Nuvole in scatola
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Ha la forza di una canna di bambù e la delicatezza di un fiore di ciliegio, la fiaba di cui vi racconto oggi.

La ragazza bambu

La ragazza bambù, scritta dall'olandese Edward Van de Vendel e illustrata con grande sensibilità da Mattias De Leeuw, edita in Italia da Sinnos con la bella traduzione di Laura Pignatti, è un libro dalla struttura molto particolare. Il rapporto tra testo è immagini è quello di un albo illustrato, con le immagini protagoniste dello spazio-pagina, ma la mole dell'opera è decisamente quella di un romanzo, con una quantità di testo complessivo abbastanza corposa e una foliazione di 240 pagine.

Nonostante la lunghezza, lo consiglierei tranquillamente per una "seconda" lettura, per bambini che iniziano a leggere con una certa fluidità ma non hanno ancora affrontato testi lunghi: il ritmo di questo romanzo invita alla lentezza, alla contemplazione, e ben si adatta ad essere riposto e ripreso in più giorni, e assaporato con calma.

La ragazza bambu

La trama riprende una narrazione tradizionale giapponese, già riproposta in molte versioni e varianti: quella di una coppia di anziani che trovano una minuscola bambina in una pianta di bambù e la crescono come la figlia che non hanno mai avuto.

La piccola col tempo diventa una fanciulla di una bellezza senza pari, contesa tra pretendenti che le offrono ogni cosa, e a cui lei affida prove impossibili, ben sapendo che non può concedersi a nessuno, perché lei appartiene a un altro mondo. Finché arriverà un giovane, meno borioso degli altri, più semplice e sincero, che la farà innamorare, mettendola di fronte a un grande dilemma: rispettare il proprio destino o seguire il proprio cuore?

A far da cornice a questa favola, una presenza enigmatica, a cui il narratore si rivolge dando del tu. Una creatura lunare che segue da lontano, con il cannocchiale, le vicende della ragazza-bambù:

Seduta sul tuo seggiolino sulla Luna
tu guardavi quello che succedeva a Oi.

Il suo ruolo non sarà chiaro se non nell'inaspettato, e piacevole, finale, ma gli intermezzi con cui questo personaggio spezza la narrazione danno respiro alla storia, rispecchiando spesso i sentimenti del lettore stesso, e contribuiscono a mantenere l'atmosfera onirica e msteriosa di questo racconto.

La ragazza bambu

Le delicate illustrazioni ad acquerello, che richiamano lo stile giapponese, rivisitato con tratti più moderni, infondono alla storia bellezza e armonia, pennellando il racconto con i colori rilassanti della natura, in cui dominano il blu del cielo, il verde dei prati, il rosa dei fiori di ciliegio. Anche la prosa è posata, calma, serena anche nei momenti di maggiore tensione.

La ragazza bambù è una fiaba che proietta in altri mondi, ma soprattutto in altri tempi, tempi tranquilli e rilassanti in cui godersi una storia dalle sfumature acquerello.


"Mamma, immagina se adesso tiro un calcio e il pallone finisce sulla luna!"

"Papà, hai visto? Ho bevuto tanto che tra poco scoppio come una bomba d'acqua"

Tra tutte le figure retoriche, l'iperbole è forse quella che i bambini padroneggiano meglio, quella che più si adatta alla forma della loro immaginazione, la più diretta e immediata.

Le cacche del coniglio - Le puzze dell'elefante

Credo sia per questo, e non solo per il tema scatologico che è sempre particolarmente gradito dai piccoli, che ha avuto un grande successo la serie di Francesco Pittau e Bernadette Gervais che comprende Le cacche del coniglio e Le puzze dell'elefante, ripubblicati oggi da Il Castoro in una nuova edizione (che non utilizza più il Comic Sans come la precedente: grazie, grazie, grazie Il Castoro!), sempre con la traduzione di Silvia Pareti.

La semplicità e il candore di questi albi sono quasi disarmanti: le storie procedono con una medesima struttura, capace di cogliere con precisione le attenzioni dei bambini grazie alla cura del ritmo narrativo, dello stile illustrativo e, naturalmente, dell'argomento principale, un vero evergreen.

Le cacche del coniglio

L'arco narrativo dei due albi, dicevo, è praticamente sovrapponibile: prima viene presentato l'animale con la sua caratteristica iperbolica (il coniglio che fa tantissime cacche, l'elefante che fa tantissime puzze), poi vediamo gli amici del protagonista che, stufi delle conseguenze di queste azioni, lo isolano, e infine si riuscirà a trovare non soltanto una soluzione, ma anche un lato positivo all'eccesso di cacche e di puzze, in un clima sempre allegro e giocoso.

Le cacche del coniglio

Due albi sulla resilienza? Sull'accettazione delle peculiarità delle persone? Forse, ma prima di tutto due albi esilaranti, in cui il bambino viene catturato dalla serenità e dal sorriso spensierato di questi protagonisti che producono montagne di cacche e sollevano le lenzuola con la forza delle loro puzze.

Le puzze dell'elefante

In conclusione: preparatevi a una lettura condita e interrotta da matte risate, mentre aspettiamo che Il Castoro ripubblichi anche La pipì della zebra e Il moccio dell'ippopotamo, perché di schifezze con cui ridere, qui, non ce n'è mai abbastanza.


 

C'è un grande, insondabile mistero che nessun genitore è ancora riuscito a sbrogliare.

Perché un bambino, quando ha sonno, si agita, urla, fa il broncio, si irrita per qualsiasi cosa, quando potrebbe semplicemente dormire? Se lo chiedono milioni di adulti che vorrebbero essere al suo posto e cogliere l'occasione sempre più rara di riposare senza altri pensieri e sensi di colpa.

Il riposino no

E se lo devono essere chiesto anche Chris Grabenstein e Leo Espinosa, rispettivamente autore e illustratore di Il riposino no!, un frizzante albo da poco pubblicato da Il castoro.

Protagonista è Arianna, una bambina che, come tanti altri di mia conoscenza, non vuole proprio fare il riposino.

Il riposino no

Le sue urla contrariate di avvertono in tutta la città; perfino gli operai al lavoro col martello pneumatico si stupiscono:

"Non ho mai sentito niente di più rumoroso!"

Il riposino no

Ma la svolta arriva quando un anziano seduto sulla panchina del parco chiede: 

"Se lei proprio non lo vuole, posso farlo io il suo riposino?"

E uno dopo l'altro, tutti gli abitanti della città si accaparrano tutti i riposini non fatti da Arianna. E da qui la storia si fa iperbolica, paradossale, giocosa, anche nel rintracciare nelle illustrazioni la "vignetta" più divertente,
 
Il riposino no

La domanda dell'anziano innesta  un piccolo corto circuito di senso, che è poi l'idea creativa che regge tutto il libro: il fatto che il riposino possa essere un oggetto di scambio, che se uno non lo usa, se lo possa prendere l'altro. Un principio comico che segna uno scarto evidente tra il target del libro e la protagonista che vi è rappresentata.
Arianna si muove in passeggino, non sa parlare (se non per dire "no", naturalmente), potremmo qui di assegnarle un'età tra un anno e un anno e mezzo, ed è evidente che l'albo non può essere compreso da un bimbo così piccolo: non ne afferra l'idea creativa, non ne coglie le battute scherzose, forse non ne coglie ancora nemmeno la trama. Immaginando un piccolo lettore che sappia godere delle sfumature ironiche e paradossali di questo testo, dobbiamo fare un salto fino almeno ai quattro anni, un'età in cui il riposino, il più delle volte, non si fa più. Il che non permette nemmeno un'identificazione "ispirazionale", perché i bambini, si sa, tendono a cercare modelli nei più grandi.

Un difetto dell'albo? Tutt'altro. Io preferisco vedere in questo scarto una dichiarazione di intenti: questo non è un "libro per". Non verrà letto per convincere i bambini dell'importanza del riposino, non verrà letto per convincere a dormire.

Verrà letto per il solo piacere di leggere, di condividere una momento divertente, al limite potrà scappare un "ti ricordi quando anche tu non volevi mai fare il riposino?". Perché la nanna non puoi "farla fare", sarebbe come imporre di non essere in ansia o di sentirsi felici. Ma le risate sì, quelle si possono regalare, un po' come i riposini dentro questo libro.


PS: fate caso ai risguardi. "Urlati", all'inizio, "sussurrati" alla fine. Un bel dettaglio per accompagnare la storia ad aprirsi e a chiudersi.


Quando nasce l'amore per la lettura?

Forse può nascere a qualsiasi età, però di una cosa sono certa: quando nasce presto, molto presto, quell'amore è legato strettamente al rapporto con mamma e papà. La nascita di questo amore è il tema dell'albo di cui vi racconto oggi.

Tom e Pippo leggono una storia

Con Tom e Pippo leggono una storia, Camelozampa porta di nuovo ai piccolissimi i protagonisti che già avevamo amato in Tom e Pippo combinano un guaio (qui il mio post).
Anche a livello editoriale, questa serie è fatta apposta per essere maneggiata da piccole mani: le pagine grandi e spesse (ma non cartonate: il bambino che ha confidenza con i libri impara presto a farne a meno), gli angoli arrotondati.

La Oxenbury sa dipingere in modo straordinario il mondo dei bambini in un modo che i bambini sanno capire: con figure semplici su sfondi bianchi o minimali, poche parole che sono le stesse che un piccolo sente dentro di sé. 

Tom e Pippo leggono una storia

In questa semplicità riesce ad essere particolarmente profonda nel cogliere le sfumature del sentire bambino, e allo stesso tempo molto moderna. Nel mondo di Tom e Pippo c'è solo un papà. 
Cosa significa? Non ha importanza.
Forse la mamma non c'è, forse è semplicemente da un'altra parte nel momento in cui si svolge la storia, ma in questo contesto appare del tutto naturale che sia il papà a prendersi cura del figlio (cosa che nel 1988, quando il libro è stato pubblicato, forse tanto scontata non era).

Un altro dettaglio solo apparentemente casuale: quel papà non è lì per il figlio. Solo nelle cattive opere di fiction i genitori sono sempre a disposizione. Lo vediamo leggere il giornale, con le gambe distese che comunicano relax. Per farsi leggere una storia, Tom lo disturba, lo distoglie dal suo momento. 
Il papà lo fa volentieri, certo, ma è un momento che si ritaglia tra altre cose da fare:
Al papà piace leggere il giornale, ma non gli dispiace leggere i miei libri con me.

Tom e Pippo leggono una storia

E poi c'è Pippo, il pupazzo di Tom, a cui è Tom a leggere, e in questo rapporto si rispecchia quello tra il bambino e il padre, in una perfetta rappresentazione simbolica di tutti i sentimenti in gioco, tra il piacere e la fatica di leggere.

C'è un'ironia sottile nel finale, in Tom che dopo un po' si stufa di leggere per Pippo, una velata battuta che dà profondità all'albo e lo rende godibile anche da bambini più grandi di quelli (di 1-2 anni) a cui di norma si indirizzerebbe.
Il papà legge a Tom, Tom legge a Pippo: nella fatica di leggere, si trasmettono amore e relazione.
È nato un nuovo, piccolo lettore.


A volte penso che quando cerchiamo storie di sopravvissuti all'Olocausto lo facciamo non tanto per vedere quanto l'umanità abbia saputo scendere negli abissi della non-umanità, ma al contrario, per vedere come anche nella disumanità più profonda si possa trovare un lume di speranza.

Sì, perché le storie di sopravvissuti sono quasi sempre storie di solidarietà, di resistenza collettiva, di un fuoco mantenuto vivo da una scintilla, soffiandoci sopra tutti insieme.

La bibliotecaria di Auchwitz

La bibliotecaria di Auschwitz, graphic novel sceneggiato da Salva Rubio e illustrato da Loreto Aroca, edito da Il castoro con la traduzione di Francesco Ferrucci porta esattamente questo: una luce che rischiara le tenebre più profonde dell'Olocausto, una luce tenuta accesa non da un singolo, ma da un gruppo di persone temerariamente attaccate alla vita.

La bibliotecaria di Auschwitz Ã¨ tratto dall'omonimo romanzo di Antonio Iturbe, a sua volta ispirato alla storia vera di Dita Kraus, un'ebrea che da Praga fu deportata ad Auschwitz in quello che fu un caso unico nel panorama dei campi di sterminio: il cosiddetto "Campo per famiglie".
Qui i detenuti erano trattati in modo apparentemente più umano: le famiglie non venivano separate, non si rasavano i capelli e vi era qualche piccolo privilegio; il tutto allo scopo di creare una realtà di facciata da mostrare al mondo, ad esempio in occasione della visita del Comitato internazionale della Croce Rossa. Piccole concessioni, queste, che poco toglievano al dramma vissuto dai detenuti, che dovevano sopportare torture fisiche e psicologiche e, consci della loro condizione privilegiata, sapevano che a essa sarebbe seguito un destino ben peggiore non appena quel loro ruolo di facciata non fosse più servito. 

La bibliotecaria di Auchwitz

È qui che si inserisce la storia di Dita, una ragazza che custodisce nel campo una biblioteca segreta.
I libri diventano simboli di un animo che non si lascia abbattere, di un'umanità che lotta per restare viva anche di fronte all'orrore. La sua missione, che Dita porta avanti temerariamente, con il pericolo di essere scoperta e condannata a morte, aiuta i deportati del blocco a restare umani.

La storia di Dita si intreccia con quella di Fredy Hirsch, leader carismatico che la ispira e la motiva, e che nasconde un pericoloso segreto, e con quella di personaggi storici come lo spietato dottor Mengele.

Leggendo questo graphic novel si ha l'impressione di percorrere due trame: quella delle vicende di Dita e del suo gruppo e quelle della Storia che le scorre attorno.
Passando dalla Praga delle prime pagine al campo di sterminio, i colori si fanno cupi, le inquadrature più strette e opprimenti, e gli sguardi disegnati ci lasciano penetrare il terrore, la speranza, la precarietà, il lutto, la disperazione, le emozioni forti e terribili che hanno segnato la vita di questa ragazza, oggi 93enne, che ha attraversato l'orrore e l'ha saputo vincere, per poi darcene testimonianza.

La bibliotecaria di Auchwitz

Le ultime pagine del volume sono dedicate a un dossier storico.
Senza nulla togliere alla fiction, credo che su questo tema sapere che si sta leggendo una storia vera dia all'opera un valore più profondo, e il desiderio di approfondire, capire fino in fondo ogni passaggio uscendo dal punto di vista limitato della protagonista per guardare il quadro dall'esterno diventi una necessità improrogabile.

A tanti anni di distanza da quell'orrore non ci resta che questo: delle storie da raccontare per non dimenticare, e la consapevolezza che le storie possono salvarci la vita.

PS: Per chi, come me, leggendo questo graphic novel, senta il bisogno di conoscere ancora meglio la storia di Dita, c'è anche la sua autobiografia, oppure il romanzo del marito, che (come il graphic novel racconta) Dita ha conosciuto proprio nel Campo per famiglie di Auschwitz.


Il titolo richiama atmosfere notturne, forse un po' noir, sicuramente arricchite da qualche elemento misterioso. E in effetti è così, anche se in un certo senso non lo è.

Mezzanotte e cinque

Mezzanotte e cinque, infatti, non è un orario, ma il nome del protagonista di questo romanzo di Malika Ferdjoukh, edito da Camelozampa con le illustrazioni di Eleonora Antonini.  È un ragazzino di dieci anni, un vagabondo che passa le sue giornate tra le strade di Praga con la sorella Bretella e il suo migliore amico Emil, e il suo curioso soprannome deriva da uno strano tatuaggio che sembra un orologio le cui lancette indicano proprio quell'ora. 

Ma non è questa la sola Praga che ci racconta il libro. Le pagine ci trasportano con grande efficacia in una città dell'800 che sembra lo scenario perfetto per una favola (e chi ha visitato Praga sa che è davvero così) e in una realtà sociale fatta di grandi contrasti, dove i nobili quisquiliano di cose futili e le persone umili soffrono la fame.

Mezzanotte e cinque

I dialoghi e le descrizioni della Praga nobiliare, grazie anche alla deliziosa traduzione di Chiara Carminati, mantengono un certo manierismo che li rende al tempo stesso aristocratici e ironici. Ritroviamo il vezzo di alcuni termini desueti come "martingala", ma anche commenti arguti, che dietro un tono di voce aristocratico celano una sfumatura irriverente:

La principessa Daniella svenne seduta stante: infatti, benché fosse di origine spagnola, osservava a meraviglia le usanze della corte di Boemia.

Più ruspante è l'altro lato della medaglia, che pullila di annotazioni divertenti più dirette, come quelle sullo stato di pulizia dei bambini, così ricoperti di sporcizia da non lasciar intuire né il colore della pelle né quello dei capelli. La banda di Mezzanotte e cinque sembrerebbe uscire da un'opera di Dickens, se non fosse circondata da un'aura di allegria che emerge nonostante le loro preoccupazioni quotidiane per il sostentamento.

Mezzanotte e cinque


Ah, sì, e poi c'è la trama, che nasce dalla scomparsa di una preziosa collana della principessa, per poi continuare con il suo avventuroso ritrovamento. Mezzanotte e cinque è un romanzo scorrevole e non troppo lungo (e, dettaglio non trascurabile, stampato in font ad alta leggibilità), ma non banale, in cui ogni piccolo trascurabile dettaglio trova alla fine un suo senso; è una storia "di Natale" in cui il bene vince, ma non nel modo più prevedibile, e in cui il valore di una collana è meno importante di quello della verità, della libertà e dei sentimenti autentici.

Tra ironia e siparietti leggeri, Mezzanotte e cinque si noda in un intreccio di misteri, scoperte e sorprese che tiene fede alle atmosfere suggerite da un titolo che in realtà non voleva dire questo, ma lo dice ugualmente benissimo.


Il telefono senza fili è un gioco divertente e a suo modo istruttivo sul funzionamento della comunicazione e del rumore e delle tante sfumature tra verità e bugia.

Riflettere su come un messaggio non arrivi necessariamente così come intendevamo trasmetterlo non è cosa semplice: perfino molti adulti danno per scontato il contrario. I bambini piccoli, poi, che ancora non riescono bene a distinguere l'altro da sé, pretendono che l'adulto capisca qualcosa anche solo perché l'hanno pensata.

Ho sentito dire che

Ho sentito dire che… di Mariapaola Pesce, illustrato da Martina Tonello e edito da Terre di Mezzo porta questo meccanismo in un mondo di animali più o meno antropomorfizzati, per darne un esempio efficace e a portata di bambino.

Ho sentito dire che

Tutto nasce dalla considerazione del postino piccione, che da un po' di tempo non vede in giro la talpa.

Questa semplice constatazione si trasforma nell'ipotesi del topo, che immagina che la talpa sia partita.

Ma l'ipotesi, come spesso accade, diventa certezza al passaggio successivo, e la dinamica si ripete, animale dopo animale, bocca dopo bocca, fino a creare una storia completamente fittizia che vede la talpa prima coinvolta in un furto e poi vincitrice della maratona di New York e non solo.

Ho sentito dire che

Il meccanismo, solo apparentemente semplice, non è immediato per un bambino (può aiutare qualche commento del genitore / lettore), ma il ritmo dell'albo e la ripetizione, scena dopo scena, di uno stesso schema sia testuale che visivo, aiutano a coglierne il senso.

Ogni doppia pagina ospita sulla sinistra l'animale che dà la notizia, sulla destra il suo interlocutore, che la amplifica creando una nuova ipotesi. 

Ancora a destra, troviamo un terzo animale, un semplice ascoltatore, che diventa però protagonista della trasmissione del nuovo messaggio nella pagina successiva.

Ho sentito dire che

Il meccanismo a ripetizione rende più chiara la dinamica e permette inoltre di amplificare a dismisura la falsità della storia, fino allo svelamento finale dell'equivoco, in una scena corale e spassosa.
Insomma: in un mondo in cui le fonti di comunicazione si moltiplicano, meglio insegnare ai ragazzi che le fonti vanno sempre verificate.


Lo sentite anche voi questo profumo?
No, non quello di aghi di pino, e neanche quello di biscottini di pan di zenzero.

Quell'altro, ecco: profumo di ferie!

Ma prima di darvi appuntamento al 2023, ci vuole proprio un bel libro di Natale!

Che pasticcio mr alce

A farmi da testimone dello spirito natalizio quest'anno è Che pasticcio, Mr. Alce!, un romanzo dei tedeschi Andreas Steinhöfel (autore) e Katja Gehrmann (illustratrice), pubblicato da Terre di Mezzo, che si colloca, come altri titoli di cui vi avevo parlato, su una delle soglie più delicate di questo periodo dell'anno: quella tra il credere o non credere a Babbo Natale.

La situazione è questa: il protagonista e voce narrante del libro, Bertil, non ci crede più, e così, quando un alce piomba dal cielo direttamente nel loro salotto, sfondando il soffitto, si trova a dover mettere in discussione le proprie convinzioni, insieme alla sorella Kiki, che con spirito scientifico prende appunti su ogni cosa.

Che pasticcio mr alce

Già, perché mr. Alce non solo sa parlare correttamente la sua lingua, ma racconta anche ai bambini di essere un alce di Babbo Natale.

Alce? Sì, alce. Perché Babbo Natale – scopriamo – usa le renne, più leggere e veloci, durante la notte della vigilia, ma nelle sere precedenti, per testare la slitta, si affida agli alci.

Babbo Natale in persona (un ometto più burbero del previsto) verrà poi nella casa di Bertil e Kiki a reclamare il suo alce, e finirà in un pasticcio dal quale la famiglia umana saprà tirarlo fuori, salvando lo spirito natalizio. Nel frattempo, però, viviamo una serie di avventure e di equivoci nati dal tentativo della famiglia di Bertil e Kiki di nascondere mr. Alce e ci godiamo una narrazione a tratti umoristica, a tratti più intimista.

Ci fa ridere la descrizione del sedere dell'alce incastrato nel soffitto, e ci riconosciamo nei bambini che chiamano "per nome" i loro mobili:

In una grandinata di tegole e mattoni, una cosa enorme e marrone atterrò su Søren, mandandolo in pezzi. Søren era il nostro tavolino dell'Ikea. Le candele dell'avvento e i biscotti natalizi al cocco che c'erano appoggiati sopra fecero la stessa fine.

Ridiamo del carattere orgoglioso di mr. Alce e delle sue bizzarre abitudini, o della cultura enciclopedica di Kiki:

"Ma gli alci possono volare?" domandò poi dubbiosa [la mamma].
"No", rispose Kiki, "Così come non possono fare trekking, immersioni o giocare a tennis. E nemmeno parlare."
Come se avesse atteso proprio quel momento, l'alce aprì gli occhi: "Ti sbagli, bambina!" bofonchiò. "Io parlo ben cinque lingue, e tutte correttamente!"
"Sarà", ribattè Kiki impassibile. "Ma con un fortissimo accento americano!"

La prosa è leggera e briosa e le illustrazioni di Katja Gehrmann allegre e ironiche (noi l'avevamo già apprezzata in I cavallucci marini sono esauriti).

Che pasticcio mr alce

Ma tra una risata e l'altra ascoltiamo anche i desideri più profondi dei personaggi: quello di mr. Alce di essere protagonista della grande notte di Natale, o quello di Bertil di rivedere i suoi genitori separati di nuovo insieme.

È in questi desideri che si dirime nel romanzo la "questione Babbo Natale": i regali li comprano i genitori (questo, va detto, viene dichiarato in modo piuttosto esplicito), ma è Babbo Natale che pensa ai desideri più veri, quelli più importanti.

Un romanzo un po' overpromising, forse, che dà a Babbo Natale poteri un po' eccessivi, ma in fondo tutti noi vogliamo credere che, almeno a Natale, tutto sia possibile.


Credo che poche cose diano più sicurezza, nell'età avanzata, che sapere che la propria vita è stata piena e significativa.

È questa la sensazione che ci dà il signor Filkins, protagonista di questo libro, che è anche un po' un alter ego del suo celeberrimo autore, Quentin Blake.

Pochi giorni fa, il 16 dicembre 2022, Quentin Blake ha compiuto 90 anni, nei quali ha dato alla letteratura per l'infanzia un contributo gigantesco. Noi lo amiamo soprattutto per le illustrazioni dei romanzi di Roald Dahl, così perfette in quell'apparente imperfezione dei tratti e in quella sottile ironia che sottendono, ma nella sua lunga carriera ha illustrato innumerevoli opere, di molte delle quali è stato anche autore.

Il signor Filkins nel deserto, edito da Camelozampa, suona molto come un meritato omaggio a sé stesso, o meglio ancora come un messaggio che Quentin Blake si sente di trasmettere, giunto a questo traguardo.

Anche Filkins, infatti, compie 90 anni nell'albo, e per festeggiare il suo compleanno attraversa il deserto, passo dopo passo, senza paura, armato solo di una bottiglia di acqua frizzante.

Il cammino non sarà semplice, perché si troverà ad affrontare terribili mostri dai nomi esilaranti, come il Cianfrusaglio (bellissima traduzione di Luigi Berio dell'originale Clutterbunk).

Filkins non ha spade, né poteri straordinari, ma possiede armi ancora più potenti: la sua saggezza, che gli dice quando è il momento di nascondersi e quando è quello di continuare, e la sua gentilezza, che non gli permette di lasciare indietro nessuna creatura, nemmeno il terribile Zagoberto, che giace a terra in difficoltà.

Sarà proprio questo gesto altruistico a permettergli di arrivare a destinazione.

Il signor Filkins nel deserto è una storia breve ma molto ricca, con un ritmo e una scansione perfettamente equilibrati, che racchiude e rappresenta lo spirito di Blake: un certo  umorismo, la leggerezza con cui prendere la vita, la gentilezza verso gli altri e la giustizia, come chiavi per fare la scelta giusta.

Quello che ci svelano Filkins e Blake è il segreto per arrivare sereni a 90 anni: fare un passo alla volta, anche nel deserto, sorridere ed essere gentili con chi ne ha bisogno, sempre.

Siamo abituati a pensare ai bambini come degli esseri in rapporto idilliaco con la natura.

In realtà, se solo abbiamo visto un bambino libero di giocare nella natura (o se siamo stati quei bambini) sappiamo bene che l'istinto primario non è quello di coesistere in armonia, ma quello di sperimentare, spesso in modo poco rispettoso: strappare, tagliare, calpestare. Ma è quella sperimentazione che porta poi a una comprensione più profonda e concreta.

Angeli. lucertole, bambini dappertutto

La penna così sensibile di Bruno Tognolini lo racconta con magia e autenticità allo stesso tempo in Angeli, lucertole, bambini dappertutto, il suo primo libro pubblicato da Fatatrac nel 1992 e oggi riproposto da Camelozampa in una nuova edizione impreziosita dalle immagini di Giulia Orecchia, che con la loro vivacità si accordano così bene alla prosa dell'autore.

Quel rapporto non sempre idilliaco tra bambini e natura è visibile fin dal secondo racconto della raccolta, in cui bambini e lucertole si fanno guerra. I bambini, armati di sassi, cercano di colpire i rettili, finché uno dei piccoli umani non capirà che è molto più divertente correre insieme a loro.

Ma è un percorso che passa necessariamente attraverso la violenza, che poi rivela il suo lato peggiore, smuove sensi di colpa e una coscienza più attenta ai propri gesti.

Il mondo in cui si muovono i protagonisti di Angeli, lucertole, bambini dappertutto Ã¨ quello del cortile, dove la noia è la molla creatrice di nuovi giochi e nuove osservazioni, e la cifra stilistica sta in equilibrio tra realismo e magia. Sono credibili i bambini nei loro soprannomi, nei loro giochi e nei loro gesti, nel loro trasformare un lancio di sassi in una vera e propria guerra, un gioco simbolico crudele ma epico.

Angeli. lucertole, bambini dappertutto

Accanto ad essi, le lucertole hanno pensieri, intuizioni e organizzazioni sociali umane, si muovono compatte contro "il nemico", danno un nome a ogni bambino in base alle sue caratteristiche. Sono le lucertole viste con gli occhi dei bambini, che le elevano a compagne di scontro e di gioco alla pari.

Tutto il libro naviga su questo sottile e affascinante equilibrio tra mito e realtà, tra moscerini che potrebbero essere angeli, tartarughe autorevoli e personaggi pittoreschi come la suora straniera che sta dalla parte dei piccoli.

Se il percorso iniziale è tortuoso, alla fine quell'alleanza tra animali e bambini si crea, ed è così solida da sostenere una battaglia più impostante: quella contro gli adulti che vogliono distruggere il cortile per trasformarlo in un grande parcheggio.

Angeli. lucertole, bambini dappertutto

I racconti, tra loro indipendenti, si intrecciano riproponendoci gli stessi personaggi colti in momenti diversi, come un volo d'uccello sulla vita di quel cortile, dove l'incanto è quotidiano, perché è negli occhi di chi gioca.



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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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