Nuvole in scatola
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Il piccolo D salta come una scimmietta, la piccola M a volte urla come un'aquila, il Piccolo T, la mattina, è lento come un bradipo. Sì, devo ammettere che a volte lo penso anch'io: la mia casa è uno zoo.



Ma quella di Carlotta, protagonista dell'albo che si intitola appunto La mia casa è uno zoo, è tutta un'altra cosa.
Lo si vede subito, perché la casa è l'unico edificio in mezzo a tantissime gabbie: Carlotta abita infatti in mezzo a un vero zoo. Ma dopo questa introduzione, di gabbie, nel libro, non se ne vedono, perché gli animali girano liberi e scandiscono la giornata di Carlotta, che si fa svegliare da una giraffa, fa colazione in cucina con gli orsi, si lava i denti in bagno con il coccodrillo.
Il testo di Sylvia Vanden Heede racconta questi gesti quotidiani con ritmo e semplicità. La traduzione inciampa forse un po' sulle rime, che a volte ci sono e a volte no, a volte chiudono il paragrafo, a volte sono in mezzo (sarebbe interessante un confronto con l'originale, ma con l'olandese non me la cavo molto bene).


Ma è nelle illustrazioni di Pieter Gaudesaboos (che avevamo già conosciuto con Terra in vista e Il bell'addormentato) che il lettore può liberare il suo stupore.
Con la sua tecnica mista tra digitale e collage e i curiosi effetti di prospettiva, dallo stile anni '50, riempie pagine di dettagli e personaggi, tanto da avvicinarsi alla logica dei wimmelbuch, quei libri senza parole, in cui cercare le storie nei tanti particolari.


La mia casa è uno zoo (edizioni Sinnos) ha una struttura impaginativa binaria: a sinistra una pagina "pulita", dal colore pieno, con il testo al centro, a destra la ricca illustrazione che trasmette il caos e il divertimento di una bimba che, in mezzo a tutti questi animali, ha sempre qualcosa da fare.

La lettura, dunque, va oltre il testo, che si limita a descrivere le azioni della giornata, e diventa lettura dell'immagine, sempre nuova perché lascia scoprire ogni volta qualcosa di diverso.
A sottolineare questa modalità di fruizione, un piccolo quiz che chiude ogni pagina di sinistra: sotto l'icona di un pinguino con la lente d'ingrandimento, il libro invita a cercare nell'illustrazione alcuni dettagli, come animali che compiono determinate azioni o che sono vestiti in un certo modo (le soluzioni sono in fondo al libro).


Non mancano i richiami tra una pagina e l'altra, tanto che alla fine è il libro stesso a chiudersi con un gioco in più, invitandoci a ricostruire la storia di alcuni personaggi minori, che ricorrono tra le figure.

A ben guardare le illustrazioni, e a paragonarle con il mio salotto, mi rendo conto che la mia casa forse non è uno zoo, ma è sicuramente un wimmelbuch.
Per fare un po' di ordine tra i giochi sparsi, si può prendere ispirazione proprio da uno zoo, e creare una "gabbia" dove riporre gli animali di peluche.


Ve la faccio vedere qui in versione mignon, "da post", in cartone, ma in rete potete trovarne di ogni dimensione e materiale (guardate ad esempio qui o qui per delle grandi gabbie in legno).

Comunque: per la mia versione procuratevi una scatola, delle dimensioni che volete.


Ritagliate dai lati dei rettangoli in modo da creare delle "sbarre" e con i bimbi dipingete l'insegna "Zoo".


Infine, se la vostra gabbia è abbastanza grande, popolatela di tutti gli animaletti che girano per casa (no, quelli a due zampe lasciateli fuori!).


C'è la noia dell'attesa, l'ansia per quello che sta per succedere, la necessità di stare zitti e buoni per non disturbare le altre persone: le sale d'aspetto non sono esattamente il posto ideale per un bambino, vero?


Con Sono il quinto (edizioni Babalibri), però, Norman Junge ed Erst Jandl riescono a trasformare una sala d'aspetto in un territorio di emozioni, misteri e giocattoli.
L'albo, in formato orizzontale, vede a sinistra pagine bianche di solo testo (davvero essenziale) e a destra pagine illustrate, piene, dal colore intenso.


Quella che vediamo è una sala l'attesa. È cupa, spoglia, illuminata soltanto da un lampadario che oscilla, quasi fosse vivo, ogni volta che la porta si apre.
Allineati sulle sedie, timorosi, siedono cinque giocattoli un po' ammaccati. Non si parlano tra loro.
L'unica voce che sentiamo è quella del piccolo Pinocchio dal naso rotto. Capiamo che è lui soltanto perché dice

sono il quinto


Uno alla volta, i giocattoli entrano. Dalla porta esce una luce calda, ma non si vede cosa c'è dentro.
È alto il senso dell'attesa, del mistero.
I visi dei giocattoli passano dal timore alla perplessità, con qualche sorriso ogni tanto. Sembrano farsi più nervosi man mano che si avvicina il loro turno.


La voce del piccolo Pinocchio non commenta, non si esprime, fa solo un conto alla rovescia, scandisce l'ordine di entrata:

porta aperta
esce uno
l'altro dentro


Dalla porta i giocattoli escono aggiustati e sorridenti. Per i bimbi è anche un gioco delle differenze: com'è ora il giocattolo? com'era prima?

In Sono il quinto non c'è un vero e proprio colpo di scena finale (questo deluderà forse i lettori più grandicelli), soltanto un dottore sorridente che aspetta dietro la porta, quando il turno del piccolo Pinocchio è arrivato e finalmente può vedere oltre quel varco che era rimasto fuori dalla sua portata.
Ma il tono di voce del giocattolo, che dà del tu al medico, il sorriso del dottore e i tanti nasi di ricambio che aspettano di essere usati sono in qualche modo rassicuranti, così come il colore, ora caldo, che si contrappone all'atmosfera tetra della sala d'attesa.

Passa il messaggio che a volte è l'attesa il momento peggiore, e che quel che viene dopo spesso è più semplice di come pensiamo.
Passa una sensazione di comprensione verso tutti quei sentimenti che possono attraversare l'animo prima di una visita: se anche i giocattoli contano "quanto manca", e scrutano, e si preoccupano, probabilmente è normale così.
E soprattutto passa il senso del gioco, dell'osservazione, della rilettura per scoprire nuovi dettagli.

E l'attesa del dottore, improvvisamente, diventa magia.

E a casa, ce l'avete qualche giocattolo rotto o malato? Per finta, s'intende.
Se volete allestire un reparto ortopedicoludico, ecco come preparare

il gesso per giocattoli


Basta della garza, un contenitore, e, come nelle migliori tradizioni, lei: la colla vinilica. Fatto? ;)



Nel contenitore, diluite la colla vinilica con un po' d'acqua.
Prendete poi la bambola fratturata (possibilmente di plastica: i peluche potrebbero danneggiarsi irrimediabilmente) e avvolgete l'arto con un po' di pellicola per non rovinarlo.


Come dei veri dottori, intingete ora le garze nella colla e avvolgetele attorno alla pellicola.
Ora, lasciate asciugare il finto gesso finché non si sarà indurito.


Si accettano anche autografi.

PS: altri strumenti medici fai da te li trovate in questo mio vecchio post, in cui parlavo di Buongiorno dottore, sempre di Babalibri.

 
Il primo è stato forse Totò con la fontana di Trevi: uno sketch satirico ma anche foriero di spunti di riflessione sui concetti di pubblico, privato, proprietà. Si può comprare ciò che è di tutti? E cosa significa "comprare" qualcosa che resta comunque lì, a disposizione del pubblico?


Gek Tessaro, con il suo tono beffardo e la sua sfrenata fantasia, gioca con questi pensieri in Il mare rubato, edito da Lapis.
Lo stile illustrativo è inconfondibile: l'arte di Tessaro si esprime con il suo solito mix giocoso di pittura e collage, i suoi volti asimmetrici, gli equilibri improbabili, i tagli grossolani.


Il mare rubato racconta la storia della principessa Petunia, che un giorno si rivolge al re:
Papà, quella piscina là, la voglio qua.

"Quella piscina" è in realtà il mare e anche un re, per quanto potente, non può comprare un mare.
Ma l'ironia di Tessaro e il senso pratico del re forniscono la risposta: è molto più semplice trasportare il mare in montagna che far cambiare idea alla principessa Petunia!


Il re manda il suo ciambellano a comprare il mare e poi si mettono in azione ruspe e macchinari (a proposito, vi ricordano qualcosa?), per trasportare il mare dentro un vulcano.


Dentro il vulcano, però, i pesci sono costretti a stare fermi in verticale, e pescatori, turisti e bagnini, rimasti a secco, non sono affatto contenti di trovarsi di fronte un deserto al posto di una distesa d'acqua.


A rimettere tutto in ordine (certo, a modo loro) ci penseranno i pirati, personaggi perfetti di un racconto senza tempo, ambientato in un regno fantastico con tutte le sue regole e le sue non-regole.
La prosa di Tessaro unisce come sempre leggeri giochi di parole a un lessico ricercato che strizza l'occhio alle fiabe d'altri tempi, e il continuo dinamismo delle azioni rende Il mare rubato coinvolgente e appassionante per chi ama l'avventura.

E voi, avete mai pensato di avere un mare portatile, tutto per voi? Ad esempio,

Il mare in un vasetto 


Io ne ho creato uno piccolo piccolo, in un vasetto di omogeneizzato.
Ho creato un fondo sabbioso con farina da polenta.


Ho poi aggiunto uno strato di acqua colorata di blu con della tempera (il colorante alimentare andrebbe ancora meglio, perché lascia l'acqua più trasparente) e uno strato di olio di semi, per fare il cielo.


Ma il mare va anche popolato! Ho scelto allora dei sassolini che mi ispirassero per la loro forma e ho disegnato dei pesciolini con un pennarello indelebile.
Ecco pronto il mare in vasetto!
Si può anche agitare immaginando le tempeste più violente.


Alla fine tutti gli elementi ritrovano la propria collocazione: il cielo sopra, il mare sotto, i pesci dentro e la sabbia sul fondo.


È un po' come la ricetta di certe storie: agitare bene e poi godersi lo spettacolo mentre tutto torna al suo posto.


Accomodatevi sulle vostre poltrone, spegnete i telefonini, preparate i pop-corn: oggi si va al cinema!
Un cinema d'altri tempi, però: danno un film muto, di quelli con i cartelli al posto dei dialoghi.


Il "regista" è Mo Willems (quello della meravigliosa serie di Reginald e Tina), quindi possiamo stare certi: anche questo libro sarà uno spettacolo.
Non è una buona idea! edito in Italia da Il Castoro nel 2015,  ricalca il linguaggio del cinema muto, con grandi illustrazioni prive di testo e i dialoghi a parte.

La storia inizia con uno scambio di sguardi tra una volpe, con un vestito da damerino, e un'anatra dall'apparenza ingenuotta, con cestino in mano e fazzoletto in testa.
Lo sguardo non ha direzione: sembra un colpo di fulmine reciproco. Ma che intenzioni avranno davvero i due?


La volpe invita l'anatra a fare una passeggiata nel bosco buio e profondo.
L'anatra, affascinata, risponde all'invito. Ma si sa, è sempre meglio non fidarsi degli sconosciuti.



Come in un film muto, i cartelli – scritta bianca su fondo nero, con una cornice decorata attorno – scandiscono il ritmo della storia, interrompendo le immagini.
Come in un film, muto, dobbiamo capire dal contesto chi è che pronuncia la frase del cartello (piccolo espediente che sarà poi utile al colpo di scena finale).


Ma a dare ritmo alla storia sono anche i commenti degli anatroccoli, che ad ogni invito della volpe, accolto con entusiasmo crescente dall'anatra, rispondono (anche loro con una concitazione sempre maggiore): "Non è una buona idea!".


La narrazione procede per ripetizione e accumulazione, una formula sempre vincente nei libri per bambini, perché unisce il piacere del già noto, la soddisfazione nel saper anticipare ciò che viene (vedrete che anche i vostri bimbi si uniranno al coro di "Non è una buona idea!"), con l'effetto sorpresa dell'elemento di novità.

Il crescendo dell'invito (prima a passeggiare, poi a cenare, poi a dare un'occhiata da vicino alla zuppa) si accompagna a un crescendo di anatroccoli, con il loro monito sempre più deciso.


E mentre la storia prosegue, il lettore cerca di leggere nelle illustrazioni le vere intenzioni dei protagonisti.
Mo Willems riuscirà non solo a farci ridere, ma anche a sorprenderci, con un finale inaspettato che rende questo libro  un piccolo gioiello della sceneggiatura.


Hanno vita facile i supereroi con i classici superpoteri: la super vista, il super udito, la super forza.
Ma cosa succede quando invece qualcuno è super lento?


Ce lo racconta Robert Starling in Super Brando, edito in Italia da Lapis.
Brando è un bradipo come tanti, che un giorno trova "una strana foglia". La foglia è in realtà un fumetto, abbandonato nella giungla da un paio di turisti che vediamo allontanarsi.


Brando lo legge avidamente, a velocità bradipo, e decide che vuole diventare un supereroe, come il protagonista della storia.


Trova un mantello e si prepara a salvare il mondo (con calma).


Brando ci si mette d'impegno, ma fare il supereroe è più difficile di quel che sembri: arriva sempre tardi quando lo chiamano in soccorso, e non gli basta certo un mantello per imparare a volare.

Le immagini fanno sorridere, mostrando alcuni paradossi della lentezza di Brando, come quando si arrampica su un albero per aiutare il Tucano e scoprire chi gli ha rubato i manghi, ma arriva in cima molto dopo di lui.


Con un po' di ironia (e qualche passaggio linguisticamente un po' forzato, a causa forse di una traduzione un po' frettolosa), Brando ha finalmente l'illuminazione decisiva: un bradipo non potrà volare o essere più veloce degli altri, ma la sua lentezza può diventare un pregio, se gli permette di muoversi senza farsi notare.

È così che aiuterà gli altri animali sconfiggendo il ladro di manghi.

E dopo aver raccontato le avventure di questo personaggio, il risguardo finale ci offre alcune curiosità scientifiche sul bradipo come animale.


Leggero, divertente, avventuroso, Super Brando apre con il sorriso la strada a una riflessione importante: ognuno può essere un supereroe se trova il proprio superpotere.
Ma anche: ogni difetto può essere volto a proprio vantaggio, se lo si sfrutta nel modo giusto.

Ecco allora che si può giocare a inventare il proprio superpotere. Basta infilarsi un mantello, anche fatto in casa col pannolenci (come quello che avevo creato per la super-festa del Piccolo T). Oppure semplicemente vestirsi solo della propria fantasia.


Scovare il proprio superpotere, o quello dei propri familiari, è un esercizio che aumenta l'introspezione, l'osservazione, l'autostima, e perché no, anche l'autoironia, che è sempre il mio superpotere preferito.
Io, ad esempio, sono dotata di super-disordine: confondo i miei nemici che non saranno mai in grado di trovare quello che cercano.
E anche di super-pigrizia-domestica, che mi permette di allevare dei super-gatti-di-polvere, che fanno la guardia alla casa.

E voi, che super-non-potere avete?


I bambini sono vivi, anche nei colori. Non hanno sfumature.
Non ne hanno con la gioia, non ne hanno con la tristezza. È una questione di prospettiva: in una vita durata finora pochi anni, mezz'ora di attesa è un tempo infinito e un pomeriggio da un amico saltato è un'occasione che potrebbe non ripresentarsi mai più.

Se qualcosa va male, ci viene da dire "Non è niente", ma è una bugia. Per noi non è niente, per loro è tutto.


E allora forse "Non è niente" non è l'approccio ideale da utilizzare con loro, perché non è quello che sentono. È molto più efficace cercare di vedere le cose semplicemente da un altro punto di vista: ogni sfortuna può diventare una fortuna, e in questo i bambini sono molto più bravi di noi, perché sanno spazzare le nuvole e far tornare il sereno in un batter d'occhio.

È questo che racconta Pom e Pim, albo degli svedesi Lena e Olof Landström portato in Italia da Beisler.
In un'ambientazione è quotidiana, rappresenta situazioni in cui ogni bambino può rispecchiarsi, l'albo  racconta le vicende di Pom e del suo pupazzo Pim.


Con una logica narrativa che vi ricorderà quella del celebre Fortunatamente (seppur con un ritmo meno cadenzato e lasciando più spazio alla narrazione che ai continui cambiamenti di fronte) vediamo alternarsi eventi fortunati e sfortunati che cambiano iimmediatamente la prospettiva del protagonista.


Pom cade (che sfortuna!) ma grazie alla caduta trova una banconota a terra (che fortuna!)


Scopriamo così che da ogni evento avverso può nascere qualcosa di buono.
E se non nasce... basta lavorarci un po'.


Da un palloncino rotto, ad esempio, può nascere un impermeabile per Pim.
Perché Pom e Pim è così: mostra che crucciarsi è inutile, è molto meglio ribaltare la prospettiva e scoprire la fortuna dentro la sfortuna.


Semplice nel linguaggio sia testuale che visivo, Pom e Pim è adatto ai bimbi fin dai due anni, che non faticheranno a riconoscersi nel protagonista.

E il tormentone "che sfortuna!" / "che fortuna!" può diventare un simpatico esercizio per imparare (e parlo anche di noi adulti) a vedere il lato bello delle cose, oppure a costruirselo, come fa Pom con l'impermeabile di Pim.

Oh, oh, ci si è bucato un calzino, che sfortuna!


E se gli tagliassimo la punta e lo trasformassimo in uno scaldacollo per pupazzi?


O, con un paio di tagli in più, in un bel vestito elegante?


Avere tempo libero e un pizzico di fantasia: che fortuna!

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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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