiddetti libri-dizionario (quelli che accostano in ogni pagina una singola immagine a una singola parola).



Il libro è una grande filastrocca, ritmata e con una struttura ripetitiva, che presenta tanti bimbi che vengono da ogni parte del mondo. Sono tutti diversi tra loro per molte caratteristiche, ma tutti
 "si sa, come tutti i bambini,
hanno dieci dita alle mani
e dieci dita ai piedini" 
(in inglese Ten Little Fingers and Ten Little Toes, se volete usare questo libro, così ritmato e memorabile, come primo approccio a una lingua straniera).



A prima vista può sembrare un libro "difficile" per i bimbi più piccoli, ma i motivi del suo successo sono tanti, e tanti i motivi per amarlo.
Innanzitutto, il testo è musicale e ricco di rime. La voce della mamma diventa così una cantilena in cui il bimbo trova conforto. E anche la struttura ripetitiva, con un "ritornello" ricorrente, crea dei suoni riconoscibili e rassicuranti.
Ma soprattutto, ci sono le manine e i piedini da toccare, coccolare e stuzzicare ogni volta che il testo li nomina, così la lettura diventa una coccola piacevole per la mamma e per il bimbo, oltre che un modo per imparare a dare un nome alle mani e ai piedi (e a emozionare la mamma sul fasciatoio).

Il risultato è questo: il Piccolo D si apre in un sorriso irresistibile ogni volta che prendo in mano Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini, e se glielo metto davanti insieme a un paio di libri perché ne scelga uno, si butta a capofitto su quello (e cerca di mangiarlo: è il suo modo per esprimere apprezzamento).

Sull'onda dell'entusiasmo per la nuova scoperta del Piccolo D, ho voluto creare una piccola attività che lo aiutasse a riconoscere le parti del proprio corpo.
Per prima cosa, ho stampato e ritagliato due foto (identiche) del suo viso, più la foto di una mano e la foto di un piedino (dopo innumerevoli tentativi falliti di farlo stare fermo in modo da fare delle foto decenti, ho optato per delle immagini trovate sul web).



Ho incollato le foto su un cartoncino, le ho ritagliate e le ho "plastificate" ricoprendole di nastro adesivo trasparente alto (se avete una plastificatrice tanto meglio). Delle due copie del viso, ne ho lasciata una intera, e dall'altra ho ritagliato occhi, naso e bocca.



Infine, le ho proposte al Piccolo D, facendogliele vedere (insieme a uno specchio dove guardare la propria immagine), indicando le diverse parti e nominandole ("Questi sono gli occhietti"), e anche provando a stimolarlo chiedendogli dove fossero ("Dov'è la manina?").
Il Piccolo D ha dimostrato per ora il suo interesse prendendo in mano i cartoncini e cercando di mangiarli. In fondo, è quello che faccio sempre io con le sue manine e i suoi piedini: come dargli torto?



 
Non credo nei "libri medicina": quelli che dovrebbero servire per parlare di un argomento, per affrontare dei problemi, risolvere dei capricci. Quelli con la morale, che insegnano ai bimbi a fare qualcosa. Un libro, per me, deve divertire, appassionare, non avere toni didattici: solo così può davvero insegnare qualcosa.

Non credo nel "libri medicina", dicevo, ma quando ero incinta del Piccolo D ci sono cascata lo stesso. Ho cercato un albo che parlasse al Piccolo T del suo nuovo ruolo da fratello maggiore, di cosa significasse non essere più l'unico bimbo in famiglia. Risultato? Un disastro.
Tutti i libri sul tema raccontavano storie di vita reale (ovviamente diverse da quelle che poi avremmo vissuto realmente, perché ogni famiglia è a sé) e lo schema era più o meno sempre lo stesso: nasceva un fratellino, il bimbo inizialmente contento passava in seguito una fase di odio/gelosia verso il piccolo, per poi scoprire, quando il bimbo cresceva, che avere un fratellino è bellissimo.

Ho parecchi motivi per non apprezzare libri del genere:
  • Raccontano situazioni in modo troppo didascalico. Non c'è astrazione, non ci sono metafore, solo una storia di vita quotidiana raccontata in modo fin troppo quotidiano, come se un bambino potesse immedesimarsi solo in qualcuno che gli assomiglia anziché, come fa ogni giorno, in un drago, un cavaliere, un dinosauro o una fata.
  • Non divertono e non emozionano. Cercano di raccontare dei sentimenti anziché farli vivere, il che, secondo me, è il modo peggiore per comunicarli.
  • Suggeriscono sentimenti negativi nei confronti del fratellino, come se fosse necessario averne.
  • Suggeriscono una soluzione, che però non può arrivare solo perché un libro la racconta. Nessuno può amare perché ha letto che un giorno lo farà.
Questa lunga premessa (scusate) l'ho fatta per dirvi che alla fine, per caso, ho trovato un libro perfetto per un bimbo che sta per diventare fratello maggiore. E, guarda caso, è un libro che non parla affatto di bambini, di fratelli o di sorelle.



Tu (non) sei piccolo è prima di tutto un libro che fa ridere.
È un albo fatto da disegni semplici, con personaggi buffi e curiosi e una sola battuta per pagina. La storia? Eccola: ci sono un mostriciattolo arancione e un mostriciattolo viola che si "accusano" a vicenda di essere, rispettivamente, troppo piccolo e troppo grande.



Entrambi si ritengono normali perché conoscono un sacco di altri mostriciattoli uguali a loro.
("Vedi? Loro sono esattamente come me. Sei tu che sei piccolo!")


A dirimere la questione arriveranno tanti mostriciattoli minuscoli e un mostro gigantesco, che faranno scoprire ai protagonisti che tutto è relativo: "Tu sei piccolo, ma anche grande", con un finale tutto da ridere.

Ecco: secondo me è questa la grande rivoluzione che si trova ad affrontare un bimbo a cui nasce un fratellino. Improvvisamente non è più il piccolo di famiglia. È grande, deve prendersi alcune responsabilità e capire che non c'è spazio solo per lui. Ma resta piccolo, è ancora un bambino che ha bisogno delle coccole e del tempo della sua mamma e del suo papà.

Non c'è stato bisogno di spiegarlo, al Piccolo T. È stato lui stesso a dirmi, una volta, "Io sono grande rispetto a D. e sono piccolo rispetto a te e al papà".
E a quel punto l'ho rassicurato: "Tu sarai sempre il nostro piccolo".

Cosa si può fare di un concetto tanto serio e profondo? Giocarci sopra!
Mi piaceva l'idea di sdrammatizzare il nostro essere tutti grandi e piccoli allo stesso tempo, e così ho trovato su Pinterest l'ispirazione per un gioco in cui tutti possono diventare grandi e piccoli:

Il gioco dei personaggi mattoncini




Per cominciare, si preparano le pedine, stampando e ritagliando le foto di tutti i componenti della famiglia (lo so, il Piccolo D non può ancora giocare, ma ho preparato una pedina anche per lui). Si possono disegnare o stampare anche delle immagini di piccole mani e piccoli piedi.



Ora, aprite la vostra scatola di Lego e iniziate a comporre le pedine. Dovrete attaccare con un po' di nastro adesivo la testa e le mani su un mattoncino e i piedi sotto un altro mattoncino (guardate la figura per capire come attaccarli).
Attaccate tra di loro i due pezzi del Lego e avrete ottenuto le pedine da muovere sulla plancia di gioco.



La plancia di gioco potete stamparla dal mio pdf. In ogni casella troverete un'indicazione: dovrete ogni volta aggiungere o togliere mattoncini al vostro personaggio, attaccandoli tra la testa e i piedi fino a farlo diventare altissimo o bassissimo.
Ci sono delle caselle speciali in cui si regala o si toglie un mattoncino agli altri giocatori o rinunciare a tutti i mattoncini che avete.

Ci si muove sulla plancia di gioco tirando un dado. Il gioco termina dopo un certo numero di giri che avete stabilito all'inizio, altrimenti potete giocare a tempo utilizzando una clessidra o un timer. Vince chi al termine del gioco ha il personaggio più alto.




La nostra prima partita è finita così, con il Piccolo T molto più grande di me. Io ne ho approfittato per fare un po' di capricci e farmi fare le coccole.


EDIT (giugno 2019): Il libro, esaurito, è finalmente tornato disponibile, in versione bilingue, con testo italiano-inglese e in due versioni: con copertina rigida e in formato tascabile.



   
Si dice sempre che i bimbi non vengono al mondo con il libretto di istruzioni.

Quando il Piccolo D aveva sette mesi e io ho ricominciato a lavorare le nonne hanno accettato con gioia di occuparsi anche di lui. Con gioia, sì, ma anche con un po' di preoccupazione: questa volta i bimbi da tenere erano due, e per una serie di motivi il Piccolo D aveva passato pochissimo tempo con loro fino a quel momento.
E così fioccavano i dubbi: "Ma mi spieghi bene come devo fargli la pappa?" "A che ora fa il riposino?" "Dove lo tengo quando è sveglio?"
Allora ho capito: se è vero che i bimbi non vengono al mondo col libretto di istruzioni, potevo almeno scriverne uno io.

È così che è nato

il kit salva-nonne.



Vi ispira l'idea? Allora ve la racconto meglio.
Volevo creare qualcosa che, oltre a rispondere alle loro domande, fosse anche un ringraziamento per  la loro presenza e il loro aiuto prezioso. E sapevo che il miglior modo per farlo era attraverso le immagini dei loro nipotini.

Ho preso allora due scatole di scarpe e ho creato un'etichetta con le foto del Piccolo T e del Piccolo D e una frase dedicata alle nonne, che facesse capire che non davamo per scontato il loro sforzo. Ho scritto quello che le foto mi ispiravano:

Raddoppia la fatica, raddoppia la tenerezza.

E sotto:

Grazie per il lavoro che fate per noi.

E dentro la scatola cosa ci si mette? Prima di tutto, le istruzioni: come preparare la pappa, cosa dare per merenda, i suoi orari, le sue abitudini, i trucchi per addormentarlo (indispensabili!), i giochi che preferisce.



Poi, un "kit" di oggetti utili:
  • un cambio completo
  • un ciuccio
  • un biberon
  • omogeneizzati e farine
  • salviette
  • un pannolino (simbolico: oltre alla scatolina ho consegnato naturalmente il resto del pacco).



Cosa manca? Un pensierino per le nonne, naturalmente. Ad esempio qualche cioccolatino, oppure – perché no? – un bel libro. Qualcosa che possa aiutare a creare un momento di gioco e di condivisione tra la nonna e il bambino. Magari proprio un libro che parla di nonni.

Ad esempio la tenera filastrocca Nonni cucù!, della collana Zerotre di Franco Cosimo Panini, che descrive con rime divertenti tanti nonni che fanno cose curiose, tutti da scoprire dietro le alette del libro.

In ogni pagina c'è anche un invito a compiere un movimento o a imitare un suono, insomma: a giocare. Inoltre, il libro si basa sul meccanismo del "cucù", che può "uscire" dal libro per diventare un gioco a sé (uno dei preferiti dai bimbi piccoli).


Oppure, per le nonne che amano far da mangiare (voi ne conoscete alcune che non lo fanno?), Le tagliatelle di nonna Pina, la famosa canzone dello Zecchino d'Oro "tradotta" in libro (con CD allegato) dalle illustrazioni di Silvia Ziche.

Così i nonni possono crearsi un momento di gioco e divertimento che farà divertire moltissimo i bimbi, usando libro e canzone nel modo che preferiscono (guardando il libro mentre cantano la canzone o inventando un "balletto" mentre ascoltano il cd).



Non resta che... consegnare il bambino alla nonna e andare al lavoro.
Dai: ce la potete fare.

PS: Se avete paura che le "istruzioni" possano offendere le nonne, conditele con un pizzico di ironia.
Spiegate loro chele avete scritte per tranquillizzarle, ma che sapete benissimo che faranno un ottimo lavoro. In fondo, hanno cresciuto dei capolavori come voi!




 
E con "tessori" non intendo citare solo la saga del Signore degli Anelli, ma anche la star di tutte le pedagogiste, la Montessori, anche se, come ho scoperto, il "cestino dei tesori" tanto caro agli asili montessoriani non l'ha inventato la Mariona nostra, ma una certa Elinor Goldschmied, che sulle nostre mille lire con la sua faccia non ci è mai finita (per forza: era inglese).

Ok, stop alle divagazioni e torniamo a noi.
Avete presente tutti i sonaglini, pupazzetti, aggeggi da mordere per la dentizione e giochini vari che avete comprato al vostro bebè? E avete presente il fatto che invece il vostro bebè vuole giocare con qualsiasi cosa gli capiti a tiro tranne i suddetti giochi?
Ecco, la prima motivazione per creare un cestino dei tesori è questa.
La seconda è che il "gioco euristico" (cioè, in soldoni, il gioco di scoperta e sperimentazione basate sull'esperienza pratica, sensoriale) è di fondamentale importanza nello sviluppo del vostro bambino.




Il cestino dei tesori è un gioco da proporre ai bimbi dai sei mesi (quando iniziano a stare seduti bene) a un anno circa, e che diventerà molto probabilmente la loro attività preferita.
È composto da un cestino, appunto (dai bordi non troppo alti, in modo che il bimbo, da seduto, possa afferrare agevolmente quello che c'è all'interno), e da una serie di oggetti molto semplici, non "strutturati", che il bambino potrà toccare, assaggiare, esplorare.

Niente giocattoli, quindi, nulla che emetta suoni elettronici, nessun pupazzo. Nella sua versione originale, il cestino dovrebbe contenere soltanto oggetti di materiali naturali (legno, tessuto, metalli) e niente plastica, ma qui si è deciso di fare un'eccezione.

L'essenziale è che, qualsiasi cosa mettiate nel cestino dei tesori, sia sicura per il bambino, quindi:
  • non tagliente
  • non tossico
  • lavabile
  • di dimensioni abbastanza grandi, in modo che non possa essere inghiottito
  • che non si "sciolga" (nella versione originale del cestino la carta è ammessa, ma vista la velocità con cui diventa poltiglia da inghiottire nelle grinfie del Piccolo D, preferisco evitare).
Gli oggetti dovrebbero stimolare il più possibile i cinque sensi, offrire esperienze diverse per forma, consistenza, peso, texture della superficie, colore, lucentezza, suono che fanno se sbattuti uno contro l'altro.

Quanti oggetti? Per i bimbi più piccoli ne bastano quattro o cinque, per non sovrastimolarli. Dopo che avranno familiarizzato con il gioco, si potrà aumentare il numero.

È importante anche che ogni tanto ci sia un ricambio di oggetti, per continuare a incuriosire il bimbo, che dopo un po' rischierà di annoiarsi.

Questo è stato uno dei primi cesti dei tesori multisensoriali del Piccolo D:


  • uno stampino in silicone da muffin (morbido, liscio, flessibile)
  • un sasso liscio ben lavato (freddo, pesante, poroso)
  • la conchiglia di una capasanta (irregolare, liscia da un lato, ruvida e zigrinata dall'altro)
  • un panno in microfibra e un nastro di tessuto (morbidi, porosi, leggeri, colorati)
  • due tappi di omogeneizzati (freddi, lisci, fanno rumore).

Dopo un primo approccio "generalista", si può variare creando cestini tematici.

Il cestino dei contenitori


con barattoli di yogurt, stampini per ghiaccioli, contenitori per congelare il latte e altre cose simili, per scoprire i pieni e i vuoti e gli oggetti che si infilano uno dentro l'altro.

Il cestino dei tessuti




 con spugnette, nastri, panni, feltro, lavette, tessuti di tutti i tipi, per esplorare le diverse texture, colori e consistenze.

Il cestino "metallaro"




 con tappi di metallo, chiavi, cucchiai e attrezzi vari di cucina, purché non taglienti (io avevo usato il mio setaccio per la farina e lo spremiaglio, togliendo per precauzione la parte interna, nel timore che fosse troppo piccola). Il bimbo potrà sperimentare la sensazione di un materiale freddo e lucente nelle sue varianti, e sentire il tintinnio che può provocare sbattendo gli oggetti tra loro.

Il cestino delle spazzole


Un'esperienza sensoriale molto originale: un approccio con setole e denti, da creare proponendogli spazzole per capelli, per scarpe (nuove o molto ben lavate), pennelli da trucco, spazzolini, bigodini.


Qualche altra idea?
  • Il cestino delle palline, con palline di vari materiali e dimensioni e altri oggetti che "rotolano" (tubi, ruote dei Duplo).
  • Il cestino del legno, con mestoli di legno, anelli per tende, pigne, un grande tappo di sughero.
  • Il cestino degli specchi, con oggetti metallici, cd, specchietti da cipria.
  • Il cestino monocromatico, che raggruppa oggetti di forme e colori diversi ma di uno stesso solore (ad es. un pezzo di duplo arancione, un'arancia, una stoffa arancione, ...).
E poi, che si fa? Si lascia il bimbo da solo a toccare, leccare, maneggiare, mentre ci si gode una decina di minuti di libertà.
Sempre che ci riusciate: io ho passato il tempo a guardare il Piccolo D mentre faceva i suoi esperimenti.


PS: Non sono sicura della sua efficacia pedagogica in questo caso, ma per qualche arcana ragione il cestino è stato apprezzato anche dal fratello maggiore.

Le macchinine del Piccolo T: ricordate? Le abbiamo lavate, abbiamo fatto il pieno; per strada abbiamo trovato qualche semaforo rosso, ma lo abbiamo superato. E ora? 
Be', ora da qualche parte bisognerà pure parcheggiare. Magari in un parcheggio multipiano di cartone riciclato.


Ecco cosa serve per realizzarlo:
  • una scatola di scarpe
  • quattro rotoli di carta igienica
  • una base di cartone più altri ritagli vari
  • colla
  • un fermacampioni
  • colori e nastro adesivo per decorare.


La base di cartone inferiore deve avere un lato pari al lato lungo della scatola e l'altro lato più largo.
Prima di incollare, meglio fare una prova di assemblaggio: appoggiate la scatola sopra la base tenendola sollevata con i quattro rotoli; ritagliate un'apertura nella scatola, senza staccare del tutto il bordo; preparate una rampa di cartone che sia più larga dell'apertura, in modo da riuscire a creare una rampa con dei bordi sollevati, e lasciate lo spazio per la sbarra di accesso.

Come creare la sbarra.
Preparate due piccole colonne di cartone e aprite in entrambe un fessura alta quanto la sbarra.
Posizionate le due colonnine con le due fessure una di fronte all'altra, a una distanza tale che la sbarra di cartone possa infilarsi in entrambe le fessure.
Fissate la sbarra a una delle colonnine con un fermcampioni, in modo che la sbarra possa sollevarsi.

 
Ora non resta che aggiungere, a pennarello, i segni delle corsie e dei posti auto (fatelo anche al piano di sotto, prima di incollare la scatola in alto).


Assemblate tutti i pezzi, incollando la rampa da un lato sulla linguetta di cartone che avete ricavato dall'apertura della scatola, e dall'altro lato sulla base inferiore.


Infine, aggiungete qualche decorazione, con colori e nastro colorato, sui bordi, la sbarra e le colonne. E  anche l'insegna del parcheggio, naturalmente.



Scusi, signor parcheggiatore, quanto si paga qui all'ora?
Saper leggere i disegni è una cosa che diamo spesso per scontata: la riscopriamo un po' quando abbiamo dei figli.
Ricordo lo stupore nel vedere come il Piccolo T imparava ad associare il concetto di "cane" alla figura stilizzatissima in bianco e nero di uno dei suoi libri, a quella colorata, in tutt'altro stile, di un altro albo, a una foto e infine al cane in carne, ossa e pelo dei nonni. Un'operazione cognitiva che compiamo tutti i giorni, ma che, osservata per la prima volta su un bambino, sembra magica.

In fondo, giocare con i disegni è sempre un atto di astrazione.
E così, il gioco può diventare una sorta di esercizio mentale, di sforzo a guardare oltre, che aiuta a sviluppare la fantasia e la creatività dei bimbi. Ne è un perfetto esempio Trasformattrezzi, edizioni Lapis.



Trasformattrezzi è un libro che gioca con i segni e in un certo senso dimostra che il disegno non è la cosa che rappresenta, ma la ricorda solo per somiglianza, e che può arrivare a rappresentare altro.
Ok: mi sono persa troppo nella semiotica (scusate, a volte mi sento ancora universitaria). Meglio farvi vedere come funziona.

Ogni doppia pagina presenta uno strumento di lavoro (ad esempio "Prendo una bella carriola arancione").



Sollevando l'aletta (sulla quale c'è scritto "e la trasformo..."), un dettaglio del disegno iniziale diventa la parte di un nuovo disegno (in questo caso "un terribile serpentone").



Il testo procede, in rima, presentando sempre nuovi attrezzi e nuove trasformazioni.
La musicalità delle parole, l'attimo di sorpresa nello svelamento, i colori forti e il divertimento di poter indovinare il risultato della trasformazione fanno di questo libro un successo assicurato con i bambini.

Al di là dell'apparente semplicità, penso che questo meccanismo contenga un lavoro mentale davvero potente; motivo in più per continuare a sperimentare lo stesso gioco con carta, matita e scotch.


Su una strisciolina lunga, ho fatto un disegno che avesse un particolare sporgente. Ho poi piegato il foglio coprendo tutto il disegno tranne quel particolare.
L'ho fissato al tavolo col nastro adesivo, perché conosco il mio Piccolo T, e sapevo che avrebbe come prima cosa tentato di aprire il foglio.
L'ho poi invitato a completare il disegno come preferiva.

Se non vi piace disegnare, potete coprire con un foglio parte delle illustrazioni di un libro: ecco qui come abbiamo trasformato (il Piccolo T era la mente, io il braccio) un elefante in polpo e un albero in uccello giocando con gli elementi di Tatiana struzza africana, un divertente albo sugli animali africani e sulla vanità.


O ancora, potete stampare il pdf che ho preparato, ripiegando poi il foglio fino alla linea tratteggiata:




Insomma: disegnate voi, usate un libro, stampate: quello che conta è mettersi all'opera!


Lo sapevate che una carota può diventare un topino con la coda intrecciata?



PS: nella stessa collana trovate anche Trasformanatura, con frutti, alberi e altri elementi naturali che si trasformano in nuovi disegni.

   
Qui da noi le cannucce sono un evergreen. Non so quale oscuro potere magico abbiano, ma appena il Piccolo T le vede, siano destinate a una bibita o a un gioco (ve lo ricordate il soffiabirinto?) gli si illuminano gli occhi.

È stato così anche quel pomeriggio in cui, per lui e un suo compagno di giochi, ho inventato il soffio al bersaglio.



Come nei migliori giochi improvvisati in casa, per il soffio al bersaglio bastano pochi minuti e pochissimi materiali: un rotolo di scotch carta, due cannucce, due pompon.


Che si fa, quindi?

Con lo scotch carta si delimitano sul pavimento:
  • una linea di partenza
  • due "corridoi"
  • un'area bersaglio.
Si posizionano i pompon dietro la linea di partenza e ognuno dei due giocatori, soffiando attraverso le cannucce, dovrà mandare il pompon nell'area bersaglio, passando attraverso il corridoio.
Secondo l'abilità dei giocatori, è possibile creare percorsi più complessi, con diversi passaggi obbligati e magari dei punti aggiuntivi per chi passa attraverso un certo punto del percorso.



È assicurato: i vostri bimbi resteranno senza fiato (letteralmente!).

 
Tira il boccino, lancia la boccia. Adesso tocca a te. Ecco, misuriamo: la gialla è più vicina. No, guarda! È più vicina la rossa!
Belle le bocce in spiaggia, eh, però alla lunga...

Ma perché dovremmo usare le bocce solo per giocare a bocce?



Anche questa volta ho preso spunto da Giochi da spiaggia di Editoriale Scienza, il libro di cui vi avevo parlato la settimana scorsa.
Nell'attività numero 17, il libro invita a utilizzare quello che offre la spiaggia o poco più per creare dei giochi da fare in compagnia.



Ed è stato proprio ispirandomi alle "breccette" (una via di mezzo tra bocce e freccette) di Giochi da spiaggia che ho inventato

il sabbiagolf


Il tutorial, oggi, sarà velocissimo: non solo perché il gioco è facile facile, ma anche perché sono riuscita a scattare una sola foto a tradimento prima di essere richiamata all'ordine a continuare la partita.

Quindi:
  1. Preparate uno spiazzo stretto e lungo.
  2. Armatevi di bocce (o biglie)
  3. Scavate una, due o più buche, grandi a sufficienza perché ci entrino le biglie.
  4. Assegnate a ogni buca (se ne avete fatta più di una) un punteggio.
  5. Opzionale: aggiungete dossi, tunnel e ostacoli, proprio come in un percorso di minigolf.



Ora armatevi di paletta e colpite le bocce (oppure, se usate le biglie, tiratele a mano) come fossero palline da golf.
La buca più difficile da raggiungere sarà quella con il punteggio più alto.

Chi vincerà?
Il Piccolo T, ovviamente (e no, non perché lo faccio vincere io: è che sono più imbranata di un quattrenne).

Buone vacanze a tutti!

     
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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