Nuvole in scatola
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"Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello" diceva una pubblicità che solo pochi di voi (ahimé) ricorderanno.

E così, non serve un libro grande, per avere un grande libro.


mini romanzi

È questa la filosofia della nuova collana Mini Romanzi di Editrice Il Castoro: romanzi brevi, alla portata dei lettori in erba (diciamo su per giù dalla seconda primaria in poi), ma romanzi d'autore, che non fanno sconti sulla qualità della struttura narrativa, del lessico, della dignità data a un lettore che merita un'opera a tutto tondo, e non semplificata "per venire incontro alle vostre capacità mentali" (scusate, oggi sono in vena di citazioni televisive vintage).

I primi due titoli sono già pronti sullo scaffale delle letture estive del Piccolo D: sono Il fantasma della miniera di Chiara Lorenzoni, illustrato da Martina Brancato, e 54 secondi di ritardo di Chiara Carminati, illustrato da Miriam Serafin.

 fantasma della miniera

Il fantasma della miniera è un libro di avventura che inizia da una lucertola, da un gruppo di amici e dalla noia estiva (non è forse così che iniziano realmente la maggior parte delle avventure dei bambini?). 

A questi ingredienti, pennellati con grande credibilità, si intreccia una leggenda di paese raccontata dal nonno, che diventa mistero e inseguimento di qualcosa di ineffabile: il fantasma intrappolato nella vecchia miniera del paese. Esiste? Non esiste?

La narrazione mescola sapientemente dolcezza, tensione e ironia e chiude con un finale che un adulto forse ha già intuito, ma che saprà sorprendere e far sorridere il piccolo lettore.

54 secondi di ritardo

Chiara Carminati, invece, sposta l'ambito dell'emozione dagli eventi alle persone: 54 secondi di ritardo (link affiliato) è una storia che ha il fulcro nelle singolarità, per non dire nelle stranezze, dei due protagonisti, Dennis e Giulietta. Lui trincerato dietro una routine che si ripete sempre uguale a sé stessa, precisa al secondo, che rappresenta la sua ancora di salvezza contro un mondo che gli fa paura.

Lei travolgente, fantasiosa, intraprendente, eppure sola: una di quelle bambine poco conformi e che per questo si trovano a loro agio più con altri adulti che con altri bambini. A meno che non siano bambini poco conformi, come Dennis.

Il giorno in cui la routine di Dennis viene turbata con un ritardo di 54 secondi, sconvolgendogli i soliti piani, Giulietta lo travolge, letteralmente, trascinandolo a zonzo per la città ala ricerca del fratello scomparso.

Le illustrazioni, nonostante lo stile molto descrittivo, lasciano spazio a qualche sorpresa, come la descrizione del fratello fatta da Giulietta, che viene visualizzata come si materializza nella mente di Dennis, un pezzo alla volta, secondo il racconto che ne fa lei.

Anche per fare una grande estate non servono grandi cose. A volte bastano un paio di grandi libri.

Chi ha letto il primo capitolo lo aspettava con ansia.

Hilo il mondo da salvare

Noi, ad esempio (intendo io e il Piccolo D), che dopo aver letto Hilo. Il ragazzo precipitato sulla Terra eravamo smaniosi di conoscere il destino di questo alieno-robot che in realtà si è dimostrato più umano di molti umani.

Il Barbagianni ci ha accontentati, portando in Italia il nuovo graphic novel di Judd Winick, un libro dove la tensione è altissima dall'inizio alla fine.

Hilo il mondo da salvare

In Hilo. Il mondo da salvare il nostro eroe ritorna (non vi dico come: è uno dei momenti più curiosi del libro!), ma con lui arrivano anche mostri e robot di ogni fattezza, ovunque.

L'azione è incalzante, anche se mai cruenta e sempre bilanciata da un'altissima dose di umorismo. I nemici spuntano da ogni dove e il lettore viene trascinato in continue sorprese e scoperte: ogni essere è diverso dall'altro, ha diversi poteri (spesso buffi) e diversi modi di combattere.

Anche il nuovo personaggio che fa il suo esordio, Polly, è un guerriero che aggiunge all'Aaaaah di Hilo il sui Uataaaah di combattimento.

Hilo il mondo da salvare

Poco spazio viene lasciato questa volta all'introspezione, la coralità vince sull'individualità, la squadra (anzi, la "cricca") è la vera protagonista.

Restano alcune tavole, le uniche "lente", dedicate ai flashback, che ci mostrano i ricordi di Hilo, ci svelano finalmente qualcosa in più sulla sua genesi, sulla sua storia e sul suo legame con il temibile Razorwark, l'antagonista principale, che nel primo volume era un'entità genericamente cattiva e ora piano piano inizia ad assumere dignità di personaggio, con un suo background, una sua storia, una sua motivazione.

Hilo il mondo da salvare


Si legge fin troppo in fretta, Hilo. Il mondo da salvare. Si ride, si resta col fiato sospeso, si ride ancora, ci si meraviglia e poi, ecco: finito. Ma non finito.

Chi ha letto il primo capitolo lo aspettava con ansia. Chi ha letto questo, aspetta con ansia il prossimo.


Prepararsi la mattina per uscire di casa, aspettare il giorno del proprio compleanno, fare qualcosa che ami per "ancora cinque minuti": quello che rende queste esperienze tanto diverse tra adulti e bambini è la percezione del tempo.

I piccoli ne hanno vissuto poco, e lo vivono in modo dilatato, senza percepirne la durata ("Mamma, quanto sono cinque minuti?"), né tantomeno la relatività ("Mamma, cinque minuti sono poco o tanto?").

Soprattutto, non comprendono perché, per noi, sia sempre una merce limitata, preziosa.

L'uomo che vendeva il tempo 

In questo albo di Luca Cognolato e Marco Paschetta per Terre di Mezzo, il tempo si fa proprio merce: L'uomo che vendeva il tempo probabilmente non a caso si chiama Vettore: un nome che indica chi trasporta qualcosa, ma anche, in matematica, una grandezza orientata, dotata di direzione, come il tempo che non torna mai indietro.
Nel suo negozio, chiamato Temperia, Vettore vende minuti e ore, ben misurati e ben confezionati, a chi ne ha bisogno.

L'uomo che vendeva il tempo

Ma cosa succede se un giorno i rifornimenti quotidiani di tempo non arrivano?
Cosa succede se il "tempo in più" è esaurito?
E se ad avere bisogno di tempo è proprio Vettore?

L'uomo che vendeva il tempo

L'idea creativa alla base di L'uomo che vendeva il tempo, quella di rendere tangibile e vendibile un bene così immateriale, si accompagna in questo albo a un'ambientazione d'altri tempi.
Vettore pesa il tempo su una bilancia a due piatti, lo confeziona a mano, batte gli scontrini su un vecchio registratore di cassa.

Anche i colori, caldi e polverosi, sono quelli delle fotografie ingiallite dal tempo.

Il tempo, appunto: è come se l'albo riportasse la narrazione al passato, a un'epoca in cui il tempo in più era ancora un bene possibile, per quanto prezioso; e anche se i clienti di Vettore sono persone che non ne hanno abbastanza, di tempo, si percepisce quel senso di comunità e di lentezza che appartiene a un mondo che non c'è più.

Non possiamo comprarlo, il tempo. Possiamo cercare di spiegare ai bambini che è la cosa più importante al mondo, qualcosa da non sprecare, da non sottovalutare mai.

E no, non possiamo comprarlo, ma quando ne vale la pena dobbiamo essere in grado di regalarne un po' a chi ne ha bisogno.
 

"Il miglior modo per nascondere qualcosa è in piena vista", scrisse, a quanto pare (non sono riuscita a verificare con esattezza) Edgar Allan Poe.

l'asino scomparso

È ciò che accade al protagonista di L'asino scomparso, un silent book di Lucio Notarnicola pubblicato da Caissa Italia che, accostandosi al recinto, vede soltanto un asino nero e nota che manca qualcosa.

l'asino scomparso
 
Inizia così il suo viaggio alla ricerca dell'altro asino, un viaggio durante il quale trascinerà con sé una lunga fila di animali che si uniranno a lui.
l'asino scomparso

E quando la sera, sconsolato, farà ritorno a casa, finalmente vedrà l'asino dietro al suo recinto, perché l'asino non era scomparso: era semplicemente bianco, e alla luce non si vedeva.

Ma dopo che sarà scesa la notte... non continuo, ma forse immaginate da soli cosa può succedere.

L'asino scomparso, è un albo basato largamente sulle inferenze e sui collegamenti intratestuali. È vero che tutti i silent book, in qualche modo, lo sono, perché presuppongono che la storia si comprenda dalle sole immagini, ma questo si spinge un po' oltre il solito meccanismo.

Innanzitutto, l'albo parte dal titolo, un elemento se non extratestuale, perlomeno paratestuale: non ci aspettiamo di dover dipendere dalla sua lettura per la comprensione del testo, eppure senza di esso non potremmo mai capire che il protagonista sta cercando proprio un asino, perché non lo abbiamo mai visto prima che se ne notasse la mancanza.

Poi, il gioco di luce / buio su cui si regge la ricerca, enfatizzato dall'uso di un bianco e nero in cui spicca qualche macchia rossa come unico elemento cromatico differente, non è banale da comprendere e potrebbe richiedere, specialmente ai più piccoli, una seconda e una terza lettura.

Quindi, una raccomandazione: non cedete alla tentazione di spiegare ai bambini cos'è successo. Rileggete, piuttosto, e rileggete ancora. La qualità di questo albo sta proprio nel non abbassarsi di livello, non dare spiegazioni inutili, nel rispettare (e sfidare) le capacità inferenziali dei bambini.

Lo si vede anche nello stile illustrativo, dal gusto un po' vintage, non scontato, che non ricerca per forza l'equilibrio o la gradevolezza delle forme ma punta sull'espressività.

Lo si capisce anche dal modo in cui questa espressività è trasmessa: L'asino scomparso, è un albo che urla senza usare parole. I segni rossi che escono dalle bocche dei personaggi sono evidenti, forti, incisivi, non c'è bisogno di testo per capire cosa significano, per sentirli, quasi.

E quindi sì, una volta svelata la chiave, assecondate i bambini nel provare, nel chiudersi in una stanza scura con un oggetto chiaro e con un oggetto scuro per vedere la differenza. Ritagliate sagome di asini bianchi e colorati e fateli passeggiare su un foglio bianco per vedere la differenza.

l'asino scomparso

Ma fatelo per sperimentare, non per spiegare. Fatelo dopo che avranno capito. Fatelo dopo che si saranno goduti il piacere di comprendere cosa vuole dirci un albo senza parole.






 

C'è un'espressione inglese che adoro e che rende perfettamente il senso di quello che vuole esprimere: "The elephant in the room", ovvero "L'elefante nella stanza". Sta a indicare una questione ingombrante tra due o più persone, che però nessuno vuole affrontare, e resta lì, a intralciare il resto della conversazione, come un non-detto che però tutti stanno pensando.

Hai visto l'elefante?

Perché un elefante, in una stanza, ci sta stretto, occupa tutto lo spazio, è impossibile non vederlo. Anche se gioca a nascondino, come il protagonista di Hai visto l'elefante?, di David Barrow, pubblicato in Italia da Terre di Mezzo.

Hai visto l'elefante?

Ci sembra subito buffo quando l'elefante propone al bambino di giocare a nascondino e si sente in dovere di specificare:

Devo avvertirti però.
Sono MOLTO bravo.

E così il bimbo inizia a contare e  poi parte alla ricerca: pagina dopo pagina, vediamo l'elefante nei posti più buffi: dietro una tenda, sotto una coperta, perfino dietro il televisore che il papà, completamente ignaro, sta guardando. 

Hai visto l'elefante?

Perché, appunto, noi vediamo l'elefante, ma nessun altro ci riesce: si è nascosto davvero bene!

L'effetto è comico, perché il piccolo lettore sarà portato a dire: "ma come? non lo vedi? è lì!", ma i personaggi non se ne rendono minimamente conto. Nel libro, insomma, vale la regola in cui crede ogni bambino piccolo: se io ho gli occhi chiusi, gli altri non mi vedono! Non manca un piccolo scherzetto finale che chiude l'albo confermando la sua vena umoristica.

Però, oltre a ridere, in fondo noi che leggiamo siamo felici che il libro vada così: siamo dalla parte dell'elefante. Non è una questione di talento naturale, ma di credere in se stessi.



Un'idea "in scatola": nascondino con il peluche.

Hai visto l'elefante?

Il fascino dei bambini verso il vostro smartphone è fortissimo, sempre. Ma cedere non è sembre sbagliato, basta indirizzare l'utilizzo del telefono verso qualcosa di creativo. 

Che ne dite di far scattare al bambino (senza di voi) una serie di foto in cui nasconde in casa un pupazzo di peluche? 

Voi, scorrendo la galleria delle immagini, dovrete trovarlo nel tempo più breve possibile!



Mettere a nanna i bambini è soprattutto una questione di rassicurazione.

Abbandonarsi al sonno e ai sogni è un processo difficile, per i più piccoli, e adottare un rito che si ripete sempre uguale a se stesso li aiuta a rilassarsi e a sapere che, come è successo le altre volte, andrà tutto bene.

Il rito della buonanotte con i miei bimbi ha sempre avuto a che fare con una lettura (immagino che la cosa non vi sorprenda), ma se adesso che vanno dai 5 ai 12 anni posso permettermi di osare con qualche lettura divertente o addirittura inquietante, nei primi mesi stavo ben attenta a scegliere libri lenti,  ripetitivi, rilassanti nel suono e nei contenuti.

Buonanotte pancino

Buonanotte pancino di Lucie Brunellière, edito da Terre di Mezzo, è un cartonato che un po' mi dispiace non poter inserire nel rito delle buonanotte dei miei figli ormai troppo grandi (anche se la Piccola M se lo è fatto leggere almeno cinque volte, prima di iniziare a leggerselo da sola dopo il mio rifiuto a una sesta lettura).

È tenero, curioso, rassicurante.

Parla ai piccolini nel loro linguaggio, sia per le immagini colorate ben distinte dallo sfondo, sia per la sintassi fatta di anafore, di ripetizione e accumulo (un accumulo che passa dalle immagini e non dalle parole).

Buonanotte pancino

Il libro si apre in verticale e la prima pagina ci fa vedere un bambino steso sul letto, pronto per la nanna.

La pagina sottostante è insolitamente corta e dice solo:

Buonanotte piedini.

 

Buonanotte pancino

Girandola, la pagina copre i piedini come un lenzuolo o una copertina, e si passa alla pagina successiva, appena un po' più lunga, che coprirà i polpacci del bimbo.

Pagina dopo pagina, la mamma o il papà che legge dà la buonanotte a tutte la parti del corpo del piccolo, che vengono via via nascoste, fino a che il bimbo non è coperto del tutto, e pronto a dormire.

La struttura di Buonanotte pancino richiama moltissimo l'attenzione dei piccoli (lo proporrei già dai 6 mesi), non solo per la soluzione cartotecnica, ma anche perché piano piano aiuta il bambino a prendere coscienza delle parti del proprio corpo, che si devono rilassare e addormentare, una ad una, per lasciarlo scivolare nel sonno.

Il rito della nanna con Buonanotte pancino


Quanti modi ci sono per leggere questo libro?
Me ne vengono in mente almeno due (che possono essere anche applicati in sequenza: l'uno non esclude l'altro).

Il primo è di applicare il rito, mentre si legge, a un pupazzo o un peluche, che si trovi nel lettino del bambino o in un proprio lettino giocattolo: il genitore legge, il bimbo copre (da solo o con l'aiuto del genitore, secondo l'età).

Il secondo, più ovvio, è di sollevare la coperta o il lenzuolo sul bambino stesso, accarezzando di volta in volta la parte del corpo nominata per arrivare, come il protagonista del cartonato, a essere pronti per la nanna.

Funziona? Beh, fatemelo sapere. ;)

L'ironia è una qualità che ho sempre apprezzato molto, negli altri e anche in me stessa (perché mica è semplice riuscire sempre ad applicarla alla vita!).

Amo l'ironia anche, forse soprattutto, in quei contesti in cui entra con più difficoltà, dove impone un doppio registro, dove sorprende.
Amo l'ironia nella poesia, dove può fare un graffio dal quale le emozioni entrano più facilmente.

La traccia

La traccia, albo d'esordio di Tassi per Il Barbagianni, unisce uno spirito poetico o quantomeno filosofico sulla vita a una sorprendente vena umoristica e... scatologica.

A raccontare la storia in prima persona è Arturo, un cane amato e che vive una vita serena, ma che all'improvviso inizia a sentire che gli manca qualcosa, che la realtà del quartiere, sempre uguale a se stessa, gli sta stretta. Inizia così un viaggio rocambolesco e ricco di avventure che presto diventano assurde, tanto sono incredibili.

Sullo sfondo, resta l'istinto canino, che è quello di annusare le tracce (che, come spiega Arturo nell'iperbolica tavola iniziale, è come per gli umani leggere il giornale).

La traccia

Quello che Arturo vuole è lasciare la propria traccia nel mondo, ma mentre il suo pensiero così ispirato e i luoghi affascinanti che attraversa elevano il tono della narrazione, ci pensano le illustrazioni a portare nella storia la sua dimensione comica, nei ritratti degli amici del parco, nelle modalità di viaggio più disparate, ma soprattutto nella raffigurazione di Arturo mentre... lascia la sua "traccia".

Già, perché, lo notiamo dalla postura inequivocabile, la "traccia" è proprio quella, e Arturo la depone nei posti più impervi e impensati, possibilmente ripidi e appuntiti.

La traccia

La dolcezza di questo protagonista ingenuo e sognatore, il coraggio di inseguire il suo sogno, il registo poetico e filosofico di questa storia si mescolano quindi a una vena comica irresistibile, per cui leggendo si passa continuamente dall'ammirazione alla risata, dall'ispirazione al divertimento.

Dovremmo essere tutti un po' Arturo, nella vita: lasciare le nostre tracce, senza prenderci troppo sul serio.

I bambini sono poeti inconsapevoli. Trovano metafore nel mondo che noi non sappiamo più vedere.

Sono anche furbetti consapevolissimi. Sanno mentire con una naturalezza che noi abbiamo perso (che sia un bene o un male, non sto qui a ragionarci sopra).

Sono furbetti poeti inconsapevoli, poetici furbetti consapevoli.

Ho scritto un libro per te (ma non è questo)

Angelo Mozzillo e Silvia Gariglio rappresentano perfettamente questa dualità in un albo che è una dedica d'amore alla mamma, furbetta e poetica: Ho scritto un libro per te (ma non è questo), pubblicato da Camelozampa.

Mozzillo sfonda le regole classiche di lettura, e i limiti del libro, rendendo l'albo un meta-albo, il cui messaggio (rivolto da un bambino alla mamma) inzia già dalla copertina.

Ho scritto un libro per te (ma non è questo)

La prima frase che leggiamo all'interno è già la prosecuzione della premessa contenuta nel titolo.

E ci avevo messo tutte le cose che ti piacciono
per farti contenta, perché quando sei contenta
sei ancora più bella.

L'albo è un messaggio d'amore, il biglietto di un figlio che vorrebbe stupire la mamma, anche se non ne è capace.

Le immagini di Silvia Gariglio accostano i timidi schizzi del bimbo ad affascinanti acquerelli, che rappresentano, a volte in modo diretto, altre volte in modo più misterioso, forse proprio quel libro di cui il bimbo parla, quello che avrebbe voluto dedicarle (ma che evidentemente non esiste: se lo è inventato).

Ho scritto un libro per te (ma non è questo)

Il trucco diventa abbastanza chiaro in seguito, quando il bambino inserisce in questo ipotetico libro, che non trova più, elementi impossibili, come il disegno di una chitarra che suona (per davvero) una canzone per la mamma.

Ma il bello è questo: che non ci importa davvero che questo libro esista, perché in qualche modo c'è, nell'immaginazione del bambino, ed è senza dubbio il libro più bello mai scritto.  

Ho scritto un libro per te (ma non è questo) è il libro che ogni bambino, furbetto e poeta, vorrebbe dedicare alla mamma. O meglio, lo è quell'altro, quello di cui parla. Ma per la mamma, in fondo, è lo stesso.

 

Ha uno spiccato senso della politica, Fabian Negrin, quando scrive per i bambini.
Non nel senso più basso del termine, quello degli schieramenti e delle prese di posizione di bandiera, ma quello reale, etimologico. Con le sue storie, racconta cosa significhi governare un paese, a cosa serve, quali sono i pericoli dietro alle dinamiche di potere.

Al canto del gallo
 
Lo avevamo già visto nello splendido "L'indovinello della tigre", nel quale parlava di leadership, tirannia e delle umane debolezze da cui nascono e prosperano.
Lo vediamo ora in questo Al canto del gallo, splendidamente illustrato da Mariachiara Di Giorgio e pubblicato da Edizioni Corsare.

L'incipit è da fiaba d'altri tempi: un paese lontano, regole diverse delle nostre:

C’era un regno lontano nel tempo e perduto nello spazio che sceglieva i propri sovrani in un modo curioso. Ho detto curioso? Avrei dovuto dire strano. Anzi, qui sarebbe finalmente il caso di usare la parola strampalatissimo.

Fabian Negrin riesce nell'intento di unire due registri linguistici quasi opposti: nella sua prosa si percepisce l'oralità di un narratore che si prende anche qualche confidenza, ma al tempo stesso non manca un vocabolario ricercato, magico, che incanta ed eleva.

Al canto del gallo

Ma stavamo parlando di politica.
Il fatto è che in questo lontano paese il re veniva eletto non per diritto ereditario ma per acclamazione... di galli.
Se tutti i galli in coro pronunciavano un certo nome, quella persona diventava re.
Il senso di realtà si intrufola qui tra le pieghe della fiaba, perché appare subito evidente che i galli, in questa storia, non hanno nulla di magico: non parlano, non si accordano su un nome.

Sono gli umani che interpretano, e naturalmente interpretano come vogliono.
E così, inevitabilmente, ogni elezione finisce in una guerra tra candidati sovrani che giurano di aver sentito il proprio nome.

La storia, dunque, è umanissima e ha poco di soprannaturale: parla di umane debolezze, umane aspirazioni, umane rassegnazioni, umano buon senso... e umana furbizia, quella che con una sorpresa finale sistemerà una situazione sempre più complicata.

In questa storia ricce di riflessioni, in cui si mescolano racconto e princìpi morali, anche le illustrazioni riflettono le molte sfaccettature di questo albo. A tratti sono fiabesche, a tratti cupe e opprimenti.

Ci riportano echi di manifesti di propaganda...

Al canto del gallo

...e poco dopo rasserenanti rappresentazioni da libro della buonanotte.

Al canto del gallo

È proprio la molteplicità dei registri stilistici a rendere Al canto del gallo (link affiliato) così peculiare e interessante.
La Politica con la P maiuscola, credo, inizia così: dal comprendere che la politica con la p minuscola nasce solo dalle piccolezze dell'uomo.

La parola "strega" ci riporta alla mente nasi bitorzoluti, denti marci e soprattutto un carattere tremendo.

Ma non sempre è così.

Ciclamina

Ciclamina, di Tanguy Gréban, una raccolta di tre racconti illustrati dal fratello Quentin Gréban e pubblicati in Italia da Il Castoro, ci racconta di streghe graziose e buone, o perlomeno abbastanza buone. Il giusto, diciamo.


La protagonista Ciclamina è vittima, a causa di un furto del padre, di un incantesimo della strega Verdiana: anziché crescere, la bambina diventa sempre più piccola.
 
Ciclamina

Se a questo punto noi adulti, più navigati per quanto riguarda le fiabe, immaginiamo l'ira tremenda della strega, malefici scagliati per vendetta e prove ardue per salvarsi la pelle, beh... saremo smentiti. Verdiana è ritratta come una ragazza giovane, dagli abiti semplici e dall'espressione serena, e di fronte allo sgarbo compiuto dal padre di Ciclamina, beh... si limita a una richiesta di scuse, altrimenti lo trasformerà in rospo.

È dall'incontro con Verdiana che Ciclamina inizia il suo percorso da apprendista strega. Una strega buona, però, che con i suoi incantesimi fa crescere piante e che ha per migliore amico un topolino. Una strega curiosa, che a volte ficca il naso dove non dovrebbe. Una strega che sbaglia, ma impara che gli errori servono per crescere e capire.
 
Ciclamina

Credo che l'atmosfera della lettura, così come le emozioni generali trasmesse dal libro, siano fortemente influenzati dai delicati acquerelli di Quentin Gréban. Se anche ci sono momenti tristi, o concitati, la prosa tranquilla, i colori tenui e le forme morbide delle illustrazioni aiutano a prenderli con serenità.
L'impressione è di non essere mai davvero in pericolo, e di godersi un viaggio onirico, fatto di mondi da scoprire e di buoni sentimenti.


Ciclamina
 
Ciclamina è un libro che si legge facilmente, con poche parole, ma molte pagine e l'aspetto (da fuori) di un libro "da grandi", il che rende la lettura gratificante anche ai lettori alle prime armi.
Ma è anche una bella favola per una lettura condivisa con i più piccolini, già dai 3-4 anni.
 
Non conta l'età. Basta solo lasciarsi trasportare dalle parole, dagli acquerelli, dalla magia.
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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