Nuvole in scatola
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Una delle tracce della maturità, nell'anno precedente al mio, riguardava il rapporto tra matematica e poesia. Quando la lessi, e provai a ragionare su quello che avrei potuto scrivere, mi venne in mente solo qualche riferimento al ritmo, alla metrica, e alla fine quello che conclusi fu: "Per fortuna che la mia maturità è l'anno prossimo".

Il fatto è che siamo immersi in una cultura che sembra tracciare una dicotomia insormontabile tra materie umanistiche e materie scientifiche, settorializzando il sapere (e spesso le persone) da un lato o dall'altro. Eppure i punti di contatto sono molti di più di quanti non appaiano a un primo sguardo.

L arte incontra la scienza

Lo dimostra bene un albo divulgativo interessante sia per i presupposti sia per le nozioni che porta: L'arte incontra la scienza di Mary Auld (con illustrazioni di Sue Downing), edito in Italia da Editoriale Scienza.

Le sue pagine esplorano i punti di contatto tra le due discipline nel modo più ampio possibile: ogni pagina spalanca un nuovo spunto di riflessione, un "non ci avevo pensato", o perlomeno un "non ci avevo pensato abbastanza".

L arte incontra la scienza

Non avevo pensato abbastanza che le pitture rupestri nascono anche da uno studio su come ricavare pigmenti dalla natura.

Non avevo pensato abbastanza a come astronomia e immaginazione si siano incontrate nel dare vita alle costellazioni. 

Non avevo pensato abbastanza a quanto il puntinismo debba alla teoria del colore e allo studio di come il nostro occhio lo percepisca.

Il viaggio che passa da accostamenti ed esempi più noti (come la centralità dello studio anatomico nella scultura classica o la ricerca leonardesca di macchine volanti) ad altri più insoliti, come l'arte tridimensionale dell'americana Jen Stark, o l'arte pirotecnica del cinese Cai Guo-Qiang, offrendo nozioni storiche, suggestioni artistiche, intuizioni e spiegazioni scientifiche, in un panorama ampio che aiuta prima di tutto a capire quanto arte e scienza siano discipline vaste, che abbracciano molto di più dell'immagine che abbiamo di esse.

L'arte incontra la scienza non scende in profondità nelle spiegazioni tecniche o nella critica artistica: è un albo rivolto a un pubblico attorno agli otto anni, con l'obiettivo di aprire le menti, più che di riempirle, ma soprattutto di coinvolgere i piccoli lettori.

L arte incontra la scienza

Le pagine descrittive si intervallano infatti a proposte di esperimenti, di attività e di progetti artistici e scientifici, dai più semplici che i bambini saranno in grado di svolgere in autonomia, ai più complessi che richiederanno l'aiuto di un genitore. I lettori saranno così chiamati a costruire piccole macchine volanti di carta, a creare la loro opera puntinista, a studiare l'anatomia per disegnare un corpo o a sperimentare piccole reazioni chimiche.

Perché diventare artisti è anche un po' diventare scienziati.



Amo il mio nome, perché mi piace come suona, ma anche perché è lungo: Elisabetta, 10 lettere.

E in quanto lungo, tutti quelli che in qualche modo sono entrati in confidenza con me lo hanno abbreviato, ognuno a modo suo, come segno di un rapporto speciale, oltre le formalità anagrafiche. E così sono Elisabetta, ma sono anche Eli, Betta, "la Betty", Bettina e alcune ulteriori variazioni sul tema che non intendo condividere qui.

Cosa c'entra tutto questo con un libro?, vi chiederete.

ti aspetto a san qualcosa

C'entra. Perché l'incipit di Ti aspetto a San Qualcosa, di Beniamino Sidoti, edito da Camelozampa, parte proprio da una riflessione sui nomi.
Simone, il protagonista, si è da poco trasferito in un paese nuovo e fatica ad accettare questo cambiamento. Sa di doverci entrare in confidenza, con questo posto, di doverlo conoscere, ma lo rifiuta, e per questo non lo chiama per nome, ma "San Qualcosa".

Questo "San Qualcosa" diventerà una delle due cifre stilistiche che caratterizzano il libro: il nuovo paese di Simone non verrà mai chiamato due volte allo stesso modo, ma cambierà nome assorbendo di volta in volta punti di vista, stati d'animo, caratteristiche che riflettono l'attenzione del ragazzino.

Sarà un anonimo San Paesino, San Questo, San Caseconstrade, ma gradualmente assumerà toni più caldi e personali. Diventerà San Pistaciclabile, San Spuntino, San Delusione in un momento di tristezza, ma anche San Tihotrovato dopo l'incontro con Sara, una ragazzina solitaria come Simone, che farà cambiare tutto, come accade sempre quando due solitudini si incontrano.

Accade così che, senza che Simone se ne renda conto, proprio attraverso questi nomignoli pensati per allontanarla, la città diventa sua, sua come mai potrebbe esserlo se la chiamasse semplicemente con il suo vero nome.

ti aspetto a san qualcosa

La seconda, forte cifra stilistica che accompagna tutto il libro, è il gioco, o meglio l'esercizio mentale, con cui Simone vive le sue giornate.Ogni giono, il ragazzo si cala dentro un libro, un film, una canzone, per guardare attraverso un filtro diverso il paese .
Ne annusa le tracce animali come se fosse Zanna Bianca, ne osserva le case con la cura di un Hobbit, ne cerca la magia come fosse Harry Potter (mentre il paese diventa San Terradimezzo e San Hogwarts).

È una selezione per nulla snob o intellettuale, che spazia dai Queen a Nonna Papera, e riflette quel bisogno di gioco che c'è ancora in un bambino non del tutto cresciuto e quel bisogno di incasellare le cose e dare loro un ordine, che è tipico degli adolescenti.

La storia si snoda così, tra queste trovate linguistiche e stilistiche che rendono la lettura più curiosa ed espressiva e danno ad ogni capitolo un colore e un umore che si percepiscono chiaramente, senza troppe parole, senza che note troppo esplicite rovinino la magia.

Pagina dopo pagina si svelano al lettore la storia di Simone, i drammi che sta affrontando, le affinità con Sara, il rapporto con il padre e la famiglia. Temi profondi, trattati con delicatezza, a tratti con velata ironia: un tocco sapiente che rende la lettura dolce senza fare sconti sulla sua profondità.


Il libro di oggi inizia con un invito a guardare un fantasma.

E se vi state immaginando una figura stilizzata con un lenzuolo e due buchi per gli occhi, no: si tratta proprio di un fantasma che non si vede.

Questo incipit è in qualche modo emblematico dell'essenza di questo albo, che coinvolge il lettore in un gioco a tre tra lui, i protagonisti e la voce narrante, un gioco che scardina i meccanismi della narrazione, del detto e non detto, del visto e non visto.


guarda il fantasma

Se vi sembra di aver già sentito qualcosa di simile, è perché Guarda il fantasma, l'albo di cui vi parlo oggi, è il seguito ideale di Guarda il gatto, di David LaRochelle e Mike Wohnoutka, edito anch'esso da Biancoenero edizioni, che vi avevo presentato qui, e di Guarda il cane.

Protagonisti, stavolta, tre personaggi invisibili: un fantasma, il vento, una fata.

Anche in questo albo saltano i normali meccanismi della narrazione: i personaggi (il solito cane, il solito gatto, e poi fantasma, vento e fata) non si limitano a interagire tra loro ma si appellano direttamente al narratore, che non soltanto agisce da voce onnisciente ma ha anche il potere di modificare gli eventi, portando in scena oggetti e personaggi e contrattando con loro gli sviluppi della storia.

guarda il fantasma

Ancora una volta, leggere diventa una riflessione su "come funziona un libro", anche perché entrano nella storia gli elementi materiali del libro stesso: quando il vento porta via le parole dalla pagina, ad esempio, si rende conto che poi non può più fare nulla.

guarda il fantasma

Ho la sensazione che albi come Guarda il fantasma non si limitino a intrattenere e a divertire, ma rendano anche l'oggetto-libro qualcosa di più curioso e più familiare al tempo stesso, qualcosa di magico, non solo perché racconta storie, ma perché le fa in qualche modo accadere. E per chi ancora non sa leggere, questa può essere una scoperta fondamentale.


Tra i vari pensieri che si scontrano, quando si parla di istruzione, c'è la dicotomia tra una scuola più concreta, che forma lavoratori, e una più astratta, che forma cittadini consapevoli.

Economia la scelta è tua

Il dilemma è più arduo di quanto non sembri a prima vista e le sue implicazioni e sfaccettature sono troppe per parlarne qui. L'ho citato perché mi è venuto in mente quando ho sfogliato per la prima volta Economia, la scelta è tua, un libro divulgativo scritto da un'economista (Ilaria De Angelis) e una scrittrice (Maria Clara Restivo) per Editoriale Scienza.

Sì, perché mi pare che, almeno in questo campo e per questa fascia d'età (dai 9-10 anni), questo libro trovi una buona sintesi tra astrazione e concretezza, senza perdere mai di efficacia. Ed è al tempo stesso semplice, profondo, concreto e chiarificatore il concetto con cui si apre il libro: economia significa scegliere.

 Economia la scelta è tua

Quando pensiamo alla parola "economia" si affollano nella nostra mente equazioni, grafici, valori, eppure, sebbene la materia possa spaventare (non ho ricordi molto sereni del mio esame di Economia Politica all'università!), parte tutto da qui: dalla scelta tra risorse limitate. Guardandola da questo aspetto, si trasforma da materia per tecnici ad argomento necessario per la vita di tutti i giorni.

Economia la scelta è tua

A partire da questo principio, Economia, la scelta è tua introduce poi il ruolo dello Stato, del lavoro, dei beni pubblici, dei diversi modi di pensare l'uguaglianza: tutti concetti spiegati in modo semplice ma senza tralasciarne la complessità di fondo. È molto interessante, ad esempio, vedere come molti aspetti (dalle tasse ai servizi pubblici, dal sistema pensionistico alla parità di genere) sono affrontati e legiferati in modo differente in diversi stati o culture. Tutto questo viene esposto in modo semplice e neutro, senza inclinazioni politiche.

C'è molto da imparare anche per noi grandi!

A intervallare i capitoli, brevissime biografie di grandi nomi dell'economia, che aiutano a inserire i diversi concetti in una prospettiva storica, ma anche numerosi spunti di riflessione ed "esercizi" che coinvolgono il piccolo lettore in prima persona.

Economia, la scelta è tua è insomma un libro che contribuisce a formare buoni cittadini, senza trascurare la praticità. Fosse tutta così, la scuola!



Sarà per lo stile delle illustrazioni di F.J. Tripp, per il protagonista bambino ma in grado di viaggiare e cavarsela da solo come fosse un adulto, per la curiosa varietà dei personaggi umani e non umani, per la mole del libro che, a dispetto del target (dai 5 anni in lettura condivisa, dai 7-8 in lettura autonoma) è piuttosto corposo, ma Robbi, Tobbi e il vonapè di Boy Lornsen mi ha ricordato molto Pluk (vi ricordate di Pluk, vero?).

Robbi Tobbi e il Vonape


In realtà, sia dal punto di vista concreto sia da quello stilistico i due titoli non hanno molto in comune: autori e illustratori sono diversi, tedeschi nel caso di Robbi, Tobbi e il vonapè, olandesi nel caso di Pluk, e lo snodarsi della storia lascia al lettore sensazioni molto differenti.

Ma quella del libro di narrativa "lungo" per un target più basso di quanto ci si aspetterebbe è una scommessa che Lupoguido continua a vincere, anche grazie alla ricerca di testi adatti, alla cura editoriale, alle traduzioni efficaci e piacevoli di Valentina Freschi.

Robbi Tobbi e il Vonape

Robbi, Tobbi e il vonapè è un libro multiforme, con un incipit fulminante, sia per la scrittura, sia per l'idea di fondo, e una struttura che nel suo dipanarsi non sempre sa tenere elevati ritmo e attenzione.

L'idea, dicevo, ha qualcosa di semplice e di incredibile al tempo stesso. Tobbi, il protagonista, è un bambino inventore, che ha progettato il Vonapè, un veicolo in grado di volare (vo), navigare (na) e andare su strada, suonando il clacson (pè). Se siete come me curiosi delle scelte linguistiche nei libri, il nome originale di questo veicolo è Fliewatüüt: mi sembra quindi una traduzione ben azzeccata, anche nel tono.

Nell'incipit, l'autore si rivolge direttamente al lettore (non accadrà più nel resto del libro) con uno stile particolarmente schietto e divertente (anche questo resterà confinato a questo incipit):

"In questa storia, le cose si fanno tecniche. Non posso farci niente. Comunque non così tecniche da diventare incomprensibili. Se sapete qualcosa di tecnica, bene! Se non ci capite niente, va bene lo stesso: imparerete tutto man mano che la storia procede."

In realtà non ci sarà poi molto di tecnico, o meglio: sarà un tecnico decisamente sui generis, perché il Vonapè va a succo di lampone e (come scopriremo poi) a olio di balena.

Robbi Tobbi e il Vonape

Sì, perché qui arriva la grande idea del libro: il Vonapè non è solo un progetto, ma esiste davvero.

Il robot Robbi atterrerà nel prato di Tobbi proprio con il veicolo che il bambino aveva progettato. Qui il libro aggancia davvero il piccolo lettore, che di sicuro nella sua vita avrà disegnato o costruito con i mattoncini centinaia di veicoli fantasiosi, e si sarà certamente chiesto "come sarebbe se diventassero veri?".

Robbi si presenta come un "robot di terza": va infatti alla scuola per robot e ha costruito il Vonapè, copiando il progetto di Tobbi, per un proprio compito. Ed è proprio per portare a termine le missioni per il suo esame scolastico che il robot coinvolgerà Tobbi in un viaggio alla ricerca di un faro giallo e nero, dei misteri di un castello triangolare e così via.

L'idea di un "robot di terza elementare" fa tenerezza e contribuisce a umanizzare il personaggio. In generale, Robbi, Tobbi e il vonapè ha tutte le premesse per coinvolgere il lettore in un meccanismo di rispecchiamento e poi portarlo con sé lontano, lontanissimo.

Sì, perché Robbi, Tobbi e il vonapè è un libro di viaggio e di avventura, che ci porta in Groenlandia e in Scozia facendoci conoscere gentili guardiani di fari, allegri eschimesi, delfini e topini parlanti, un celebre mostro del lago e persino il simpatico fantasma di un vecchio castello: una carrellata fantasiosa e curiosissima, per bambini che amano correre con l'immaginazione, ma che non sembra andare molto a fondo nella psicologia dei singoli personaggi, nel costruire un legame con loro o nella loro evoluzione.

Sarà un libro apprezzato da chi ama i dettagli, gli incontri, i racconti di viaggio. E da tutti coloro che sognano di partire con un veicolo che una volta hanno abbozzato su un foglio da disegno.

L'estate somiglia a un haiku.

Lo conoscete, l'haiku, vero? È quella forma poetica nata in Giappone e fissata in uno schema rigido che prevede tre versi, rispettivamente da cinque, sette e cinque sillabe.

Una prescrizione formale che, come molti "paletti", lungi dal confinare la creatività, in realtà la stimola, e permette declinazioni in toni di voce più lirici o ironici, secondo l'intento desiderato.

L'estate somiglia a un haiku, dicevo, perché è fatta di momenti brevi e fugaci, ma densi di emozione. 

Anche un giro in bici somiglia a un haiku, perché permette di guardarsi attorno senza la fretta dell'automobile, di lasciarsi incantare dal paesaggio, e poi di proseguire avanti, senza soffermarsi in meditazioni profonde, ma formulando soltanto piccoli, delicati pensieri.

haiku in bicicletta

Da grande appassionata di bicicletta (quel tipo di bicicletta, quella lenta e contemplativa, tant'è che giro ancora con una city bike a sei rapporti), credo non ci sia miglior libro di questo, per salutarvi e "chiudere" il blog per la pausa estiva: Haiku in bicicletta di Pino Pace (notes edizioni) è una raccolta di haiku legati al tema della bici, arricchita dalle foto di Enrico Martino. Non propriamente un libro per bambini, ma perché no? Di fatto si tratta di un'opera ampiamente trasvesale, che può dare qualcosa ad ogni età.

"Andare in bicicletta fa scrivere haiku", scrive l'autore nella prefazione, e poi lo dimostra.

Ci sono haiku meditativi, leggeri ma profondi al tempo stesso:

Bici leggera
tubi e pneumatici.
Contiene aria.


Ci sono haiku orgogliosi e identitari, che affermano il "quasi-primato-morale" di chi pedala rispetto a chi sceglie un mezzo a motore, haiku sensoriali che raccontano il vento e la strada, haiku storici che ricordano Coppi e Bartali, haiku ironici sulle proprie performance di pedalata:

Mi sorpassano
I ciclisti festivi
Poi li ripiglio

Le foto in bianco e nero, di viste parziali, tagliate, sfocate, completano il quadro, quella sensazione di incompiuta compiutezza che solo un componimento così breve e sintetico può dare: è tutto lì, eppure c'è un mondo dietro. 

haiku in bicicletta

Haiku in bicicletta si può godere una pagina per volta, una poesia per volta, o tutto di seguito, in una lettura vorace.

Si può scegliere ogni giorno l'haiku che più ci parla, o attraversarli tutti, lentamente, con pedalata costante.

È un libro leggero e profondo, come ogni estate che si rispetti.

Vi auguro di scriverne tanti, di haiku, dentro di voi, in questa estate appena iniziata.
Ci rileggiamo a settembre.


Prototipo del perfetto libro da spiaggia: leggero, senza troppo coinvolgimento emotivo, che poi le emozioni ti restano sullo stomaco e devi aspettare due ore prima di fare il bagno. Suddiviso in unità brevi, così se il vicino di ombrellone ti chiama per costruire la piste delle biglie, puoi chiudere il capitolo in tempo per decidere con lui che circuito progettare. E magari con qualche elemento che solletica l'intuito, perché si sa, ombrellone ed enigmistica vanno sempre d'accordo.

che mistero anche se

Ecco: Che mistero anche se... 31 storie per 31 enigmi tutti da svelare!, edito da Storybook risponde perfettamente ai requisiti del perfetto "libro da spiaggia".

Lo hanno scritto 31 diversi autori dell'ICWA, associazione italiana scrittori per ragazzi, giocando in vario modo attorno al tema del mistero, dell'investigazione, dell'equivoco. 160 pagine ad alta leggibilità, suddivise in 31 racconti (tutti, quindi, leggibili nel tempo di una pausa tra un bagno e un castello di sabbia), ai quali si aggiunge un incipit a firma di un improbabile ma divertente Sherlock Holmes.

che mistero anche se

Come sottolinea Fulvia Degl'Innocenti, presidente dell'ICWA, nella postfazione, il vantaggio di avere tanti scrittori sta nella varietà e in effetti in questa raccolta vari sono i temi, varie le ambientazioni, dal quotidiano al mondo delle favole, vari gli stili di scrittura e i toni di voce, dal serio all'ironico, vari i livelli di difficoltà dell'eventuale mistero da risolvere, che a volte è da subito evidente, altre volte è reso inaccessibile al lettore fino allo svelamento finale. Varia anche, va detto, la qualità della scrittura, che in alcuni racconti appare un po' dilettantesca, pur restando sempre formalmente corretta.

Ma anche la semplicità di linguaggio ha una sua funzione: in un libro come questo il lettore non si riconosce tanto nelle storie, quanto nella scrittura stessa. La struttura e la tipologia dei racconti sprona il desiderio di emulazione. Accanto allo stimolo a decifrare i biglietti o a risolvere un caso, emerge la voglia di mettersi in gioco e scrivere il trentaduesimo racconto del libro.

Che mistero anche se..., in effetti, termina proprio con un invito alla scrittura. Quello stesso Sherlock Holmes che aveva aperto il libro, lascia al bambino alcune suggestioni, decisamente curiose, per stimolare la sua fantasia e scrivere a sua volta un racconto del mistero.

L'attività ideale per rilassarsi nelle ore più calde, prima di tornare sotto l'ombrellone.

Si chiama pareidolia, ed è la capacità (o meglio, l'illusione) del cervello umano, che riconosce forme familiari (spesso volti) in altri oggetti. È un meccanismo che sperimentiamo quotidianamente, ma spesso per i bambini è ancora più marcato, forse a causa di un'immaginazione più libera, oppure perché ancora non hanno grande esperienza delle "cose" che trasformano con la mente in "altre cose".

La pareidolia è un'illusione, ma può diventare anche un gioco che i bambini mettono in atto spontaneamente e che è fatto di creatività, flessibilità, esperienza.

Arcimboldo ci ha, possiamo dire, costruito una carriera, con i suoi quadri burleschi in cui delle nature morte di frutta e ortaggi si trasformavano in ritratti di persone e personaggi. Ora, prendiamo l'Arcimboldo, manteniamone l'aspetto ludico ed epuriamolo da quella sensazione di inquietudine ci lasciano le sue opere: ciò che resta è un bellissimo gioco per bambini, che l'autrice belga Geert Vervaeke ha tradotto nell'albo Arrivano gli insettangoli!, pubblicato in Italia da Beisler.

arrivano gli insettangoli
 

Così come si conviene a un libro dedicato ai piccolini (dai 2 anni circa), il meccanismo di Arrivano gli insettangoli! è molto semplice: una ventina di tavole che riproducono degli insetti utilizzando forme che richiamano quelle di frutti e ortaggi.

Il tratto è piatto, molto grafico, i diversi elementi sembrano quasi dei timbri. 


arrivano gli insettangoli

Nell'angolo in basso a sinistra, una sorta di legenda dei vegetali utilizzati, con i quali il bimbo potrà giocare a "cerca-trova", riconoscendoli nel disegno, che verrà così scomposto nelle sue unità.

arrivano gli insettangoli

Nell'ultima pagina, infine, troviamo un riepilogo di tutti i vegetali, accostati al loro nome, per aiutarlo a conoscere quelli con cui non ha ancora familiarità.

Arrivano gli insettangoli! è un gioco di scoperta, di osservazione, di scomposizione e ricomposizione, di riflessione sulla creatività, sulle forme, sul tutto e sulle parti.

È anche, soprattutto per i bimbi un po' più grandi, un invito a provarci in autonomia: a unire più forme per crearne una nuova.

Un'infinità di strumenti di crescita e conoscenza è racchiusa in poche pagine, sempici e gustose come frutta matura.


Il ritmo.

Quando si pensa a un libro per bambini, ci si focalizza sulle parole, sulle immagini, tutt'al più sul formato. Difficilmente si dà peso a un elemento che invece è fondamentale, tantopiù nei prodotti per bimbi più piccoli: è il ritmo, che rassicura e aiuta il bambino a notare somiglianze e differenze tra i diversi elementi, accompagnandolo nel suo gioco di scoperta, esplorazione, memorizzazione.

Il ritmo può prendere forma in diversi modi: è più evidente in una filastrocca, o in un racconto in cui l'anafora sottolinea il ripetersi di alcune scene, ma può essere costituito anche da semplici immagini, come nel libro di cui vi parlo oggi.

Look book

Look book Ã¨ un silent book del 1997 della fotografa americana Tana Hoban, che Camelozampa ha da poco portato in Italia. Attenta allo sviluppo cognitivo dei bambini, Hoban ha creato molti prodotti basati su immagini reali, variamente trattate, come ad esempio Bianco e nero, un cartonato a fisarmonica adatto ai primi mesi (ve ne avevo parlato in un post sulla prima biblioteca essenziale per un bambino).

In Look book, che si rivolge a un pubblico appena un po' più grande (uno-due anni), Hoban lavora ancora sullo sguardo, creando un ritmo di scoperta degli oggetti attorno a sé. Vi troviamo nove elementi più o meno naturali (perlopiù animali, ma anche due vegetali e... un brezel!) che vengono presentati tutti attraverso una medesima scansione tripartita.

Uno: dapprima vediamo un dettaglio attraverso un foro rotondo su una pagina. È il gioco del "cucù" tanto caro ai bambini (e tanto importante per il loro sviluppo cognitivo). Il lettore/osservatore è sfidato a riconoscere l'oggetto da un suo piccolo particolare, a volte rappresentativo (riconosciamo il pelo di un animale, anche se non riusciamo a vedere di che animale si tratti), altre volte del tutto astratto (impossibile riconoscere, da un degradare di puntini rossi e gialli, i pistilli del girasole).

Interessante, e azzeccata, la scelta del fondo nero per la pagina forata. Il suo non-colore aiuta a concentrare lo sguardo sul centro e alimenta il mistero, la sensazione di spiare da un piccolo foro.

Look book

Due: solleviamo ora la pagina nera forata. E già in questo gesto troviamo stupore ed emozione: scopriamo che le pagine possono ingannare, nascondere segreti, che non necessariamente sono "tutte intere".

Di fronte ai nostri occhi vediamo finalmente la fotografia completa: il fiore, la farfalla, il cane. Non sempre la figura è intera, non sempre riusciamo a capire bene la sua collocazione. A volte all'elemento manca un pezzo (del piccione vediamo solo la parte posteriore), a volte l'inquadratura è molto stretta.

Look book

Tre: è girando pagina che lo sguardo si allarga e scopriamo il contesto. E si tratta di una vera scoperta: ciò che sta attorno al soggetto della foto può confermare la nostra prima impressione, oppure cambiarne il senso. Un fiore reciso, in vendita in un negozio, non è il fiore di campo che forse ci aspettavamo. 
Il bambino è troppo piccolo per comprendere il concetto astratto di contesto e scardinarne il meccanismo, ma inizia a farne esperienza. Scopre gli oggetti visti da angolazioni diverse da quella iniziale, o più completi, o ancora affiancati da altri elementi simili (i piccioni sono tanti, non uno solo!).

Look book

Il gioco di scoperta impegna la mente lasciando suggestioni diverse, mentre il fascino delle fotografie, così aderenti alla realtà pur essendo  ugualmente rappresentazioni, conquista l'occhio.

Il ritmo continua, nove volte: si sbircia dal buco, si scopre, si allarga lo sguardo: l'esplorazione è il gioco più bello del mondo.



Vi dicevo pochi giorni fa di come sia difficile trovare testi semplici da leggere per i primi lettori, ma che abbiano al tempo stesso uno spessore adatto alla loro età, e vi facevo una piccola rassegna di libri da leggere per l'estate.

Ecco, se questo libro mi fosse arrivato solo un paio di settimane prima, in quella rassegna ci sarebbe finito subito, di diritto.

Le nuove avventure di Lester e Bob

Sì, perché Le nuove avventure di Lester & Bob racchiude tutte le caratteristiche di un buon libro per primi lettori di qualità: poche frasi scritte in stampatello maiuscolo e una sintassi semplice, ma curatissima, arricchita da un ritmo sempre perfetto e dall'uso dosato e sapiente di piccole figure retoriche (l'anafora in primis) che sottolineano il contenuto comico delle storie.

Così come nel primo capitolo di questa serie (sempre edito da Beisler) che vi invito caldamente a recuperare, Ole Könnecke tratteggia i due protagonisti accompagnando a questa prosa misurata, asciutta e arguta il suo tratto fumettistico che contribuisce a dare ai personaggi un'identità irresistibile.

Le nuove avventure di Lester e Bob

Lester, l'anatra, è astuta e ingorda e sempre pronta a qualche trucchetto, mentre l'orso Bob, più placido e ingenuo, subisce quasi sempre.

Vediamo così travestimenti, messinscena, giochi in cui Lester ne inventa sempre una nuova per fare bella figura con l'amico o riuscire a rubargli un pezzo di torta, come quando si finge ispettore per assaggiare il dolce che Bob ha appena sfornato. Si direbbe un'amicizia sbilanciata, poco simmetrica, forse, ma questa è solo l'apparenza.

Le nuove avventure di Lester e Bob

Come nelle migliori coppie comiche, Lester e Bob si vogliono un bene sincero, e sono pronti a deporre le armi e mettere da parte ogni scaramuccia quando uno dei due ha bisogno dell'altro.

Accompagna queste avventure una voce narrante esterna, che non commenta, non giudica, non dice una parola di troppo: sta a chi legga cogliere la discrepanza tra testo e immagine, la sfumatura di significato, la strizzatina d'occhio, ed è proprio questo "lavoro" del lettore a rendere Le nuove avventure di Lester & Bob  un testo non banale né eccessivamente infantile. Un albo che accoglie i lettori alle prime armi in un mondo di sottintesi, inferenze e umorismo che farà loro amare, insieme a Lester e Bob, anche il piacere di leggere.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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