Nuvole in scatola
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Ci sono protagonisti che si conoscono pian piano, e la confidenza con loro cresce con lo scorrere delle pagine di un libro.
Alcuni non si riescono a cogliere: all'inizio, come accade con alcuni umani in carne e ossa, fanno una brutta prima impressione e poi si fanno amare col tempo.


E poi c'è lui: Cane Puzzone. Impossibile non amarlo, senza nemmeno sapere chi sia.
Basta il nome, basta il suo sguardo allegro e il suo aspetto buffo e squinternato sulla copertina del libro.


Poi si apre il libro e fin dalla prima pagina le impressioni sono confermate: Cane Puzzone è sfortunato, imbranato, irresistibile.
Il testo di Colas Gutman lo tratteggia con humour, rendendo leggere tutte le sue disavventure, come fa lui stesso: Cane Puzzone ha infatti l'ottimismo di chi nella vita non ha avuto nulla, e gioisce per ogni piccola cosa.



In compagnia delle sue pulci, del suo "fan club di mosche" e di Spiaccigatto, un gatto più astuto di lui (non che ci voglia molto) ma altrettanto sfortunato, Cane Puzzone si lancia in una serie di avventure per trovare un padrone e vivere la sua vita da cane normale.

La sua assoluta ingenuità lo farà cadere in varie trappole (come sottolineato dai titoli dei capitoli, in cui la costante è la caduta: "Cane Puzzone cade dalle nuvole", "Cane Puzzone cade dalla padella alla brace" "Cane Puzzone cade in basso"): lui, dal cuore grande e generoso, si fida delle persone e non concepisce l'esistenza di "cattivi", truffatori e malviventi, anche se a noi lettori basta uno sguardo alle illustrazioni per capire chi ha buone intenzioni e chi no.



Con i suoi tratti, Marc Boutavant completa perfettamente l'opera dello scrittore: nelle immagini, Cane Puzzone è sempre sorridente, bocca aperta e lingua a penzoloni; il cane che tutti vorrebbero avere come amico (se non puzzasse di sardine, ovviamente).

Cane Puzzone è un romanzo breve e coinvolgente, ottimo sia per la lettura autonoma che per quella condivisa. È il primo di una serie di romanzi che hanno avuto molto successo in Francia e che Terre di Mezzo editore ha iniziato ora a tradurre per il mercato italiano.



Così, mentre aspettiamo la pubblicazione del secondo capitolo della saga, "Cane Puzzone va a scuola", possiamo giocare con Cane Puzzone e fare in modo che non si separi dalle sue amiche preferite con

il gioco delle pulci di cane puzzone.

Per costruire il gioco ho disegnato delle pulci su dei dischetti di carta, che ho attaccato a dei tappi di bottiglia.



Ho poi stampato una foto di Cane Puzzone, l'ho ritagliata e fissata al tavolo con del nastro adesivo.
Tirando i tappi con le dita, bisogna arrivare più vicini possibile a Cane Puzzone.



Una variante ancora più divertente può essere quella di utilizzare direttamente il vero e proprio gioco delle pulci, personalizzandolo con dei pennarelli indelebili o appiccicando i disegni di carta sui dischetti di plastica.



Ma Cane Puzzone, ne sono certa, si accontenterà anche di questa versione casalinga, ma fatta col cuore.


Diventare genitori è un'emozione immensa, ma diventare bis o tris genitori non è da meno, perché alla gioia e allo stupore che accompagnano la nuova vita che arriva si aggiunge la scoperta di una nuova relazione, quella tra i fratelli.
Una relazione che può anche non essere sempre semplice e lineare, ma che sarà certamente piena d'amore.


Quando è nato il Piccolo D, ho regalato al Piccolo T un libro leggero e divertente, che non parlasse esplicitamente di fratelli ma solo della relatività dell'essere piccoli o grandi, per accompagnare questo cambiamento nella sua vita.

Per l'arrivo della Piccola M volevo trovare qualcosa di diverso, che celebrasse la gioia di un nuovo legame, ma senza suggerire gelosie o difficoltà (perché mettere loro il tarlo in testa, quando non ce l'hanno?).
Volevo un libro che fosse anche una coccola,  un momento da condividere con loro.

In Luna di gelato sole caramello ho trovato tutte queste caratteristiche: un libro-filastrocca, perfetto per i momenti di coccole, un libro curioso che li catturasse con la sua originalità, un libro dolce e fantasioso, che racconta il rapporto tra fratelli e sorelle come un grande gioco, condito di affetto e immaginazione.


Luna di gelato sole caramello è un cartonato che si apre a fisarmonica, e può essere letto nei due versi.
Da un lato, racconta cosa significhi avere un fratello:

Luna di gelato, sole caramello
La vita ha più sapore insieme a un fratello.

Dall'altro, cosa significhi avere una sorella:

Sole di candito, luna caramella
La vita ha più sapore insieme a una sorella.


La parole di Chiara Carminati descrivono un rapporto fatto di complicità ma mai stereotipato.
Se si coglie una leggera sfumatura più "fisica" nella parte dedicata al fratello ("Mi insegna a fare i fischi e a pedalare in bici") e più "immaginativa" nel lato dedicato alla sorella (che "Racconta lunghe storie che inventa solo lei"), è anche vero che i due giocano alla pari, che la sorella conserva i segreti "con aria da pirata", e se fa un sogno brutto, si infila nel letto del fratello e glielo racconta.

Non c'è sessismo, soltanto un mondo unico e speciale che si crea dalla speciale relazione tra fratello e sorella. Un microcosmo colorato e onirico, ben rappresentato dalle illustrazioni di Simona Mulazzani, che si estendono per tutta la larghezza del libro tratteggiando case con i piedi, pesci con la faccia, nuvole dalle forme bizzarre, soli che diventano aquiloni e voli che sfidano le leggi della fisica.

Entrambe le filastrocche si concludono cantando un legame indissolubile, senza false promesse: la vita con un fratello e una sorella non è più facile, né necessariamente più bella.
Ha solo, senza dubbio, più sapore.

È proprio questo che volevo augurare al Piccolo T, al piccolo D e alla Piccola M.



Se è vero (pare di no, in realtà) che gli eschimesi hanno 50 parole diverse per dire "neve", è anche vero che per un genitore il pianto di un bambino non si traduce in un semplice "piange", ma assume sfumature impensabili da chi figli non ne ha.
C'è il pianto "da sonno", il pianto per finta, il pianto da dolore, il singhiozzo trattenuto, e scommetto che se ci pensate su ve ne vengono in mente almeno altri quattro o cinque.


Elisabetta Pica e Silvia Borando esplorano tutte le sfumature di capriccio dei bambini nel coinvolgente e buffo Gelato!, che unisce lo stile inconfondibile di minibombo, fatto di semplicità, leggerezza e ironia, a un lavoro introspettivo che sarà utile sia ai bambini che ai genitori.


Poche parole completano immagini dai tratti netti ma mai banali, che bastano quasi da sole per raccontare la storia, così da rendere il libro sfogliabile anche in autonomia dai piccoli, dopo qualche lettura condivisa.


Il piccolo protagonista chiede al papà un gelato, e al suo "no" esplode in un capriccio, anzi, in tanti capricci, uno per colore.


C'è il capriccio giallo, insistente e fastidioso.


O il capriccio blu, triste e piagnucoloso.
O quello verde, carico di invidia verso gli altri bambini col gelato in mano.
Un arcobaleno di capricci che trasforma il piccolo protagonista in tanti modi diversi.


Il libro è improntato sul punto di vista del bambino: il lettore vede il mondo alla sua altezza (del papà che nega il gelato vediamo solo i piedi), e questo è un aiuto, per il lettore e il piccolo ascoltatore, a comprendere e comprendersi.
Il bambino imparerà (divertendosi: si tratta pur sempre di un libro minibombo!) a riconoscere e dare un nome alle proprie emozioni più negative, e il genitore proverà a mettersi alla sua altezza, appunto, per capire cosa gli passa per la testa durante un capriccio.
E anche la conclusione, inaspettata ma credibile, forse insegnerà qualcosa a entrambi.

E se anche voi avete detto "no" a un gelato, potete consolare il vostro bimbo dai capricci giocando a

crea il tuo gelato

Potete iniziare stampando il mio pdf scaricabile: stampate e ritagliatene più copie, oppure usate le sagome come forme per ritagliare i "pezzi" sul cartoncino colorato.
L'essenziale è che ogni giocatore abbia un cono e almeno un paio di "palline" per ogni colore.

https://drive.google.com/file/d/1UhVrP0sn4eGICaCUbcSXF_lM3XLveNBQ/view?usp=sharing


Nel pdf troverete anche un dado da costruire (ma potete anche ritagliare un cerchietto colorato per ogni colore e applicarlo con il nastro biadesivo a un dado di plastica o di legno, in modo che sia più resistente) e delle carte con delle "composizioni" di gelato.

Il gioco ha due livelli di difficoltà, secondo l'età del bambino.

Gioco base (dai 2 anni circa).

Prendete una carta e chiedete al bambino di comporre il gelato come nell'esempio.
Questo gioco aiuta a riconoscere i colori, a riconoscere e copiare un "modello" e a comprendere il concetto di ordine (il rosa viene prima del giallo, ecc).



Gioco avanzato (dai 3 anni circa).

Si gioca con il dado, in due o più giocatori.
Scopo del gioco è riuscire per primo a comporre il cono secondo la carta-esempio.
Per prima cosa, si sceglie una carta. Poi, a turno, ogni giocatore lancia il dado e, se il colore che esce è quello giusto, può accaparrarsi la "pallina" e metterla sul proprio cono.
La faccia grigia fa saltare un turno, quella a quattro colori è una sorta di jolly che permette di scegliere il colore che serve.


Questo gioco, oltre al concetto di colori e di ordine, insegna anche a rispettare il proprio turno di gioco e introduce un elemento competitivo (anche se dovuto puramente a fortuna).


"Vaniglia, flagola e cioccolato: sono tutti i miei gusti plefeliti!"
dice il Piccolo D.
Ce la farò a dirgli "no" se me li chiede?


"Mamma, non ho NIENTE con cui giocare"
Queste parole arrivano da una persona che ha alle sue spalle uno scaffale pieno di costruzioni, trenini, giochi in scatola, colori (e naturalmente libri).
Arrivano anche dalla stessa persona che due ore prima si è intrattenuta da sola per un'ora in giardino con una molletta da bucato.
La noia, ne sono convinta, è solo uno stato mentale.




Ed è il preciso stato mentale di Chester Filbert, protagonista di Nel mio quartiere non succede mai niente.
Chester si presenta così, seduto sul marciapiede di fronte a casa, senza neanche guardare negli occhi il lettore. Il formato orizzontale del libro ci permette di dare uno sguardo d'insieme alle eleganti case della via.



Pagina dopo pagina, Chester si lamenta del fatto che, appunto, nel suo quartiere non succede mai niente. Non come in altri posti dove ci sono case stregate, pirati e cacciatori.


 
Mentre Chester sbuffa e si lamenta, con lo sguardo sempre basso, il quartiere attorno a lui si anima di storie e avventure.
Le doppie pagine diventano scenografie, dove alle spalle di Chester (o persino davanti a lui!) prendono vita giochi, scherzi, incendi, buche dalle quali escono oggetti misteriosi, rapine e inseguimenti. Un universo di storie avvincenti e adrenaliniche che si dipana in quello spazio che Chester si rifiuta di guardare.



Nel mio quartiere non succede mai niente è un classico americano degli anni Sessanta, ancora inedito in Italia, che Terre di Mezzo editore ha appena pubblicato.
Degli anni Sessanta ha tutto il sapore vintage delle illustrazioni e dei colori, in un meccanismo narrativo ancora attualissimo, che diverte e stupisce senza far sentire il peso degli anni.

L'autrice Ellen Raskin gioca con i colori, contrapponendo il noioso bianco e nero del quartiere, così come lo vede Chester, a vivaci campiture piene e cariche, che colorano tutta la vita e le storie che accadono attorno a lui.


Nel mio quartiere non succede mai niente non è un libro da poter leggere una volta sola: va sfogliato avanti e indietro, tenendo traccia del colore che identifica ogni personaggio e ogni storia, notando gli sviluppi e gli intrecci di ogni evendo che accade.
Dentro ogni microstoria, raccontata solo dalle immagini o da pochi fumetti, c'è una sorpresa, qualcosa di inaspettato, divertente o misterioso.
Perché è così la vita: basta guardarla bene per lasciarsi stupire e per cancellarne la noia.

E voi, siete capaci di cogliere tutto quello che succede alle vostre spalle, o come Chester restate concentrati su di voi e sulla vostra noia?


La prossima volta che il vostro bimbo si annoia, provate a bendarlo, a metterlo in un punto della casa e a chiedergli di indovinare cosa sta succedendo alle sue spalle.
Potete creare dei rumori ad hoc (suonare qualcosa, bussare alla porta, aprire la zip dello zaino) o lasciare che a "parlare" siano le vostre azioni quotidiane: battere i tasti di un computer, lavare i piatti, stir... (ah ah! No, stirare a casa mia è tutt'altro che quotidiano!). O magari potete prendervi un caffè. Lui lo indovinerà dal rumore della moka, voi avrete i vostri cinque minuti di serenità. :)


I primi giorni di vita di un neonato ci riportano a una dimensione istintiva, animale, in cui il pensiero si allenta e lascia spazio ai sensi.
Quel primo amore è fatto tutto di scambi di sensazioni: il calore di quel corpicino abbandonato sul tuo, il profumo della sua testolina, la morbidezza della sua pelle, un fondersi di due stanchezze che a volte coincidono, a volte si scontrano, e sono strilla da un lato e sbadigli dall'altro.
(Sto scrivendo sotto l'effetto degli sbalzi ormonali da puerperio, si nota molto?)


Sensazioni che forse solo chi ha vissuto può capire. E infatti il libro che meglio le sa interpretare lo ha scritto... un uomo.
Ma dal momento che si tratta di Bruno Tognolini, abilissimo e magico cantastorie di tutto il mondo dell'infanzia, la cosa non dovrebbe stupire.

Mammalingua. Ventuno filastrocche per neonati e per la voce delle mamme esprime perfettamente lo spirito dei primi giorni di vita di un neonato.
Le sue parole hanno l'odore, il sapore, la morbidezza e persino il sonno di quel rapporto mamma-figlio ancora primordiale, animalesco, esclusivo e fortissimo.

Le ventuno filastrocche contenute, una per ogni lettera dell'alfabeto, raccontano questo mondo con dolcezza, ma senza sconti: accanto allo stupore e all'affetto, c'è anche l'esasperazione per i pianti inconsolabili:

Ohi come piangi, e io come faccio
Che non so fare che prenderti in braccio
Cosa ti punge, cosa ti duole
Per farlo smettere cosa ci vuole

Nelle parole di Tognolini, così come nelle delicate illustrazioni di Pia Valentinis, il bambino non è quasi mai un bambino, ma un uccellino, un orsetto, o spesso un pesciolino, mentre la mamma, così gigante e morbida e accogliente, è una balena pronta ad abbracciarlo.

È la dimensione liquida di questo insostutibile rapporto, che passa dal liquido amniotico, impetuoso e travolgente al momento del parto, alla dolcezza calma del latte materno.



Dormi
Dopo onde furiose ed enormi
Pesciolino arenato al mio fianco
Nel lenzuolo di un'isola bianca
Sei venuto dal mare e sei stanco
Son venuta dal mondo, son stanca

Le rime rivestono gli oggetti quotidiani di paesaggi, per delineare un microcosmo che appartiene solo a mamma (e papà) e bambino.
Ritmi e sonorità spaziano, secondo il tema trattato, dalla filastrocca

Ridi ridi pesciolino 
Sopra l'acqua lunamonda
Corri corri cavallino
Quando ridi corre l'onda

all'allitterazione che mima con la lettura la suzione del neonato:

Bocca che beve, becco che batte
Bava di luna, bevi il mio latte

Le pagine si susseguono tutte allo stesso modo: sulla sinistra la lettera dell'alfabeto e la filastrocca, a destra l'illustrazione.
(guest star in foto: la Piccola M nel suo penultimo giorno in pancia, quando stavo per iniziare a scrivere questo post, ma poi...)


È un libro perfetto fin dai primi giorni di vita, quando al bimbo non interessa altro che la voce della mamma, e la mamma, ritrovando le proprie sensazioni tra le rime, saprà dare a quelle parole le sfumature giuste di tono per farle diventare coccola. Il regalo perfetto per una neomamma o una mamma in attesa, che potrà iniziare a raccontare le sue emozioni al pancione.

Mammalingua è un libro a cui sono particolarmente legata, non solo per la sua poesia, ma perché ha accompagnato un momento intenso della mia vita, quando il Piccolo D era ricoverato per bronchiolite, a due mesi e mezzo, e io potevo solo stargli vicino, senza prenderlo in braccio.
Raccontargli quelle filastrocche, prima lette dal libro, poi a memoria, è stato il nostro modo di scambiarci qualche coccola in quei momenti, di trasmettergli quelle carezze che non potevo.

E ora che ricomincia quel mistero e quella magia, Mammalingua è accanto a me e alla Piccola M, ad augurarci buon viaggio.

Non lo so cos'è un figlio
Però so che sei tu.


Una delle differenze sostanziali tra una mamma e un figlio, un gap generazionale assolutamente insormontabile, sta nella capacità di trovare le cose.
Sono certa che avrete visto anche voi i vostri figli perdere mezz'ora a cercare in una stanza qualcosa che voi riuscite a individuare in 30 secondi netti.


In Dov'è Orso? di Jonathan Bentley (Mondadori), la mamma non c'è (non si sa dove sia, ma questo nei libri non ha molta importanza), e quindi il bambino, prima di nanna, deve trovare il suo orso da solo.
In fondo, direte, che ci vorrà mai a trovare un orso?


Infatti, tra le pagine del libro, vediamo spuntare zampe e altri dettagli che innescano un gioco tra il lettore e il protagonista.
Mentre il piccolo continua a chiedersi "Dov'è orso?" e a ipotizzare posti in cui possa essersi nascosto (il testo è qui ridotto all'essenziale, la narrazione si svolge quasi tutta per immagini), viene quasi da urlargli "Ma non lo vedi? È lì, vicino a te!".


Il bimbo lo cerca disperatamente, e l'orso appare sempre, non visto da lui, anche se sembra non voler fare nulla per nascondersi, anzi: lo aiuta nella ricerca.
A volte vediamo le sue zampe reggere una scala, a volte vediamo il suo corpo riflesso allo specchio.


A volte è così grande che ci chiediamo come faccia il protagonista a non vederlo.
Ed è proprio su questo doppio piano che si basa tutto il libro: il protagonista che cerca, il lettore che prova ad aiutarlo. Il gioco diventa esplicito quando il bambino sembra sentire i suggerimenti del lettore e rivolge lo sguardo fuori dalla pagina, dritto davanti a sé, per interpellarlo.
È anche questo il motivo per cui consiglierei il libro dai tre anni in su, nonostante la semplicità della narrazione lo renda adatto già dai due anni: perché il fascino di questa storia semplice, veloce, divertentissima, sta proprio nel cogliere il dialogo implicito tra chi legge e chi vive questa storia.


Il finale? Non è per nulla banale e anzi, rovescia tutto quello che fino a quel momento sembrava scontato, facendoci sorridere ancora una volta.
Geniale, nella sua semplicità.
Non servono mille pagine o mille parole per fare un grande libro.


Quante volte avete sognato di possedere un'isola tutta vostra, sperduta in qualche oceano, lontana dalla civiltà? Avete mai pensato a cosa ci costruireste, o come vorreste che fosse?
Be', spiacente di farvi scendere dalle nuvole (proprio io!), ma devo comunicarvi che il vostro sogno non si realizzerà così facilmente.
In compenso, per voi, potrebbe realizzarlo vostro figlio. Almeno virtualmente, s'intende.


Terra in vista! di di Pieter Gaudesaboos e Brunhilde Borms (Sinnos editore) è un libro-gioco unico nel suo genere, sia per i toni utilizzati, sia per i contenuti.
Il lettore è subito coinvolto in una missione segreta (ai fini del libro non ha alcuna importanza che sia segreta, ma volete mettere il coinvolgimento?): il Consiglio Mondiale dei Paesi lo incarica du scegliere un'isola deserta e popolarla, anzi, inventarla da zero.


Ci sono sette isole a disposizione, ognuna con una caratteristica positiva e una negativa. Il primo passo da fare sarà quindi scegliere la propria.


Seguono diverse missioni (25, per l'esattezza), da compiere rispondendo a crocette, disegnando, compilando questionari, ritagliando e incollando immagini da un grande poster in fondo al libro.


Che bandiera avrà quest'isola? Come saranno le strade? Quali sono le feste nazionali? Quali i piatti tipici che un turista potrà gustarsi?
L'isola è una tabula rasa, un foglio bianco su cui disegnare e costruire, inventando un Paese unico, il proprio.

Tra le missioni, creare la bandiera (dando anche un significato ai suoi elementi e non accostando semplicemente dei colori a piacere), disegnare le strade della capitale (guidati da una legenda che spiega i diversi tipi di strade esistenti).


Ma anche progettare i cartelli stradali, in una logica che unisce regole e fantasia: come nella realtà, ci saranno cartelli di pericolo, di obbligo, ecc, ma obblighi e divieti possono essere tra i più assurdi e disparati, come attraversare con una gamba sola o fare attenzione alle palme volanti.
Perché in fondo il terreno più fertile per l'immaginazione non è mai l'assoluta libertà, ma la libertà entro alcuni binari tracciati.


Ogni missione è un gioco, ma anche una riflessione sulle differenze tra un Paese e l'altro, sulla cultura, la società, le regole, le spiegazioni logiche o l'arbitrarietà dietro a ognuna di esse.

Il bello di Terra in vista! non è soltanto l'interazione, ma l'occasione di vedere cose quotidiane (il cibo, le strade, le feste) con un'occhio nuovo, senza darle per scontate ma interrogandosi su di esse.
È un fantastico supporto per chi viaggia, una chiave di lettura per scoprire e apprezzare le differenze tra i diversi Paesi che si visitano, per apprezzarli con una consapevolezza più piena.

È anche lo spunto per inventare nuovi "territori" nel quotidiano.
In fondo tutti noi viviamo in un'isola chiamata casa, che ha confini segnati e regole diverse dal mondo esterno.

Quale potrebbe essere la segnaletica in casa vostra? Quali gli obblighi, quali le cose a cui fare attenzione, quali i divieti? Inventarli insieme può essere un gioco divertente. Si potranno unire regole vere (non si gioca a palla in sala) ad altre completamente inventate e puramente ludiche.


A casa nostra, bisogna fare attenzione ai mattoncini quando si cammina.


C'è l'obbligo della lettura pre-nanna e del bacino della buonanotte, e bisogna stare molto attenti ai draghi che attraversano il corridoio.


Non che ce ne sia mai capitato uno, ma è importante essere sempre pronti. I draghi, si sa, sono imprevedibili.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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