Nuvole in scatola
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Sapete qual era il mio gioco preferito da piccola? No, non le Barbie. E nemmeno i Lego (forse quelli potrebbero occupare il secondo gradino del podio).
La cosa che adoravo di più era costruire capanne sull'albero.
Ok: non erano proprio sopra un albero. In genere erano sotto. E non erano nemmeno capanne vere e proprie. Simulavo le pareti legando e intrecciando rami, bastoni e grandi foglie tra di loro.
Per trasformare quella strana opera in una casetta, bastava l'ingrediente più importante di tutti i giochi: la fantasia.


Sarà per questo che mi sono immedesimata nella sorellina minore protagonista di La casetta segreta sull'albero, edizioni Terre di Mezzo, un libro che è un inno alla fantasia, al gioco all'aria aperta e all'amore tra sorelle.


La casetta segreta sull'albero è la storia di una bimba ha una voglia pazza di giocare con la sorella maggiore, che però è concentrata sul suo libro e non la bada.

Per incuriosirla, la piccola le racconta di avere una casetta segreta sull'albero.
E dal momento che la cosa sembra non impressionarla, condisce il racconto con dettagli sempre più curiosi e originali. Mentre parla, la sua fantasia prende forma sulle pagine del libro, e la casetta diventa sempre più reale, sempre più grande, sempre più bella, nelle ricche illustrazioni che riempiono le pagine e catturano l'attenzione dei piccoli lettori.


Ci sono lenti d'ingrandimento e altri strumenti per esplorare la natura, ci sono posti di vedetta per avvistare i nemici in arrivo ("Ci sono anche i pirati!" ha urlato il Piccolo T, sempre più incredulo, mentre leggevo), e simpatici mostri che cercano ospitalità.

E c'è un sistema di segnali per indicare ai passanti se la proprietaria è in casa o meno, se vuole ospiti o se ha bisogno di aiuto.


Il finale? È dolce e commovente: una rivincita della fantasia sull'indifferenza, ma soprattutto una vittoria dell'amore tra sorelle.
In qualche modo, la casetta diventa un rifugio di entrambe, un segreto condiviso, uno spazio di complicità, poco importa se reale o immaginario.

Già, perché ogni bimbo ha bisogno di un rifugio segreto, dove far vivere draghi, mostri e pirati. Anche se non è necessariamente su un albero, ma magari semplicemente in camera sua.
Ecco perché ho pensato di preparare al mio Piccolo T una "segnaletica" come quella della protagonista di La casetta segreta sull'albero, da appendere alla maniglia della sua porta.

Se vi piace l'idea, potete scaricare il mio pdf, con tre messaggi pronti da ritagliare e appendere e tre sagome vuote da colorare, per inventare e disegnare il vostro segnale personale e trasformare la cameretta in un rifugio.



Anche il Piccolo T si è messo all'opera con il suo segnale.

Ed è così che è nato... il divieto d'accesso al fratellino (indispensabile per giocare con i pezzi piccoli che il Piccolo D potrebbe mettere in bocca).

Un risultato non esattamente nello spirito del libro, vero?
Ma non importa: io so che un giorno anche loro costruiranno un rifugio insieme.


Cos'è in fondo un difetto? Un apostrofo rosa tra le parole "T'insulto"?
Qualcosa che fa parte di noi o che possiamo cancellare? Può un difetto diventare un pregio?

L'accettazione di sé e delle proprie caratteristiche, belle, brutte o comunque siano, è un processo lungo una vita intera. I difetti bisogna imparare a riconoscerli, ad accettarli, a capire che conseguenze hanno su di noi e sulla nostra vita sociale. Poi si decide se cercare di cambiarli, o almeno limarli un po', o prenderli da un punto di vista nuovo, guardandone il lato positivo. Mica facile.

Da piccoli, poi, tutti si sentono supereroi, potenti e perfetti.
Da dove iniziare, allora, il viaggio della conoscenza e dell'accettazione di sé?
Forse da un quintetto di eroi che perfetti proprio non sono.

I Cinque Malfatti di Beatrice Alemagna (ed. Topipittori) sono, appunto, malfatti. Uno è bucato, uno è molle, uno è tutto piegato, uno è all'incontrario e uno è tutto sbagliato, dalla testa ai piedi.
Cosa fanno tutto il giorno? Si divertono a fare a gara a chi è il più malfatto di tutti.
Non proprio un esempio di stacanovismo, insomma, ma i malfatti sono simpatici, anche solo a guardarli, e sono amici tra di loro.


Poi un giorno, a turbare il loro equilibrio, arriva lui: un tipo perfetto.
A vederlo, in realtà, fa anche un po' ridere, con quella chioma arancione fluente.
Il tipo perfetto entra nella casa dei malfatti (malfatta anche quella), li interroga con aria un po' snob sui loro progetti, e quando scopre che non ne hanno li definisce delle "nullità". Sarà anche perfetto, questo tipo perfetto, ma si atteggia un po' a bulletto della classe, insomma.
Ed è proprio dal confronto con il tipo perfetto che i malfatti scoprono il lato positivo dei loro difetti. 
Il bucato, ad esempio, non è mai arrabbiato, perché la rabbia gli esce dai buchi.
Il molle, invece, ci dorme sopra, e così via.
È un vero e proprio esercizio di resilienza.

Cosa ancora più importante, i malfatti sono amici. E non solo hanno imparato ad accettare se stessi, ma si accettano l'un l'altro.
E così, se ne vanno via dandosi allegre pacche sulle spalle, lasciando il tipo perfetto da solo, come "un vero perfetto stupido".

Insomma: essere perfetti non è importante. Anzi, è impossibile.
È molto meglio accettarsi, prendere il lato bello delle cose ed essere amici.
Non è un ottimo spunto, questa lettura, per parlare di difetti, per far vedere che ogni caratteristica può essere negativa ma se presa dal verso giusto può trasformarsi anche in qualcosa di buono?

È così che è nata la nostra attività su

il sesto malfatto.


Io e il Piccolo T abbiamo preso un foglio e provato a immaginare un personaggio con uno o più difetti. La "regola" era: immaginare il difetto, pensare a cosa avrebbe comportato di negativo, e poi trovarne il lato positivo.

Quando abbiamo trovato il personaggio che più ci convinceva, con il difetto/pregio più curioso e simpatico, il Piccolo T lo ha disegnato, con pennarelli e collage.


Dopo molte discussioni e un grande esercizio di fantasia, eccolo: il nostro "sesto malfatto" è diviso in due e ha dei fiori al posto delle orecchie.
Barcolla quando cammina e non ci sente tanto bene, ma in compenso può andare in due posti diversi contemporaneamente, e quando cammina lascia dietro di sé una scia di profumo floreale.
Mica male, essere malfatti così.

(Gliela racconto o no la storia di un certo Visconte dimezzato?)


Ogni anno la stessa storia: passa la Pasqua e loro restano lì. Buttarli via sembra uno spreco, ma non sai come riciclarli. 
No, non sto parlando dei pezzi di cioccolato delle uova di Pasqua: quelli a casa nostra non avanzano mai. Parlo di quei cosi di plastica a forma tronco conica che reggono l'uovo nella sua confezione.
In un primo momento, li uso per contenere la cioccolata avanzata, ma questa funzione ha generalmente una durata brevissima. E allora che farne?


Un gioco per bebè, ad esempio.
Basta avere a disposizione alcuni nastri colorati e, naturalmente, un bebè interessato (dai sei mesi all'anno e mezzo, suppergiù).




Per prima cosa, bisogna praticare dei fori, in numero pari, tutt'attorno al "coso" di plastica (come lo chiamiamo? reggiuovo?).
Io ho usato il mio Multiutensile Dremel, ma basta anche un trapano o, con un po' di attenzione, delle forbici appuntite.




Ora procuratevi nastri e nastrini di vari colori e texture: raso, tulle, nastro a coste, spago grosso.
Ricordate che quello che state costruendo non è solo un gioco, ma un'esperienza sensoriale (le sinapsi, le sinapsi!).



Passate ogni nastro da un buco a quello opposto e annodate le estremità, se serve più volte, per fare in modo che sia impossibile sfilarli. Lasciate un po' di lunghezza libera, in modo che i nastri possano scorrere.


Infine, affidate il gioco al bebè, perché possa toccare, tirare, sperimentare.
La cioccolata potete mangiarla voi. È per il suo bene, in fondo.



Tra i primi libri letti quando ero incinta del Piccolo T, per illudermi di potermi preparare all'evento, c'è Da zero a tre anni di Piero Angela, uno splendido viaggio nello sviluppo intellettivo della primissima infanzia, che mi ha affascinato, informato, ma soprattutto terrorizzato.

Immagino non fosse questo l'intento del buon Piero, certo, ma scoprire che i primi tre anni di vita gettano le basi per tutto lo sviluppo neuronale del bambino, e che è fondamentale dargli sufficienti stimoli entro questa età, perché la maggior parte delle sinapsi cerebrali si crea in quel momento o mai più, non è stato certo rassicurante.
Insomma: non mi stavano per arrivare addosso soltanto le responsabilità di poppate, pannolini, pappe, educazione alle regole e tutto ciò che ne consegue. No: avrei dovuto prendermi cura anche delle sue sinapsi! Ed entro i 36 mesi.
Un concetto tutto nuovo ma altrettanto pressante di "orologio biologico".
Da dove si inizia, dunque, a prendersi cura di queste sinapsi? Dalla stimolazione sensoriale, credo.
L'udito ce l'ho: leggo, canto e parlo.
La vista anche, con tanti libri adatti alla sua vista ancora immatura.
E poi c'è il tatto. Il tatto è fondamentale: è il primo senso a svilupparsi all'interno dell'utero materno.



E fuori? Per i primi mesi, "tatto" è soprattutto il contatto materno, poi iniziano i primi giochi (li ricordate i vari cesti dei tesori?).
Verso i nove mesi, suppergiù, il bimbo è pronto a giocare con i primi libri tattili.

L'offerta sul mercato è vastissima, ma la qualità può variare molto.
I miei preferiti sono senza dubbio i Carezzalibri Usborne.

Perché proprio loro? Perché hanno qualcosa in più rispetto ai soliti libri tattili: non sono un "libro dizionario", con un mero elenco di cose etichettate da una parola, ma contengono delle narrazioni minime (delle "protostorie", tecnicamente), con brevi frasi e una semplice sequenzialità: praticamente un'introduzione alle storie vere e proprie che il bambino apprezzerà più avanti.

Inutile poi specificare (ma facciamolo, già che ci sono) che come tutti i libri tattili i Carezzalibri contengono degli inserti in vari materiali (velluto, peluche, plastica ecc), da toccare con le dita.
Entro i tre anni, mi raccomando: non dimenticatevi le sinapsi da costruire!

Di Carezzalibri in casa ne abbiamo due: Dov'è il mio drago e Ruspe.


La serie "Dov'è il mio..." è strutturata sempre allo stesso modo: c'è una "voce narrante" (un topolino) alla ricerca di un animale o un oggetto (ma c'è anche "dov'è il mio elfo" o "Dov'è il mio bambino").
Dov'è il mio drago, ad esempio, è una carrellata di draghi, tutti con caratteristiche diverse. A ogni pagina il topolino nota ogni volta un dettaglio che non va, sottolineato dall'inserto tattile ("Questo non è il mio drago, ha gli artigli troppo bitorzoluti"), fino a trovare quello giusto ("Ecco il mio drago! Ha le ali così squamose!"). Una mini-trama deliziosa, che sfrutta la ripetizione per catturare i piccoli, avvicinandoli al concetto di storia.

Se la serie "Dov'è il mio" è la più famosa dei Carezzalibri, non meno belli sono alcuni titoli tematici su luoghi, oggetti, mezzi di trasporto.

Ruspe, ad esempio, descrive in ogni pagina una caratteristica diversa di una ruspa gialla (la benna ruvida, le ruote infangate, i finestrini luccicanti), per poi soffermarsi su una ruspa rossa, semplicemente perché "è enorme".


I carezzalibri sono cartonati, resistenti e facili da maneggiare, nati per resistere alle manine più dispettose.

Ma siccome le sinapsi non bastano mai, ho voluto estendere l'esperienza tattile creando

le sensory bags


Le sensory bags sono uno strumento casalingo che unisce l'esperienza tattile a un plus che poche esperienze tattili hanno: come i libri, non sporcano la casa.
E si creano con pochi materiali:
  • una bustina di plastica (quelle dei contenitori ad anelli, oppure buste per alimenti come quelle Ikea),
  • del nastro adesivo colorato e resistente,
  • forbici,
  • schiuma da barba o gel per capelli
  • piccoli oggetti a scelta per creare la sensazione tattile.



Prepararle è semplice: si inseriscono nella bustina prima il gel o la schiuma da barba, poi gli oggetti che preferite, e si sigilla bene il lato aperto con del nastro adesivo resistente.
Io, dal momento che avevo del nastro adesivo colorato che mi piaceva molto, ho preferito aggiungerne un giro su tutti i lati, per decorare meglio la "bag".



Di sensory bags ne ho preparate due. In una ho inserito il gel per capelli, per dare l'effetto morbido e scivoloso al tatto, e poi un paio di perline dure, dei pompon morbidi, alcune formine di gomma crepla e un elastico.

La seconda l'ho riempita di schiuma da barba, per poi inserire, in due punti diversi, un po' di colorante alimentare giallo e blu. Schiacciando e muovendo la bustina, i colori si sono mescolati tra le mani del Piccolo D (con qualche aiuto del fratello maggiore) fino a far diventare la schiuma verde. La "magia" funziona una volta sola, ma ne vale la pena.



Piccole dita in azione! "Ehi, ma queste palline si possono spostare!"



"E io, a cinque anni, sarò ancora in tempo per qualche sinapsi last-minute?"

   
Sarà forse la primavera, o il fatto che per la prima volta abbiamo una casa con giardino, ma qui siamo in piena fase "sperimentale". Il Piccolo D porta i sassolini dal vialetto alla porta di casa, sperimentando il curioso fenomeno per cui mamma e papà, poi, li riportano sempre al loro posto.
Il Piccolo T è invece alle prese con i suoi primi esperimenti seri (il pluviometro, la ruota idraulica, e l'anemometro), preso dall'entusiasmo per suoi due ultimi libri "scientifici" che ogni sera vuole leggere, sfogliare ed esplorare.



Vi ho già parlato qui dei due volumi della collana "il mio pianeta", di Editoriale Scienza: Il mio pianeta. Acqua e Il mio pianeta. Vento, soffermandomi soprattutto sul primo, con l'esperimento della nuvola in barattolo.
Vi avevo già raccontato del loro approccio multidisciplinare, in cui ogni pagina analizza un diverso aspetto dell'elemento naturale: dalla letteratura alla geografia, dalla fisica alla biologia, tutto naturalmente a portata di bimbo.



E vi avevo anche detto che ogni pagina propone un diverso tipo di attività: osservazione, sperimentazione e creatività, perché imparare è più facile quando si toccano con mano i fenomeni e soprattutto quando ci si diverte.



E infatti, così come è stato per l'acqua, anche con Il mio pianeta. Vento ogni pagina è stata una scoperta. Abbiamo imparato come nasce il vento, quale impatto ha sulla temperatura che percepiamo, come si chiamano i venti che soffiano dai diversi punti cardinali, come il vento trasporta i semi e come trasformare il vento in energia.



E abbiamo iniziato a sperimentare e toccare con mano quello che avevamo imparato, con le tante attività proposte. E una in più.
Dato che ci mancavano alcuni dei materiali richiesti per le "automobili a vela" descritte dal libro, infatti, abbiamo optato per delle più classiche barchette.




È bastato prendere alcuni tappi di sughero e degli stuzzicadenti.
Con la colla a caldo, ho inconcollato i tappi a due a due, fissando nel mezzo due stuzzicadenti che fungessero da "alberi" della nave.




Sugli stuzzicadenti ho infilato le vele create con dei rettangoli di carta colorata, fissate anch'esse con la colla a caldo.




Una cannuccia per sofiare e via: vento in poppa fino a gridare "Terra!".
Anzi: "Bordo della vasca!".





  
Lupi che si nascondono nei boschi, lupi che ti mangiano, lupi catturati da provvidenziali cacciatori: è innegabile e fondamentale la funzione catartica del lupo nelle fiabe, sì, ma che noia!
Anche i lupi, ogni tanto, hanno voglia di uscire dal proprio ruolo di predatori cattivi e far ridere un po'. Per fortuna nella letteratura per l'infanzia esistono anche altri lupi: ironici, imbranati, divertenti, irresistibili.


Così, ho pensato di raccogliere in un post tutti i miei "lupi preferiti": ho allineato gli albi per la foto e guardandoli mi sono resa conto che erano tutti di Babalibri. E allora un applauso per loro, che oltre a proporre titoli sempre curiosi e di qualità, condividono con me questa passione per "gli altri lupi".

Volete conoscerli? Ve li presento.

Primo fra tutti, c'è il lupo presuntuoso di Sono io il più forte! di Mario Ramos.


Il lupo si aggira per il bosco, fiero e felice, chiedendo a tutte le creature che incontra "Chi è il più forte?".
Si ritrova faccia a faccia con i protagonisti di tante favole, come i nani di Biancaneve, Cappuccetto Rosso e i tre porcellini. Tutti, spaventati, gli assicurano che è lui il più forte di tutti, e la sua boria cresce pagina dopo pagina, finché verrà ridimensionato da un esserino apparentemente innocuo che però sa bene il fatto suo.


Irresistibile per una lettura ad alta voce, anche a più voci, da arricchire mimando i gesti del lupo, sempre più vanaglorioso,  Sono io il più forte! è il primo della splendida trilogia dei lupi di Mario Ramos, che comprende anche Sono io il più bello! e Il più furbo. 
Un piccolo capolavoro strutturato per piacere anche ai più piccoli (da tre anni) ma che accompagnerà le vostre letture per molti anni.

C'è poi un lupo bambino, che ancora non sa che diventerà il protagonista di tante fiabe.
È il lupo di Quando sarò grande, un piccolo cartonato di Jean Leroy e Matthieu Maudet (ve l'ho già detto che amo Matthieu Maudet?), che come tutti i piccoli frequenta il parchetto, dove ci sono anche i tre porcellini e Cappuccetto Rosso.


Nel classico gioco del "Cosa farai da grande?" ognuno racconta cosa vuole diventare. Peccato che tutti, nei loro desideri, vogliano fare un lavoro che vede il povero lupo sempre nel ruolo della vittima.


"Cattivi!", grida il lupo, che si sente emarginato. Ed è allora che decide che da grande li mangerà tutti! Che sia solo a causa di Cappuccetto rosso e dei porcellini che lo "bullizzavano" che il lupo diventa cattivo? 
Per le figure nette e i dialoghi semplici, il libro sarebbe adatto già dai due anni, ma lo consiglio da tre anni in su, perché solo chi conosce già le storie citate e può cogliere l'idea buffa dietro questo originale "prequel" si può godere pienamente questo libro.


E poi c'è lui, il classico lupo cattivo, che spaventa e minaccia, ma può essere facilmente sconfitto. Da un cacciatore? No, dal lettore.
È questa la magia di Aiuto, arriva il lupo!, un albo interattivo che conquista i bambini proprio perché li fa sentire protagonisti, come se con i propri gesti potessero cambiare la storia.


Tra le pagine cartonate c'è un lupo, che si avvicina pericolosamente ai lettori. Con poche istruzioni, il testo suggerisce come provare a sbarazzarsene: inclinare il libro in modo che il lupo scivoli, scuoterlo per farlo cadere in un burrone eccetera.


Il bambino si divertirà molto, girando pagina, nel vedere che la sua azione ha avuto un effetto sul lupo, che alla fine riceverà una bella quarta di copertina in faccia.
Un libro da giocare, più che da leggere, adatto, dai due anni in su, anche per chi con i libri ancora non ha molta dimestichezza: può diventare il grimaldello che apre la loro passione per la lettura.

Infine eccolo: un lupo che di cattivo non ha nulla, se non il fatto che vuole sfamarsi e per farlo deve necessariamente cacciare. Ma lui, quello di Jean Leroy e Matthieu Maudet (ve l'ho già detto che amo Matthieu Maudet, vero?) è Un lupetto ben educato, e concede sempre alle proprie vittime un ultimo desiderio prima di mangiarle, perché così gli hanno insegnato i suoi genitori.


Peccato che le sue vittime non siano altrettanto attente alle buone maniere, e approfittino della sua gentilezza per svignarsela.
Finché non incontra un bimbo educato come lui.


Come andrà a finire non ve lo dico, ma le buone maniere, si sa, vincono sempre, e vince anche la simpatia per questo gentile lupetto che aveva solo molta fame.
Ah, e vince anche la risata, naturalmente.

E se anche voi amate lupi, lupetti e lupastri, che ne dite di animare la lettura con un burattino ululante?
Sono sicura che avrete per casa qualche calzetto spaiato da riciclare. Io ne avevo uno nero, del Piccolo D. Ho tagliato in due parti la punta sfruttando la cucitura e allargandola un po', e all'interno dei due lembi ho cucito (sì, cucito! Da sola, lo giuro! Con risultati discutibilissimi ma ce l'ho fatta) un ovale di pannolenci rosso.


E poi via con la colla a caldo: pezzetti di gomma crepla per orecchie, denti e dettagli vari, un pompon per il naso, occhietti mobili.


Eccolo qui: pronto a comparire da dietro una pagina, o a mordicchiare le gambe di un bimbo tenuto in braccio mentre ascolta il libro.


Vi sembra ben educato?
Sbruffone?
Un po' frustrato dalle prese in giro dei compagni del parchetto?


Nel dubbio, chiudetelo forte dentro la copertina del suo libro.


         
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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