Nuvole in scatola
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C'è un periodo, nemmeno tanto breve, dopo la nascita, in cui la mamma non è una persona, ma un odore, un certo tipo di calore, una voce: un insieme di sensazioni fisiche che fanno stare bene il bambino.

Piccola pantera

È così che la racconta Chiara Raineri in Piccola pantera, un albo pubblicato da Camelozampa che invita il piccolo lettore ad assaporare le informazioni sensoriali di ciò che lo circonda.

Con le sue parole semplici, le frasi brevi, le ripetizioni, Piccola pantera parla il linguaggio dei più piccoli (non esiterei a proporlo già dai 2 anni o poco prima), che saranno catturati anche dal meccanismo di scoperta dato dalle alette.
Ogni pagina di destra, infatti, si apre spalancando un nuovo spazio allo sguardo e dando un ritmo molto regolare alla lettura.

La pagina di sinistra ospita una constatazione sensoriale: è morbida, è nera, ha un buon odore.
Sulla destra vediamo l'oggetto a cui questa affermazione sembra riferirsi: una felce, la notte, un fiore.

Piccola pantera

Quando la pagina di destra si apre, vediamo la piccola pantera nell'atto di "sentire": toccare la felce, guardare e ascoltare la notte, annusare il fiore.

Piccola pantera

Troviamo in Piccola pantera un altro elemento comune al pensiero dei più piccoli: la personificazione degli organi di senso e movimento:

È morbida,
dice la zampa di piccola pantera.

È come se la zampa avesse vita propria, un proprio intelletto, una propria capacità autonoma di sentire e dire (vi è mai capitato di sentire un bambino dire "non è colpa mia, sono le mie mani che lo hanno fatto cadere"?).

La pagina di sinistra è scura, con piccoli punti bianchi. Sulle prime verrebbe da pensare alla pantera che tiene gli occhi chiusi, per concentrarsi meglio sulle altre sensazioni.
Solo alla fine (spoiler, ma inevitabile per raccontare il libro) scopriamo che tutte le caratteristiche che la pantera esplora nel mondo attorno a sé sono quelle della sua mamma: morbida, nera, dolce e così via.

Piccola pantera rappresenta un po' il percorso esplorativo tipico di ogni bambino, che scopre il mondo con sicurezza solo perché ha il porto sicuro della mamma ad accoglierlo al suo ritorno, e che parametra tutto, all'inizio, a ciò che conosce meglio di ogni altra cosa: lei.


Una cosa che apprezzo di molte trame di fiction (siano libri o film o serie tv) è quando scopro che un particolare che sembra messo lì a caso in realtà trova il suo preciso posto nella storia. Come quei gialli in cui il colpevole emerge a ritroso ricostruendo pezzetto per pezzetto tutti gli indizi lasciati sulla scena del crimine.

Una torta per Findus

Tolto l'elemento truculento del delitto, Una torta per Findus dello svedese Sven Nordqvist, recentemente pubblicato in Italia da Camelozampa con la traduzione di Samanta K. Milton Knowles, presenta un po' gli elementi del giallo che da una scena iniziale ci porta a scoprire la sua origine.

Il "caso" da risolvere è questo: la gente dice che Pettson, il protagonista dall'aspetto rustico e un po' burbero, sia un po' matto. È stato visto passare dal tetto per andare in negozio e legare al gatto una lunga tenda colorata. Saranno illazioni oppure a tutto c'è una spiegazione?

È così che si avvia la narrazione, che ritorna a quel giorno, in cui Pettson festeggiava il compleanno del suo gatto Findus.

Findus festeggiava il compleanno due volte l'anno, perché così era più divertente.

E il suo padrone Pettson gli vuole preparare una torta di pannkakor (che bello il suono di certe parole svedesi, che già ti trasporta lontano), ma manca la farina.

"Hai mangiato tu la farina, Findus?"
"Io non ho mangiato proprio nessuna farina" disse Findus, impermalito.
"Allora sarò stato io" mormorò l'omino, grattandosi il naso.

Questi simpatici siparietti si ripeteranno con la stessa struttura più volte durante il racconto, che fa di queste formule una delle chiavi su cui si regge l'inanellarsi delle vicende.

Una torta per Findus

Per prendere la farina, serve la bici, per riparare la bici servono gli attrezzi, per prendere gli attrezzi serve la chiave della falegnameria... è in questa concatenazione di eventi che scopriamo piano piano tutti gli elementi di quella famosa scena chiave.

Ma lungi dal risolversi tutto in una formula ingessata e ripetitiva, Una torta per Findus inserisce questo piacevole meccanismo di ripetizione e accumulo in una storia articolata, dal ritmo sostenuto, ricca di dettagli e di scene divertenti, che ci immerge nell'ambiente ma soprattutto ci fa conoscere i due insoliti protagonisti, l'adulto/anziano con la testa fra le nuvole e il suo gatto parlante con i pantaloni verdi, personaggi amatissimi in Svezia e nel mondo, con la loro serie di cui questo non è che il primo capitolo (in Italia ne erano usciti solo due titoli).

Se come me anche voi avevate conosciuto Sven Nordqvist per Passeggiata col cane, potreste restare stupiti dalla varietà di toni che questo autore sa esprimere. Con l'onirico silent book che abbiamo conosciuto, Una torta per Findus condivide forse soltanto il gusto per le illustrazioni dettagliate e per una certa "stramberia".

Ma l'atmosfera surreale e visionaria della "Passeggiata", è qui sostituita da uno stile allegro e fumettistico. 

Sono stravaganti, certamente, alcuni ragionamenti di Pettson o l'abbigliamento di Findus, così come insolite sono certe prospettive che trasformano la pagina quasi in una tavola architettonica, con le stanze riportate sul foglio da angolature differenti, che pongono il punto di vista del lettore quasi dentro la scena, dentro il percorso compiuto da Pettson, anziché davanti al libro.

Una torta per Findus

Restano, di Una torta per Findus, una sensazione di leggerezza data dall'impianto comico della narrazione, ma anche un affetto inevitabile verso i due protagonisti, che incuranti delle disavventure e delle dicerie della gente, vanno dritti per la loro strada, perché una buona torta in buona compagnia conta più di una buona reputazione.


Uno dei problemi della sensibilizzazione sulle tematiche ambientali è la difficoltà di trasmettere il senso di urgenza.

È un po' quello che succede quando si parla di rischi dilazionati nel tempo, come la cattiva alimentazione che porta a problemi di salute ma solo in differita: c'è sempre il pensiero che "c'è tempo" o, per quanto irrazionale, che "a me non succederà".

Estintopedia
 

Forse per uscire da questo vicolo cieco può essere d'aiuto visualizzare chiaramente quello che già è successo, focalizzare le conseguenze che si sono già avverate. Ecco, credo sia questa l'importanza di un albo come Estintopedia, che accanto alla funzione meramente divulgativa contiene come un monito a non ripetere gli errori del passato.

Estintopedia

Scritto da Serenella Quarello, con le illustrazioni di Alessio Alcini e la revisione scientifica di Marco Ferrari,  Estintopedia, edito da Camelozampa, ricorda nello stile grafico gli antichi bestiari ottocenteschi: la forma visiva rispecchia così il messaggio: stiamo parlando infatti di animali del passato, che non ci sono più, ed è come se li guardassimo attraverso pagine antiche.

Dopo un iniziale storytelling su due specifici esemplari, gli ultimi della propria specie ormai scomparsa, Estintopedia si snoda su capitoli tematici suddivisi con logiche variabili: si parla di animali per categoria (ad esempio gli uccelli), ma anche di "classici" come il Dodo, o di animali passati alla leggenda. 

Le affascinanti illustrazioni ci portano alla scoperta delle diverse specie scomparse o quasi: alcune molto somiglianti a quelle che ancora calcano la terra del nostro pianeta, altre molto più curiose (è stata fonte di grande meraviglia, per me, la zampa dell'ayé ayé, in grave pericolo ma non ancora scomparso, con il suo "dito a spiedino").

Estintopedia

Accanto ai capitoli più descrittivi, Estintopedia parla anche di metodo, raccontando ad esempio  le tecniche con cui siamo riusciti a risalire a caratteristiche e fattezze di animali scomparsi da tempo, grazie ai reperti ritrovati, e storie di indagine scientifica che hanno portato a scoprire che alcune specie che si credevano estinte in realtà non lo erano.

Estintopedia

Si indagano le cause, in larghissima parte di origine antropica, e gli strumenti che abbiamo per arginare il fenomeno; si raccontano storie di ricerca scientifica e nuove prospettive.

Estintopedia

Quello che emerge da Estintopedia non è insomma soltanto il racconto di qualcosa che è stato, ma quello di un processo, ancora in corso, di studio e di ricerca per non ripetere gli stessi errori.

Imparare dagli animali del passato è un'assicurazione sul nostro futuro.


Di solito funziona così: passiamo cinque giorni chiusi tra case auto libri e fogli di giornale, poi nel week end cerchiamo la natura in qualche posto più o meno lontano.

Forse invece sarebbe un buon esercizio imparare a riconoscere che la natura è anche attorno a noi. Imparare a vederla, prima di tutto, poi a guardarla e infine, per salire di livello, ad averci a che fare.

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana di Colonel Moutarde, Guido Tommasi Editore (il "papà" di LupoGuido) ce lo insegna, con un gradevole albo che unisce gusto adulto e bambino: le illustrazioni nette e stilizzate, talvolta virate allo stile del fumetto, si accompagnano a colori rilassanti e polverosi, e il testo è breve ma denso, e si accosta alle immagini quasi esclusivamente sotto forma di didascalia.

Pagina dopo pagina, Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana fa quel che promette nel titolo: ci porta alla scoperta di uccelli, piccoli mammiferi e insetti che possiamo incontrare senza andare troppo lontano, nel parco cittadino o nel giardino di casa: passeri, cince, piccioni, scoiattoli, ricci, rane, api, coccinelle e molto altro. È quasi sorprendente scoprire la biodiversità che ci abita sotto gli occhi e che normalmente non notiamo.

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana

Ogni specie viene descritta nelle sue caratteristiche per poterla riconoscere, ne vengono esposte alcune curiosità e abitudini, il verso (difficile riconoscerlo tramite un'onomatopea su un libro, ma ci si prova!), lo stato di conservazione: alcune specie sono protette, di altre è meglio evitare la proliferazione.

Soprattutto, il libro si sofferma sul contributo che possiamo dare noi umani. Come nutrire un uccellino durante l'inverno? Come capire quando un riccio ha bisogno di aiuto? Ma anche: come evitare la proliferazione delle vespe nel posto sbagliato?

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana dà a queste domande risposte puntuali spesso affiancate a quello spirito creativo dil riciclo e recupero dei materiali di rifiuto, che trasforma bottiglie di plastica in mangiatoie e vecchi vasi da fiori in ripari per gli animali.

Non mancano, infine, alcune soluzioni pratiche per il giardino o il terrazzo, piccoli consigli di giardinaggio e una panoramica sulle piante che ci circondano, quelle tossiche e quelle utili.

Si tratta di un manuale agile, da sfogliare per soffermarsi solo dove serve o da leggere da cima a fondo per capire meglio l'ambiente attorno a noi. Un libro adatto ad adulti e bambini, se non fosse per il font, uno script che purtroppo rende poco leggibile il testo.

Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana

 Conoscere e proteggere la piccola fauna urbana ci mostra insomma che per fare un'esperienza nella natura, a volte, non serve andare lontano.


"Vale più la pratica che la grammatica" recita un detto popolare.

La pedagogia e le teorie didattiche più moderne lo confermano: le indicazioni vanno verso una didattica non più frontale, in cui il bambino è parte del processo di scoperta e di acquisizione della conoscenza, in cui si stimolano la condivisione e la discussione in un'ottica maieutica, in cui la nozione non viene calata dall'alto, ma scaturisce dal bambino stesso.

Fin qui, però, è tutta teoria: è ancora la grammatica della pratica, se mi perdonate il bisticcio.
Come trasformare queste linee guida in qualcosa di operativo?

Laboratorio minimo con l acqua

A volte per guardare avanti basta fare un passo indietro: era il 1995 quando Mario Lodi iniziava a dirigere la collana "Laboratorio minimo", dei testi mirati a stimolare una mentalità di ricerca nelle classi.

Oggi, in occasione del centenario della nascita (Mario Lodi è nato il 17 febbraio 1922), Editoriale Scienza ripropone in versione aggiornata Laboratorio minimo con l'acqua, uno dei titoli di questa collana, scritto con Gioacchino Maviglia e Aldo Pallotti, che con Lodi fondarono la  “Casa delle arti e del gioco" di Drizzona (Cremona) e illustrato da Marisa Moretti.

Laboratorio minimo con l acqua

Esposto in forma di resoconto, narrato in prima persona da un bambino, Laboratorio minimo con l'acqua racconta l'esperienza di esplorazione dell'acqua fatta in classe. La forma pseudo-narrativa facilita l'accesso al libro anche da parte di un bambino che desidera ripercorrere le stesse esperienze, ma non c'è dubbio che il pubblico privilegiato di questa opera sia l'adulto, insegnante o educatore che vuole riproporre alla propria classe questa modalità di lezione così coinvolgente ed efficace.

Non a caso, in appendice, segnalate da una differente impaginazione, si trovano alcune note didattiche, che motivano la scelta dell'acqua come tema portante e lasciano spunti e riflessioni sulle modalità da utilizzare per proporre il laboratorio ai bambini e sull'efficacia di questo metodo.

Laboratorio minimo con l acqua

La prima cosa che stupisce leggendo queste pagine è l'assoluta naturalezza dello svolgimento del laboratorio: Laboratorio minimo con l'acqua sembra rispondere a tanti dubbi sulla reale applicabilità di metodiche partecipative.

I gesti da cui prende avvio ogni laboratorio sono semplici, anzi: molti di essi ogni bambino li ha già provati spontaneamente, assecondando il proprio istinto all'esplorazione. La differenza sta nella guida del maestro che invita a osservare, a comparare, a trarre conclusioni.

Laboratorio minimo con l acqua
 
La lezione-che-non-sembra-lezione avanza così, tra gocce che cadono su una superficie e dita infilate nell'acqua, travasi, piccole pozzanghere dai bordi curvi, tentativi di schiacciare l'acqua.
 
Si tratta di attività solo all'apparenza oziose, che in realtà mirano a esplorare le caratteristiche di un liquido, il concetto di trasparenza, la tensione superficiale e altre caratteristiche fisiche dell'acqua: nozioni che verranno acquisite in modo molto più sicuro ed efficace (e più "scieintifico") di quanto non si possa fare attraverso un libro. 
 
Perché è così che si impara meglio: mettendo le mani in pasta. Anzi, nell'acqua.

Non ci siamo già visti da qualche parte?

Isotta

È questo il primo pensiero che si fa di fronte a Isotta, o perlomeno è questo il pensiero di chi ha già letto Pluk e il Grangrattacielo (io ve ne ho parlato qui mentre qui vi ho recensito il secondo volume Pluk e gli animali da salvare), degli stessi autori Annie Schmidt e Fiep Westendorp, sempre edito da LupoGuido.

Sì, perché in Isotta ritroviamo moltissime delle tematiche care a Pluk: la presenza di bambini che si dimostrano a volte più maturi degli adulti, un rapporto speciale con la natura e in particolare con alcune specie animali, con cui i protagonisti riescono a parlare, una coralità fatta di personaggi decisamente sui generis.

Anche la struttura editoriale è analoga, con capitoli di media lunghezza, adatti all'ascolto anche in età prescolare, e grandi illustrazioni.

Emerge qui come sostanziale differenza l'elemento della famiglia, per quanto si tratti di una famiglia nucleare, composta da Isotta e dal padre. Se Pluk era solo, sebbene circondato da una pluralità di amici e compagni d'avventura, Isotta viaggia con il padre, lo chef Toni (no, non è "quello" chef Tony e non vende coltelli miracolosi!).

Isotta

E come in una famiglia, i due si prendono cura l'uno dell'altra, anche se in un modo più paritario del consueto: se è vero che Toni cerca di proteggere la figlia e di assicurarle una vita tranquilla, è più spesso Isotta a tirare fuori il padre dai guai: è lei, ad esempio, l'unico rimedio alle folli crisi di rabbia di Toni, che gli causano parecchi guai, tra i quali il licenziamento con cui si apre il libro.

Toni è un cuoco molto abile, ma "non ha le carte in regola" e questo aspetto, unito agli irrefrenabili accessi d'ira, gli impedisce di trovarsi un contratto di lavoro stabile.


Isotta è, in sostanza, il racconto del vagabondaggio della bambina e di suo padre dopo il licenziamento, alla ricerca di soluzioni per vivere e per guadagnare qualcosa: i due si accamperanno accanto a un lago, poi Toni troverà una serie di lavori saltuari che non avranno esito positivo, fino alla rasserenante soluzione che chiude il romanzo, sempre ricco di personaggi curiosi, di avventure colorate e di alleanze improbabili con stormi di uccelli, una famiglia di topolini e con un cane poliziotto di buon cuore ma ligio al dovere.

A fare da sottotesto alla mera trama, vi sono diversi dilemmi più o meno esplicitati dal testo.

Ad esempio quello della diversa dignità data agli animali, secondo il rapporto che abbiamo con loro (Toni si rifiuta di fare un paté di tordi, che sono suoi amici, ma li sostituisce con del pollo, che sempre un uccello è), o quello della tensione tra senso del dovere e affetti (il cane poliziotto viene meno al suo ruolo, almeno per un po', perché ammaliato dalle carezze di Isotta).

Isotta

L'elemento che forse ho trovato più divertente è stato però l'enfasi data alle "carte" di Toni, quei documenti non in regola che gli impediscono di trovare lavoro.
Gli uccelli, che vogliono aiutare Isotta e il padre, rubacchiano cartacce di ogni genere per fargli avere "le carte" che gli mancano, senza rendersi conto che non gli bastano dei pezzi di carta qualsiasi.
Ho colto tra le righe una certa satira sull'eccesso di burocratizzazione che rallenta la nostra società e a volte ostacola anche le persone meritevoli, e forse anche un'ottica un po' bambina, quello sguardo che vede "il lavoro" e "le scartoffie" dei genitori come qualcosa di astratto, adulto, incomprensibile e forse un po' vuoto.

Leggere Isotta Ã¨ quindi un equilibrio continuo tra infanzia ed età adulta, in cui non sempre è chiaro da che parte stia il senno e da che parte l'irrazionalità: un bell'esercizio, per grandi e piccoli, a non dare nulla per scontato.


   

C'è un istinto all'ordine, nei bambini, che non si direbbe plausibile guardando le loro camerette o le condizioni in cui lasciano una stanza dopo aver giocato.

Eppure quasi tutti si ritrovano a un certo punto a "mettere in fila": macchinine, peluche, carte da gioco, sassolini, qualsiasi cosa, pur di creare file lunghe che occupano un'intera stanza e che rappresentano una sorta di catalogo, di inventario di oggetti posseduti.


che succede in fondo al mare

Io credo che sia questo l'abito mentale a cui attinge l'autrice Tomoko Ohmura quando crea i suoi albi, basati tutti sulla medesima struttura di "cose in fila", a partire da Tutti in coda! di cui avevo parlato qui.

L'ultima uscita in Italia è Che succede in fondo al mare?, edita sempre da Babalibri, in cui il format viene trasferito sott'acqua, e riproposto con una sorprendente ripresa di ogni dettaglio dello schema.
 
che succede in fondo al mare

L'operazione è quasi un esercizio di stile: prendere un albo, modificarne l'ambientazione e mantenere inalterato tutto il resto.
Che succede in fondo al mare? non mancherà di piacere però anche ai bambini che conoscono le opere precedenti dell'autrice, per la presenza di animali diversi, per il desiderio di nuovi elementi da catalogare, e perché no, anche per notare le somiglianze e i ricalchi tra un titolo e l'altro.

Anche qui, quindi, c'è un personaggio-guida (il gamberetto) che ci accompagna lungo le pagine, che altro non sono che il dispiegamento di una fila di 50 animali marini diversi, numerati da 50 a 1 e corredati ognuno della propria "etichetta".

Anche qui troviamo un gioco tra due animali, una scaramuccia, alcuni animali ammassati tra loro per mantenere le distanze dal predatore (uno squalo, in questo caso).


che succede in fondo al mare

Anche qui, aspettiamo con curiosità il momento finale, in cui le pagine si aprono con le loro bandelle per permettere allo sguardo di allargarsi sulla scena, questa sì originale e ogni volta diversa, che ci spiega il motivo per cui tutti questi animali fossero così, in coda uno dietro l'altro.

Al di là del finale, però, noi lo sappiamo: il vero motivo di quella fila è soddisfare quel bisogno di catalogare e riordinare del bambino, e dare sfogo a quel ditino che si appoggerà, uno ad uno, sui 50 animali diversi, per dare loro un nome.


 

C'è un elemento che rende la fiaba di Hansel e Gretel diversa dalle altre: quella casetta di dolci, che non è solo un elemento magico, ma un luogo di tensioni emotive.

Noi sappiamo che quella casa è stregata, che porterà i bambini alla cattura, eppure non smette di attirarci. Non riusciamo a non vederla come qualcosa di bello, di goloso, non riusciamo a non desiderarla, a non immaginare, con un po' di acquolina in bocca, la sensazione di quei pezzetti staccati con le mani e portati alla bocca.

Hansel e Gretel

Non mi stupisce quindi che sia proprio Hansel e Gretel il titolo che ha dettato la svolta nella produzione di Anthony Browne, delineando la sua poetica fatta di citazioni, rimandi, dettagli che inquietano anche senza che li cogliamo consciamente.

Camelozampa ci porta in Italia questo albo, tra i primi pubblicati dall'autore inglese, che ha riscritto nel 1981 la fiaba, ambientandola in un contesto contemporaneo e arricchendola di quel sapore perturbante che gli riesce così bene.

La fiaba in sé non presenta deviazioni dall'originale (nella versione dei fratelli Grimm): la prosa ben tradotta da Sara Saorin mantiene la sua voce piana e calda delle narrazioni orali e anche l'ambientazione moderna si traduce soltanto in alcune minuzie, come l'abbigliamento anni '70 e il televisore in casa.

Hansel e Gretel
 
Le illustrazioni di Browne riescono però a rendere vivi anche gli elementi di contesto, facendoli quasi parlare, dalla scelta delle inquadrature ai più piccoli dettagli.
Percepiamo la sofferenza della povertà nelle macchie di umidità del soffitto e nella carta da parati che si scolla. La prospettiva compressa ci evidenzia le piccole dimensioni della stanza da pranzo.
 
Hansel e Gretel
 
Le scelte illustrative di Browne esprimono a volte concetti dalla forte portata simbolica o dall'evidente significato nascosto: è così quando ci mostra delle scene attraverso uno specchio, o quando l'ombra della matrigna sembra indossare un cappello da strega, in un gioco di pieni e di vuoti delineato dalle tende alla finestra.

Hansel e Gretel
 
Più spesso, le tracce lasciate nelle illustrazioni non hanno un senso immediato, se non quello di lasciare delle domande aperte: la civetta che si staglia nello spazio bianco tra due alberi e che forse non esiste, i tronchi che sembrano avere volti e mani, o che prolungano idealmente, nella loro verticalità, le sbarre di una gabbia.
Sono tutti elementi che non entrano a pieno titolo nella trama, ma sollevano un fondo di mistero e di inquietudine che dà ricchezza e profondità al racconto.

(Ma come, davvero vogliamo inquietare i bambini? Io dico di sì, perché comunque c'è un lieto fine e perché è quell'inquietudine che apre mondi dentro la mente e permette di godere di una storia oltre la superficie.)

Hansel e Gretel

Anthony Browne è maestro nel disseminare queste briciole dipingendo i boschi del nostro inconscio, nel descrivere contrasti e inquietudini dell'animo umano, quelli che ci allontanano e ci attraggono al tempo stesso, proprio come la casetta della strega.


Chi si occupa di comunicazione in ambito ecologico, chi ha il difficile compito di divulgare, informare ed educare sul cambiamento climatico, deve mantenere un equilibrio complicato: comunicare l'emergenza, in modo che le persone si attivino urgentemente in prima persona, ma senza trasmettere l'idea che ormai non ci sia più nulla da fare, altrimenti nessuno vorrà davvero impegnarsi.

Un pianeta pieno di vita

Eppure comunicare la complessità del problema è possibile, anche con i bambini. Ci riesce in modo efficace Neal Layton in Un mondo pieno di vita. Come proteggere la nostra casa, pubblicato da Editoriale Scienza (che già aveva edito Un pianeta pieno di plastica, dello stesso autore), con la traduzione di Lucia Feoli.

Fin dal titolo, anzi da sottotitolo, questo albo è un manifesto: dice a chiare lettere che si può ancora fare qualcosa, e chi ha in mano il libro è chiamato a partecipare in prima persona.

Un pianeta pieno di vita

Con un linguaggio semplice, adatto alle prime letture autonome ma ancor più a una lettura condivisa già dai 4-5 anni, Layton inizia con una panoramica della vita sulla Terra: animali e piante, di tipi e taglie diversi tra loro, appartenenti a ecosistemi diversi. Una carrellata veloce, un po' superficiale, che serve più che altro da introduzione per parlare di biodiversità, della straordinaria rete della vita che unisce ogni essere agli altri. Le tante relazioni tra esseri viventi sono pennellate senza pretesa di esaustività, con alcuni esempi semplici e chiari.

E poi arriva il momento di parlare dell'uomo, dell'inquinamento, delle minacce al nostro pianeta, delle specie in via di estinzione.
E qui il bambino che fa da guida nell'albo si piazza davanti alle immagini urlando il suo 

Ma io non voglio che questo accada!

 

Un pianeta pieno di vita

Ed è qui che emerge la vera anima di Un mondo pieno di vita, quella ottimista, positiva e propositiva.

Neal Layton non si limita a un elenco di "cose da fare e non fare", ma racconta come il cambiamento sia possibile.

Un pianeta pieno di vita

Circondati come siamo da immagini e messaggi che ci dipingono la Terra come vittima di una malattia degenerativa che si può rallentare ma non debellare, restiamo ammirati e stupiti di fronte agli esempi di ripopolazione e ricostruzione di habitat già avvenuti nel mondo. Sono esempi semplici, spiegati in poche parole, adatti ad essere compresi anche dai piccoli, che sono coinvolti in prima persona fino all'ultima pagina, che racconta esempi virtuosi di bambini che hanno avuto grandi idee per il pianeta.

È su di loro e sulle loro coscienze che contiamo per dare un futuro alla Terra.



 

Avete mai voglia di una storia di cui riuscire a percepire suoni, rumori e odori?

Avete mai voglia di campagna, di campagna inglese, con il tè delle cinque e le stoviglie del servizio buono?

Ecco, Beatrix Potter è questo, per me: un viaggio in un'Inghilterra d'altri tempi, col suo bon ton e la sua quotidianità, la sua prosa misurata, i vestiti delle feste. Anche se i protagonisti sono animali e gli uomini fanno spesso la parte degli aguzzini.

 Le storie di Beatrix Potter

Le storie di Beatrix Potter è una raccolta, con la traduzione di Elena Spagnoli, curata da Pulce Edizioni, che ha avviato un progetto di recupero di albi illustrati d'altri tempi che ancora sanno parlare ai bambini di oggi. Vi si trovano le ventitré storie del mondo di Peter Coniglio, dalle più brevi (come La storia di miss Moppet, che Pulce ha già edito in cartonato) alle più articolate (alcune delle quali edite a loro volta da Pulce in singoli albi).

Le storie di Beatrix Potter è senza dubbio più... inglese dei singoli albi: un volumone grosso con la sua sovracoperta e la sua grafica editoriale d'altri tempi.

Anche la scelta di traduzione conserva (come già negli albi e cartonati) il gusto del lessico inglese, con i suoi "mr" e "mrs" e i nomi originali: solo Peter Coniglio è stato tradotto. E così ogni storia ci riporta in quel mondo, in cui anche le avventure più pericolose, come fuggire da un umano che vuole infilarti in un pasticcio di carne, conservano lo stesso aplomb.

Ci gustiamo la cura dettagliata dei disegni (Beatrix Potter era una fine osservatrice della natura e degli animali), la concretezza dei suoi racconti, così solida da farci dimenticare che gli animali antropomorfi siano un'invenzione, e scopriamo qualcosa di più sull'incredibile autrice.

Le storie di Beatrix Potter

Al termine di ogni racconto, infatti, si apre "La storia dietro la storia", un capitolo dedicato più ai lettori adulti che ai bambini. Curati da Lisa Emiliani, questi approfondimenti raccontano la vita di Beatrix Potter e la genesi delle sue opere: da dove è nata l'idea (lo sapevate che Beatrix Potter aveva un coniglio e lo portava a spasso al guinzaglio?), quale è stato il percorso editoriale (lo sapevate che si è autoprodotta le prime copie di Peter Coniglio?).

Le storie di Beatrix Potter

Non mancano foto, cimeli, testimonianze di quel mondo che ci appare tanto simile a quello da lei portato sulle pagine dei suoi racconti.

È un'opera per i piccoli che ancora si lasciano incantare dalle storie di animali e di campagna, e per i grandi che lo hanno fatto a loro tempo (o – chissà – che vogliono iniziare proprio ora!).


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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