La letteratura può tutto, anche annullare i confini tra vita e morte, esorcizzarne la paura, fino a renderla perfino divertente. Il che, in fondo, è lo stesso compito della festa di halloween.
Ecco allora che incontriamo questi scheletri: morti, certamente, ma più vitali che mai.
Sono Scheletro grande, Scheletro piccolo e Scheletro cane, protagonisti di Ossaspasso, il primo di una serie di libri inglese molto popolare (ne è stata tratta anche una serie tv), creata dai coniugi Janet and Allan Ahlberg e che ora Camelozampa sta portando in Italia, a cominciare da questo titolo.
Allegri, curiosi, giocherelloni, i tre scheletri rappresentano l'antitesi dell'immobilità della morte, uno scarto che viene reso evidente anche graficamente: a dispetto del nero dominante (la storia è ambientata di notte), le pagine sono intrise di colori forti, pieni e vivi.
Questo stesso piacevole contrasto continua anche nel testo, con elementi lessicali tipicamente lugubri da un lato e un tono e un ritmo allegri e vivaci dall'altro. La prosa adotta formule e ripetizioni che agganciano il bambino e lo invitano ad anticipare il genitore nella lettura, prendendo forma, in alcuni punti, quasi di filastrocca popolare:
La nostra storia comincia così.
In cima a una collina scura scura
c'era una città scura scura.
E nella città scura scura
c'era una strada scura scura.
In quella strada scura scura
c'era una casa scura scura [...]
L'incipit ci accompagna in un movimento dal generale al particolare, sempre più vicini al luogo dove finalmente incontreremo i nostri protagonisti. È un movimento lento, ben scandito, in cui ogni elemento viene ripetuto due volte, prima come "contenuto" ("c'era una città ..."), poi come "contenitore" ("E nella città ..."), in un continuo scambio di ruoli sintattici. Le immagini seguono questo movimento, accompagnandoci dentro la cantina dove vivono gli scheletri.
Il ripetersi incessante della parola "scuro", così come il lessico che descrive gli scheletri, dovrebbe metterci paura, ansia o tristezza, ma la forma in cui questo lessico è composto comunica esattamente il contrario: è canzone, è gioco, è filastrocca. Lo si percepisce anche nelle parti meno ritmate: lo scheletro grande, ad esempio, compie spesso il movimento di "grattarsi il teschio": un gesto che ci fa ridere nonostante la formula contenga una parola macabra (o forse ci fa ridere proprio per questo?).
Perfino quando un incidente prova a "far morire la morte", trasformando lo scheletro cane in un mucchietto di ossi, Ossaspasso ci strappa una risata, perché quando i due scheletri umani provano a ricomporlo, sbagliano l'ordine degli elementi, e così lui abbaia anagrammando le lettere.
La storia non presenta grandi momenti di pathos o importanti archi narrativi, è più un vagare curioso e allegro dei tre scheletri alla ricerca di qualcuno da spaventare. In ogni scena si ripetono gesti, ruoli e battute, così come
nell'incipit si ripeteva la formula della descrizione: lo scheletro
grande chiede sempre cosa fare (e si gratta sempre il teschio), lo scheletro
piccolo ha sempre un'idea, lo scheletro grande la accoglie sempre con entusiasmo.
È in questa ripetizione di formule e in questo contrasto tra elementi macabri e clima festoso che sta la chiave di questo albo, e ci voleva la sensibilità di Chiara Carminati per tradurlo rispettandone la musicalità , se non addirittura potenziandola.
Sì, perché l'allitterazione tanto allegra del titolo Ossaspasso, che diventa canzone nel bel mezzo del libro, è ancora più efficace dell'originale "funnybones": quel "funny" che in italiano viene dichiarato solo a metà (si percepisce prima "ossa-a-spasso" che "ossa-spasso") emerge prepotentemente dalla sonorità della parola, in una riuscitissima applicazione della regola "show, don't tell".
Sono uno spasso queste ossa che vanno a spasso: se le leggete adesso, le rileggerete spesso.