Nuvole in scatola
  • Home
  • Libri
    • Dalla nascita
    • Da 1 anno
    • Da 2 anni
    • Dai 3 anni
    • Dai 4 anni
    • Dai 5 anni
    • Dai 6 anni
    • Dai 7 anni
    • Dagli 8 anni
    • Dai 9 anni
    • Dai 10 anni
    • Dagli 11 anni
    • Per adulti
    • Per papà
  • Chi sono
  • Contatti
  • Affiliazione

C'è un fascino speciale, per i bambini, nelle fotografie.

Forse perché arrivano vicinissime al confine tra il vero e il non vero: più reali di un'illustrazione, catturano qualcosa che esiste, ma non è più lì.

È più facile riconoscersi, in una fotografia, entrare nella storia che ci sta dietro, riuscire a vedere oltre i margini. Eppure sono così pochi i libri fotografici per i bambini!

Il mio asinello Benjamin e io

Il mio asinello Benjamin e io, edito in Italia per Terre di Mezzo, è un classico della letteratura per bambini in Germania, e sfogliandolo si riconosce subito quel magnetismo che attrae i piccoli verso le sue pagine.

Pubblicato per la prima volta nel 1968, il libro racconta la storia vera di Susanna, la figlia dell'autore Hans Limmer, e del suo asinello Benjamin, ricostruita attraverso le fotografie di Lennart Osbeck, che ritraggono i due protagonisti reali.

È la piccola a parlare:

Questa sono io.
Mi chiamo Susanna.
Ma tutti mi chiamano Susi
perché sono ancora così piccola.

Il mio asinello Benjamin e io

E così, con la sua voce bambina, semplice, credibile, Susi racconta di come suo padre abbia salvato Benjamin, trovato da solo su una roccia a picco sul mare, sull'isola di Rodi dove Limmer e la sua famiglia si sono trasferiti.

Il resto è storia di vita quotidiana: scoprire di cosa si nutre l'asinello, imparare a portarlo a spasso, vivere una piccola avventura in cui Susi e Benjamin si danno coraggio a vicenda.

Le foto sono in bianco e nero, hanno un sapore antico, ma ci appaiono più vivide che mai.
Sembra di guardare un film, con inquadrature dal gusto cinematografico ma credibili nella loro autenticità: l'obiettivo coglie momenti, non pose.

Il mio asinello Benjamin e io

Gran parte del fascino di Il mio asinello Benjamin e io arriva dai due protagonisti, entrambi irresistibili: lei bionda, con uno sguardo vispo e guance tonde, lui soffice come un peluche, che le avvicina il muso per coccolarla.

Sembra di essere lì, di sentire l'aria salmastra, le rocce ruvide, il pelo morbido dell'asinello, l'erba fresca sotto i piedi. 

Chi legge si immedesima, diventa Susi, sente addosso la sua salopette e gli elastici che stringono i codini. E il suo asinello diventa anche un po' amico nostro.


Quante spiegazioni, quanti "perché" ci chiedono ogni giorno i bambini?
Eppure, quante volte li vediamo fare o dire cose che non hanno senso, forse nemmeno per loro?

E noi, quante volte abbiamo goduto del suono di una musica, di una poesia, o delle sensazioni di un quadro anche senza comprenderli pienamente?

Ehi cos e

Ehi! Che cos’è? di Cédric Ramadier e Vincent Bourgeau (Terre di Mezzo editore) ci accompagna in quel regno del non-colto, dell'ineffabile, fino a chiederci se serve veramente capire qualcosa per amarla o goderla.

Tranquilli: Ramadier e Bourgeau parlano un linguaggio, sia iconico che verbale, molto semplice e vicino ai bambini,  anche i più piccoli (li avevamo già incontrati in Aiuto! Arriva il lupo), quindi se questa premessa vi ha portato ad aspettarvi contenuti riflessivi e filosofici, siete fuori strada.

Ehi! Che cos’è? è una storia agile, curiosa e divertente, che racconta la voglia di sperimentare dei bambini. Avete presente la classica scatola di cartone che durante il gioco diventa auto, casa, areoplano? Ecco, qui il paradigma si rovescia: non è il bambino a trasformare l'oggetto, ma l'oggetto stesso che si svela al bambino (attraverso i protagonisti) nelle sue caratteristiche multiformi.

Ehi cos e

Tutto inizia con uno strano oggetto rotondo che cade dal cielo. I due protagonisti si chiedono cosa sia: forse una roccia? Ma è troppo morbido!

Allora forse si tratta di una palla?

Ehi cos e

Jack e George continuano a esplorare, usano questo strano oggetto, viaggiano, ne vengono travolti.

I dialoghi si ripetono con frasi sempre uguali a loro stesse, generando un effetto comico e diventando una formula che i bambini ameranno riconoscere, mentre la storia prosegue con sorprese sempre nuove. 

Le azioni sono semplici, il ritmo è cadenzato e rassicurante, i colori vivi e pieni catturano il bambino, attratto dalla curiosità verso quell'oggetto misterioso, che alla fin fine non si sa bene cosa sia, ma quel che conta è che Jack e George lo abbiano incontrato ed esplorato, trasformandolo in avventura.

Perché in fondo, nella vita, non dobbiamo per forza comprendere tutto.


In Italia non si può.

Chi lavora in comunicazione lo sa bene: ci sono dei totem, in Italia, che è meglio non toccare, per non scalfire le certezze su cui si regge la nostra società e non incorrere in polemiche, sguardi sdegnati, reazioni di biasimo.

Il primo è senza dubbio la mamma. Quando si racconta una mamma, in Italia, deve essere una mamma amorevole, che farebbe qualsiasi cosa per i figli, anche rinunciare alla propria felicità.
La nonna, poi, è una mamma al quadrato, costantemente dedita a preparare manicaretti per i nipoti.

Le pubblicità "alla Mulino bianco" non mentono: bisogna fare così.

 (Lo so, lo so che anche Barilla ha cambiato la sua rappresentazione del mondo, ma la "famiglia del Mulino Bianco" resta comunque un simbolo del nostro immaginario collettivo)

Nonna gnocchi

Mi ha quindi piacevolmente sorpreso il coraggio di Biancoenero Edizioni di portare sul nostro mercato un libro come Nonna Gnocchi, dell'americana Susie Morgenstern, che avevamo già letto in Joker (le illustrazioni sono di Bruno Zocca e la traduzione di Mara Dompè), un libro che si fa un baffo di tutti i mulinobianchismi a cui siamo abituati.

E lo fa fin dall'incipit, in cui assistiamo a una telefonata tra la mamma e la nonna di Confiance, il protagonista: la mamma vuole sbolognare il figlio alla nonna per le vacanze (blasfemia!), e la nonna non è nemmeno particolarmente contenta di portarlo in vacanza con sé (doppia blasfemia!), perché Confiance è in quella fase preadolescenziale (tra i 9 e i 10 anni) in cui spesso i bambini non sono particolarmente gradevoli da portare in vacanza.

Nonna gnocchi

Ancora più rivoluzionario rispetto ai consueti mulinobianchismi è il motivo per cui le due donne non sono entusiaste di passare il tempo con Confiance: entrambe sono alle prese con la costruzione del rapporto con un nuovo fidanzato: sì, anche la nonna.

Con questa telefonata, quindi, inizia la vacanza del giovane francese Confiance a Triora, il borgo ligure da cui proviene Eustachio, il fidanzato della nonna: un luogo che lo annoierà a morte finché non conoscerà la nipote di Eustachio e con lei inizierà a vivere avventure e complicità che condiscono ogni estate degna di questo nome.

La narrazione si dipana in modo peculiare, senza l'utilizzo di un narratore: in tutto il libro vengono riportati solamente i dialoghi, nudi e crudi, senza altra introduzione e senza nemmeno un'iniziale o un segnale che identifichi chi sia a parlare: lo si capisce comunque chiaramente dal testo, perché ogni personaggio ha un suo tono di voce ben determinato.
In cima a ogni capitolo, per guidarci nella lettura, vediamo i volti dei protagonisti del dialogo che segue, e l'immagine di un telefono qualora il dialogo avvenga a distanza.

Nonna gnocchi

Questa modalità narrativa sostiene un ritmo abbastanza serrato e mantiene il focus soprattutto sulle relazioni tra i personaggi: non c'è introspezione, ma i sentimenti traspaiono tra il detto e il non detto, tra le confidenze a uno e le reticenze verso l'altro.

L'Italia è rappresentata in modo poetico, mettendo l'accento in modo particolare sulla comunità dei paesani e – soprattutto – sul cibo (non a caso i protagonisti di danno a vicenda dei soprannomi culinari, come Pistacchio e Spaghetto), con qualche piccola caduta nello stereotipo (come il paesano che suona la fisarmonica).

Nonna Gnocchi rappresenta protagonisti reali ed emancipati, senza fare sconti: Confiance, come farebbe qualsiasi preadolescente, esprime più volte il suo ribrezzo all'idea che la nonna abbia un rapporto anche fisico, alla sua età. 
La nonna e il fidanzato sono complici, ironici, divertenti, le azioni si dipanano con leggerezza e per un lettore italiano emerge forte il tema dell'autodeterminazione, della volontà di vivere la propria vita senza rinchiudersi in un ruolo, del diritto di avere una vita piena e realizzata, a ogni età.

Crescere significa capire che non solo è possibile cavarsela da soli, ma che a volte fare da soli è perfino meglio. 

Manco per sogno

Se oggi vi parlo di Manco per sogno, uscito un anno fa per Topipittori, è perché è di nuovo "quel" momento, quello in cui ci si prepara per la scuola, con quella frattura tra il gioco e l'impegno, tra la voglia di crescere e quella di restare piccoli, che Beatrice Alemagna ha saputo cogliere così bene in questo albo.

Ritroviamo in Manco per sogno il segno grafico così immaginifico della Alemagna, che porta con sé interi mondi in quei tratti solo all'apparenza fanciulleschi, quei contorni imperfetti, quelle sfumature miste a segni più netti che mescolano spirito bambino e abilità adulta. L'ambiente naturale del bosco, con i suoi toni polverosi, è animato dai tocchi fluo tipici dell'autrice.

Manco per sogno

Pasqualina, la protagonista, è una pipistrella: non uno dei classici animaletti "pucciosi" da albo illustrato. ma questo ce la rende più simpatica, e sicuramente contribuisce a sottolineare il suo pensiero "a testa in giù".
Pasqualina ha tre anni e non ne vuole sapere di iniziare la scuola (l'età sembra indicare la scuola dell'infanzia, ma il resto della storia si addice meglio alla primaria, strutturata in lezioni di materie diverse): "Manco per sogno" dice a mamma e papà. E a un certo punto urla così forte il suo disappunto da rimpicciolirli.

Si rovescia così il paradigma del noto Urlo di mamma: stavolta è la rabbia della bambina ad avere un impatto fisico sui grandi. Ma questo espediente non punta i riflettori sul rapporto genitori-figli, bensì diventa motore di una storia ricca di momenti divertenti.

Manco per sogno

Già, perché a questo punto Pasqualina si porta a scuola i genitori, miniaturizzati.
Il che è un bel vantaggio, perché tra tanti altri alunni spaventati, lei è l'unica tranquilla. Questa scena rappresenta, per contrasto, un bel messaggio che normalizza la paura e l'ansia del nuovo percorso: un messaggio passato quasi come sottotesto, veicolato non attraverso la protagonista ma tramite le comparse, ma che non sfuggirà ai piccoli lettori in cerca di immedesimazione.
 
Manco per sogno

Senonché ben presto la presenza dei genitori, seppur miniaturizzati, da ancora di salvezza si trasforma in elemento di imbarazzo (come quando il padre cade nella minestra) o di zavorra.
Simbolica la scena che vede Pasqualina in difficoltà proprio al momento di volare: difficile spiccare il volo restando legati a mamma e papà.

Il percorso verso la conquista dell'indipendenza diventa così una storia leggera e per nulla didattica, misurata sul punto di vista del bambino che scopre giorno dopo giorno il bello di crescere.


Ci sono parecchie storie che iniziano così: con un re che manda il suo eroe a compiere una missione importante.

Jeppe in missione

Jeppe in missione, edito da Terre di Mezzo, sembra proprio una di queste, ma bastano poche pagine per capire che non è esattamente così.

L'autrice Jutta Bauer (probabilmente la conoscete per il meritatamente celebrato Urlo di mamma) riesce qui a tessere una storia che è allo stesso tempo concreta e sfuggente. A partire da questo incipit così classico ha inizio quello che sembra essere il più classico dei temi, quello del viaggio.

Jeppe in missione

Ma anziché la meta l'obiettivo conteranno più le cose che succederanno in mezzo, o meglio, le persone che incontrerà. I viaggi, si sa, sono fatti anche di contrattempi, ma qui i contrattempi sembrano proprio la ragione del viaggio.

Con la sua generosità, Jeppe cambierà strada e si fermerà molte volte per aiutare uno scoiattolo in difficoltà, una bambina che ha perso una palla, una mamma che ha bisogno di una mano con i suoi bambini. I risguardi mostrano bene le differenze tra l'itinerario più breve e quello effettivamente percorso nella storia.

 Il viaggio cambia Jeppe, che nel frattempo cresce e incontra qualcuno da amare.

Ma anche il re è cambiato.

Jeppe in missione

La pluralità dei livelli di lettura viene resa anche dall'aspetto grafico-visivo:nella fascia inferiore vediamo ciò che succede al re durante la missione di Jeppe: la vita scorre, nella noia e nell'allegria, ci sono momenti felici e litigi e lutti (e anche alcune sequenze di difficile interpretazione).


Sono le cose della vita, che da un lato ci danno l'idea di quanto questo viaggio sia durato, dall'altro dimostrano quanto nella vita, più che le missioni e i messaggi da consegnare, siano le persone accanto a noi che contano di più. 

Anche il re lo ha capito. E quando Jeppe fallirà la sua missione (ma il come non ve lo svelo) sarà un nuovo inizio e una nuova consapevolezza per tutti.


Se i libri scritti a tavolino per comunicare un messaggio mi danno sempre una sensazione sgradevole, quanto è bello invece trovare una storia autentica, ben scritta e ben costruita, coinvolgente e divertente, dove il messaggio passa chiaro e limpido ugualmente, anzi, in modo molto più efficace proprio perché in primo piano c'è una storia in cui immedesimarsi e non una lezione da imparare.

Piume in libertà

Si potrebbe dire che Piume in libertà è un romanzo contro lo sfruttamento degli animali negli allevamenti intensivi, oppure che è una riflessione sul concetto di libertà e sui punti di vista: in fondo, quando un libro è scritto bene, sono tante le cose che è capace di trasmettere.

Scritto nel 1993 da John Yeoman e sapientemente illustrato da Quentin Blake, che sa valorizzare perfettamente con il suo tratto l'ironia del testo, Piume in libertà è ora edito in Italia da Camelozampa.

Le due protagoniste, Flossi e Bessi, vivono in gabbia, in un allevamento intensivo ironicamente chiamato "Radura felice" (questo almeno è il nome stampato sulle confezioni delle uova!). Flossi e Bessi non hanno mai visto altro che la loro gabbia. Non sono infelici, perché sono convinte che il mondo sia tutto lì: il sole è una lampadina che si acccende a orario, tutto il cibo possibile è quel mangime che arriva loro puntuale ogni giorno.

Piume in libertà
 
Le due galline sono cresciute in batteria, ma di loro non abbiamo un'immagine standardizzata: anche in quel loro piccolo mondo industrializzato, hanno sviluppato due caratteri ben distinti.
È questa la forza di questo romanzo: aver costruito dei personaggi a tutto tondo, ilari e chiassosi, anche in un contesto così limitante.
E così Bessi, la più esuberante e fantasiosa, ogni notte sogna, sì, ma sempre lo stesso pollaio.

Liberate da una taccola (un uccello simile a una cornacchia. Se non sapevate che esistesse, siete in buona compagnia), le due galline si muovono impacciate nel mondo reale. Gli spazi aperti fanno loro paura. Ignorano che si possa mangiare altro oltre al mangime che arriva puntuale sul nastro trasportatore.

Piume in libertà
 
 
È buffo e amaro al tempo stesso come le galline non riescano inizialmente a gioire per la ritrovata libertà, ma cerchino piuttosto di ritrovare la strada di casa, di rifugiarsi nel già noto – sì, sono galline molto, molto umane nell'animo.
È così che si ritroveranno ad esempio incastrate in tutto ciò che ricorda loro una gabbia!

Con pazienza e dedizione, la taccola si impegnerà a svezzarle dalle loro abitudini, fino a farle addirittura volare, e noi lettori ci lasceremo trascinare dalle loro esilaranti avventure, così come dalle contraddizioni dei loro pensieri, così simili ai nostri quando non vogliamo guardare oltre ciò che già conosciamo.

E così Piume in libertà può essere un romanzo sulla libertà, o sugli allevamenti intensivi, o sulla difficoltà ad affrontare l'ignoto, ma prima di tutto questo è una gran bella storia, scritta con maestria, con tre personaggi difficili da non amare.


Stare accanto a un bambino significa abbandonare tutto ciò che si è imparato sulla logica (e per gente come me, può essere un esercizio particolarmente complicato). Basti pensare ai loro "perché" che in realtà non sono solo dei "perché", ma sono dei "quando", o dei "raccontami", o dei "davvero?".

C'è in particolare un tipo di ragionamento che mi fa impazzire, e lo dico in entrambi i sensi: mi affascina da matti ma mi fa diventare pazza se ci penso. È quello di dimostrare qualcosa con la sua stessa premessa.

In logica è chiamato diallele o ragionamento circolare, ed è naturalmente considerato errato, eppure ai piccoli viene così naturale!

un orso alla porta

L'autenticità di Mamma, c’è un orso alla porta! (Sabine Lipan e Manuela Olten, Terre di mezzo editore) sta tutta in questa logica così lontana dal pensiero adulto.

un orso alla porta

L'albo si apre con due pagine mute. Un orso si allontana da un pianerottolo facendo cenno di silenzio a un bambino, affacciato alla porta.

Inizia da qui un incalzante dialogo, tutto da leggere in doppia voce, in cui il bambino cerca di convincere la madre di aver visto, come dice il titolo, un orso alla porta.

un orso alla porta

 Solo che alle domande della madre il bambino risponde immancabilmente con un'invenzione, e dimostra poi la verità della propria invenzione con un ragionamento circolare:

"E come ha fatto l'orso ad arrivare qui in città?"
"Con il bus... e come se no?!"
"Con il bus?"
"Sì, con il bus."

(la mamma chiede sempre conferma di ciò che sente, come a sottolinere l'assurdità della situazione, creando delle ripetizioni che diventano un po' il tormentone del libro)

"L'orso ha comprato il biglietto del bus?"
"Be', senza biglietto non si può salire sul bus. Quindi l'orso ne avrà comprato uno."
E lo stesso vale per la bici, ad esempio: se l'ha usata per raggiungere la fermata del bus, vuol dire che ne ha una. Se è salito in ascensore, vuol dire che ha premuto il pulsante.

un orso alla porta

Le immagini accompagnano il testo trasformando le fantasie del bambino in scenette deliziosamente spiritose.
Un attimo: ma saranno davvero fantasie?

Man mano che il bambino racconta il tortuoso e inverosimile percorso dell'orso, dimentichiamo quella prima immagine, quella in cui l'orso c'era davvero. Ma poi l'orso ritorna. Sarà reale? Sarà vero che mangia la torta con il bambino?

Forse anche qui dobbiamo uscire dalla logica adulta, quella che vuole che reale e immaginario siano opposti non conciliabili.

Meglio non farci troppe domande e fare spazio a un orso che ci viene a trovare.


Quello di cui vi parlo oggi non è un libro: sono due.

È molto curioso l'esperimento letterario ed editoriale di Davide Morosinotto e Camelozampa: prendere lo stesso, identico romanzo e pubblicarlo due volte, dando semplicemente (si fa per dire) un ordine diverso ai capitoli.

Temporali


Non si tratta di un ordine a caso, naturalmente: c'è la versione Fabula e la versione Intreccio.

Brevissima parentesi didattica per chi non ha ricordi di narratologia (sarò breve, lo prometto).
In un'opera narrativa, l'intreccio è l'ordine in cui un autore sceglie di raccontare una storia, che può includere flashback e flashforward, mentre la fabula è l'ordine cronologico degli eventi narrati.
Fine della parentesi didattica (visto che è stata breve?).

Ora però le cose si complicano, perché Temporali (così come l'altro Temporali) è un libro sui viaggi nel tempo. E come tutte le belle storie sui viaggi nel tempo, le cose non accadono in modo lineare. Chi torna indietro arriva dal futuro e però interviene sul passato modificandolo.

Nella versione Intreccio, tutto ha inizio con una bomba che scoppia in una scuola superiore di Bologna (città che da una bomba ha già subito, tutti lo ricordiamo, una ferita particolarmente profonda). È il "momento zero", ed è attorno ad esso che si dipana la narrazione.

Temporali

Da un lato, prima del momento zero, ci sono Ron ed Enrico, due studenti di quella scuola, ognuno con il proprio bagaglio di pensieri adolescenziali, di vite e famiglie complicate. Secondo il grande computer che governa i viaggi nel tempo, sono stati loro a piazzare la bomba, anche se leggendo tra le pagine i loro pensieri non si direbbe fosse loro intenzione farlo.

Dall'altro lato, quello che si dipana dopo il momento zero, c'è Michela, giovanissima e brillante agente di una squadra segreta militare che grazie alla macchina del tempo può tornare indietro e modificare il passato, cancellando così gli eventi più drammatici (come le bombe in un liceo).

A complicare le cose c'è anche una terza storyline, quella di un anziano malavitoso incarcerato che cerca di vendicarsi contro chi lo ha tradito, ma di questa non ci occuperemo qui: per quanto il personaggio sia ben costruito (e lo è: umanissimo e criminale), non è per lui che il fiato resta sospeso durante la lettura, non è il suo destino quello che ci preme seguire, non sono i suoi capitoli quelli che attendiamo con ansia girando freneticamente le pagine.

E così, l'Intreccio vede Michela saltare più volte indietro nel tempo per impedire ai ragazzi di posizionare la bomba, naturalmente mantenendosi il più strettamente aderente a quello che è il rigidissimo protocollo dei viaggi nel tempo (noi "grandi" lo sappiamo già: se alteri il continuum spazio-temporale succede un casino).

È qui che la scrittura, ma anche la scelta editoriale, diventa paradosso: in un certo senso, è Intreccio la vera Fabula, perché nel suo presente si innestano i viaggi dal tempo futuro, mentre Fabula vede la vicenda a posteriori, come se i viaggi nel tempo fossero già consolidati nella nuova linea temporale che essi stessi hanno creato.

Lo so: è difficile da spiegare (leggendo riesce tutto un po' più intuitivo). Ma d'altra parte questa sfida alla logica è proprio il fascino di questo tipo di storie.

Secondo il modo in cui si guarda alla linea temporale, insomma, dal passato o dal futuro, fabula e intreccio si cambiano prospettiva e non è nemmeno chiaro quale sia l'uno e quale sia l'altro. Senza contare il fatto che, se vogliamo attenerci alla definizione, oltre ad essere entrambi fabule sono anche entrambi intrecci, visto che è l'autore che ha scelto l'ordine di entrambe le narrazioni.

In una lettera ai lettori, per presentare il libro sul sito di Camelozampa, l'autore li propone così: leggendo i capitoli nell'ordine "intreccio", la storia è un thriller, seguendoli nell'ordine "fabula" è un giallo. E sorprendentemente questa scommessa è riuscita: Intreccio ci tiene col fiato sospeso in attesa di scoprire l'esito delle missioni di Michela, mentre Fabula ci accende interrogativi presentando una serie di accadimenti che appaiono sempre più misteriosi finché non scopriamo cosa sia successo davvero.

La creazione di paradossi temporali è un grande classico di tutte le narrazioni che ruotano attorno ai viaggi nel tempo, ma qui Davide Morosinotto ha portato il paradosso a un livello metanarrativo, lasciando il lettore a chiedersi quale sia l'ordine "giusto" di questa storia: forse lo sono entrambi, così come sono vere tutte le versioni alternative di passato e futuro che le nostre scelte generano.

Il lettore viene quindi catturato due volte: dalla trama, avvincente e ricca di climax, e dagli interrogativi sulla struttura narrativa. Impossibile, al termine del libro, non desiderare di leggere l'altro. Per fortuna non è necessario acquistarli entrambi, perché in coda a ognuno dei due volumi si trova un doppio indice: quello relativo al libro stesso e quello che rimette i capitoli nell'ordine dell'altro.

Temporali

E si tratta davvero di una mera questione di ordine: i capitoli sono identici, carattere per carattere, a eccezione di un capitolo "bonus" per ciascun libro (se proprio volete saperlo, ho apprezzato di più quello di Intreccio, ma è solo il mio gusto personale). Sembra incredibile come il romanzo riesca a reggere perfettamente in entrambi i modi: le informazioni essenziali per capire e costruire la storia sono disseminate nel testo con tale naturalezza da rendersi conto soltanto a una seconda lettura di come essi siano funzionali a far reggere il romanzo anche in un ordine diverso.

D'altra parte il tempo è un concetto relativo, soprattutto per chi lo naviga con così tanta abilità.


Nota per i genitori: il libro è indicato dai 13 anni. Io oserei anche dagli 11 o 12, a patto di essere consapevoli che nei capitoli si citino crimini legati a droga e prostituzione e si affronti il tema dell'instabilità psicologica. In fondo non esistono storie degne di essere chiamate tali che non abbiano temi oscuri.

Un altro PS: incuriosita da questa sfida editoriale, ho chiesto all'editore se avesse scommesso più su una versione o sull'altra. Ebbene, no: sono stati stampati in tirature identiche. Da cosa saranno più attratti i lettori? Fabula o intreccio?


 

Prendere in mano un albo di Oliver Jeffers è come ascoltare una nuova canzone di un cantante che si conosce bene: vi si ritrovano melodie, atmosfere, perfino un lessico che ci danno una sensazione familiare, come di qualcosa di già sentito, in cui riusciamo a riconoscerci, ma sappiamo sempre trovarci quell'elemento che fa scoccare una scintilla nuova.

Come tornare a casa

E così, anche in Come tornare a casa, edito da poco da Zoolibri, troviamo moltissimi fil rouge dell'artista nordirlandese, a  cominciare dal protagonista: lo stesso bimbo di Chi trova un pinguino e di Come trovare una stella. Che sia proprio lui medesimo lo sospettiamo dal suo aspetto, dall'abbigliamento, dalla sua barchetta tirata in riva al mare, ma il sospetto diventa certezza quando nella sua casetta troviamo come ospite, in un simpatico cameo, una nostra vecchia conoscenza.

Come tornare a casa

Ritroviamo anche il desiderio di viaggiare ed esplorare, l'incontro con qualcuno con cui si fatica a comunicare, la nascita di un'amicizia: temi cari a Jeffers raccontati con la delicatezza dei suoi acquerelli che sono un po' fumetto e un po' poesia.

La storia va così: il bambino trova un aeroplano nel sottoscala e decide di farsi un giretto. Anche questo è un fil rouge di Oliver Jeffers: i suoi mondi seguono logiche bambine, in cui un aereo può nascondersi in un sottoscala e un bambino lo può pilotare, sempre più su, fino alla luna.

Come tornare a casa

Ma sulla luna il carburante finisce, e inizia a paura di trovarsi da soli in un luogo sconosciuto. Paura che dura poco, però, perché anche un marziano è finito con la sua navicella in panne proprio sulla luna.

Come tornare a casa 

Come riusciranno il bimbo e il marziano a tornare a casa? E come faranno, da pianeti lontani, a conservare la loro amicizia?

L'impossibile, per Oliver Jeffers, è solo un'avventura a portata di immaginazione. A noi non resta che goderci il viaggio.


   

Da piccola sono andata a Berlino, in viaggio con i miei.

Era ancora divisa tra Berlino est e Berlino ovest, il che potrebbe darvi un'idea della mia veneranda età, ma ora smettete immediatamente di fare i conti e concentratevi su altro.

Io lo ricordo quel muro, è il ricordo più forte che ho di quel viaggio. Lo ricordo visto da ovest, coloratissimo, pieno di graffiti. Lo ricordo visto da est, immacolato e vigilato a vista da guardie armate. E ricordo (è il secondo ricordo più forte che ho) com'è stato passare la frontiera per tornare a Ovest, passando in una stanza piena di specchi dove le guardie ti scrutavano con attenzione per controllare che non stessi nascondendo nulla.

La città del muro

Sono queste le sensazioni che ho rivissuto leggendo La città del muro, un graphic novel di Roberta Balestrucci e Luogo Comune, edito da Sinnos, che racconta una storia vera che non conoscevo: quella delle famiglie Strelzyk e Wetzel, fuggite da Berlino Est con una mongolfiera fatta in casa nel 1979.

La città del muro

Avvincente, forse ancor di più sapendo che si tratta di una storia vera, La città del muro inizia con un breve antefatto: una delle protagoniste, bambina, si fa domande "scomode" guardando il muro e immaginando la vita dall'altra parte. La narrazione prosegue poi con la pianificazione e i tentativi di fuga, in un'atmosfera di continua pressione.

Spie vere o presunte e poliziotti della Stasi stanno alle calcagna dei nostri protagonisti, e quella che già senza tutto questo contorno sarebbe un'avventura  diventa una corsa contro il tempo per non far scoprire i propri piani.

La città del muro

La città del muro ha il pregio di far sentire sulla propria pelle e nel proprio cuore cosa significhi la mancanza di libertà.

Nelle illustrazioni di Luogo Comune, la DDR è dipinta con colori spenti, porte chiuse, segreti nascosti in stanze mai abbastanza private. Quella sensazione di oppressione la si sente nelle immagini prima ancora che nelle storie, così come si sente la forza di quel desiderio di evadere da quel luogo dove tutto è determinato e controllato dall'alto, dal lavoro al cibo alla vita privata.

La città del muro

Sembrerebbe un simbolo, la mongolfiera: questo mezzo colorato che eleva gli umani da un suolo grigio facendoli volare.
Potrebbe essere una metafora perfetta del desiderio di libertà. E lo è ancora di più, sapendo che è reale.


Post più recenti Post più vecchi Home page

Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

Segui le nuvole

Newsletter

* indicates required

POPULAR POSTS

  • Goodbye, qualsiasi cosa significhi.
  • Svish, splash, squelch, scric, fiuuu!
  • Mio figlio non parla! I libri per stimolare il linguaggio.
  • Nuvole in barattolo.
  • Gira la carta e trovi... la mamma!

Temi

animali 70 scienza 44 amicizia 29 diversità 29 fantasia 29 natale 28 papà 24 cani 23 nanna 21 disegno 19 regali 19 rime 19 natura 18 scuola 16 condivisione 14 fratelli e sorelle 14 paure 14 emozioni 12 halloween 12 avventura 11 morte 11 onomatopee 11 cibo 10 corpo umano 10 lettura 10 pannolino 10 amore 9 autostima 9 crescita 9 ecologia 9 mamma 9 mostri 9 nonni 9 silent book 9 punti di vista 8 ambiente 7 bullismo 7 esperimenti 7 gatti 7 interattivo 7 supereroi 7 mare 6 matematica 6 noia 6 scrittura 6 storia 6 educazione 5 favole 5 inserimento 5 neve 5 regole 5 compleanno 4 difetti 4 dinosauri 4 famiglia 4 primavera 4 capricci 3 esplorazione 3 estate 3 gallucci 3 in viaggio 3 lentezza 3 maestra 3 neogenitori 3 neonato 3 resilienza 3 tempo 3 vacanze 3 autonomia 2 buio 2 carnevale 2 cucu 2 disabilità 2 macchine 2 autunno 1

Search This Blog

Blog Archive

  • ▼  2024 (32)
    • ▼  dicembre (1)
      • Goodbye, qualsiasi cosa significhi.
    • ►  novembre (3)
    • ►  ottobre (2)
    • ►  settembre (3)
    • ►  giugno (5)
    • ►  maggio (4)
    • ►  aprile (5)
    • ►  marzo (3)
    • ►  febbraio (3)
    • ►  gennaio (3)
  • ►  2023 (54)
    • ►  dicembre (5)
    • ►  novembre (7)
    • ►  ottobre (5)
    • ►  settembre (4)
    • ►  luglio (1)
    • ►  giugno (6)
    • ►  maggio (6)
    • ►  aprile (5)
    • ►  marzo (8)
    • ►  febbraio (3)
    • ►  gennaio (4)
  • ►  2022 (81)
    • ►  dicembre (6)
    • ►  novembre (8)
    • ►  ottobre (7)
    • ►  settembre (8)
    • ►  luglio (1)
    • ►  giugno (9)
    • ►  maggio (9)
    • ►  aprile (7)
    • ►  marzo (10)
    • ►  febbraio (9)
    • ►  gennaio (7)
  • ►  2021 (111)
    • ►  dicembre (13)
    • ►  novembre (14)
    • ►  ottobre (12)
    • ►  settembre (12)
    • ►  luglio (1)
    • ►  giugno (9)
    • ►  maggio (12)
    • ►  aprile (12)
    • ►  marzo (9)
    • ►  febbraio (9)
    • ►  gennaio (8)
  • ►  2020 (102)
    • ►  dicembre (9)
    • ►  novembre (11)
    • ►  ottobre (10)
    • ►  settembre (9)
    • ►  agosto (1)
    • ►  luglio (10)
    • ►  giugno (9)
    • ►  maggio (8)
    • ►  aprile (9)
    • ►  marzo (9)
    • ►  febbraio (8)
    • ►  gennaio (9)
  • ►  2019 (101)
    • ►  dicembre (9)
    • ►  novembre (12)
    • ►  ottobre (10)
    • ►  settembre (9)
    • ►  luglio (10)
    • ►  giugno (8)
    • ►  maggio (9)
    • ►  aprile (8)
    • ►  marzo (10)
    • ►  febbraio (9)
    • ►  gennaio (7)
  • ►  2018 (79)
    • ►  dicembre (8)
    • ►  novembre (8)
    • ►  ottobre (8)
    • ►  settembre (9)
    • ►  luglio (3)
    • ►  giugno (6)
    • ►  maggio (8)
    • ►  aprile (8)
    • ►  marzo (7)
    • ►  febbraio (8)
    • ►  gennaio (6)
  • ►  2017 (62)
    • ►  dicembre (7)
    • ►  novembre (8)
    • ►  ottobre (7)
    • ►  settembre (5)
    • ►  luglio (6)
    • ►  giugno (6)
    • ►  maggio (7)
    • ►  aprile (4)
    • ►  marzo (5)
    • ►  febbraio (4)
    • ►  gennaio (3)
  • ►  2016 (44)
    • ►  dicembre (2)
    • ►  novembre (5)
    • ►  ottobre (4)
    • ►  settembre (5)
    • ►  agosto (1)
    • ►  luglio (4)
    • ►  giugno (4)
    • ►  maggio (5)
    • ►  aprile (4)
    • ►  marzo (5)
    • ►  febbraio (2)
    • ►  gennaio (3)
  • ►  2015 (38)
    • ►  dicembre (4)
    • ►  novembre (4)
    • ►  ottobre (4)
    • ►  settembre (5)
    • ►  giugno (2)
    • ►  maggio (2)
    • ►  aprile (4)
    • ►  marzo (4)
    • ►  febbraio (5)
    • ►  gennaio (4)
  • ►  2014 (34)
    • ►  dicembre (4)
    • ►  novembre (3)
    • ►  ottobre (4)
    • ►  settembre (4)
    • ►  luglio (2)
    • ►  giugno (3)
    • ►  maggio (4)
    • ►  aprile (4)
    • ►  marzo (4)
    • ►  febbraio (2)

Copyright © Nuvole in scatola. Designed by OddThemes