Nuvole in scatola
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Ha uno spiccato senso della politica, Fabian Negrin, quando scrive per i bambini.
Non nel senso più basso del termine, quello degli schieramenti e delle prese di posizione di bandiera, ma quello reale, etimologico. Con le sue storie, racconta cosa significhi governare un paese, a cosa serve, quali sono i pericoli dietro alle dinamiche di potere.

Al canto del gallo
 
Lo avevamo già visto nello splendido "L'indovinello della tigre", nel quale parlava di leadership, tirannia e delle umane debolezze da cui nascono e prosperano.
Lo vediamo ora in questo Al canto del gallo, splendidamente illustrato da Mariachiara Di Giorgio e pubblicato da Edizioni Corsare.

L'incipit è da fiaba d'altri tempi: un paese lontano, regole diverse delle nostre:

C’era un regno lontano nel tempo e perduto nello spazio che sceglieva i propri sovrani in un modo curioso. Ho detto curioso? Avrei dovuto dire strano. Anzi, qui sarebbe finalmente il caso di usare la parola strampalatissimo.

Fabian Negrin riesce nell'intento di unire due registri linguistici quasi opposti: nella sua prosa si percepisce l'oralità di un narratore che si prende anche qualche confidenza, ma al tempo stesso non manca un vocabolario ricercato, magico, che incanta ed eleva.

Al canto del gallo

Ma stavamo parlando di politica.
Il fatto è che in questo lontano paese il re veniva eletto non per diritto ereditario ma per acclamazione... di galli.
Se tutti i galli in coro pronunciavano un certo nome, quella persona diventava re.
Il senso di realtà si intrufola qui tra le pieghe della fiaba, perché appare subito evidente che i galli, in questa storia, non hanno nulla di magico: non parlano, non si accordano su un nome.

Sono gli umani che interpretano, e naturalmente interpretano come vogliono.
E così, inevitabilmente, ogni elezione finisce in una guerra tra candidati sovrani che giurano di aver sentito il proprio nome.

La storia, dunque, è umanissima e ha poco di soprannaturale: parla di umane debolezze, umane aspirazioni, umane rassegnazioni, umano buon senso... e umana furbizia, quella che con una sorpresa finale sistemerà una situazione sempre più complicata.

In questa storia ricce di riflessioni, in cui si mescolano racconto e princìpi morali, anche le illustrazioni riflettono le molte sfaccettature di questo albo. A tratti sono fiabesche, a tratti cupe e opprimenti.

Ci riportano echi di manifesti di propaganda...

Al canto del gallo

...e poco dopo rasserenanti rappresentazioni da libro della buonanotte.

Al canto del gallo

È proprio la molteplicità dei registri stilistici a rendere Al canto del gallo (link affiliato) così peculiare e interessante.
La Politica con la P maiuscola, credo, inizia così: dal comprendere che la politica con la p minuscola nasce solo dalle piccolezze dell'uomo.

La parola "strega" ci riporta alla mente nasi bitorzoluti, denti marci e soprattutto un carattere tremendo.

Ma non sempre è così.

Ciclamina

Ciclamina, di Tanguy Gréban, una raccolta di tre racconti illustrati dal fratello Quentin Gréban e pubblicati in Italia da Il Castoro, ci racconta di streghe graziose e buone, o perlomeno abbastanza buone. Il giusto, diciamo.


La protagonista Ciclamina è vittima, a causa di un furto del padre, di un incantesimo della strega Verdiana: anziché crescere, la bambina diventa sempre più piccola.
 
Ciclamina

Se a questo punto noi adulti, più navigati per quanto riguarda le fiabe, immaginiamo l'ira tremenda della strega, malefici scagliati per vendetta e prove ardue per salvarsi la pelle, beh... saremo smentiti. Verdiana è ritratta come una ragazza giovane, dagli abiti semplici e dall'espressione serena, e di fronte allo sgarbo compiuto dal padre di Ciclamina, beh... si limita a una richiesta di scuse, altrimenti lo trasformerà in rospo.

È dall'incontro con Verdiana che Ciclamina inizia il suo percorso da apprendista strega. Una strega buona, però, che con i suoi incantesimi fa crescere piante e che ha per migliore amico un topolino. Una strega curiosa, che a volte ficca il naso dove non dovrebbe. Una strega che sbaglia, ma impara che gli errori servono per crescere e capire.
 
Ciclamina

Credo che l'atmosfera della lettura, così come le emozioni generali trasmesse dal libro, siano fortemente influenzati dai delicati acquerelli di Quentin Gréban. Se anche ci sono momenti tristi, o concitati, la prosa tranquilla, i colori tenui e le forme morbide delle illustrazioni aiutano a prenderli con serenità.
L'impressione è di non essere mai davvero in pericolo, e di godersi un viaggio onirico, fatto di mondi da scoprire e di buoni sentimenti.


Ciclamina
 
Ciclamina è un libro che si legge facilmente, con poche parole, ma molte pagine e l'aspetto (da fuori) di un libro "da grandi", il che rende la lettura gratificante anche ai lettori alle prime armi.
Ma è anche una bella favola per una lettura condivisa con i più piccolini, già dai 3-4 anni.
 
Non conta l'età. Basta solo lasciarsi trasportare dalle parole, dagli acquerelli, dalla magia.

Non stupisce che esistano tanti libri sulla condivisione e sul senso di possesso dei bambini: desiderare un gioco tutto per sé è qualcosa di fisiologico, tutti ci passano. E tutti, in questa fase, fanno passare dei momenti complicati ai genitori che devono gestire questa loro pretesa.

tuttomio

Tuttomio!, albo delle svedesi Klara Persson  e Charlotte Ramel, pubblicato in Italia da Beisler con la traduzione di Samanta K.Milton Knowles, si inserisce in questo filone, raccontando una storia di possesso e condivisione in una chiave così iperbolica da diventare divertente e rassicurante.

tuttomio

Inizia così: la mamma annuncia a Sally che un amico, Nico, verrà a casa a trovarla, e Sally subito si preoccupa del suo giocattolo preferito, uno scoiattolo, che è suo e basta e nessun altro ci può giocare. La mamma offre una soluzione: chiuderlo nell'armadio, così resterà fuori dalla portata di Nico. Sally però utilizza questo suggerimento in modo un po' troppo estremo.

tuttomio

Uno alla volta, ficcherà dentro l'armadio tutti i suoi giocattoli, e non solo, anche il resto della casa e perfino la stessa mamma, che – ovviamente – è solo sua!

Questa escalation, narrata con il tratto dall'ispirazione infantile di Charlotte Ramel, è resa ancora più curiosa dall'impostazione grafica di alcune pagine, gestite come un paginone unico e verticale: bisogna ruotare l'albo di 90 gradi per leggerle, il che rende la lettura ancora più divertente e giocosa.

L'iperbole ha qui, credo, una doppia funzione: più superficialmente, quella di rendere il racconto comico e attraente, ma anche, più nel profondo, di agganciare il bambino senza colpevolizzarlo.
Chi ascolta questa storia si sentirà partecipe dei sentimenti di Sally, perché li ha provati, esattamente identici, ma non avvertirà il peso che hanno gli albi troppo "pedagogici", non sentirà quella vocina che dice "hai capito che non si fa?", perché la piega presa dagli eventi è talmente esagerata e assurda da generare una distanza sufficiente a godersi la storia dall'esterno.

Il messaggio, quindi (perché alla fine, naturalmente, il messaggio c'è) arriva in quella terra di mezzo tra l'identificazione e il distacco, dove il destinatario del libro può trovare strategie per affrontare la propria situazione senza però sentirsi additato.

E ora scusate, vado a togliere dall'armadio le mie penne glitterate che avevo nascosto perché i bambini non ci giocassero.

È un romanzo fantasy, ma inizia come una fiaba.

Affronta drammi ma contiene parecchi spunti comici.

Il banchetto del secolo

È un'opera decisamente sui generis, Il banchetto del secolo di Sara B. Elfgren e Emil Maxén, la prima incursione nel fantasy di Lupoguido. Un romanzo (lo dico subito per smarcare le informazioni di servizio) che alterna capitoli brevi a illustrazioni sia a colori, sia in bianco e nero, risultando di agile lettura anche per bambini dagli 8 anni.

L'incipit ha indubbiamente l'impalcatura di una fiaba, con una situazione così caricaturale da sembrare simbolica: due duchi gemelli che si detestano e che hanno diviso una città con un muro, in modo che ognuno possa governare sulla sua parte senza incontrare l'altro. Non manca nemmeno il cliché delle figlie di uno dei duchi, con una sorella minore diversa da tutte le altre e animata da valori più profondi mentre le maggiori sembrano superficiali e vanesie.

Il banchetto del secolo

Spiccano poi i nomi dei personaggi, nomi "parlanti" che rispecchiano in modo comico la personalità che rappresentano, con lo zampino di Laura Cangemi, che ha saputo rendere in modo decisamente simpatico ed efficace la traduzione: il ciambellano von Lekkin, la marchesa von Parlen-Parlen. La narrazione prosegue così per tutte le 150 pagine del libro, in bilico tra più generi: l'avventura, il fantasy, l'umoristico, il fiabesco, con spunti eccezionalmente moderni, come il fatto che Ottilia, la protagonista, sia vegetariana.

Il banchetto del secolo

La rivalità tra i due duchi li porta (come ci si aspetta da una fiaba) a dimostrazioni sempre più eccessive di forza e di opulenza, che sfociano nel "banchetto del secolo", organizzato dal padre di Ottilia, dove però il gemello si inserirà lanciando una sfida che darà il via alla parte più avventurosa del romanzo.

Ho parlato di Ottilia, ma in realtà sono due le voci di spicco della narrazione: accanto alla piccola nobile e ribelle c'è Amund, un orfano che lavora come sguattero nelle cucine del duca. I due sono distantissimi – lei ama la lettura, lui è analfabeta –, ma allo stesso tempo molto vicini: entrambi sono poco graditi nel proprio ambiente, entrambi sono animi gentili. 

E sarà la gentilezza a vincere, in questa storia, anche quando la narrazione prende una piega più spiccatamente fantasy. Il lettore si trova quasi immerso in un gioco di ruolo, con mostri da affrontare e oggetti da usare per affrontarli, e come accade nelle "campagne" più coinvolgenti, saranno le soluzioni più creative e inaspettate ad essere anche le più efficaci.

È nell'utilizzo dell'inventario degli oggetti e nell'interazione con i personaggi più strani che si trova la cifra più originale e coinvolgente del banchetto del secolo: il lettore, affascinato, vede gli elementi del romanzo incastrarsi uno sull'altro e dare solidità alla narrazione.
Ogni cosa trova il suo posto e ogni virtù viene premiata. Come in una fiaba, come in un fantasy.

I bambini, a volte, sono come gli ingegneri elettronici (non me ne vogliano gli ingegneri elettronici: ho molti amici ingegneri elettronici): tu dai loro un input e devi aspettarti un output, secondo l'algoritmo prefissato, senza elaborazioni personali. Il passaggio da "seguire istruzioni" a "usare il buon senso" non sempre c'è (è piuttosto ben presente la caratteristica opposta, quella di non ascoltarle affatto, le istruzioni).

Un coniglietto molto ubbidiente

Tutto questo per raccontarvi di Un coniglietto molto ubbidiente, di Silvia Borando. Come molti libri di minibombo, è difficile introdurvi la sinossi senza fare spoiler, perché è il "twist" finale a dare senso a tutto l'albo.

Diciamo che la trama si basa su un rito di passaggio: il coniglietto che viene lasciato solo a casa per la prima volta, proprio perché molto ubbidiente. Ma si basa anche sulla più classica delle istruzioni: "Non aprire agli sconosciuti".

Un coniglietto molto ubbidiente

E così, quando una serie di animaletti inoffensivi si presentano alla porta chiedendo aiuto, perché inseguiti da un leone, il coniglietto non ci pensa proprio ad aprire. Salvo poi... ok, non posso dire altro, se non che naturalmente il finale desta stupore e risate.

Come molti altri albi di minibombo, Un coniglietto molto ubbidiente può sembrare, per la quantità di testo e la qualità delle immagini, destinato a un pubblico di piccolissimi, ma richiede la comprensione di un certo livello di ironia e di umorismo che non lo rendono adatto prima dei 5 anni.

Cosa aggiungere senza aggiungere troppo? Forse posso suggerire il messaggio di fondo, che è rivolto probabilmente più ai genitori che ai bambini: inutile dare regole precise come dogmi, meglio dare delle ragioni valide a supporto, in modo da rendere applicabile il buon senso. Anche quello degli ingegneri elettronici. Fidatevi: ho molti amici ingegneri elettronici.

 


Sono in genere due i modi in cui i bambini ingigantiscono le piccole sventure: le rendono tragiche, ma allo stesso tempo le rendono eroiche.

La ferita

Lo racconta in modo efficace e autentico Emma Adbåge in La ferita, un albo edito da Camelozampa che conferma la capacità dell'autrice di leggere l'animo dei bambini, come già avevamo visto in Il regalo.

La narrazione, svolta in prima persona, inizia a scuola, dove il protagonista cade e si procura una ferita a un ginocchio. Come spesso accade, in questi casi, un evento del genere impressiona i bambini, ma li fa anche sentire importanti: le attenzioni puntate su di lui, il rosso del sangue, il rito della cura che termina con "il cerotto più grande della mia vita".

La ferita

Se agli occhi di un adulto questa storia sembra piccola, forse quell'adulto ha scordato quelle sensazioni che ogni bambino conosce bene.

Adbåge dissemina qua e là, sempre con molta naturalezza, dettagli di quel filtro sulla realtà di cui solo l'infanzia è capace: quel "ho proprio dovuto togliere un angolino del cerotto per controllare", o il sollievo di quando il protagonista si sente dire che di quella ferita resterà una cicatrice.

Qualsiasi adulto spererebbe il contrario, ma per un bambino è diverso: quella ferita è un segno di coraggio, di eroismo, di una prova superata, di un'esperienza che lo rende più grande e importante.

Forse è questo uno dei tanti passi che ci fanno lasciare alle spalle l'infanzia: la voglia di cancellare le cicatrici, anziché portarle con fierezza. Forse è questa, una delle cose che da grandi dovremmo essere capaci di recuperare.

Si dice sempre che un genitore debba dare a un figlio radici e ali.

Forse per questo sembra meno surreale di quanto non sia, questo albo di Jon Agee.

papà è un albero

Papà è un albero, edito da Il Castoro, affonda le sue radici (per l'appunto) in molti temi cari ai bambini: la natura, il gioco all'aria aperta, la vicinanza del genitore.

Maddy, la piccola protagonista, propone al papà di fingersi un albero, per poter stare fuori tutto il giorno.

papà è un albero

Quello che nasce come un gioco assume presto contorni iperbolici: subito gli uccellini si posano e fanno il nido su di lui, un ragno tesse la sua tela, uno scoiattolo deposita noccioline nella sua tasca.

Non è solo un papà-albero, quello a cui dà vita la piccola Maddy: è anche un papà-casa, un papà-natura, un papà-coccola. È un essere accogliente verso il mondo.

papà è un albero

Tutti questi animaletti iniziano a dare fastidio, e poi c'è la pioggia, ma Maddy continua, pagina dopo pagina, a dire al papà che tutto questo non importa: lui è un albero e agli alberi queste cose non fanno nulla.

Manca forse una vera e propria storia, con un punto di svolta narrativo, un ostacolo da superare: accadono piccoli episodi, illustrati con gli sguardi un po' ironici tipici di Jon Agee, e l'albo è tutto qui. Ma in queste scene semplici Papà è un albero (link affiliato) riesce a toccare corde molto importanti per un bambino: il legame con la natura, ma prima ancora la gioia di un padre che non ha paura di "perdere tempo", di dedicarsi alla figlia, di stare alle sue regole, di giocare nel senso più pieno.

La gioia di un papà che accoglie, come fa un albero con i suoi ospiti.
 

Ogni tanto faccio qualche incursione nel mondo degli Young Adults, sarà che non voglio perdere il contatto con "quella" me di "qualche" anno fa, o sarà che ora ho effettivamente un preadolescente in casa (sì, quel Piccolo T al quale agli esordi del blog leggevo Piccolo blu e piccolo giallo!).

[Piccola nota: sono detti Young Adults quei libri pensati per ragazzi dai 12-13 anni in su. Si potrebbero chiamare "libri per teenager", ma chissà perché suona un po' riduttivo. Non sono libri riduttivi, non necessariamente.]

eterno ritorno di clara hart

Il target di L'eterno ritorno di Clara Hart,  di Louise Finch, pubblicato da Terre di mezzo con la traduzione di Paolo Maria Bonora, è proprio questo, il che non significa che non me lo sia goduto io stessa, nonostante non sia "teen" da un po'. Sulle prime mi è dispiaciuto non averlo finito e recensito entro la giornata internazionale della donna, ma poi ho pensato che è giusto così. Perché per quanto il tema del maschilismo e della violenza di genere siano ben presenti, qui dentro c'è molto di più, e sarebbe giusto ridurlo a libro "a tema" da usare per una "giornata a tema".

Innanzitutto, L'eterno ritorno di Clara Hart parla di scelte e dell'impatto che hanno sulla nostra vita. L'idea alla base è un po' quella del "giorno della marmotta": Spence, il protagonista, si ritrova a vivere da capo sempre la stessa giornata, che si conclude in modo tragico, con la morte della compagna di scuola Clara. Questa esperienza lo porterà in una spirale (non sempre lineare) di consapevolezza sia di ciò che accade attorno a lui, sia di come le proprie azioni possano influire su cià che accade.

Ma si parla anche di abusi (alcool, droghe), e di violenza sessuale, quel genere di violenza che ancora socialmente non sempre è compresa come tale. Si fa avanti parallelamente anche il tema della responsabilità, del ruolo di chi sa e può decidere di parlare o di tacere, delle battute che non sono solo battute, degli epiteti che nascondono una certa visione della donna come oggetto sessuale.

E inevitabilmente, si parla di morte, non solo quella di Clara. La giornata che Spence continua a rivivere è il primo anniversario dell'incidente che ha ucciso sua madre. E così si parla anche di dialogo e di incomunicabilità, di quanto sia difficile affrontare un lutto, sentirsi compresi, della vacuità delle frasi di circostanza che ci si sente dire, di quanto una parola più vera possa fare la differenza.

eterno ritorno di clara hart

È anche un libro sull'amicizia, su cosa significhi starsi vicino, vedersi veramente, sul coraggio di rendersi conto che un amico sbaglia. È un romanzo fitto di dialoghi, non sempre riuscitissimi, a dirla tutta (non è chiaro se sia la scrittura o la traduzione a incespicare, o se semplicemente l'autrice volesse rendere la sconclusionatezza di certi scambi di battute tra adolescenti), dialoghi nei quali è evidente che non sempre parlare significa comunicare.

Non ci sono scene troppo esplicite: quella violenza così spesso evocata non è mai descritta in dettaglio, ma non per questo il romanzo fa sconti. Le parole scavano a fondo nei dilemmi, nell'etica, nel significato delle proprie azioni, nel senso di tante scelte, senza mai diventare uno scritto pedagogico. La prosa resta autentica anche quando il protagonista si dà delle lezioni di vita, perché il percorso attraverso il quale ci arriva ha ben poco di retorico e molto di reale, imperfetto, vero.

E se è vero che alla fine un messaggio resta, quello del rispetto, della trasparenza, della responsabilità delle proprie azioni, non resta per una morale detta col ditino alzato, ma perché per più di 250 pagine abbiamo cercato le risposte giuste insieme a Spence, e le risposte che abbiamo le abbiamo trovate con lui

Ha scelto un nome onomatopeico e molto promettente, la casa editrice Terre di mezzo, per la sua nuova collana a fumetti: Uau! Un nome che in un semplice suono racconta già la tipologia delle pubblicazioni e la meraviglia nel leggerle.

Mitica Astrid

Questa avventura nel mondo dei fumetti e dei graphic novel inizia con una serie dedicata ai primi lettori, sui 7-8 anni: un target ideale per questo formato, che concilia il piacere di una storia "da grandi" con una quantità di testo ancora limitata e semplice da affrontare. Mitica Astrid. La casa infestata e Mitica Astrid. In classe con i fantasmi sono i primi due volumi di una serie firmata dal francese Fabrice Parme, che vede protagonista una ragazzina facoltosa, che vive in una grande villa con servitù. Roba d'altri tempi, insomma, anche se Astrid è un'eroina molto moderna.

In La casa infestata ha a che fare con la caduta del suo primo dente. Astrid si sente grande per credere al topino dei dentini, e quindi per scoprire la verità dissemina la stanza di trappole, e finirà poi per svelare trame segrete di veri topini dei denti e di topini impostori.

 Mitica Astrid - la casa infestata

Nell'avventura In classe con i fantasmi, vediamo invece Astrid frequentare un collegio privato, in seguito alle dimissioni della sua istitutrice. Sull'istituto, opportunamente ubicato in un luogo di nome Canterville, aleggia una leggenda di fantasmi, a cui ormai quasi nessuno crede più, tranne ovviamente Astrid, che troverà il modo di provare la sua teoria.

Mitica Astrid - in classe con i fantasmi

Astrid è un'eroina caotica, che ricorda un po' Dory Fantasmagorica (per rimanere su Terre di mezzo) e prima ancora Pippi Calzelunghe: uno spirito libero e fuori controllo, a suo modo geniale, che mal sopporta la noia e si inventa trovate sempre nuove per superarla. La narrazione segue lo spirito della protagonista: frenetica, ricca, con dialoghi incalzanti.

Pur inserito nella tradizione del fumetto franco-belga, la serie ha un'ambientazione decisamente british e a dirla tutta, l'espressività dei protagonisti ricorda, nei tratti grafici, le serie a cartoni statunitensi contemporanee. 

 Mitica Astrid - la casa infestata

Forte è il contrasto tra lo sfarzo dell'ambiente domestico e la vitalità della bambina, circondata secondo molti cliché, ripresi con una certa ironia, da genitori assenti e servitù particolarmente attenta e premurosa.

Mitica Astrid - la casa infestata

Ancora più interessante, a mio parere, il secondo capitolo, in cui Astrid esce dall'ambito domestico e si trova, pur nell'eccezionalità del contesto (un collegio infestato dai fantasmi!), a far fronte a problematiche molto quotidiane e comuni, in cui ogni bambino si può riconoscere: l'integrazione in un gruppo di amici, la diffidenza con cui viene guardato il "secchione" della classe.

L'allegria vince sulla morale (evviva! Anzi: Uau!), e ciò che resta di Astrid è la sua piacevole capacità di sostare tra normale e paranormale. Con i "topi dei denti" prima e con i fantasmi del collegio poi, Astrid dimostra una certa dimestichezza con le creature magiche, che pur senza essere dotata di poteri o facoltà speciali, riesce a vivere con molta naturalezza, integrandole nella realtà quotidiana.

Astrid, in questo, è specchio di quel pensiero magico tipico dei bambini, che non percepiscono nettamente il confine tra possibile e impossibile. Ed è un quel confine così sfumato che nascono le storie.

Dà sempre una sensazione di piacevole compiutezza vedere come una storia possa essere al tempo stesso semplice e sfaccettata.

George e Martha bis

Nella seconda raccolta delle loro avventure (della prima vi avevo parlato qui), ovvero George e Martha bis! i due strepitosi ippopotami di  James Marshall portati in Italia da Lupoguido con la traduzione di Sergio Ruzzier non smentiscono questa vocazione ad essere lievi e profondi insieme.

George e Martha bis

George e Martha bis! contiene i volumi che non erano rientrati nella prima raccolta: George e Martha Risate a Gogò, George e Martha Son tornati, George e Martha Gira e rigira, ognuno composto da cinque sketch brevi, arguti, semplici da leggere per il loro testo breve e il linguaggio diretto, ma profondi nel loro rispecchiare l'animo umano e nello spazio lasciato al lettore per riempire i non-detti.

George e Martha bis

George e Martha (non ci avevo fatto caso all'inizio, ma i loro nomi sono quelli di una coppia particolarmente celebre: i Washington!) si rivelano sempre di più due adulti-bambini: li troviamo alle prese con promesse non mantenute e tentazioni irresistibili (dal cibo alla curiosità di aprire un pacchetto sul quale c'è scritto "non aprire"), ma soprattutto con continui dispetti reciproci e con le conseguenti litigate.

Come bambini offesi, giurano di non fare pace mai più e poi non resistono più di un giorno l'uno lontano dall'altra.

Oppure li vediamo alle prese con il gioco dei ruoli, con George che fa il bagnino e deve ammonire Martha, e si trova in difficoltà, perché è al tempo stesso un'autorità e un amico. Se le situazioni che affrontano sono comuni e quotidiane, il punto di vista non è mai banale e scava nelle umane debolezze, portandole alla luce con garbo e ironia.

George e Martha bis

C'è spazio anche per un po' di sperimentazione nel linguaggio visivo: pur mantenendo il suo tratto pulito e semplice, l'autore osa qualche taglio inconsueto, come George inquadrato solo a metà mentre esce di scena, o Martha in un primissimo piano che le evidenzia denti e narici, in una fotografia alla macchinetta automatica.

Anche nell'illustrazione, insomma, si percorre la via della semplicità inconsueta, che comunica più di ciò che si vede a un primo sguardo.

Resta impagabile l'allegria che portano questi due personaggi straordinari a cui non riusciamo a non voler bene, perché in fondo, in questi due ippopotami, riconosciamo tutta la nostra umanità.

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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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