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Ci sono, credo, due ragioni principali per le quali ci si approccia a un testo divulgativo, o per dirla in termini editoriali di "non fiction".

Una è il desiderio di approfondire un tema che ci appassiona, di cui vogliamo sapere più cose possibile. L'altra è quella di accendere nuove sinapsi, scoprire collegamenti inediti, rendere più fluido e meno settoriale l'approccio al sapere.

Il polpo ha zero ossa
Risponde certamente a questo secondo bisogno Il polpo ha zero ossa, Un libro per contare e scoprire il mondo, di Anne Richardson e con le efficaci illustrazioni di Andrea Antinori, edito da Editoriale Scienza.

Il polpo ha zero ossa parte da un numero, il più semplice e il più difficile di tutti i numeri: lo zero. 

La pagina che lo presenta, quasi vuota, già lascia presagire la forte componente espressiva di questo libro, che parla di numeri, sì, ma lo fa in modo caldo, attraverso spazi, colori, curiosità, figure dipinte con pennellate imprecise.

Il polpo ha zero ossa 

Non c'è pretesa di esaustività, soltanto l'esposizione di fatti curiosi ed estemporanei, ognuno legato a un numero. Si va dal polpo (che, come dice il titolo, ha zero ossa) a Longyearbyen, uno dei centri abitati più a nord del mondo, che per due settimane ha zero ore di luce.

Non c'è confine tra una disciplina e l'altra, l'unico fil rouge è la progressione numerica, con lo zero che dà inizio a tutto. È nel capitolo a lui dedicato che scopriamo la sua grande potenza: oltre a designare quantità nulle, ogni zero messo in coda a un numero può moltiplicarlo per dieci.

Il polpo ha zero ossa


Quando si passa quindi al capitolo dedicato all'uno, al due o al tre (si arriva fino al 9), troveremo curiosità dedicate anche ai suoi multipli secondo le potenze di dieci, quindi 10, 100 e 1.000, poi 20, 200 e 2.000 e così via, con qualche incursione, in ogni capitolo, su numeri molto grandi.

Lo sapevate che un cucchiaino di terra può contenere ottocento milioni di batteri?

Il polpo ha zero ossa

Il polpo ha zero ossa è un albo trasversale in molti sensi: per discipline, certamente, ma anche per età. Se alcuni concetti sono rivolti almeno alle ultime classi della primaria (come il numero di protoni nel nucleo del fluoro), molte altre cusiosità sono accessibili ben prima (persino la mia piccola di quattro anni è molto incuriosita da alcune pagine!). Per apprezzarlo, non è necessario comprendere tutto: ognuno tratterrà nella sua mente ciò che lo colpisce di più, a partire dal funzionamento del nostro sistema di numerazione (il vero protagonista dell'albo) per arrivare alla più piccola curiosità anatomica, geografica, astronomica, botanica e così via.

Quello che l'albo dice forte e chiaro è: non avere paura della matematica. È tutt'attorno a noi, ed è pronta a stupirti.


Si dice sempre che i grandi, spesso, dimenticano cosa significhi essere bambini. C'è forse, però, qualcosa di peggio: i grandi dimenticano anche cosa significhi essere adolescenti.

Ci dimentichiamo le sensazioni, i pensieri, ma soprattutto ci dimentichiamo di aver fatto cose imbarazzanti, di aver usato un linguaggio ridicolo, di aver sfidato il nostro stesso senso dell'etica verso gli altri. Se ripensassimo a noi da adolescenti – se ci pensassimo davvero, ricordando tutto e non solo quello che teniamo tra i ricordi più cari – probabilmente ci giudicheremmo piuttosto male, con i nostri canoni attuali, e probabilmente è questa una delle principali ragioni per cui comunicare con un adolescente ci riesce così difficile. 

Il libro che ti aiuta a comunicare meravigliosamente con tutti gli umani
Il libro che ti aiuta a comunicare meravigliosamente con tutti gli umani di Françoize Boucher (edito da Il Castoro) parla a preadolescenti e adolescenti usando il loro linguaggio. In effetti, aprendo il libro, sembra di avere a che fare con una pagina di diario, tutta disegnini, punti esclamativi, freccine e sottolineature fluo.

Il libro che ti aiuta a comunicare meravigliosamente con tutti gli umani

Il libro che ti aiuta a comunicare meravigliosamente con tutti gli umani Ã¨ un manuale, ma senza troppe elucubrazioni o approfondimenti: va dritto al sodo, con consigli pratici (e sensati) su come approcciarsi con il prossimo. Inizia con alcuni trucchi che potremmo accostare a quelli per il public speaking, sulla postura, il tono di voce, la chiarezza espositiva, per poi passare dalla forma al contenuto.

Il libro che ti aiuta a comunicare meravigliosamente con tutti gli umani

E allora Il libro parla al suo lettore come fosse un buon amico, suggerendogli come gestire i segreti, su come dosare la schiettezza per non mentire ma d'altra parte non ferire le persone, tracciando schemi che forse semplificano un po' la realtà ma di sicuro forniscono delle linee guida chiare e di buon senso.

Il libro che ti aiuta a comunicare meravigliosamente con tutti gli umani

Perché un'altra caratteristica di adolescenti e preadolescenti (di oggi e di ieri) è che non sempre riescono a capire che si può far male con le proprie parole, o che a volte è meglio chiedere e non aspettarsi che gli altri capiscano telepaticamente le tue esigenze, o su come una piccola bugia può evolvere in un piano inclinato di conseguenze che non portano a nulla di buono. 

Perfette anche per spronare i più timidi e per dare una pacca sulla spalla a chi difetta un po' di autostima, queste pagine incoraggiano a parlare, a interagire dal vivo prima che sui social, a tenere una mente aperta alle opinioni e ai pensieri degli altri, per instaurare dinamiche positive.

Il testo di questo libro è ridotto al minimo, i consigli non sono supportati da un substrato teorico: visto così, Il libro che eccetera eccetera potrebbe sembrare rivolto anche a un target più basso, di primi lettori, ma nonostante la sua semplicità, la sua lettura richiede una certa dose di domande su se stessi, quelle che ancora non sono sfociate in una vera e propria autoconsapevolezza, ma che con l'esperienza (e con letture come questa) negli anni potranno farlo.

È un libro allegro, scanzonato, in qualche modo assolutorio, perché fa capire che no, non si è i soli ad avere difficoltà, ma in quella parola nascosta nel suo titolo, "umani", c'è molto di più di un tono ironico. È comunicare che ci rende umani, e imparare a farlo bene è un ottimo punto di partenza per crescere con umanità.


Non sono un'assidua frequentatrice del genere giallo, ma quando mi capita di leggerne uno, prima ancora del mistero da scoprire mi lascio affascinare dalla personalità dell'investigatore.

È una caratteristica quasi imprescindibile, sebbene non codificata, del genere quella di dare vita a protagonisti arguti di cui però si apprezzano vizi e vezzi: la golosità, spesso, ancora più spesso una certa indolenza, e un carattere di norma schivo e solitario.

Il commissario Gordon e le nocciole scomparse

È gustoso rivedere queste caratteristiche calate in un libro di narrativa per bambini: Gordon ha lo spirito di molti grandi investigatori della letteratura, solo che è un rospo.
Facciamo la sua conoscenza in Il commissario Gordon e le nocciole scomparse, primo della serie di libri su questo personaggio scritti da Ulf Nilsson, portato in Italia da Lupoguido. Lo troviamo addormentato sulle sue carte, con la bocca sporca di briciole, quando uno scoiattolo lo cerca per sottoporgli il suo caso: qualcuno ha rubato tutte le sue nocciole.

Il "delitto", naturalmente, è a misura di bambino, senza spargimenti di sangue, ma il nostro capo della polizia lo prende molto seriamente, tanto da appostarsi immobile nel tentativo di scovare il ladro, finendo totalmente ricoperto di neve.

Il commissario Gordon e le nocciole scomparse

Non è un campione di azione, il commissario Gordon, e per fortuna lungo la sua indagine, tra una falsa pista e l'altra, trova un'assistente più dinamica e coraggiosa di lui. Gordon ha un'indole tranquilla, che emerge anche dalle illustrazioni, che lo mostrano con i suoi occhi da batrace, sempre con la palpebra a mezz'asta, e come molti degli investigatori letterari ama la buona tavola, per la quale si concede qualche pausa dal lavoro.

Il commissario Gordon e le nocciole scomparse

La sua arguzia, poi, più che sul caso stesso, si rivela soprattutto con le persone, o per meglio dire i personaggi. La sua è un'intelligenza emotiva, di chi sa cogliere il dramma di chi ruba per fame e sa punire i veri colpevoli sfruttando le loro stesse debolezze.

Il commissario Gordon è un libro di narrativa adatto anche ai lettori non del tutto fluidi, grazie ai suoi capitoli brevi e alle numerose illustrazioni. E forse non si tratta dell'indagine densa di mistero e indizi da scovare e colpi di scena imprevisti, ma a quel tranquillo e goloso rospo che sa pensare con la testa e con il cuore ci si affeziona facilmente, e noi non vediamo l'ora di leggere la sua prossima avventura.



Tutti siamo narratori.

Tutti raccontiamo ogni giorno qualche storia, perlomeno a noi stessi, spesso proprio su noi stessi. È questo che ci rende umani. Se leggiamo libri ai bambini è soprattutto per questo. E poi, sì, ci sono l'amore per l'arte e la letteratura, ma prima ancora c'è il bisogno di storie.

Come raccontare le storie ai bambini

Come raccontare le storie ai bambini Ã¨ un libro insolito, prima di tutto per motivi editoriali: una casa editrice di libri per bambini e ragazzi (Il Castoro) che pubblica un manuale su come raccontare storie ai bambini senza libri... è già sufficientemente strano, non trovate?

Ma se le storie sono ciò che ci rende umani, esse sono anche un meraviglioso veicolo di comunicazione con i bambini, che ci pone sul loro stesso livello, a parlare la loro stessa lingua. Gli autori, due educatori, Silke Rose West e Joseph Sarosy, sottolineano soprattutto l'aspetto relazionale delle storie, la loro capacità di creare un legame che spesso ci permette di superare anche momenti difficili.

Come raccontare le storie ai bambini

Silke Rose West e Joseph Sarosy ci offrono i loro trucchi per improvvisare e inventare racconti e ci svelano il meccanismo per cui, ancorandosi alla realtà, si può affrontare alcuni problemi che altrimenti genererebbero frustrazione, semplicemente inserendoli in un contesto immaginario, affidandoli a personaggi ed eventi esterni a noi.

Come raccontare le storie ai bambini ha, a mio parere, il vizio comune a molti manuali di auto-aiuto di dichiarare "metodo" qualcosa che metodo non è, ma nondimeno dà consigli utili e spunti interessanti per inserire le storie in un contesto quotidiano dove di solito non le infiliamo mai.
Non stiamo parlando della routine di lettura, ma della creazione dal nulla (o meglio, da un elemento di realtà) di racconti completamente inediti, che trovano la loro forza non nella creatività del genitore o nella sua capacità artistica ma proprio nella possibilità di creare un legame tra immaginazione e realtà.

Gli autori lo sottolineano spesso, e io ci credo molto: l'aspetto più importante non è saper dare vita a una storia perfetta, ma dedicare un momento esclusivo al bambino e creare qualcosa che il bambino riconosca come sua, vostra.

Accanto a spiegazioni sull'importanza delle storie e a suggerimenti su come inventarle, gli autori inseriscono dei piccoli esercizi utili per "sbloccare" i propri freni inibitori ed esplorare nuove possibilità.
Inoltre – elemento importantissimo – concludono ogni capitolo con l'esempio di una storia da loro inventata, con la descrizione del contesto da cui è nata e delle reazioni ottenute: un elemento che forse più ancora delle spiegazioni teoriche è utile per capire i meccanismi creativi e dare lo spunto per raccontare.

Come raccontare le storie ai bambini

Come accade per molti manuali rivolti a genitori o educatori, la funzione di Come raccontare le storie ai bambini Ã¨ più che altro quella di ispirare, di spronare. Non a caso la sera stessa, di fronte alla mia piccola che non ne voleva sapere di dormire dopo le solite letture, ho sperimentato subito l'idea di una storia tutta nostra, e ammetto che ha funzionato: la piccola M si è calmata e addormentata in poco tempo.

Insomma, tranquilli: Come raccontare le storie ai bambini non prevede di accantonare libri e albi illustrati, ma vi farà scoprire che le storie non sono soltanto lì dentro, ma ovunque attorno a noi, e soprattutto dentro di noi.


La conquista delle piccole autonomie quotidiane è uno degli aspetti più frustranti e allo stesso tempo entusiasmanti dell'essere bambini.

Procede inevitabilmente per tentativi ed errori, ed è uno di quei casi in cui il modo in cui si prende l'errore fa la differenza: solo chi lo accetta come un'occasione per imparare fa dei veri passi avanti. Chi al contrario lo vive male, si arrabbia e si scoraggia, generalmente rinuncia, almeno finché non ha dimenticato la frustrazione ed è pronto a riprovare.

Io so vestirmi da sola

Elena Odriozola racconta il primo di questi due atteggiamenti, quello positivo e determinato, in Io so vestirmi da sola, un libretto che parla ai bambini più piccoli (dai due anni circa) mettendo in scena il percorso di scoperta verso una nuova conquista.

Lupoguido inaugura con questo titolo una serie di libri dedicati proprio a questa fascia d'età, alle routine  e alle scoperte che comporta.

Io so vestirmi da sola

Con un gusto visivo un po' vintage, con colori caldi e spenti, quasi autunnali, e una copertina che richiama le grafiche degli anni Venti (quelli prima di questi Venti che stiamo vivendo, intendo), Io so vestirmi da sola sembra trattare "da adulti" i più piccoli, e in fondo anche in questa scelta riconosciamo una rappresentazione del loro desiderio di autonomia.

Non sembra essere un caso nemmeno il fatto che la protagonista sia sola, a esclusione del cane che osserva i suoi progressi: imparare a vestirsi è una conquista di cui il bambino che legge, così come la bambina rappresentata, vuole prendersi tutto il merito, con spirito caparbio e orgoglioso.

Io so vestirmi da sola in effetti parla direttamente ai bambini, con poche parole semplici e dirette, senza nulla sotto cui scavare, e un ritmo regolare e rassicurante, che si ripete dall'inizio alla fine con un susseguirsi di elementi quasi uguali a loro stessi.

Io so vestirmi da sola

Sulla pagina di sinistra vediamo l'armadio, scuro con gli indumenti bianchi. A destra, la bambina che di volta in volta ne prende uno e prova a indossarlo, chiedendosi come fare e sbagliando: una volta mette le mutande in testa, un'altra il vestito sottosopra.

Aprendo la pagina di destra, però, la scena si allarga e la situazione si risolve: la bambina ha indossato l'indumento correttamente. Via via che le pagine scorrono, l'armadio si svuota e la bambina si veste. Gli indumenti bianchi, che spiccano sul fondo, hanno un ruolo da co-protagonisti nell'albo: il piccolo lettore li vede gradualmente abbandonare l'armadio e trovare il proprio posto addosso alla bambina. Il volto della piccola non rivela grande emozione, di fatto non accade nulla se non questo processo di vestizione: ma è proprio questa semplicità, questa riconoscibilità del quotidiano, che parla ai bambini con il loro linguaggio, permettendo loro di riconoscersi.

Io so vestirmi da sola non è un libro nato per insegnare (per quanto, di fatto, lo faccia, presentando l'ordine dei gesti da seguire per imparare a vestirsi), è più una storia in cui rispecchiarsi, per rivivere quella frustrazione di sbagliare, quel passo falso che poi, se lo si sa superare, sa portare molto avanti nella strada per diventare grandi.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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