Abbattere le barriere.

C'è una tara di cui una bella fetta della produzione italiana di contenuti è affetta: la retorica.
La cosa appare abbastanza evidente confrontando serie tv, spot televisivi e spesso anche libri stranieri con i nostri. E forse, vedendo quante polemiche può sollevare qualcosa che osi anche solo minimamente distaccarsi dal politically correct, la cosa non dovrebbe neppure stupire.
Il problema della retorica è principalmente uno: è finta. E superficiale (ok, adesso sono due).
Uno forse non se ne accorge seguendo una storia, può anche appassionarsi alle vicende e ai personaggi, ma alla fine non riesce davvero a immedesimarsi, o se lo fa non gli resta nulla che lo abbia smosso, cambiato, fatto riflettere.
Questo diventa ancora più evidente quando si toccano tematiche sensibili come la disabilità.


Dove ti porta un bus di Anna Lavatelli (Giunti editore) mi è piaciuto per questo: perché non ha paura di dire cose scomode, di essere vero.
La co-protagonista, Lucilla, una bambina in sedia a rotelle, è una bimba intelligente e intraprendente, ma anche una rompiscatole che vuole sempre l'ultima parola. Perché nella realtà è questo che succede: nessuno diventa santo solo per essere diventato disabile, ed è questo il motivo per cui nelle storie patinate non ci si può immedesimare: perché poi, nella vita vera, non ci troviamo di fronte a esseri perfetti e senza sfaccettature.


Manolo, protagonista del libro, appena trasferito con sua madre in una nuova città, è timido e infastidito dall'esuberanza di Lucilla.
E come spesso succede, si lascia trascinare dal branco, cercando rifugio alla sua timidezza nel gruppo dei ragazzi più popolari della classe, finendo per lasciare Lucilla in disparte.

Non so se potete capire le mie ragioni, ma provate a immaginare quel che provavo dentro. [...] In fin dei conti, stavo anch'io seduto su una sedia a rotelle, di quelle che da fuori non si vedono, ma che rendono ugualmente difficile il cammino.

Ecco un'altra riflessione scomoda (ma come? paragonare la timidezza a un handicap?), ma reale: ognuno ha la propria sedia a rotelle, solo che alcune non si vedono.

No, non stiamo parlando di bullismo: Manolo e i suoi amici non fanno nulla di male a Lucilla. Si tratta semplicemente della situazione più naturale che possa succedere in ogni classe: quella dei "gruppetti". E i gruppetti, sì, possono finire per emarginare una bambina sulla sedia a rotelle, perché l'empatia e l'altruismo non sono sempre facili né spontanei, e dover modificare i propri giochi, o le destinazioni delle proprie gite, è seccante.


È questa la chiave che trova Dove ti porta un bus per parlare di disabilità in modo reale, concreto, vero: avere a che fare con un disabile non è facile, comporta una serie di problemi e di difficoltà da affrontare. Raccontare il contrario sarebbe semplicemente una bugia. Raccontare le cose come stanno è invece l'unico modo per permettere a chi legge di riconoscersi, e magari di riflettere, e magari di cambiare.


Grazie a una svolta inaspettata, Manolo si troverà alla fine al fianco di Lucilla, in un gesto "alla Rosa Parks" che porterà all'abbattimento di una delle barriere architettoniche che ogni giorno rendevano più difficile la vita della bambina.
E anche qui, i dettagli fanno la differenza: quando parla della risonanza mediatica del loro gesto, Manolo nomina prima di tutto Facebook, Twitter e YouTube (perché a un ragazzino, in fondo, interessa davvero finire sul giornale?).

Dove ti porta un bus è un romanzo breve, semplice (92 pagine in stampatello minuscolo, con font abbastanza grande da poter essere letto anche da lettori alle prime armi), che racconta la scuola e la disabilità, e offre molti spunti di riflessione sulle barriere architettoniche e sociali che possono ostacolare un ragazzo in sedia a rotelle.
Primo fra tutti: ma quant'è difficile immedesimarsi in qualcosa che non si è mai provato sulla propria pelle?

Ecco perché può essere interessante, dopo la lettura, fare qualche piccolo esperimento.

Primo step: una camminata a rotelle.
Alla prossima passeggiata in città, fingete di essere in sedia a rotelle. Evitate scalini e ostacoli e provate a vedere quanto è difficile trovare la strada giusta da percorrere.
Questa sfida può trasformarsi anche in un gioco: chi per primo "dimentica" il proprio handicap e sale un gradino, ha un punto di penalità. Vince chi riesce a completare il percorso immedesimandosi meglio.



Secondo step: architetti senza barriere.
La prossima volta che costruirete una casa o un palazzo con i Lego, fatelo senza barriere. Ogni volta che c'è una scala, ci deve essere anche uno scivolo, oppure un ascensore.
Quanto è più difficile progettarlo?

Certo questo non basterà a formare dei futuri architetti, ma forse aiuterà a crescere delle persone che da adulte non parcheggino al posto sbagliato.


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