Nuvole in scatola
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Avete mai voglia di una storia di cui riuscire a percepire suoni, rumori e odori?

Avete mai voglia di campagna, di campagna inglese, con il tè delle cinque e le stoviglie del servizio buono?

Ecco, Beatrix Potter è questo, per me: un viaggio in un'Inghilterra d'altri tempi, col suo bon ton e la sua quotidianità, la sua prosa misurata, i vestiti delle feste. Anche se i protagonisti sono animali e gli uomini fanno spesso la parte degli aguzzini.

 Le storie di Beatrix Potter

Le storie di Beatrix Potter è una raccolta, con la traduzione di Elena Spagnoli, curata da Pulce Edizioni, che ha avviato un progetto di recupero di albi illustrati d'altri tempi che ancora sanno parlare ai bambini di oggi. Vi si trovano le ventitré storie del mondo di Peter Coniglio, dalle più brevi (come La storia di miss Moppet, che Pulce ha già edito in cartonato) alle più articolate (alcune delle quali edite a loro volta da Pulce in singoli albi).

Le storie di Beatrix Potter è senza dubbio più... inglese dei singoli albi: un volumone grosso con la sua sovracoperta e la sua grafica editoriale d'altri tempi.

Anche la scelta di traduzione conserva (come già negli albi e cartonati) il gusto del lessico inglese, con i suoi "mr" e "mrs" e i nomi originali: solo Peter Coniglio è stato tradotto. E così ogni storia ci riporta in quel mondo, in cui anche le avventure più pericolose, come fuggire da un umano che vuole infilarti in un pasticcio di carne, conservano lo stesso aplomb.

Ci gustiamo la cura dettagliata dei disegni (Beatrix Potter era una fine osservatrice della natura e degli animali), la concretezza dei suoi racconti, così solida da farci dimenticare che gli animali antropomorfi siano un'invenzione, e scopriamo qualcosa di più sull'incredibile autrice.

Le storie di Beatrix Potter

Al termine di ogni racconto, infatti, si apre "La storia dietro la storia", un capitolo dedicato più ai lettori adulti che ai bambini. Curati da Lisa Emiliani, questi approfondimenti raccontano la vita di Beatrix Potter e la genesi delle sue opere: da dove è nata l'idea (lo sapevate che Beatrix Potter aveva un coniglio e lo portava a spasso al guinzaglio?), quale è stato il percorso editoriale (lo sapevate che si è autoprodotta le prime copie di Peter Coniglio?).

Le storie di Beatrix Potter

Non mancano foto, cimeli, testimonianze di quel mondo che ci appare tanto simile a quello da lei portato sulle pagine dei suoi racconti.

È un'opera per i piccoli che ancora si lasciano incantare dalle storie di animali e di campagna, e per i grandi che lo hanno fatto a loro tempo (o – chissà – che vogliono iniziare proprio ora!).


Ci sono libri che potrebbero essere stati scritti ora o trecento anni fa. Libri che non mancano di modernità, eppure emanano un'aura di eterno.

indovinello della tigre

E c'è qualcosa di eterno nella favola che Fabian Negrin ha scritto e dipinto in L'indovinello della tigre, edito da Edizioni Corsare, che unisce i canoni favolistici classici a un elemento più impalpabile, che scava più a fondo negli impulsi dell'animo umano.

indovinello della tigre

Protagonisti sono una tigre e un gregge di pecore, archetipi della forza e della debolezza, che qui rappresentano anche un'allegoria del potere e del popolo.

La tigre è un leader, le pecore lo temono ma ne sono affascinate.

Rinchiuse in una miniera, si lasciano affabulare dalla tigre affamata e malvagia, che le aspetta fuori e trova ogni stratagemma per mangiarsele.

"Guardate i miei occhi! Può uno così bello essere cattivo?"
chiese la tigre.

L'affermazione non è logica, ma non è di logica che le pecore hanno bisogno. E così la prima pecora esce e viene divorata.

Seguiranno le altre: una mossa da pietà, una convinta delle rassicurazioni della tigre, una sedotta dalla promessa di denaro. Una alla volta, le pecore escono senza aver imparato la lezione, ogni volta incontro allo stesso destino.

Una alla volta, sfilano le debolezze umane di fronte al potere: il fascino, la credulità, la paura, l'avidità.

E poi la vanità, anche quella dell'intelletto, quando la tigre propone un'indovinello e le pecore, una alla volta, escono per dare la risposta, dimostrando al tempo stesso la loro furbizia e la loro stupidità.

indovinello della tigre

Accanto allo stile testuale, distaccato e senza giudizi, proprio della favola, Fabian Negrin dipinge i protagonisti con tratti abili ed espressivi, valorizzati dall'utilizzo di un solo colore, nelle sue sfumature.

Le pecore hanno velli confusi tra loro, composti da tratti grossolani e ondivaghi: non si sa dove finisce una e dove inizia l'altra.

La tigre è finemente tratteggiata, istrionica, espressiva, capace di passare dall'arroganza a una (finta) disperazione, felina più che mai ma con posture decisamente umane.

indovinello della tigre

E se alla fine la malvagia protagonista pagherà le sue malefatte, ciò che resta di L'indovinello della tigre è comunque il suo carisma di leader, insieme alla facilità con cui il suo popolo (e non solo il suo) si lascia affabulare.


Di storie sul distacco ce ne sono tante: racconti in cui si mostra il bambino che deve uscire di casa per affrontare il mondo là fuori, il primo giorno di scuola, la prima gita.

A volte, forse, sarebbe interessante cambiare in qualche modo prospettiva.

Truman

È quello che mi sembra fare Truman, albo di di Jean Reidy e Lucy Ruth Cummins edito da Lapis, che affronta il cambiamento da un punto di vista inedito: quello di chi resta a casa.

Truman

Truman è una piccola e dolce tartarughina che vive con la sua amica umana, Sara.
La sua esperienza sul mondo è molto limitata: la casa dove si muove, preferibilmente portata in giro da Sara, e una finestra da dove guarda la strada e l'autobus numero 11 che passa.

Truman

Poi arriva il giorno in cui Sara esce con uno zaino più grande del solito e le lascia nel piatto più cibo del solito. Nell'albo i numeri – come i sassi nella teca di Truman o i fagiolini che Sara mette nella ciotola – sono indicati in grafica accanto agli oggetti a cui corrispondono, per assecondare il vezzo di molti bambini di ricontare sull'illustrazione gli oggetti nominati dal testo. Contare diventa per Truman, e il bambino che ascolta le sue avventure, un aggancio alla realtà, una prova della correttezza di ciò che ascolta.

Truman

Truman, insomma, resta solo, perché Sara quel giorno inizia la scuola materna, e si allontana prendendo proprio quello stesso autobus che la tartaruga vede dalla finestra. Il testo non lo dice mai esplicitamente, contribuendo all'immedesimazione con la tartaruga e con il suo spaesamento di fronte a una situazione nuova.

La casa, tutta da esplorare, sembra improvvisamente enorme, perché a passo di tartaruga non ci si muove molto velocemente. Si avverte un senso di libertà, di crescita e cambiamento, accanto ai tanti timori della piccola protagonista, e il ritorno di Sara sarà un momento di rassicurazione ma anche di orgoglio per aver affrontato quel momento da sola.

L'aspetto più interessante di Truman Ã¨ proprio questo rovesciamento: a temere il distacco non è la bambina che inizia l'asilo, ma il suo animaletto che resta a casa. Le emozioni che vive il piccolo Truman sono molto simili a quelle di un bambino al momento del distacco dalla mamma, ma il focus del racconto è traslato, proiettato altrove.

La bambina resta un personaggio comprimario, che non ha paura della novità che affronta, ma le va incontro con gioia. Questo doppio piano del racconto consente di rassicurare il piccolo lettore mettendo in luce la positività del percorso di inizio della scuola (che vediamo attraverso Sara), ma anche confortandolo su quanto sia naturale avere dei piccoli timori, gli stessi che avverte il piccolo Truman.

Il bambino che legge questa storia è contemporaneamente Sara e Truman, è una persona che cresce e va incontro alla scuola e al tempo stesso un essere che si sente abbandonato e ha paura. I due personaggi sono soltanto due sfaccettature dell'animo di chi vive un cambiamento: due pulsioni che, come Sara e Truman, a volte si allontanano e a volte convivono, senza per questo essere in contrastro tra loro.


Ci sono tanti modi per esorcizzare la paura del lupo, tanti modi per sconfiggere quell'archetipo di antagonista cattivo che abita le nostre favole e probabilmente il nostro inconscio.

Se tradizionalmente si usa la forza, facendolo uccidere da un cacciatore, è forse più attuale ingannarlo con l'astuzia.


Attenti ai ragazzi
 

È questo che succede in Attenti ai ragazzi di Tony Blundell, pubblicato da Il Barbagianni editore con la traduzione di Laura Bernaschi, dopo il fortunato Attenti alle ragazze. I due volumi sono giunti in Italia in quest'ordine, ma in realtà, l'autore ha pubblicato prima Beware of Boys e solo successivamente Beware of Girls (e se provate a sbirciare tra i libri che legge il lupo nell'incipit di Attenti alle ragazze lo potete facilmente verificare).

Il meccanismo dei due albi resta comunque il medesimo: un bambino (o una bambina) che con la sua astuzia fa diventare matto il lupo, salvandosi la pelle. Da qui il titolo, che rovescia il famoso "attenti al lupo".

Attenti ai ragazzi

Se in Attenti alle ragazze la bambina coinvolge il lupo in travestimenti sempre più assurdi e divertenti per farlo assomigliare alla sua nonnina, il protagonista di Attenti ai ragazzi lo prende per la gola.

Per prendere tempo, gli spiega che i bambini sono più buoni cotti che crudi e inizia a suggerirgli ricette sempre più astruse, dalla zuppa di bambino alla torta di bambino, tutte composte da ingredienti improbabili e per questo esilaranti.

Attenti ai ragazzi

Il lupo corre come un pazzo per cercare tutti gli ingredienti e... mi fermo qui per non rovinarvi il resto.

Posso dirvi invece che Attenti ai ragazzi, con le sue illustrazioni dal gusto un po' rétro e il suo ritmo incalzante, cattura i bambini (meglio di quanto non faccia il lupo!).
L'espressione del lupo, sempre più esasperato, è esilarante, e la struttura ricorsiva del testo permette di anticipare eventi e parole, rendendo il bambino protagonista della lettura.

Non solo: la proposta di ricette dagli ingredienti assurdi finirà per "uscire" dal libro e diventare gioco con la mamma e il papà, facendo a gara a chi si inventa la ricetta più buffa.

Attenti ai ragazzi

Insomma, oltre all'astuzia, c'è un'altra arma potentissima per esorcizzare tutti i lupi cattivi: ridere di loro.
 


 
Costruire capanne, tane, rifugi, è uno dei giochi preferiti dai bambini (di sicuro era il mio preferito, quando ero piccola): li fa sentire protetti, ma prima di tutto "padroni" di un posto, adulti nel loro piccolo regno, re autoincoronati di un pezzetto del mondo della loro immaginazione.

Tana 

All'apparenza, Tana, albo scritto da Melania Longo e illustrato da Alessandro Sanna, pubblicato da Il castoro, parla semplicemente di questo.

L'albo ci porta in quel mondo fin dal frontespizio, dove uno spago rosso tiene uniti i bastoni che formano la parola "Tana", quasi a sottolineare l'opera di ingegno e di costruzione dei bambini.

Tana 

La protagonista parla in prima persona. Non racconta una storia (non c'è vera e propria narrazione, nell'albo), si limita a descrivere la sua tana, come la vede lei: 

una casa di rami sottili e foglie canterine che si intrecciano di verde e profumano di fresco.


Tana 

E così prosegue, con toni ora quotidiani ora più lirici, raccontando il suo rifugio segreto, condiviso solo con il fratello (e un gatto), tutte le cose che ci hanno portato dentro, i giochi, l'immaginazione sconfinata che li accompagna.

Nelle illustrazioni, i due appaiono eterei, delineati come sono da un segno grigio e da colori delicati che a volte di fondono con lo sfondo. È come se la tana fosse più concreta di loro, come se fosse lei, in vero personaggio.

Tana

Certo: a volte, leggendo, restiamo perplessi (i bambini meno di noi!) dal fatto che questo gioco prosegua anche quando fuori nevica (non farà troppo freddo?), o da come i due fratelli si preparino il tè (ma come? Hanno un fornello nella capanna?).

Tana

Sarà il finale a dare una risposta.
Non lo svelo, ma non posso omettere che la risoluzione dell'albo porta con sé un rovesciamento. Un rovesciamento che però contiene anche una conferma: il vero luogo-rifugio di un bambino è prima di tutto l'immaginazione.


Ci avete mai fatto caso? Quasi tutti i libri "sulla rabbia" finiscono per dare soluzioni su come farla passare.

Eppure con noi stessi siamo in genere più indulgenti di così: ce lo concediamo, ogni tanto, un giorno un po' arrabbiato, magari perché abbiamo avuto una giornata pesante al lavoro, o perché semplicemente ci siamo svegliati male.

gastone musone

In Gastone Musone, l'autrice americana Suzanne Lang (con il marito Max Lang come illustratore) rappresenta la rivincita delle giornate storte, lo sdoganamento del diritto ad avere ogni tanto un brutto momento.

E in effetti nell'incipit vediamo subito il contrasto tra un ambiente esterno favorevole e quello interiore, tutto storto.

Era una giornata bellissima quando Gastone si svegliò e scoprì che niente andava bene.
Il sole era troppo luminoso, il cielo troppo blu e le banane troppo dolci.


gastone musone

L'amico Norman gli suggerisce che forse è solo arrabbiato, ma il piccolo scimpanzé nega.

D'altra parte, siamo abituati ad essere arrabbiati per qualche motivo, e lui non ne ha. Camminando nella giungla, i due incontrano vari animali che notano in Gastone i segnali tipici del malumore: sopracciglia aggrottate, postura curva.

Leggendo, anche il bambino inizia a farci caso, a pensare che a volte il malumore si vede, fisicamente, nelle persone.

gastone musone

In una sequenza che ricorda per grafica e ritmo analoghi passaggi di altri albi, come Ascolta e Buonanotte! (curiosamente, tutti della stessa casa editrice), i vari animali propongono a Gastone le loro diverse soluzioni: passeggiare sbattere i pugni, farsi un bagno.

La risposta di Gastone è sempre la stessa (e diventa un tormentone capace di far ridere il piccolo lettore): "Non sono arrabbiato".


gastone musone

Naturalmente lo è, anche senza motivo: ha semplicemente bisogno di esserlo, e di essere accettato con il suo malumore.

Gastone Musone Ã¨ diventato un'icona, nel mondo anglosassone, dove Grumpy Monkey è protagonista di una serie di albi: con il suo carattere scontroso, il muso dall'espressione così netta, riesce a conquistare il lettore. Il suo sguardo fisso e iracondo strappa facilmente una risata e conquista lo spazio della copertina, riempiendola con tutto il suo cattivo umore.

Proprio quel cattivo umore che, ogni tanto, possiamo permettere di concedere anche a un bambino.
 


Vi dico sempre che una delle cose che più caratterizza l'uomo è la capacità di creare, ascoltare, amare le storie. Non si tratta di un'abilità riservata ai grandi scrittori: tutti noi, quotidianamente, mettiamo insieme dei fatti in rapporti di causa-effetto, e diamo a episodi della nostra vita dei significati narrativi (se non fossi andato in quel locale non avrei mai conosciuto quella persona...).

In realtà, per il cervello umano, è molto più difficile accettare la casualità degli eventi che creare storie che ne mostrino i nessi causali.
Ecco perché il nonsense ci lascia sempre stupiti, con quel senso di straniamento che ci fa ridere e porta la nostra mente a lavorare per coprire quei vuoti che percepiamo.

Il canadese Jon Klassen, in questo, è un vero maestro (vi ho mai detto che amo Jon Klassen? Sì che ve l'ho detto) e lo dimostra perfettamente con Il sasso dal cielo, una novità edita in Italia da Zoolibri.

Il sasso dal cielo

Il sasso dal cielo è formato da cinque capitoli distinti, quasi cinque episodi in qualche modo autoconclusivi e al tempo stesso legati l'uno all'altro. In essi ritroviamo come personaggi alcuni degli animali che avevamo già visto in uno dei capolavori di Klassen, Voglio il mio cappello! (a proposito: è appena stato ristampato): una tartaruga, una marmotta (o almeno, io la interpreto come tale) un armadillo (ne ho avuto conferma dall'editore!), un serpente. Personaggi di poche parole e molti sottintesi.

Il sasso dal cielo

L'asciuttezza e il minimalismo di Klassen si esprimono negli sguardi fissi dei personaggi,  il suo grande marchio di fabbrica, capace di esprimere grande ironia, e nei testi: un puro susseguirsi di battute minimali, in cui il non detto prevale sul detto e tutto il gioco di inferenze viene lasciato al lettore.

Klassen non si concede nemmeno di segnalare chi dice cosa. Non c'è alcun narratore a spiegare "disse la tartaruga" o "rispose la marmotta l'armadillo". Il campo di voce è segnalato dal colore del testo, e tutto è così chiaro e ovvio che non ci chiediamo mai chi abbia detto cosa.

Il sasso dal cielo

Nonostante l'assoluta semplicità dell'albo (semplici le espressioni, semplice l'ambientazione, semplice il testo) l'intervento interpretativo richiesto al lettore è elevato: è lui a riempire i vuoti, immaginare stati d'animo, fare supposizioni e previsioni, ed è da questo lavoro che il lettore trae il maggiore godimento. Gran parte di questo coinvolgimento risiede in un classico meccanismo di suspense: il lettore conosce più cose di quelle che conoscono i personaggi e perciò resta in tensione in attesa degli eventi.

Mentre tartaruga e chiamiamola-marmotta armadillo si scambiano dialoghi apparentemente futili su quanto sia bello un posto o quanto sia meglio l'altro, il lettore vede qualcosa che loro non hanno visto: un sasso che sta cadendo dal cielo. Sa, quindi, che dalla scelta del posto dipende anche la loro salvezza.

Il "sasso che cade dal cielo" irrompe nel racconto in pagine mute che interrompono il dialogo. La sua immagine è completamente decontestualizzata: non sappiamo dove sia, rispetto ai personaggi, pur intuendo che stia da qualche parte sopra di loro (ma su quale dei due posti? Quello preferito dalla tartaruga o quello preferito dalla diciamo-marmotta dall'armadillo?).
A dirla tutta, non siamo molto certi nemmeno delle sue dimensioni: intuiamo sia grande perché occupa quasi una pagina intera ma non abbiamo riferimenti a riguardo, e supponiamo che stia cadendo solo da una piccolissima scia di sassolini che lascia sopra di sé (oltre che, naturalmente, dal titolo del libro stesso).

Il sasso dal cielo

Le piccole scaramucce tra i personaggi acquisiscono quindi un significato completamente diverso.
La sapiente composizione dell'immagine da parte di Klassen (lo so, sono un po' di parte quando si parla di Klassen) pone peraltro i personaggi in una porzione piccola e molto bassa rispetto all'ampiezza della pagina, lasciando sopra di loro una grande area di cielo, che lungi dal trasmettere libertà e serenità, ci ricorda continuamente che qualcosa incombe su di loro.

Non vorrei però, con la descrizione di questo meccanismo di suspense, del pericolo che arriva da cielo e dell'incertezza dell'esito di questo arrivo, avervi dato la sensazione di un libro cupo o pauroso.

In perfetto stile Klassen, Il sasso dal cielo è un albo decisamente divertente.

I malintesi e le bugie insiti nei dialoghi, la ripetizione di alcuni tormentoni ripresi in numerosi punti dell'albo ("NON TI SENTO! SEI TROPPO LONTANO!"), lo sguardo vacuo dei personaggi, la presenza così priva di senso di questo sasso che scende dal cielo costruiscono un effetto comico impareggiabile, un effetto che viene amplificato da quello spiazzamento che ci provoca da sempre il nonsense.

È come se il libro si svolgesse su due piani: quello tradizionale dell'interazione tra i personaggi e quello irrazionale, inaspettato, totalmente privo di causalità della caduta del sasso. Cosa ancora più spiazzante, in certi momenti anche i dialoghi ci appaiono privi di senso, così futili e pieni di incomprensioni, e in questo contesto il sasso, nella sua assoluta mancanza di significato, diventa il deus ex machina che risolve la situazione, in modo completamente casuale ma a suo modo perfetto.

Non abbiamo il controllo su tutte le cose, non tutto ciò che riguarda la nostra storia ha un senso. A volte questo ci fa paura. A volte, dovrebbe semplicemente farci ridere.



 

Spesso la narrativa scava nel passato degli antagonisti alla ricerca delle radici del loro carattere maligno, delle loro attitudini antisociali, del dolore che ha generato il loro lato oscuro.

Il romanzo di cui vi parlo oggi rovescia questo paradigma, quasi a voler dimostrare che si può diventare buoni anche a partire da pessimi genitori. L'università di Tuttomio, romanzo di Fabrizio Silei illustrato da Adriano Gon, finalista al Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2018 e riedito in edizione tascabile da Il castoro, racconta la storia degli avidi coniugi Smirth, uniti dall'ossessione per il denaro e gli affari, ma soprattutto la storia del loro straordinario figlio Primo.

università di tuttomio

Così aridi e privi di scrupoli, preoccupati soltanto di ciò che può portar loro guadagno, gli Smirth ricordano un po' certi adulti cattivi di Roald Dahl, personaggi senza possibilità di redenzione (ma sarà così?). Proprio a Roald Dahl, peraltro, è intitolato il ristorante dove i due si ritrovano spesso a mangiare.

università di tuttomio

Per il puro bisogno di avere un erede per le proprie immense fortune, gli Smirth, Gregor e Katiuscia, decidono di mettere al mondo un figlio, Primo. Non si tratta di un gesto d'amore, ma di mero calcolo, cosa che non solo i comportamenti, ma anche il lessico rivolto al bambino rivelano con parecchia ironia:

"Che bambino affettuoso!", commentò mr. Johnson. "Non sapevo avesse un figlio, Mr. Gregor. [...] Quanti anni ha?"
Mr Gregor ci pensò un istante, non ricordava da quanto tempo lo avessero prodotto, così si voltò verso Primo e gli ordinò zelante: "Su, da bravo... figliolo. Dì al signor Johnson la tua età".

Di Primo gli Smirth non si curano affatto: lo faranno crescere da una baby sitter, cercheranno di avviarlo al mondo degli affari in età precocissima e, non riuscendoci, lo manderanno in un prestigioso collegio fatto a loro immagine (e dove lo stesso signor Smirth aveva studiato), L'Università Tuttomio che dà il nome al libro.

L'università di Tuttomio, a dispetto del nome, è una scuola elementare e media, e la sua didattica è improntata alla formazione di affaristi senza morale. Motto della scuola è Mors tua vita mea.

Qui, perfidi insegnanti allenano i bambini a battersi uno contro l'altro, ma l'arrivo di Pietro Primo, col suo cuore gentile, riesce a mettere in discussione tutto, dalla dis-educazione dei bambini fino alla durezza del preside stesso.

Ingenuo quel che basta per credere nella bontà di tutti (compresi i suoi genitori), Primo opera la sua trasformazione con la forza della non violenza, una qualità spiazzante che fa leva proprio sulla ricerca, per lui spontanea e incessante, del buono in ognuno. Con il suo candore, trasformerà ogni cosa e ogni persona (o quasi).

Narrato con una sovrabbondanza di iperboli e con molti momenti genuinamente comici, fatti di fraintendimenti e confronti esilaranti, L'università di Tuttomio ha un'evoluzione prevedibile e una contrapposizione tra bene e male piuttosto manichea, ma non per questo meno gustosa.

Nonostante la spiazzante ingenuità di Primo, sono gli adulti, alla fine, a dimostrarsi i veri ingenui, perché generosità e candore si rivelano armi potenti per cambiare il mondo.



Quand'è che la storia di Cappuccetto Rosso smette di essere la storia di Cappuccetto Rosso?

Non c'è al mondo fiaba più soggetta a paratesti, riscritture e parodie; possiamo forse dire che Cappuccetto Rosso rappresenti oggi l'archetipo della fiaba stessa.

Di Zloty, albo di Tomi Ungerer recentemente riportato sugli scaffali da Camelozampa con la traduzione di Sara Saorin, si parla come di un'ennesima rivisitazione di questa fiaba, ma l'operazione compiuta dall'autore è più vicina alla citazione che alla riscrittura.

Zloty

Ci sono, è vero, i quattro elementi che tutti noi identifichiamo con "quella" fiaba: una bambina, una nonna, un bosco e un lupo. 
Ma l'impressione è che Ungerer, più che accompagnare il lettore su un territorio conosciuto, volesse spiazzarlo portandolo dove non se lo aspetta.

Nella prima pagina vediamo Zloty che attraversa il bosco per portare le provviste alla nonna.
Se a quel punto ci siamo fatti delle attese rispetto allo sviluppo della storia, esse vengono demolite immediatamente girando pagina.

La bambina, né sperduta né indifesa, sfrecciando tra gli alberi in scooter, investe un nano.
Un nano alto, in realtà, a cui si aggiunge presto un altro personaggio: un gigante basso. I tre, in realtà, sono tutti alti uguali.

Zloty

E se a quel punto l'adulto si aspetta una riflessione sulle etichette date alle persone e su come le caratteristiche fisiche non ci definiscano, sarà ancora disatteso. 

Zloty entra ora in questo mondo onirico fatto di casette a forma di fungo, capre a scacchi e piccioni a righe, e infine, riparato lo scooter, arriva dalla nonna, non prima di aver investito il lupo, che sarà curato trasformandosi in animale domestico. Dunque è questa la chiave della narrazione? Il rovesciamento tra i ruoli di buono e cattivo, di aggressore e aggredito?

Zloty

Nemmeno. Già nei suoi albi sugli animali, in fondo (penso ad esempio a Crictor, Orlando, Adelaide) Tomi Ungerer ci aveva abituato ad archi narrativi doppi, se non tripli, comunque con sviluppi meno lineari di quelli classici. E così anche stavolta, quando la storia sembra concludersi, emergono ogni volta elementi nuovi, terzi rispetto a quanto visto fino a quel momento, come l'eruzione vulcanica, che appiana le diversità e rende tutti i popoli fratelli contro la catastrofe naturale.

Zloty è insomma una fiaba multidimensionale, surreale per certi versi, sicuramente ricca di elementi, suggestioni e rimandi, alcuni un po' inquietanti da ritrovare nel periodo storico attuale, come i carri armati e i riferimenti a un passato sovietico presenti nella camera della nonna, ai quali non ho saputo trovare una portata simbolica, se non un elemento di ambientazione (anche i nomi del protagonisti hanno un suono molto slavo-orientale).

Zloty

Zloty però non fa mai paura, o meglio: sa stemperare la paura con la speranza. Il suo brulicare di dettagli e personaggi conserva, perfino nel bosco, un'aura positiva. Anche dove i rami si protendono come artigli sullo sfondo, a spiccare sono sempre i sorrisi dei protagonisti, i loro colori allegri, i loro tratti caricaturali, e il senso della comunità e dell'unione supera ogni calamità.

L'accumulo di cose, persone e perfino fili narrativi, si fa insomma ricchezza positiva.
L'impressione è che si possa rileggere Zloty dieci volte e ricavarne emozioni, sentimenti e pensieri dieci volte diversi.


Crescere significa imparare che i mostri più pericolosi spesso sono i più vicini a noi, e a volte si trovano perfino dentro di noi.

Sono Vincent e non ho paura

La lettura di Sono Vincent e non ho paura ci trattiene in questa dimensione interiore, come intrappolati in una gabbia. Lo fa con il suo contenuto ma anche e soprattutto con la sua forma, le soluzioni grafiche, il ritmo della lingua.

È buio.

Questo l'incipit del romanzo, scritto da Enne Koens e illustrato da Maartje Kuiper, tradotto per Camelozampa da Olga Amagliani. Un'affermazione semplice che ha dentro un mondo, e che viene rafforzata da una soluzione grafica abbastanza spiazzante: il primo capitolo, una sorta di flash-forward che ci porta verso la fine della storia, è infatti scritto con caratteri bianchi su un fondo nero su cui spicca uno sguardo, forse impaurito.

Sono Vincent e non ho paura

La prosa è sincopata, fatta di frasi brevi che si susseguono l'una all'altra. Anche quando il protagonista descrive il mondo attorno a sé, resta fortissima la sensazione di essere proprio dentro di lui.

Vincent, l'undicenne protagonista del romanzo, è il classico bambino solitario con una grande passione (l'esplorazione e la sopravvivenza nella natura) e con due mostri da combattere: il gruppo di bulli della scuola e la sua paura di denunciarli. Nella sua solitudine, Vincent dialoga con quattro animali immaginari: uno scoiattolo, un verme, un cavallino e un coleottero, presenze un po' surreali che lo accompagnano lungo tutta la narrazione.

La prosa è una lunga cronaca di ciò che gli succede: l'arrivo di una nuova compagna di classe da cui nascerà un'amicizia salvifica, gli atti di bullismo, l'attesa per il campo scuola, l'organizzazione di un "piano di fuga", per cavarsela da solo, nel bosco, lontano dalla civiltà e dai bulli che gli fanno del male.

Vincent è intrappolato: dai suoi compagni bulli, dalla paura di reagire e dalla vergogna che gli impedisce di raccontare tutto ai genitori o all'insegnante. È intrappolato dentro se stesso, nel mondo che ha costruito per sé. Nella prosa, i dialoghi reali si accavallano senza soluzione di continuità con quelli interni con i suoi animali immaginari. Tutto è filtrato dal suo sentire, dal suo progettare una fuga, dalla sua impotenza di fronte agli eventi.

E così anche il lettore si ritrova intrappolato insieme a lui, dentro i suoi pensieri.

Il periodare rapido e spezzato ci fa respirare insieme a lui in modo ansioso, mai rilassato, fino alla conclusione (finalmente più serena). Insieme a Vincent, anche noi siamo sempre all'erta.

Sono Vincent e non ho paura

Ironica e straniante appare così la suddivisione in capitoli, che sembra quasi distaccarsi dal resto del romanzo.
Il testo è infatti interrotto da pagine decorate con fregi verdi, quasi leziosi, che riportano serafici elementi naturali e un brano dal tono asettico tratto dal libro preferito di Vincent, un manuale di sopravvivenza. L'indicazione temporale che fa da titolo ai capitoli è scandita però come un conto alla rovescia verso il campo scuola, e chi ha letto quelle prime pagine nere, quella prolessi in cui sentiamo Vincent fuggire impaurito, sa che quel conto alla rovescia non porta a nulla di buono.

Questo intervento di inversione temporale che costruisce la suspense del romanzo è il solo elemento di "regia" esterna nella storia di Sono Vincent e non ho paura, che resta altrimenti saldamente ancorato all'interiorità del protagonista.

Gli stessi separatori dei capitoli, con il contrasto tra la scrittura asettica, le decorazioni gradevoli e quel conto alla rovescia, ci mantengono dentro il clima narrativo, facendoci vivere il contrasto stesso che vive Vincent tra il desiderio di avventura e la paura di affrontare i propri antagonisti.

Quell'avventura di sopravvivenza che tanto aveva agognato, Vincent riuscirà a viverla, e anche se non sarà esattamente come se l'aspettava, porterà in lui un percorso di crescita, forse atteso per chi legge il romanzo, ma ugualmente confortante per chi ha condiviso con Vincent tante complicate emozioni.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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