Come si tiene viva la memoria di qualcosa che non si è vissuto?
Come si fa a spiegare l'inspiegabile?
La frattura enorme tra ciò che consideriamo normale e accettabile e ciò che avvenne durante l'Olocausto è anche uno dei limiti alla sua comunicazione: i racconti dei sopravvissuti ci appaiono talvolta così estremi e inaccettabili da sembrarci soltanto un brutto film distopico.
Ho l'impressione che questa frattura si allarghi, poi, col passare delle generazioni, mentre il tempo diventa un ulteriore elemento di distanza tra il presente e quel passato.
Credo che una delle chiavi per mantenere vivo il ricordo e il senso-privo-di-senso di quel tragico periodo sia cercare, nella tragedia, quella normalità che fa scattare l'immedesimazione, e questo vale, credo, specialmente per un pubblico di bambini e ragazzi.
Ci riesce efficacemente Michael Gruenbaum, che con il supporto dello scrittore ebreo americano Todd Hasak-Lowy ha raccontato la sua storia di bambino deportato al campo di TerezÃn nel romanzo Il sole splende ancora, che Lapis ha portato in Italia con la traduzione di Matteo Corradini (a sua volta autore di diversi titoli sull'Olocausto tra cui La repubblica delle farfalle, ambientato proprio a TerezÃn).
Nelle 358 pagine del romanzo (contando anche prefazioni e postfazioni, che è impossibile non leggere per il desiderio di capire meglio e di restare ancora un po' attaccati alle persone e alle loro storie) scopriamo così la storia di Misha, a partire dalla sua vita a Praga, quando ancora le leggi razziali erano una novità , un impiccio alla vita normale ma non ancora qualcosa da guardare con terrore.
Vediamo il suo essere bambino in quel giocare a superare i passanti su uno dei ponti di Praga e percepiamo la sua quotidianità in modo autentico e concreto. E così, la spirale che lo conduce al campo di deportazione di TerezÃn, dopo avergli fatto perdere tutto ciò che rappresentava la sua vita abituale, viene vissuta attraverso i fatti e le sue sensazioni, senza digressioni storiche o filosofiche.
La storia è raccontata nella concretezza dei giorni, con pochi accenni alle sorti della guerra.
Resta la curiosità di approfondire, a volte, di capire dove si colloca nei fatti storici una certa scena del libro, e in questo i capitoli, che non hanno titolo ma semplici date, aiutano molto, stimolando anche la ricerca personale.
Il romanzo sfiora soltanto l'orrore dei campi di sterminio, narrando il terrore con cui venivano vissuti i trasporti, con il treno che portava i deportati da TerezÃn ad Aushwitz e Birchenau, e infine nel descrivere coloro che da là sono tornati, nel loro aspetto che ben poco aveva di umano.
Ma l'esperienza di Misha resta lì, in quella terra di mezzo tra la libertà e lo sterminio che è il campo di TerezÃn.
Cosa trova Misha a TerezÃn? Un mondo sospeso, fuori dalle norme abituali, in cui le famiglie vengono divise e la vita si vive alla giornata, senza conoscere il destino o il perché delle cose, concentrati soprattutto a sopravvivere. Ma soprattutto trova i Nesharim.
Nella grande stanza dove viene mandato a dormire insieme ad altri ragazzi della sua età (Misha ha 8 anni all'inizio del libro), c'è Franta, un ragazzo più grande che li guida e li protegge. Franta ha capito che per sopravvivere nel campo è necessario non lasciarsi andare, osservare regole precise e un'igiene scrupolosa. Soprattutto, ha capito che solo lo spirito di gruppo può tenere alto il morale, e così cambia le sorti di quei ragazzi prima di tutto dando loro un nome in cui riconoscersi: i Nesharim (aquile in ebraico) e poi organizzando una squadra di calcio e altre attività per tenere unite le persone e impegnate le loro menti.
È in questo spirito di gruppo, credo, che un lettore contemporaneo può trovare quel filo che unisce il suo essere ragazzo oggi con l'esperienza di Misha: la forza della compagnia di amici, con tutte le sue dinamiche, è qualcosa che un bambino conosce bene, che fa parte della sua esperienza quotidiana.
Lo stesso elemento che ha salvato molti dei Nesharim, tra cui Michael Gruenbaum, che ci ha potuto raccontare la sua storia, è la chiave che può far immedesimare il lettore in quei fatti così lontani eppure vissuti da un ragazzo come lui.
Il libro si chiude con un album fotografico in cui vediamo Michael e altri protagonisti del romanzo, prima e dopo l'Olocausto.
E ce n'è bisogno, dopo storie come questa, di guardare quei volti e saperli reali.