Nuvole in scatola
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Ci avete mai fatto caso? Le persone più affascinate dai lavori in corso sono i bambini e gli anziani, forse perché i primi non lavorano ancora e i secondi non lavorano più.
Ma si sa: giocare fa rendere belli anche le mansioni più faticose, oltre ad essere un meraviglioso modo di imparare, il più efficace di tutti.

Il cantiere di Editoriale Scienza è un libro-gioco perfetto per unire il divertimento, la passione per i lavori in corso e quella per i cantieri, appunto.
Si presenta come un bauletto cartonato.


Al suo interno, si trovano un libro e tutto l'occorrente per costruire il proprio cantiere-gioco.


Libro e gioco insieme raccontano e spiegano come funziona un cantiere, seguendo passo passo la costruzione di una scuola.
Nel libro, ogni doppia pagina racconta una fase o un aspetto del lavoro di cantiere: i ruoli di chi ci lavora, la fasi di costruzione, e naturalmente anche loro, le più amate: le macchine da lavoro.

La confezione, invece, si trasforma nella scuola in costruzione. Le alette laterali  diventano una strada che viene terminata con altri cartoncini contenuti all'interno, che si montano come puzzle, mentre da altri cartoncini pretagliati si possono staccare i pezzi che comporranno i lavoratori e soprattutto le macchine da cantiere: un bulldozer, un escavatore e un autocarro ribaltabile.

Nonostante siano fatti di semplice cartoncino, seppur resistente, i modellini e gli incastri tra i pezzi sono studiati così bene che, anche dopo l'esercizio di costruzione, giocarci resta divertente, perché il braccio dell'escavatore è snodabile e il cassone dell'autocarro si ribalta davvero, rendendo le macchine pronte a simulare egregiamente il loro lavoro.

Insomma: dalle spiegazioni ai singoli elementi, qui dentro trovate tutto quello che serve per far "funzionare" un cantiere-giocattolo.
Be', tutto tranne la gru, a onor del vero, da sempre la preferita del Piccolo T. Quella allora l'abbiamo fatta noi, partendo da alcuni pezzi di cartone non troppo spesso.

Da tre rettangoli ho ricavato tre tubi a sezione triangolare, due larghi più o meno allo stesso modo, il terzo che entrasse dentro uno dei primi due.

Sul pezzo più lungo, dopo averlo decorato, va praticato un foro per far passare da parte a parte una cannuccia pieghevole. Prima di infilare la cannuccia, fate passare dall'interno del tubo dello spago, che dovrà uscire dal foro. L'estremità del filo andrà incollata alla cannuccia (che sarà poi tagliata in modo che sporga di poco): sarà il meccanismo che solleva il filo.

Con uno stuzzicadenti, forate l'altro tubo grosso, mentre quello piccolo è al suo interno, in modo da bucare anche quello.
Quindi allungate orizzontalmente  il foro del tubo grande, in modo che lo stuzzicadenti riesca a scorrere.

Lo stuzzicadenti dovrà restare infilato (tagliando gli eccessi) e far scorrere il tubicino interno: sarà il meccanismo che allunga il braccio della gru.

Ora, si assemblino i pezzi (perdonate i colori delle foto, scattate in una giornata di pioggia e di lampadine fulminate). Alle estremità dei tubi di cartone ho aggiunto del nastro da pacchi, per aumentare la resistenza e perché mi piaceva l'effetto.
Il filo che esce dal tubo base andrà fatto passare attraverso il tubo superiore, debitamente forato, e il suo tubicino interno, per poi legare un gancio alla sua estremità. Quindi, sarà il momento di incollare i pezzi.

La gru stessa può essere resa girevole se anziché incollarla alla scatolina che userete come base la infilerete in un foro circolare, largo quanto il tubo principale, fissandola poi con un altro stuzzicadenti, che permetterà la rotazione senza pericolo di far rovesciare la gru.

Ed eccola pronta, con la sua base girevole, il braccio allungabile e il gancio retraibile.

Cosa sarà in grado di sollevare? Forse solo il morale. Ma in una grigia giornata di pioggia, anche quello può essere un carico importante.

Italiano e friulano: madrelingua. Inglese: discreto. Spagnolo: sufficiente.
Piripù: eccellente.
No, probabilmente non aggiungerò il Piripù tra le competenze linguistiche del mio curriculum, ma a leggere bei libri per l'infanzia succede anche questo: di imparare una lingua nuova. Una lingua inedita, fatta per bambini.

È questo che rende unico Tararì tararera, capolavoro di Emanuela Bussolati per Carthusia Edizioni. Un libro che spesso lascia perplessi e disorientati i genitori che lo devono leggere, perché, per l'appunto, scritto in una lingua che non esiste.
Il fatto è che Tararì tararera (che non a caso ha come sottotitolo "Storia in lingua Piripù per il puro piacere di raccontare storie ai Piripù Bibi") non è un libro da leggere, ma è un libro da recitare, da vivere. Andrebbe scoperto non solo sfogliandolo ma ascoltandolo, magari durante una lettura in biblioteca (in mancanza di meglio, si trovano delle belle letture su YouTube).
È un libro che per esprimersi ha bisogno di essere condiviso.

Ma una volta capito il meccanismo, una volta colto il legame tra quei suoni e la storia, allora diventa irresistibile, e chiarissimo.
Seguiremo la famiglia Piripù come fosse la nostra, divertendoci ed emozionandoci con Piripù Bibi (il più piccolo della famiglia), che si annoia e decide di avventurarsi nel bosco. Ci riconosceremo in Piripù Ma, che ritrovandolo lo abbraccia sollevata ma anche lo sgrida per essere scappato.


E impareremo con naturalezza cos'è un Gonende, o uno Zivisi, e soprattutto cosa significa Rulba, rulba!
La lingua Piripù della Bussolati ha radici onomatopeiche, che insieme alle immagini e agli accorgimenti tipografici, aiutano a trovare il tono giusto, e quindi il significato di ciò che si sta leggendo.
Basta lasciarsi andare ai suoni, al salire e allo scendere e all'ondeggiare delle parole che si muovono sulla pagina e interagiscono con le illustrazioni, per imparare a leggere (o ad ascoltare) Tararì tararera. Bisogna, insomma, lasciar cadere qualche barriera, mettersi in gioco, saltare e cadere e inciamparsi con la voce, e sarà proprio questo a mettere in comunicazione i grandi con i piccoli.

È questa la chiave che rende speciale questo libro: è capace di annullare le distanze tra adulti e bambini. Non c'è più un genitore o un maestro che padroneggia la lingua e la sa leggere di fronte a un bambino che la sta imparando, ma due persone che scoprono insieme un modo di esprimersi, che probabilmente è più vicino al bambino che all'adulto.


L'adulto che legge deve necessariamente spogliarsi di strutture e soprattutto di imbarazzo, interpretare rumori, pianti, suoni, e il bambino ne resterà conquistato.
Tararì tararera (Premio Andersen 2010 nella sezione 0/6 anni) è la dimostrazione che leggere a un bambino è più una questione di relazione e di espressione che di storia.
Non è solo un libro simpatico, con una storia ricca di azione e coinvolgente: è un invito a scoprire le gioie della lettura ad alta voce.

In lingua Piripù, Emanuela Bussolati ha scritto anche Rulba rulba! e Bada... búm.


Tararì tararera

Autore e illustratore: Emanuela Bussolati
ed. Carthusia
36 pagg 
Prima pubblicazione: 2009
 


   
Una delle cose che ho aspettato più a lungo, da piccola, è stato l'arrivo di Posi e Nega, che mi donassero una meravigliosa capigliatura viola e una splendida voce intonata.
Il fatto che certi sogni, oggi, siano stati stati rapiti e banalizzati dai talent show televisivi non deve rendere meno bello o dignitoso sognare: qualunque bambino deve avere il diritto di immaginarsi su un palco con un microfono in mano, o all'inaugurazione della propria mostra personale.


Voglio fare l'artista è la proposta di Editoriale Scienza per giocare con questi sogni in modo creativo e divertente, accompagnando il bambino nei suoi primi passi nel mondo della musica, dell'arte, della recitazione.


È un libro che è anche un invito a mettersi alla prova.
Alle descrizioni, semplici ma accurate, di ciò che ruota attorno a una professione artistica, si accompagnano infatti materiali da staccare, sfilare, compilare e utilizzare subito.

Con soluzoni cartotecniche che caratterizzano molti libri di questa casa editrice, il bambino è invitato ad andare a caccia di informazioni: in un "libro nel libro" scoprirà i diversi generi musicali e i diversi tipi di strumenti, oppure i generi teatrali o qualche nozione di storia dell'arte.
I vari box colorati nella pagina parlano invece in modo leggero e a volte scherzoso dei trucchi per coltivare il proprio talento o di piccole nozioni pratiche su come organizzare un concerto, una mostra, uno spettacolo, oppure riunire una band o scrivere una sceneggiatura teatrale.
Non c'è spazio solo per la "star principale", ma si coinvolgono le diverse professionalità, raccontando un mondo che non è fatto solo di cantanti, attori e pittori, ma anche di autori, costumisti, custodi delle mostre.


E poi, c'è spazio per il gioco e la sperimentazione.
Tra le mille tasche incluse nelle pagine si trovano maschere, premi Oscar da costruire, stilosissimi occhiali da rock star.


E ancora, inviti a sviluppare la propria creatività, come testi di canzoni e copioni da completare, programmi da scrivere, perfino cartoline da riempire e autografare.


Voglio fare l'artista, insomma, è una "spintarella". Non nel senso di raccomandazione, beninteso, ma nel senso di piccolo sprone a scatenare la fantasia e la creatività e a costruire da soli i propri sogni di gloria, senza turbarli con l'ambizione, ma solo giocandoci un po', come è sano che sia.

E voi, l'avete mai composta una canzone?
Noi, in casa – sarà per il passato da punk rocker del papà – ci divertiamo spesso a farlo. La cosa più semplice è creare delle "cover" partendo dalle note di una canzone che conoscete, così dovrete inventare solo il testo. Già, ma il testo?

Liberissimamente tratti da Grammatica della fantasia. Introduzione all'arte di inventare storie di Gianni Rodari, nonché dalla quinquennale esperienza del premiato duo mamma-Piccolo T, ecco a voi:

Cinque modi per inventare una canzone.


1. Il protagonista sei tu 
Facile facile: basta sostituire il nome di un componente della famiglia a quello del protagonista della canzone. Il resto verrà da sé.

Sulle note della canzone delle dita:
Dov'è la mamma, dov'è la mamma?
Sono qua. Sono qua.
Come stai quest'oggi? Molto bene grazie.
È ancora più divertente se oltre ai nomi si cambia qualche altra caratteristica (vi ho mai detto che ho un figlio lievemente logorroico?):
Trema, il regno del silenzio e della pace
dalla sua cameretta adesso arriva
coi suoi discorsi atomici Tommaso.

2. Canzoni a rovescio
E se ribaltassimo la prospettiva e cantassimo il contrario di tutto quello che sappiamo sul protagonista di una canzone?

È l'uomo Tigre
che lotta contro il bene
combatte solo contro la bontà
È un gran fifone, scappa con terrore
nessun incontro vincere lui sa.

3. "A sbagliare le canzoni"
Che succede se proviamo a sbagliare apposta qualche parola di una canzone? Magari ne esce una storia del tutto nuova.
Un elefante si dondolava
sopra il filo della biancheria
e trovando un bel paio di mutande
andò a chiamare un altro elefante.

4. La canzone mentre fai qualcosa
Qui ci distacchiamo completamente dal testo originale (mantenendo per praticità giusto qualche rima o assonanza): prendiamo la musica di una canzone e ci cantiamo sopra tutto quello che stiamo facendo o che vogliamo dire.
Questa, ad esempio, immaginatela sulle note di Hanno ucciso l'uomo ragno:
Dai, Tommaso vieni a cena,
te lo dice anche il papà,
forza lavati le mani,
il tuo piatto aspetta qua.

5. Insalata di canzoni
Questo è il mio metodo preferito: basta mettere le parole di una canzone (adattando un po' la metrica) sulla musica di un'altra.

Sulle note di Lady Oscar:
O  Whisky, Whisky il ragnetto,
sali la montagna
e poi ti bagni un po'.
O  Whisky, Whisky il ragnetto,
la pioggia sai ti bagna,
e tu cadi giù.
O perché non sostituire Ransie con una strega più "letteraria"?
Rossella è una strega molto bella e deliziosa, sai
"sulla mia scopa", dice "sali, dai!".
Se vi sembra difficile, provate: basta dare il "la" e i bambini vi seguiranno, a modo loro, inventando regole nuove e ancora più fantasiose.
Poi però non vi lamentate se al posto di Ransie la strega ci finite voi, eh?


 
Se leggendo il titolo di questo post avete pensato a un libro di educazione sessuale, siete molto molto lontani dalla verità. Qui, infatti, i bambini non li portano le cicogne, ma le cornacchie. Una cornacchia, in particolare, dal nome altisonante di Pompeo Tiburzio.


Voglio anch'io è la sua storia, nata dall'estro di Gek Tessaro e edita da Terre di mezzo editore.
Pompeo Tiburzio, fiero come il nome che porta, non si accontenta di essere una cornacchia e vuole fare la cicogna. Riesce ad ottenere il suo incarico, verso una meta apparentemente vicina, e parte con il suo fagotto.

In realtà sbaglia indirizzo, e anziché a Venezia in via Perugia, porta il suo carico a Perugia in via Venezia. Sconsolato, visto che è solo una piccola cornacchia e non riesce a fare molta strada, sta per arrendersi, ma incontra il Capitano di Ventura Sigismondo Bernardino della Cialda.

Insieme a lui e con il suo aiuto, affronterà mille avventure per portare a termine il proprio compito, incontrando draghi, principesse, animali fuggiti dallo zoo, fenicotteri e pirati, e salendo su un treno molto rodariano, che collega due stazioni pur stando fermo, perché è lungo esattamente dall'una all'altra.

Con Voglio anch'io, l'estro e l'umorismo di Gek Tessaro trovano uno spazio multiforme in cui esprimersi: dalle illustrazioni dei protagonisti, tutti con una certa dose di goffaggine, agli intrecci improbabili tra i quali si dipana la trama.
Alla nobiltà del Cavaliere e all'altisonanza del nome di Pompeo si accompagna un lessico particolarmente caratterizzato, ricco di termini ricercati e un po' arcaici, tipici di un racconto cavalleresco d'altri tempi: viene quasi spontaneo leggerlo con voce impostata, questo libro.
E tutto questo crea un contrasto delizioso e irrimediabilmente comico con gli errori grossolani di Pompeo e dei suoi compagni di avventura, con i loro contrattempi schiocchi da sketch comico.

Voglio anch'io è un breve romanzo a capitoli, perfetto da leggere un po' alla volta, la sera, preparandosi a mille "Cosa vuol dire?" di fronte ai termini usati dall'autore.
È una storia senza tempo e senza regole, che fa incontrare cavalieri medievali, treni, animali parlanti disegnando un microcosmo di sensato nonsense.
Il neonato nel fagotto non lo vedremo mai: è solo un espediente (un "MacGuffin", direbbe Hitchcock) attorno al quale sviluppare la storia, il simbolo di una missione che il piccolo Pompeo affronta con tutta la tenacia di cui una cornacchietta può disporre.

Di tutto il libro, a me e al Piccolo T ha fatto ridere più di ogni altra cosa l'idea di questo treno, immobile sui binari, che collega due stazioni. È da qui che mi è venuta l'idea di questo gioco dell'oca ispirato alla storia di Pompeo:

 

missione venezia.


Anche questa volta, potrete trovare plancia di gioco e carte nel mio pdf stampabile.
Per preparare il gioco, ritagliate (e plastificate, se possibile) le carte e procuratevi un dado e una pedina.
Scopo del gioco è aiutare Pompeo a portare il suo fagotto a Venezia.



Per giocare, si parte dalla casella-fagotto.
Ogni giocatore, a turno, tira il dado e va avanti di tante caselle quante ne indica il dado. Se finisce esattamente su una stazione (casella rossa) può prendere il treno, ovvero prendere, al turno successivo, la scorciatoia passando dal treno per arrivare alla stazione successiva (il treno, essendo fermo, conta come una casella).


Se finisce su una casella verde (con il simbolo delle carte) deve pescare una carta:
  • Carta cicogna: porta la pedina fino alla stazione successiva.
  • Carta drago: salti un turno per combattere contro il drago.
  • Carta pirati: porta la tua pedina fino alla successiva casella con i pirati.
Vince chi arriva per primo a Venezia.
Buon divertimento (con il libro, prima di tutto)!


Voglio anch'io
Gek Tessaro
Copertina rigida, 56 pagg
Prima edizione: 2017

Non so se capita anche ai vostri figli, ma i miei hanno un talento nascosto nell'individuare frammenti verdi nel proprio piatto: anche la più piccola foglia di prezzemolo viene spostata meticolosamente dal singolo chicco di riso – sia mai che si introduca nel corpo qualche fibra vegetale di troppo!
La regola di mettere nel piatto cibi di più colori possibile per una dieta ricca e varia, insomma, a casa nostra funziona ancora poco.


Per il protagonista di Pop mangia tutti i colori (edizioni Babalibri), invece, mangiare colorato è molto, molto divertente.

Nato dalla creatività di Pierrick Bisinski (testo) e Alex Sanders (illustrazioni), autori di tanti bei cartonati per la prima infanzia come Tutti i baci del mondo, Pop è un dinosauro tutto bianco, perché essendo piccolo si nutre ancora soltanto di latte.


Un giorno, però, scopre delle banane, e mangiandole – magia! – diventa tutto giallo.
Con la curiosità tipica di ogni bambino, prova allora dei buonissimi piselli.


Et voilà, Pop diventa verde.
E mangiando arance arancioni e uva viola, cosa succederà?


Pop prosegue i suoi esperimenti, accompagnato da una simpatica ranocchietta, fino a diventare davvero di tutti i colori, come l'arcobaleno che aveva visto nel cielo.
La storia è semplicissima e adatta ai più piccoli (dai due anni circa, quando può iniziare il processo di identificazione di un colore con il suo nome), grazie anche alle immagini ben definite e dai colori brillanti.

Il meccanismo di trasformazione grazie all'alimento ingerito è coinvolgente, e gratifica il bambino che dopo la prima lettura capirà già il colore che il dinosauro assumerà nella pagina successiva.
Il libro è anche un ottimo strumento per imparare in modo divertente i nomi dei colori e – chissà – forse per incuriosire i bimbi su qualche cibo che non vogliono assaggiare. Come sempre, il miglior stimolo per imparare nasce dal coinvolgimento: una storia simpatica, con un protagonista in cui identificarsi, sarà sicuramente più efficace di un libro-dizionario che associa banalmente un colore a ogni oggetto.
A voler essere pignoli, una pagina mi lascia perplessa: è quando Pop vede la sua amica ranocchietta ballare sotto la pioggia, e nota che il cielo è grigio. In realtà, quel cielo tende un po' al marroncino: è più tortora che grigio vero e proprio. Ma in fondo ho due figli maschi, che il "tortora" con ogni probabilità non sapranno mai cos'è.

Per il Piccolo D, quasi due anni, è stato amore a prima vista: ha subito aggiunto la parola "Pop" al suo acerbo vocabolario, per potermi chiedere di leggerglielo.

Per noi, Pop è diventato anche un gioco di riciclo creativo: 

Dai la pappa a Pop.

Tutto nasce da una scatola di cartone (il più bel contenitore di fantasia che ci sia).
Ho disegnato al computer (ma a mano libera va bene lo stesso) quattro dinosauri uguali ma di colore diverso, tutti a bocca spalancata.


Li ho incollati sul fianco della scatola e con un taglierino ho ritagliato un buco al posto della bocca. Poi mi sono procurata un po' di pezzi di mattoncini dei quattro colori corrispondenti.


Il gioco è dare da mangiare a ogni dinosauro il giusto mattoncino, che per l'occasione può anche diventare, con un po' di fantasia, una banana, una fragola, una zucchina o un mirtillo.
Il Piccolo D trova anche molto divertente: sbagliare dinosauro per vedermi dire "No" e ridere come un pazzo, far mangiare ai dinosauri qualsiasi oggetto gli capiti tra le mani, rovesciare tutto il contenuto della scatola facendo più rumore possibile.
 
Giocando abbiamo scoperto che i dinosauri, oltre che di mattoncini, sono anche molto ghiotti di piedini di bimbo.




Pop mangia tutti i colori
(Pop mange de toutes les couleurs)
Testi: Pierrick Bisinski 
Illustrazioni: Alex Sanders
ed. Babalibri
cartonato, 26 pagg
Prima pubblicazione: 2000
Prima pubblicazione in Italia: 2017


Quando penso al concetto di gap generazionale tra me e i miei figli, la prima cosa che mi viene in mente non è un telefonino o un lettore mp3. No: è l'addormentamento.
I miei figli non andrebbero mai a dormire, e una volta a letto cercano ogni scusa per non abbandonarsi al sonno, mentre io ho sviluppato il superpotere dell'addormentamento rapido: riesco a fare una pennichella anche tra un "mamma!" e l'altro (tempo stimato: tra i 10 e i 30 secondi).

E poi c'è Walter, protagonista di Il bell'addormentato, edito da Sinnos.
A differenza dei miei figli, Walter si addormenta ovunque, ma proprio ovunque.
Perfino in piscina.

O mentre si versa i cereali per la colazione.

Preoccupati, i suoi genitori cercano ogni soluzione, portandolo da dottori, specialisti del sonno, guaritrici magiche che gli somministrano zuppe dagli effetti imprevedibili.

Ma non c'è niente da fare: Walter continua a dormire. Finché qualcosa di inaspettato arriverà a destare la sua curiosità e a mettergli voglia di stare sveglio (almeno per un po').

Il bell'addormentato è un libro agile e leggero, da leggere per farsi qualche risata guardando tutte le situazioni in cui Walter riesce a ficcarsi. Ma è anche un albo perfetto per allenare l'attenzione e la curiosità dei bambini, per giocare alla caccia al particolare, scovare Walter e altri piccoli dettagli nella ricchezza delle immagini (lo vedete Walter in questa figura?).

La illustrazioni, a colori pieni, arricchiscono le lettura anche grazie a un gioco di variazioni: a un'immagine a tutta pagina ne seguono alcune scontornate (come la serie di reazioni di Walter alla "pozione magica"), a primissimi piani seguono campi più larghi, a immagini ambientate se ne alternano altre in cui gli elementi sono disposti su piani del tutto astratti, come i componenti di una numerosissima banda musicale che prova a svegliare Walter, tutti disposti in file parallele su ideali superfici orizzontali. Lo spazio-pagina è sfruttato insomma in moltissimi modi diversi.

A questo esercizio visivo implicito se ne aggiunge uno dichiarato: la ricerca di oggetti e personaggi all'interno dell'illustrazione. E non sto parlando soltando della ricerca di Walter. È il libro stesso a invitare alla "caccia ai particolari", riportando in quarta di copertina alcuni dettagli da cercare all'interno del libro.

Si ride di Walter, insomma, ma si gioca anche con lui. 

A proposito, anche noi volevamo giocare con Walter, ma si addormentava perfino sulla plancia di gioco! Volete aiutarci a farlo finalmente dormire nel suo letto? Allora giocate con noi a

buonanotte, Walter!

Iniziate scaricando il mio pdf stampabile con la plancia di gioco, le carte-sveglia e il disco.
Il disco andrà incollato su un cd o su un cartoncino per poi fissargli una freccia di cartoncino con un fermacampioni: sarà il vostro "dado".
Procuratevi anche dei segnalini.
Distribuite due carte-sveglia a ogni giocatore.



Via! Iniziate mettendo i segnalini sul cuscino e cercate di portare a letto Walter (il vostro segnalino) sul suo letto.
A turno, girate la freccia:
  • se la freccia finisce su 1 o 3, Walter è sveglio: muovetevi in avanti di altrettante caselle;
  • se finisce sulla sveglia, potete prendere una carta-sveglia in più;
  • se finisce su un cuscino, Walter dorme. Potete giocare una carta-sveglia e muoverlo di due caselle, oppure, se non ne avete, lasciarlo sonnecchiare e saltare il turno.
Vince chi per primo porta il suo segnalino-Walter a letto.
Russare quando si finisce sulla casella cuscino non è obbligatorio, ma andiamo: se non lo fate, dove sta il bello?


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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