Nuvole in scatola
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C'è un istinto all'ordine, nei bambini, che non si direbbe plausibile guardando le loro camerette o le condizioni in cui lasciano una stanza dopo aver giocato.

Eppure quasi tutti si ritrovano a un certo punto a "mettere in fila": macchinine, peluche, carte da gioco, sassolini, qualsiasi cosa, pur di creare file lunghe che occupano un'intera stanza e che rappresentano una sorta di catalogo, di inventario di oggetti posseduti.


che succede in fondo al mare

Io credo che sia questo l'abito mentale a cui attinge l'autrice Tomoko Ohmura quando crea i suoi albi, basati tutti sulla medesima struttura di "cose in fila", a partire da Tutti in coda! di cui avevo parlato qui.

L'ultima uscita in Italia è Che succede in fondo al mare?, edita sempre da Babalibri, in cui il format viene trasferito sott'acqua, e riproposto con una sorprendente ripresa di ogni dettaglio dello schema.
 
che succede in fondo al mare

L'operazione è quasi un esercizio di stile: prendere un albo, modificarne l'ambientazione e mantenere inalterato tutto il resto.
Che succede in fondo al mare? non mancherà di piacere però anche ai bambini che conoscono le opere precedenti dell'autrice, per la presenza di animali diversi, per il desiderio di nuovi elementi da catalogare, e perché no, anche per notare le somiglianze e i ricalchi tra un titolo e l'altro.

Anche qui, quindi, c'è un personaggio-guida (il gamberetto) che ci accompagna lungo le pagine, che altro non sono che il dispiegamento di una fila di 50 animali marini diversi, numerati da 50 a 1 e corredati ognuno della propria "etichetta".

Anche qui troviamo un gioco tra due animali, una scaramuccia, alcuni animali ammassati tra loro per mantenere le distanze dal predatore (uno squalo, in questo caso).


che succede in fondo al mare

Anche qui, aspettiamo con curiosità il momento finale, in cui le pagine si aprono con le loro bandelle per permettere allo sguardo di allargarsi sulla scena, questa sì originale e ogni volta diversa, che ci spiega il motivo per cui tutti questi animali fossero così, in coda uno dietro l'altro.

Al di là del finale, però, noi lo sappiamo: il vero motivo di quella fila è soddisfare quel bisogno di catalogare e riordinare del bambino, e dare sfogo a quel ditino che si appoggerà, uno ad uno, sui 50 animali diversi, per dare loro un nome.


 

C'è un elemento che rende la fiaba di Hansel e Gretel diversa dalle altre: quella casetta di dolci, che non è solo un elemento magico, ma un luogo di tensioni emotive.

Noi sappiamo che quella casa è stregata, che porterà i bambini alla cattura, eppure non smette di attirarci. Non riusciamo a non vederla come qualcosa di bello, di goloso, non riusciamo a non desiderarla, a non immaginare, con un po' di acquolina in bocca, la sensazione di quei pezzetti staccati con le mani e portati alla bocca.

Hansel e Gretel

Non mi stupisce quindi che sia proprio Hansel e Gretel il titolo che ha dettato la svolta nella produzione di Anthony Browne, delineando la sua poetica fatta di citazioni, rimandi, dettagli che inquietano anche senza che li cogliamo consciamente.

Camelozampa ci porta in Italia questo albo, tra i primi pubblicati dall'autore inglese, che ha riscritto nel 1981 la fiaba, ambientandola in un contesto contemporaneo e arricchendola di quel sapore perturbante che gli riesce così bene.

La fiaba in sé non presenta deviazioni dall'originale (nella versione dei fratelli Grimm): la prosa ben tradotta da Sara Saorin mantiene la sua voce piana e calda delle narrazioni orali e anche l'ambientazione moderna si traduce soltanto in alcune minuzie, come l'abbigliamento anni '70 e il televisore in casa.

Hansel e Gretel
 
Le illustrazioni di Browne riescono però a rendere vivi anche gli elementi di contesto, facendoli quasi parlare, dalla scelta delle inquadrature ai più piccoli dettagli.
Percepiamo la sofferenza della povertà nelle macchie di umidità del soffitto e nella carta da parati che si scolla. La prospettiva compressa ci evidenzia le piccole dimensioni della stanza da pranzo.
 
Hansel e Gretel
 
Le scelte illustrative di Browne esprimono a volte concetti dalla forte portata simbolica o dall'evidente significato nascosto: è così quando ci mostra delle scene attraverso uno specchio, o quando l'ombra della matrigna sembra indossare un cappello da strega, in un gioco di pieni e di vuoti delineato dalle tende alla finestra.

Hansel e Gretel
 
Più spesso, le tracce lasciate nelle illustrazioni non hanno un senso immediato, se non quello di lasciare delle domande aperte: la civetta che si staglia nello spazio bianco tra due alberi e che forse non esiste, i tronchi che sembrano avere volti e mani, o che prolungano idealmente, nella loro verticalità, le sbarre di una gabbia.
Sono tutti elementi che non entrano a pieno titolo nella trama, ma sollevano un fondo di mistero e di inquietudine che dà ricchezza e profondità al racconto.

(Ma come, davvero vogliamo inquietare i bambini? Io dico di sì, perché comunque c'è un lieto fine e perché è quell'inquietudine che apre mondi dentro la mente e permette di godere di una storia oltre la superficie.)

Hansel e Gretel

Anthony Browne è maestro nel disseminare queste briciole dipingendo i boschi del nostro inconscio, nel descrivere contrasti e inquietudini dell'animo umano, quelli che ci allontanano e ci attraggono al tempo stesso, proprio come la casetta della strega.


Chi si occupa di comunicazione in ambito ecologico, chi ha il difficile compito di divulgare, informare ed educare sul cambiamento climatico, deve mantenere un equilibrio complicato: comunicare l'emergenza, in modo che le persone si attivino urgentemente in prima persona, ma senza trasmettere l'idea che ormai non ci sia più nulla da fare, altrimenti nessuno vorrà davvero impegnarsi.

Un pianeta pieno di vita

Eppure comunicare la complessità del problema è possibile, anche con i bambini. Ci riesce in modo efficace Neal Layton in Un mondo pieno di vita. Come proteggere la nostra casa, pubblicato da Editoriale Scienza (che già aveva edito Un pianeta pieno di plastica, dello stesso autore), con la traduzione di Lucia Feoli.

Fin dal titolo, anzi da sottotitolo, questo albo è un manifesto: dice a chiare lettere che si può ancora fare qualcosa, e chi ha in mano il libro è chiamato a partecipare in prima persona.

Un pianeta pieno di vita

Con un linguaggio semplice, adatto alle prime letture autonome ma ancor più a una lettura condivisa già dai 4-5 anni, Layton inizia con una panoramica della vita sulla Terra: animali e piante, di tipi e taglie diversi tra loro, appartenenti a ecosistemi diversi. Una carrellata veloce, un po' superficiale, che serve più che altro da introduzione per parlare di biodiversità, della straordinaria rete della vita che unisce ogni essere agli altri. Le tante relazioni tra esseri viventi sono pennellate senza pretesa di esaustività, con alcuni esempi semplici e chiari.

E poi arriva il momento di parlare dell'uomo, dell'inquinamento, delle minacce al nostro pianeta, delle specie in via di estinzione.
E qui il bambino che fa da guida nell'albo si piazza davanti alle immagini urlando il suo 

Ma io non voglio che questo accada!

 

Un pianeta pieno di vita

Ed è qui che emerge la vera anima di Un mondo pieno di vita, quella ottimista, positiva e propositiva.

Neal Layton non si limita a un elenco di "cose da fare e non fare", ma racconta come il cambiamento sia possibile.

Un pianeta pieno di vita

Circondati come siamo da immagini e messaggi che ci dipingono la Terra come vittima di una malattia degenerativa che si può rallentare ma non debellare, restiamo ammirati e stupiti di fronte agli esempi di ripopolazione e ricostruzione di habitat già avvenuti nel mondo. Sono esempi semplici, spiegati in poche parole, adatti ad essere compresi anche dai piccoli, che sono coinvolti in prima persona fino all'ultima pagina, che racconta esempi virtuosi di bambini che hanno avuto grandi idee per il pianeta.

È su di loro e sulle loro coscienze che contiamo per dare un futuro alla Terra.



 

Avete mai voglia di una storia di cui riuscire a percepire suoni, rumori e odori?

Avete mai voglia di campagna, di campagna inglese, con il tè delle cinque e le stoviglie del servizio buono?

Ecco, Beatrix Potter è questo, per me: un viaggio in un'Inghilterra d'altri tempi, col suo bon ton e la sua quotidianità, la sua prosa misurata, i vestiti delle feste. Anche se i protagonisti sono animali e gli uomini fanno spesso la parte degli aguzzini.

 Le storie di Beatrix Potter

Le storie di Beatrix Potter è una raccolta, con la traduzione di Elena Spagnoli, curata da Pulce Edizioni, che ha avviato un progetto di recupero di albi illustrati d'altri tempi che ancora sanno parlare ai bambini di oggi. Vi si trovano le ventitré storie del mondo di Peter Coniglio, dalle più brevi (come La storia di miss Moppet, che Pulce ha già edito in cartonato) alle più articolate (alcune delle quali edite a loro volta da Pulce in singoli albi).

Le storie di Beatrix Potter è senza dubbio più... inglese dei singoli albi: un volumone grosso con la sua sovracoperta e la sua grafica editoriale d'altri tempi.

Anche la scelta di traduzione conserva (come già negli albi e cartonati) il gusto del lessico inglese, con i suoi "mr" e "mrs" e i nomi originali: solo Peter Coniglio è stato tradotto. E così ogni storia ci riporta in quel mondo, in cui anche le avventure più pericolose, come fuggire da un umano che vuole infilarti in un pasticcio di carne, conservano lo stesso aplomb.

Ci gustiamo la cura dettagliata dei disegni (Beatrix Potter era una fine osservatrice della natura e degli animali), la concretezza dei suoi racconti, così solida da farci dimenticare che gli animali antropomorfi siano un'invenzione, e scopriamo qualcosa di più sull'incredibile autrice.

Le storie di Beatrix Potter

Al termine di ogni racconto, infatti, si apre "La storia dietro la storia", un capitolo dedicato più ai lettori adulti che ai bambini. Curati da Lisa Emiliani, questi approfondimenti raccontano la vita di Beatrix Potter e la genesi delle sue opere: da dove è nata l'idea (lo sapevate che Beatrix Potter aveva un coniglio e lo portava a spasso al guinzaglio?), quale è stato il percorso editoriale (lo sapevate che si è autoprodotta le prime copie di Peter Coniglio?).

Le storie di Beatrix Potter

Non mancano foto, cimeli, testimonianze di quel mondo che ci appare tanto simile a quello da lei portato sulle pagine dei suoi racconti.

È un'opera per i piccoli che ancora si lasciano incantare dalle storie di animali e di campagna, e per i grandi che lo hanno fatto a loro tempo (o – chissà – che vogliono iniziare proprio ora!).


Ci sono libri che potrebbero essere stati scritti ora o trecento anni fa. Libri che non mancano di modernità, eppure emanano un'aura di eterno.

indovinello della tigre

E c'è qualcosa di eterno nella favola che Fabian Negrin ha scritto e dipinto in L'indovinello della tigre, edito da Edizioni Corsare, che unisce i canoni favolistici classici a un elemento più impalpabile, che scava più a fondo negli impulsi dell'animo umano.

indovinello della tigre

Protagonisti sono una tigre e un gregge di pecore, archetipi della forza e della debolezza, che qui rappresentano anche un'allegoria del potere e del popolo.

La tigre è un leader, le pecore lo temono ma ne sono affascinate.

Rinchiuse in una miniera, si lasciano affabulare dalla tigre affamata e malvagia, che le aspetta fuori e trova ogni stratagemma per mangiarsele.

"Guardate i miei occhi! Può uno così bello essere cattivo?"
chiese la tigre.

L'affermazione non è logica, ma non è di logica che le pecore hanno bisogno. E così la prima pecora esce e viene divorata.

Seguiranno le altre: una mossa da pietà, una convinta delle rassicurazioni della tigre, una sedotta dalla promessa di denaro. Una alla volta, le pecore escono senza aver imparato la lezione, ogni volta incontro allo stesso destino.

Una alla volta, sfilano le debolezze umane di fronte al potere: il fascino, la credulità, la paura, l'avidità.

E poi la vanità, anche quella dell'intelletto, quando la tigre propone un'indovinello e le pecore, una alla volta, escono per dare la risposta, dimostrando al tempo stesso la loro furbizia e la loro stupidità.

indovinello della tigre

Accanto allo stile testuale, distaccato e senza giudizi, proprio della favola, Fabian Negrin dipinge i protagonisti con tratti abili ed espressivi, valorizzati dall'utilizzo di un solo colore, nelle sue sfumature.

Le pecore hanno velli confusi tra loro, composti da tratti grossolani e ondivaghi: non si sa dove finisce una e dove inizia l'altra.

La tigre è finemente tratteggiata, istrionica, espressiva, capace di passare dall'arroganza a una (finta) disperazione, felina più che mai ma con posture decisamente umane.

indovinello della tigre

E se alla fine la malvagia protagonista pagherà le sue malefatte, ciò che resta di L'indovinello della tigre è comunque il suo carisma di leader, insieme alla facilità con cui il suo popolo (e non solo il suo) si lascia affabulare.


Di storie sul distacco ce ne sono tante: racconti in cui si mostra il bambino che deve uscire di casa per affrontare il mondo là fuori, il primo giorno di scuola, la prima gita.

A volte, forse, sarebbe interessante cambiare in qualche modo prospettiva.

Truman

È quello che mi sembra fare Truman, albo di di Jean Reidy e Lucy Ruth Cummins edito da Lapis, che affronta il cambiamento da un punto di vista inedito: quello di chi resta a casa.

Truman

Truman è una piccola e dolce tartarughina che vive con la sua amica umana, Sara.
La sua esperienza sul mondo è molto limitata: la casa dove si muove, preferibilmente portata in giro da Sara, e una finestra da dove guarda la strada e l'autobus numero 11 che passa.

Truman

Poi arriva il giorno in cui Sara esce con uno zaino più grande del solito e le lascia nel piatto più cibo del solito. Nell'albo i numeri – come i sassi nella teca di Truman o i fagiolini che Sara mette nella ciotola – sono indicati in grafica accanto agli oggetti a cui corrispondono, per assecondare il vezzo di molti bambini di ricontare sull'illustrazione gli oggetti nominati dal testo. Contare diventa per Truman, e il bambino che ascolta le sue avventure, un aggancio alla realtà, una prova della correttezza di ciò che ascolta.

Truman

Truman, insomma, resta solo, perché Sara quel giorno inizia la scuola materna, e si allontana prendendo proprio quello stesso autobus che la tartaruga vede dalla finestra. Il testo non lo dice mai esplicitamente, contribuendo all'immedesimazione con la tartaruga e con il suo spaesamento di fronte a una situazione nuova.

La casa, tutta da esplorare, sembra improvvisamente enorme, perché a passo di tartaruga non ci si muove molto velocemente. Si avverte un senso di libertà, di crescita e cambiamento, accanto ai tanti timori della piccola protagonista, e il ritorno di Sara sarà un momento di rassicurazione ma anche di orgoglio per aver affrontato quel momento da sola.

L'aspetto più interessante di Truman Ã¨ proprio questo rovesciamento: a temere il distacco non è la bambina che inizia l'asilo, ma il suo animaletto che resta a casa. Le emozioni che vive il piccolo Truman sono molto simili a quelle di un bambino al momento del distacco dalla mamma, ma il focus del racconto è traslato, proiettato altrove.

La bambina resta un personaggio comprimario, che non ha paura della novità che affronta, ma le va incontro con gioia. Questo doppio piano del racconto consente di rassicurare il piccolo lettore mettendo in luce la positività del percorso di inizio della scuola (che vediamo attraverso Sara), ma anche confortandolo su quanto sia naturale avere dei piccoli timori, gli stessi che avverte il piccolo Truman.

Il bambino che legge questa storia è contemporaneamente Sara e Truman, è una persona che cresce e va incontro alla scuola e al tempo stesso un essere che si sente abbandonato e ha paura. I due personaggi sono soltanto due sfaccettature dell'animo di chi vive un cambiamento: due pulsioni che, come Sara e Truman, a volte si allontanano e a volte convivono, senza per questo essere in contrastro tra loro.


Ci sono tanti modi per esorcizzare la paura del lupo, tanti modi per sconfiggere quell'archetipo di antagonista cattivo che abita le nostre favole e probabilmente il nostro inconscio.

Se tradizionalmente si usa la forza, facendolo uccidere da un cacciatore, è forse più attuale ingannarlo con l'astuzia.


Attenti ai ragazzi
 

È questo che succede in Attenti ai ragazzi di Tony Blundell, pubblicato da Il Barbagianni editore con la traduzione di Laura Bernaschi, dopo il fortunato Attenti alle ragazze. I due volumi sono giunti in Italia in quest'ordine, ma in realtà, l'autore ha pubblicato prima Beware of Boys e solo successivamente Beware of Girls (e se provate a sbirciare tra i libri che legge il lupo nell'incipit di Attenti alle ragazze lo potete facilmente verificare).

Il meccanismo dei due albi resta comunque il medesimo: un bambino (o una bambina) che con la sua astuzia fa diventare matto il lupo, salvandosi la pelle. Da qui il titolo, che rovescia il famoso "attenti al lupo".

Attenti ai ragazzi

Se in Attenti alle ragazze la bambina coinvolge il lupo in travestimenti sempre più assurdi e divertenti per farlo assomigliare alla sua nonnina, il protagonista di Attenti ai ragazzi lo prende per la gola.

Per prendere tempo, gli spiega che i bambini sono più buoni cotti che crudi e inizia a suggerirgli ricette sempre più astruse, dalla zuppa di bambino alla torta di bambino, tutte composte da ingredienti improbabili e per questo esilaranti.

Attenti ai ragazzi

Il lupo corre come un pazzo per cercare tutti gli ingredienti e... mi fermo qui per non rovinarvi il resto.

Posso dirvi invece che Attenti ai ragazzi, con le sue illustrazioni dal gusto un po' rétro e il suo ritmo incalzante, cattura i bambini (meglio di quanto non faccia il lupo!).
L'espressione del lupo, sempre più esasperato, è esilarante, e la struttura ricorsiva del testo permette di anticipare eventi e parole, rendendo il bambino protagonista della lettura.

Non solo: la proposta di ricette dagli ingredienti assurdi finirà per "uscire" dal libro e diventare gioco con la mamma e il papà, facendo a gara a chi si inventa la ricetta più buffa.

Attenti ai ragazzi

Insomma, oltre all'astuzia, c'è un'altra arma potentissima per esorcizzare tutti i lupi cattivi: ridere di loro.
 


 
Costruire capanne, tane, rifugi, è uno dei giochi preferiti dai bambini (di sicuro era il mio preferito, quando ero piccola): li fa sentire protetti, ma prima di tutto "padroni" di un posto, adulti nel loro piccolo regno, re autoincoronati di un pezzetto del mondo della loro immaginazione.

Tana 

All'apparenza, Tana, albo scritto da Melania Longo e illustrato da Alessandro Sanna, pubblicato da Il castoro, parla semplicemente di questo.

L'albo ci porta in quel mondo fin dal frontespizio, dove uno spago rosso tiene uniti i bastoni che formano la parola "Tana", quasi a sottolineare l'opera di ingegno e di costruzione dei bambini.

Tana 

La protagonista parla in prima persona. Non racconta una storia (non c'è vera e propria narrazione, nell'albo), si limita a descrivere la sua tana, come la vede lei: 

una casa di rami sottili e foglie canterine che si intrecciano di verde e profumano di fresco.


Tana 

E così prosegue, con toni ora quotidiani ora più lirici, raccontando il suo rifugio segreto, condiviso solo con il fratello (e un gatto), tutte le cose che ci hanno portato dentro, i giochi, l'immaginazione sconfinata che li accompagna.

Nelle illustrazioni, i due appaiono eterei, delineati come sono da un segno grigio e da colori delicati che a volte di fondono con lo sfondo. È come se la tana fosse più concreta di loro, come se fosse lei, in vero personaggio.

Tana

Certo: a volte, leggendo, restiamo perplessi (i bambini meno di noi!) dal fatto che questo gioco prosegua anche quando fuori nevica (non farà troppo freddo?), o da come i due fratelli si preparino il tè (ma come? Hanno un fornello nella capanna?).

Tana

Sarà il finale a dare una risposta.
Non lo svelo, ma non posso omettere che la risoluzione dell'albo porta con sé un rovesciamento. Un rovesciamento che però contiene anche una conferma: il vero luogo-rifugio di un bambino è prima di tutto l'immaginazione.


Ci avete mai fatto caso? Quasi tutti i libri "sulla rabbia" finiscono per dare soluzioni su come farla passare.

Eppure con noi stessi siamo in genere più indulgenti di così: ce lo concediamo, ogni tanto, un giorno un po' arrabbiato, magari perché abbiamo avuto una giornata pesante al lavoro, o perché semplicemente ci siamo svegliati male.

gastone musone

In Gastone Musone, l'autrice americana Suzanne Lang (con il marito Max Lang come illustratore) rappresenta la rivincita delle giornate storte, lo sdoganamento del diritto ad avere ogni tanto un brutto momento.

E in effetti nell'incipit vediamo subito il contrasto tra un ambiente esterno favorevole e quello interiore, tutto storto.

Era una giornata bellissima quando Gastone si svegliò e scoprì che niente andava bene.
Il sole era troppo luminoso, il cielo troppo blu e le banane troppo dolci.


gastone musone

L'amico Norman gli suggerisce che forse è solo arrabbiato, ma il piccolo scimpanzé nega.

D'altra parte, siamo abituati ad essere arrabbiati per qualche motivo, e lui non ne ha. Camminando nella giungla, i due incontrano vari animali che notano in Gastone i segnali tipici del malumore: sopracciglia aggrottate, postura curva.

Leggendo, anche il bambino inizia a farci caso, a pensare che a volte il malumore si vede, fisicamente, nelle persone.

gastone musone

In una sequenza che ricorda per grafica e ritmo analoghi passaggi di altri albi, come Ascolta e Buonanotte! (curiosamente, tutti della stessa casa editrice), i vari animali propongono a Gastone le loro diverse soluzioni: passeggiare sbattere i pugni, farsi un bagno.

La risposta di Gastone è sempre la stessa (e diventa un tormentone capace di far ridere il piccolo lettore): "Non sono arrabbiato".


gastone musone

Naturalmente lo è, anche senza motivo: ha semplicemente bisogno di esserlo, e di essere accettato con il suo malumore.

Gastone Musone Ã¨ diventato un'icona, nel mondo anglosassone, dove Grumpy Monkey è protagonista di una serie di albi: con il suo carattere scontroso, il muso dall'espressione così netta, riesce a conquistare il lettore. Il suo sguardo fisso e iracondo strappa facilmente una risata e conquista lo spazio della copertina, riempiendola con tutto il suo cattivo umore.

Proprio quel cattivo umore che, ogni tanto, possiamo permettere di concedere anche a un bambino.
 


Vi dico sempre che una delle cose che più caratterizza l'uomo è la capacità di creare, ascoltare, amare le storie. Non si tratta di un'abilità riservata ai grandi scrittori: tutti noi, quotidianamente, mettiamo insieme dei fatti in rapporti di causa-effetto, e diamo a episodi della nostra vita dei significati narrativi (se non fossi andato in quel locale non avrei mai conosciuto quella persona...).

In realtà, per il cervello umano, è molto più difficile accettare la casualità degli eventi che creare storie che ne mostrino i nessi causali.
Ecco perché il nonsense ci lascia sempre stupiti, con quel senso di straniamento che ci fa ridere e porta la nostra mente a lavorare per coprire quei vuoti che percepiamo.

Il canadese Jon Klassen, in questo, è un vero maestro (vi ho mai detto che amo Jon Klassen? Sì che ve l'ho detto) e lo dimostra perfettamente con Il sasso dal cielo, una novità edita in Italia da Zoolibri.

Il sasso dal cielo

Il sasso dal cielo è formato da cinque capitoli distinti, quasi cinque episodi in qualche modo autoconclusivi e al tempo stesso legati l'uno all'altro. In essi ritroviamo come personaggi alcuni degli animali che avevamo già visto in uno dei capolavori di Klassen, Voglio il mio cappello! (a proposito: è appena stato ristampato): una tartaruga, una marmotta (o almeno, io la interpreto come tale) un armadillo (ne ho avuto conferma dall'editore!), un serpente. Personaggi di poche parole e molti sottintesi.

Il sasso dal cielo

L'asciuttezza e il minimalismo di Klassen si esprimono negli sguardi fissi dei personaggi,  il suo grande marchio di fabbrica, capace di esprimere grande ironia, e nei testi: un puro susseguirsi di battute minimali, in cui il non detto prevale sul detto e tutto il gioco di inferenze viene lasciato al lettore.

Klassen non si concede nemmeno di segnalare chi dice cosa. Non c'è alcun narratore a spiegare "disse la tartaruga" o "rispose la marmotta l'armadillo". Il campo di voce è segnalato dal colore del testo, e tutto è così chiaro e ovvio che non ci chiediamo mai chi abbia detto cosa.

Il sasso dal cielo

Nonostante l'assoluta semplicità dell'albo (semplici le espressioni, semplice l'ambientazione, semplice il testo) l'intervento interpretativo richiesto al lettore è elevato: è lui a riempire i vuoti, immaginare stati d'animo, fare supposizioni e previsioni, ed è da questo lavoro che il lettore trae il maggiore godimento. Gran parte di questo coinvolgimento risiede in un classico meccanismo di suspense: il lettore conosce più cose di quelle che conoscono i personaggi e perciò resta in tensione in attesa degli eventi.

Mentre tartaruga e chiamiamola-marmotta armadillo si scambiano dialoghi apparentemente futili su quanto sia bello un posto o quanto sia meglio l'altro, il lettore vede qualcosa che loro non hanno visto: un sasso che sta cadendo dal cielo. Sa, quindi, che dalla scelta del posto dipende anche la loro salvezza.

Il "sasso che cade dal cielo" irrompe nel racconto in pagine mute che interrompono il dialogo. La sua immagine è completamente decontestualizzata: non sappiamo dove sia, rispetto ai personaggi, pur intuendo che stia da qualche parte sopra di loro (ma su quale dei due posti? Quello preferito dalla tartaruga o quello preferito dalla diciamo-marmotta dall'armadillo?).
A dirla tutta, non siamo molto certi nemmeno delle sue dimensioni: intuiamo sia grande perché occupa quasi una pagina intera ma non abbiamo riferimenti a riguardo, e supponiamo che stia cadendo solo da una piccolissima scia di sassolini che lascia sopra di sé (oltre che, naturalmente, dal titolo del libro stesso).

Il sasso dal cielo

Le piccole scaramucce tra i personaggi acquisiscono quindi un significato completamente diverso.
La sapiente composizione dell'immagine da parte di Klassen (lo so, sono un po' di parte quando si parla di Klassen) pone peraltro i personaggi in una porzione piccola e molto bassa rispetto all'ampiezza della pagina, lasciando sopra di loro una grande area di cielo, che lungi dal trasmettere libertà e serenità, ci ricorda continuamente che qualcosa incombe su di loro.

Non vorrei però, con la descrizione di questo meccanismo di suspense, del pericolo che arriva da cielo e dell'incertezza dell'esito di questo arrivo, avervi dato la sensazione di un libro cupo o pauroso.

In perfetto stile Klassen, Il sasso dal cielo è un albo decisamente divertente.

I malintesi e le bugie insiti nei dialoghi, la ripetizione di alcuni tormentoni ripresi in numerosi punti dell'albo ("NON TI SENTO! SEI TROPPO LONTANO!"), lo sguardo vacuo dei personaggi, la presenza così priva di senso di questo sasso che scende dal cielo costruiscono un effetto comico impareggiabile, un effetto che viene amplificato da quello spiazzamento che ci provoca da sempre il nonsense.

È come se il libro si svolgesse su due piani: quello tradizionale dell'interazione tra i personaggi e quello irrazionale, inaspettato, totalmente privo di causalità della caduta del sasso. Cosa ancora più spiazzante, in certi momenti anche i dialoghi ci appaiono privi di senso, così futili e pieni di incomprensioni, e in questo contesto il sasso, nella sua assoluta mancanza di significato, diventa il deus ex machina che risolve la situazione, in modo completamente casuale ma a suo modo perfetto.

Non abbiamo il controllo su tutte le cose, non tutto ciò che riguarda la nostra storia ha un senso. A volte questo ci fa paura. A volte, dovrebbe semplicemente farci ridere.



 
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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