Nuvole in scatola
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Leggere ad alta voce è sempre un rapporto a tre: il lettore, il libro, il bimbo che ascolta.
Un rapporto sinergico, in cui libro e lettore lavorano insieme per dare vita a un racconto che il bambino accoglie. È questa sinergia che permette di superare la materialità del libro e di entrare nell'immaterialità della storia.

Ma cosa succede se tra il libro e il lettore si rompe qualcosa?
Può accadere, a volte, quando un libro è scritto male, o quando per varie ragioni non rientra nei gusti di chi lo legge. Allora il lettore lo legge svogliatamente e non riesce a trasmettere quello che vorrebbe.

Oppure può accadere di proposito, perché è il libro stesso a rompere questo legame (per finta, però). E allora il risultato è esilarante.


Il libro senza figure inizia dando voce alla perplessità che sicuramente avrà colto i piccoli lettori guardandolo:
Penserai che non è tanto divertente farsi leggere un libro senza figure.


Poi, però, svela a tutti un segreto-non-segreto sulla lettura ad alta voce: l'adulto che legge deve leggere tutto quello che c'è scritto sul libro. Proprio tutto.
È così che funzionano i libri, giusto?

Èd è così che Il libro senza figure di B.J. Novak inizia a far dire a chi lo legge le cose più strane e buffe.


Lo svelamento di quella che è la regola tacita (il lettore che deve "obbedire" al testo) provoca un effetto straniante e comico al tempo stesso.
Il libro prosegue con una doppia voce, caratterizzata da due tipologie di lettering diverso: in grande, c'è la voce "ufficiale" del libro, in piccolo (li immaginiamo sussurrati quasi di nascosto, come se il lettore non volesse farsi sentire dal libro stesso) i commenti del lettore che cerca di ribellarsi a tutte le cose assurde che gli fa dire il libro.

Tra queste, suoni onomatopeici di ogni tipo, ammissioni imbarazzanti, lodi al bambino che ascolta e che ha scelto proprio un bel libro da farsi leggere.


I bambini che ascoltano (in una lettura di gruppo funziona ancora meglio) si divertiranno moltissimo vedendo il lettore ridicolizzato da un libro, e forse avranno anche l'occasione di riflettere su cosa significhi leggere ad alta voce.

Il modo migliore per rendersi conto di quanto possa essere esilarante Il libro senza figure Ã¨ ascoltare una lettura del suo stesso autore (in lingua originale):



Nel libro senza figure un ruolo fondamentale è giocato dal lettering.
Un font diverso e una diversa dimensione "impongono" al lettore toni e volumi di voce molto diversi.
È come se le immagini, che il libro non ha, fossero in realtà all'interno delle parole stesse.

Se lo leggete a un bambino in età scolare (in generale il libro è adattissimo già a un pubblico dai tre anni), potete poi giocare con i font e con le scritte, notando come il modo di scrivere possa influenzare la lettura.

Come direste "buongiorno" in questi tre casi?


E chi vi fa più paura in queste due scritte? Cappuccetto Rosso o il lupo?


Divertitevi a giocare con le parole e il modo di scriverle: fatele disegnare e interpretatele, o disegnatele voi e lasciatele interpretare a loro.

Se tutto va bene, cresceranno consapevoli che al mondo non esiste solo il Comic Sans. ;)

Conoscete la Giornata dei calzini spaiati?
Nata dall'idea dei bimbi di una scuola primaria friulana, è stata diffusa dalla loro maestra e da alcuni clown volontari di VIP - viviamo in positivo, associazione di clowterapia.
L'idea è di "vivere spaiati" per un giorno (quest'anno è domani, venerdì 9 febbraio), indossando due calzini diversi, per colorare i piedi, il mondo e la vita.

Se la cosa vi piace, fatevi anche una foto e pubblicatela sui vostri profili social, o sulla pagina Facebook ufficiale dell'evento, con l'hashtag #calzinispaiati.


E qui sul blog, che si fa?
Visto che essere "spaiati" ci piace un sacco, abbiamo raccolto dai vecchi post un po' di idee, giochi e ovviamente libri per divertirci insieme. Tutto a tema calzini, naturalmente.

La lavatrice in scatola.

Iniziamo da lei: la responsabile della presenza di così tanti calzini involontariamente spaiati nel mondo: la lavatrice.
Se avete una scatola delle dimensioni giuste, potete costruirne una usando il tutorial che avevo pubblicato tempo fa.
Perfetta per il gioco simbolico, vi permetterà di lavare e stendere tutti i calzini che volete.

La lavatrice formato quiet-book.

Se invece volete optare per una soluzione più portatile, costruitela in feltro, preparando un quiet book con tanto di filo per stendere i panni.
Anche in questo caso, potete affidarvi al mio tutorial.

Il tunnel pieno di calzini.

E se di calzini spaiati (ma anche calze) ne avete proprio tanti, e avete anche un piccolo gattonatore per casa, riciclateli costruendo un tunnel di cartone per rendere più movimentate le sue prime avventure a quattro zampe.
È stata una delle prime creazioni per i miei bimbi, e anche il primo post di Nuvole in scatola.

Il calzino George.


Cos'altro creare con un calzino in più?
L'eroe di un libro, ad esempio.
Abbaia, George è uno dei libri più divertenti che abbiamo mai letto, ed è diventato, sotto forma di calzino, il protagonista di un gioco che ha divertito molto il Piccolo T e anche parecchi bambini alla mia prima lettura in biblioteca.
Scoprite come costruirlo nel mio post.


Le calzette.


E non poteva mancare un libro che parla proprio di calzini coloratissimi e dispettosi: Le calzette, di Matthieu Maudet.

Divertente, spiritoso e fantasioso, ha lo spirito perfetto per celebrare in allegria la giornata più spaiata di tutte.

Si spai chi può!


 
"Mamma, mi dai una fetta di torta?"
"Per..."
"Per me!"
(io e Piccolo T, qualche anno fa)
 
Le buone maniere non sono affatto intuitive. Se ci pensate, non rientrano nelle funzioni basilari della comunicazione. Il messaggio passa ugualmente, anche senza un "per favore" o un "grazie", e per un bimbo che sta imparando a formulare bene le frasi, economizzare sulle parole è importante.

Per le buone maniere vale ciò che vale per tutto il resto: per insegnarle in modo efficace, serve il buon esempio, e magari un po' di divertimento.


Per favore signor Panda non è un libro sulle buone maniere, nel senso che l'insegnamento non è la prima cosa che emerge leggendolo.
Emerge invece l'irresistibile flemma del panda, che con lo sguardo annoiato che gli dipinge Steve Anthony, offre ad altri animali (tutti bianchi e neri come lui) delle belle ciambelle colorate.


Gli animali (quasi tutti) accettano, e con fare un po' perentorio scelgono il dolcetto preferito.
Ma il panda cambia idea.


Prima delle buona maniere, insomma, emerge questo: la forza ironica delle illustrazioni, la comicità del gesto di questo animale gigante, che prima offre e poi va via, ripetutamente, senza dare spiegazioni.
Poi arriva lui, un lemure (almeno credo). Arriva in modo curioso, perché lo vediamo emergere dal bordo inferiore della pagina, mentre il panda è a testa in giù (è il lemure che è appeso, ma la scena è rappresentata dal suo punto di vista).


Come "spoilera" il titolo, il lemure chiede "per favore", ma anche il finale, pur premiando la gentilezza, non è affatto scontato e strappa una risata.

Non ci sono insegnamenti pedanti, non ci sono spiegazioni didascaliche. C'è soltanto una storia basata sulla ripetizione e sulla variazione (il piacere del già visto, il gusto della scoperta). Una storia che fa ridere, da leggere e rileggere, e un personaggio che "vince" sugli altri grazie al suo comportamento.
Nessuna regola, solo il buon esempio e il divertimento. È così che si impara meglio.

Piccola nota: la qualità di un libro è anche nei dettagli.
Sapete cosa sono i risguardi? Sono le due pagine che si trovano all'inizio e alla fine di un libro, quelle che "incollano" la copertina al resto delle pagine. Sul mio profilo instagram ho iniziato a raccoglierne alcune immagini. Di solito sono bianchi o con motivi decorativi. A volte, oltre a decorare, raccontano, aggiungendo qualcosa al libro.
Come in questo caso: il primo risguardo è una texture di coloratissime ciambelle, tra le quali si mimetizza un personaggio che conosceremo poi nel libro. Nel risguardo finale, tutte quelle ciambelle non ci sono più, e qualcuno ha la pancia piena.


Potevo non inventare un gioco su Per favore signor Panda?
Dal fascino grafico delle ciambelle, rotonde e con la glassa colorata e decorata, mi sono lasciata ispirare per un gioco a carte semplice, veloce e adatto anche ai più piccoli.

Nel pdf stampabile troverete quattro diversi tipi di carte: tre per formare una ciambella (la base, la glassa in tre colori diversi e la granella colorata) e una carta "per favore".

Volete giocare? Scaricate il pdf, ritagliate le carte e plastificatele o incollatele su un cartoncino.


Si gioca da 2 a 4 giocatori (forse 5: non abbiamo provato).

Scopo del gioco è preparare tre ciambelle con la glassa di tre colori diversi, combinando le tre diverse componenti: base, glassa colorata e granella.

Si distribuiscono due carte a ogni giocatore e si lascia in mezzo il resto del mazzo, girando una prima carta di “scarto”.
Si gioca in senso orario.
A ogni turno, il giocatore pesca una carta, prendendola dal mazzo o (solo se può usarla subito) dal mazzo di scarto, quindi esegue un’azione:
1. se ha “fatto una ciambella” (cioè se ha le tre carte con la base, la glassa e la granella), può mettere le tre carte scoperte davanti a sé, poi pesca altre due carte per averne nuovamente due in mano.
OPPURE
2. Se ha una carta “per favore” può giocarla, prendere una ciambella già fatta da un avversario (però chiedendo per favore!), e metterla davanti a sé.
OPPURE
3. Se non ha le tre carte per formare una ciambella, né una carta “per favore”, scarta una carta a scelta.
Il turno passa al giocatore successivo.

Quindi: ogni turno inizia sempre pescando una carta. Alla fine del turno il giocatore deve avere sempre due carte in mano, quindi scarta o pesca finché ne ha due.

Vince chi riesce a mettere davanti a sé tre ciambelle di tre colori diversi.



"Mamma, ma con la carta Per favore uno non dovrebbe prenderle tutte le ciambelle?"
(ma perché l'ho fatto così precisino, mio figlio?)





Ci sono mille leggende su come nascono i bambini: sotto un cavolo o portati dalla cicogna, influenzati dalla luna nuova o piena. Non ci sono molte storie, però, su come nasca un genitore.
Forse è perché succede da adulti, e si pensa che gli adulti non abbiano più bisogno di storie. O forse perché si pensa che le storie debbano essere per forza delle storie inventate.


Quello di cui vi parlo oggi non è un libro per bambini. E in un certo senso non è nemmeno un libro per genitori, o meglio, non per genitori qualunque.

Un bimbo mi aspetta parla soprattutto a chi un bimbo lo ha nel cuore, ma non ancora a casa sua.
Un bimbo mi aspetta Ã¨ il diario di un'adozione. Un diario reale, di un papà reale, che ha adottato una bimba reale.
Ve lo devo dire: Arnaldo, il papà che ha scritto questo diario, è uno dei miei amici più cari, e la storia di questo libro un po' l'ho vissuta anch'io, dai suoi racconti, dalle sue emozioni. Arnaldo è una persona incredibile, un vulcano di idee e di iniziative, ma soprattutto un uomo dalla sensibilità profonda e mai banale (no, non lo sto promuovendo sul mercato: è felicemente sposato!).


Sulla pagina Facebook ha iniziato a raccogliere i suoi pensieri sul percorso che stava affrontando.
Lo ha fatto come se parlasse a quel bimbo (una bimba, si è poi scoperto) che stavano aspettando, o meglio: che stava aspettando loro.

Sì, perché è questo il ribaltamento di prospettiva che fa Arnaldo: parla dell'adozione non come un'attesa del genitore, ma come quella di un bambino.
Il bambino esiste già, è già nato. Ed è solo, da qualche parte nel mondo, ad aspettare due genitori che possano dargli una famiglia.
La cicogna, immagine-simbolo del libro, non porta il solito fagottino neonato, ma mamma e papà.


Arnaldo parla alla bambina con grande emozione, o forse sarebbe meglio parlare di emozioni al plurale.
C'è l'impazienza dell'attesa, l'amore verso la famiglia, la rabbia di scontrarsi (in ordine sparso) contro la burocrazia, le procedure, la natura che non funziona come dovrebbe, le domande dei conoscenti, le cure, gli speculatori.



Il testo è una valanga di pensieri e di emozioni, attraversa ritmi e toni di voce diversi.
È poetico quando parla del suo amore per la moglie, scherzoso quando insegna qualche cosa a Mia, come se fosse lì accanto a lui con i mille "perché" di ogni bambino, allusivo quando racconta, senza troppi dettagli, il percorso della fecondazione artificiale.
Ed è magico, sempre, perché se c'è una cosa che traspare da questo libro è che sia necessario credere alle favole per farle avverare.

In queste pagine, Arnaldo parla a Mia, ma si firma solo "papà": è un papà, uno qualsiasi, che racconta alla sua figlia adottiva tutto quello che ha fatto, e soprattutto quello che ha provato, per averla.

Un bimbo mi aspetta Ã¨ un libro sull'essere genitori adottivi, ma in fondo, sull'essere genitori e basta.


Non ho mai sopportato le domande del tipo "se tu fossi un colore, cosa saresti?".
Come ci si fa a identificare in un colore solo? A meno che la domanda non venga fatta a un pastello a cera, naturalmente.
Eppure anche in questo caso, la risposta non è sempre scontata come sembra.


Rosso è un pastello rosso, appunto. O almeno, così c'è scritto sulla sua etichetta.
Perché in realtà, quando si cimenta nel colorare qualcosa di rosso, non gli riesce poi tanto bene.


E a differenza dei suoi compagni di scatola, che fanno sempre esattamente quel che ci si aspetta da loro, Rosso sembra proprio non riuscirci mai.


Come succede sempre in questi casi, tutti hanno qualcosa da dire: ognuno di quei pastelli così perfettamente inquadrati nel proprio ruolo ha la sua interpretazione, magari velata dall'ombra di un giudizio.


C'è anche chi prova ad aiutarlo, come Matita, che poi è la voce narrante del libro.
Il fatto è che Rosso non ha "un problema": semplicemente ha addosso l'etichetta sbagliata. E per fortuna riuscirà a scoprirlo.




Rosso Ã¨ un Brutto anatroccolo moderno (ma in fondo senza tempo), metafora di tante situazioni che ritroviamo nel nostro quotidiano.
L'etichetta sbagliata appiccicata addosso a qualcuno può rovinare tutto e a volte, per stare bene, basta solo accettare di essere diversi da quello che gli altri si aspettano.

Pregiudizi, diversità, autostima, identità: sono temi profondi, attualissimi, seri. Eppure Michael Hall riesce ad affrontarli con leggerezza e semplicità, costruendo una storia divertente e coinvolgente, che però non si ferma alla superficie.

Ho voluto mettere alla prova il Piccolo T con un disegno (lo so: non ho una carriera da illustratrice davanti a me). Guardando i colori, doveva doveva appiccicare la giusta etichetta a ogni pastello, trovando la sua vera identità.


È un gioco che si può fare anche al contrario, partendo dalle etichette per colorare un disegno seguendo le scritte e non i colori. Un'attività che aiuta a riflettere, ad andare oltre le apparenze. Come Rosso.

Rosso. Una storia raccontata da Matita
Autore: Michael Hall
Anno di pubblicazione: 2016
Editrice Il Castoro
40 pagg, copertina rigida



Tutti i bambini sono degli inventori. Ogni giorno inventano navicelle spaziali, ricette dai gusti improbabili, nuove tecniche di salto sul materasso di mamma e papà.
Scoprire cosa c'è dietro le cose, per molti di loro, è più di una semplice curiosità: è voglia di replicare quello stesso meccanismo in una loro creazione.


Una piccola grande invenzione parla a bambini come questi: bambini come ero io, bambini come il Piccolo T, bambini cresciuti come il suo autore Anti Saar, che scrive libri per bambini ma costruisce anche flipper fai-da-te (li trovate qui).

Lo fa in una forma che è a metà tra il saggio e il romanzo: è il vero e proprio racconto di un'invenzione.

Una piccola grande invenzione (edito da Sinnos) racconta la storia di Ugo Piolo, l'inventore della molletta da bucato. In realtà non è chiaro se il vero inventore fosse proprio lui: il libro stesso ammette che di Ugo Piolo non c'è traccia sui libri di storia, anche se attribuisce la cosa a un errore di attribuzione, un po' come avvenne tra Meucci e Bell per il telefono.

Il tono di voce è leggero e curioso, ricco di trovate spiritose, ma mai fine a se stesse.
La narrazione, anche nei punti più umoristici, porta piccoli insegnamenti su come funzionano le invenzioni.

Il signor Bartalotti, ad esempio, aveva inventato degli scarponi che si consumano da soli senza utilizzarli, ma non ebbe mai molto successo.

La storia continua con Vincenzo Piolo, figlio di Ugo, che migliora l'invenzione del padre aggiungendo una molla.
Ma la storia della molletta, lo avrete capito, è solo un espediente per parlare di creatività, di soluzioni, ma anche di mercato (un'invenzione funziona solo se viene commercializzata e fatta conoscere, altrimenti muore).



Infine, la storia fa riflettere su come anche dietro gli oggetti più semplici e scontati ci sia un pensiero, un'idea.
Una molletta, nella sua semplicità, è una piccola opera di ingegneria. E può crearne di nuove.

Avete mai pensato a usare le mollette come elementi di una costruzione?
Se ci pensate, hanno due caratteristiche che le rendono perfette: stanno in piedi da sole, appoggiate sulle proprie "code", e possono tenere fermi degli elementi (che poi è il motivo per cui Ugo Piolo o chi per lui le ha inventate).



Basterà quindi aggiungere qualche stecchino da gelato (o da ceretta, o abbassalingua) e il gioco è fatto.
Si procede creando strutture base composte da due mollette e uno stecco.

Su queste strutture, accoppiate, si può appoggiare un altro stecco per proseguire la costruzione in altezza.



Si possono costruire grattacieli, con la stessa logica dei castelli di carta.
O anche semplici sedie.


Certo, bisognerà inventarsi un cuscino, o la nostra sedia farà la fine degli scarponi di Bartalotti.


 
A scuola non ho mai amato particolarmente la storia, ma le storie, quelle sì, mi hanno sempre appassionato. L'uomo è fatto per ascoltare storie, e le storie sono il nostro filtro per leggere il mondo.
Credo che una storia sia anche il modo più giusto per raccontare la shoah ai propri figli.
Non "la" storia, fredda, impersonale, ma il racconto di un vissuto, di un'esperienza, di un frammento di vita che in quella storia ci è passato attraverso.



Il violino di Auschwitz Ã¨ una storia terribile, una storia bellissima, una storia vera.

È un violino a raccontarla, parlando in prima persona.
Acquistato da un padre per la figlia Eva Maria, detta Cicci, finisce con lei ad Auschwitz, dove per un po' le permette di vivere una condizione migliore rispetto a quella degli altri deportati, perché la ragazza, grazie alle sue capacità di musicista, entra a far parte dell'orchestra che suona per le SS.

Il violino racconta la sua storia con parole semplici, adatte anche a bambini. Senza troppe introspezioni, metafore o riflessioni. In fondo, è solo un violino.

C'è solo un punto in cui la narrazione si lascia scivolare su un piano più astratto, ed è quando la storia (quella di Cicci e del suo violino) incontra per la prima volta la Storia.
È anche l'unico punto in cui le immagini non si limitano ad aggiungere espressività al racconto, ma lo completano.

Il testo non dice nulla, allude. È il titolo del giornale disegnato a spiegare.
E per l'adulto che legge è un pugno nello stomaco.

Per il bambino che ascolta, invece (perché credo che, soprattutto per i bimbi che per la prima volta si approcciano a questo tema, sia doverosa una lettura mediata dall'adulto), è il momento di fare domande, e di capire cosa stava succedendo, ma solo attraverso la voce di mamma o papà.

Anna Lavatelli ha ricostruito i fatti senza cedere troppo agli elementi romanzeschi, se non forse in alcuni dialoghi iniziali. Ma sono dettagli che passano, di fronte all'intensità di una storia che non ha bisogno di fronzoli per colpire dritta al cuore.

Le illustrazioni di Cinzia Ghigliano dicono tutto ciò che le parole non hanno potuto fare, per non cedere alla retorica.
Ci mostrano Eva Maria felice come una ragazzina con il suo violino nuovo in mano.

Ce la fanno vedere improvvisamente più adulta di fronte alla scelta della fuga per salvarsi.

E la mostrano infine privata di ogni età, e di molta della sua umanità, accanto al filo spinato del campo di concentramento, per poi farle ritrovare luce, bellezza e passione soltanto nel momento in cui si lascia andare al suono del suo strumento.


C'è anche il fratello di Eva Maria, in questa storia, e un biglietto con su scritto "La musica rende liberi". C'è la speranza, e c'è la tragedia.

Il violino di Auschwitz è esistito davvero, e la sua storia è arrivata a noi grazie al racconto dei sopravvissuti e al cuore del collezionista che lo ha comprato, una volta tornato in Italia. 
Le ultime pagine del libro riportano brevemente i fatti documentati, il destino dei protagonisti, la ricostruzione dell'accaduto.
Ho pianto, leggendo questo libro.
Penso che aspetterò ancora qualche tempo, prima di parlare di shoa al Piccolo T, ma quando sarà il momento, credo sarà da qui che inizierò.

PS: Non ho potuto farne a meno: ho cercato in rete notizie sui protagonisti di questa storia.
Ho trovato anche una foto: Eva Maria era bellissima. 
Un po' più adulta di come l'avevo immaginata. Nella foto guardava lontano.

Il violino di Auschwitz 
Autore: Anna Lavatelli
Illustratore: Cinzia Ghigliano
Edizioni Le rane di Interlinea
86 pagg.
Anno di pubblicazione: 2018


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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