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Ci sono persone che mancano anche se non le abbiamo conosciute.

Assenze che pesano anche se di quella presenza non abbiamo mai goduto.

più grande di un sogno

Il peso di un lutto familiare che ricade anche su chi al momento del lutto non c'era è un tema ben presente nei romanzi, ma poco affrontato nella letteratura per l'infanzia. È con un sentimento di ammirato stupore, quindi, che mi sono immersa in Più grande di un sogno di Jef Aerts e Marit Törnqvist (illustratrice particolarmente portata per dare agli albi questo spirito poetico, l'avevamo conosciuta in Tutto dormirà), edito da Camelozampa con la traduzione di Olga Amagliani.

In Più grande di un sogno troviamo un bambino che sembra perduto in qualcosa più grande di lui. Lo vediamo piccolo piccolo seduto a un tavolo enorme. Il bambino sente una voce e sa che è sua sorella.

più grande di un sogno

Lui non l'ha mai conosciuta, è morta prima che lui nascesse, ma ha sempre avvertito la sua presenza in casa, a cominciare da quel ritratto sbiadito, appeso al muro accanto al suo.

più grande di un sogno

Questo senso di impotenza trasmesso così bene attraverso le immagini scompare improvvisamente quando la notte la sorella va a fargli visita: l'immenso letto singolo sul quale è steso ritrova le giuste proporzioni nella pagina seguente in cui la ragazza, chiara come un fantasma (ma non incorprorea), gli toglie il piumone per svegliarlo.

I due ritrovano in un attimo il rapporto che forse avrebbero avuto da fratello e sorella: la complicità, le avventure condivise, ma anche la curiosità del più piccolo che fa domande alla sorella maggiore. I due partono per un viaggio magico in bicicletta. Pedalando volano verso la luna, poi virano verso l'ospedale dove la bambina ha passato i suoi ultimi giorni (non sapremo nulla più di questo sulla sua morte), e verso il cimitero.

Fratello e sorella passano assieme un tempo magico e prezioso, di cui probabilmente lui sentiva la mancanza.
È stato un sogno? Forse. O forse, come dice il titolo, qualcosa di Più grande di un sogno. 

Ci sono legami che fanno parte di noi, anche se non siamo noi ad averli allacciati.

 L'idea alla base non è poi così nuova, e dire il vero è anche la stessa che sta sotto il nome di questo blog: dai una scatola a un bambino e lui la trasformerà con la sua immaginazione in ogni cosa possibile.

Un regalo favoloso

Quello che più rende interessante Un regalo favoloso, l'ultimo libro di Mario Ramos pubblicato da Babalibri, è secondo me la forma. A partire dalla copertina, opaca con il nastro lucido, a tutta pagina, che sembra essere essa stessa un pacco regalo.
E aprendo il libro, ecco il risguardo: un bel rigato in stile carta kraft che sarà un po' il leitmotiv dell'albo. 

Un regalo favoloso

In pratica, è come se il lettore stesso avesse scartato il pacco trovandoci dentro una scatola di cartone, che è proprio quello che succede a Thomas, il protagonista.

Tornato da scuola, Thomas trova un pacco enorme da parte del nonno. Lo scarta e dentro c'è solo una scatola vuota.
Deluso, si mette a giocare ad altro, ma si annoia presto, e a quel punto si riavvicina alla scatola, che (potere della noia e della fantasia), lo trasporta subito altrove.

Un regalo favoloso

Diventa un piccolo pianeta su cui camminare (citazione palese del Piccolo principe), un ghiacciaio dove incontrare terribili orsi, e ancora una navicella spaziale, un aereo, una barca, una mongolfiera.
Diventa tutto, e ogni doppia pagina racconta una storia diversa, in poche righe, perché il tempo della fantasia è veloce, incalzante, inarrestabile.

Un regalo favoloso
 
Più che le storie in sé, ancora una volta, è interessante la forma. Ogni pagina contiene un elemento che si distingue dagli altri perché dipinto con la stessa texture dei risguardi: è la scatola, che il lettore può andare a cercare e individuare, cercando di vedere il reale oltre l'immaginato.
 
Una scatola può essere tutto, se si è capaci di pensare a tutto.
E il regalo più bello, è la possibilità di farlo.

Che modo meravigliosamente vivace di raccontare il sonno!

Le matite di Monika Filipina danzano tra le pagine di questo albo creando trame, percorsi ed esplosioni di colore, che si fanno strada già dai risguardi.

buonanotte orso

Il tema di Buonanotte orso, pubblicato da Camelozampa con la traduzione di  Sara Saorin, è certamente il  letargo – per quanto si tratti di un letargo negato –, ma l'atmosfera è tutt'altro che notturna.

buonanotte orso

Troviamo l'orso già coricato nella sua tana, pronto ad abbandonarsi al sonno, con un occhio chiuso e l'altro spalancato e vigile: ha sentito qualcosa che non lo lascia dormire, un rumore che entra nella pagina come rumore visivo, fatto di tanti segni di matita di colori diversi che si sovrappongono come scarabocchi.

È allora che l'orso esce alla ricerca dell'origine di questo disturbo. Anche qui, troviamo colori autunnali ma non crepuscolari. In mezzo a un bosco verde e arancione, illuminato a giorno, i castori sono intenti a tagliare gli alberi (anche con la motosega!).

buonanotte orso

L'aspetto fumettistico dei personaggi invita al sorriso e lo sguardo spazia alla ricerca dei numerosi dettagli dell'illustrazione. Poi la scena si ripete: l'orso si corica, il rumore-colore invade la stanza, l'orso esce.

Stavolta all'origine del chiasso troviamo gli orsetti lavatori che fanno il bucato.

È operoso, questo bosco: con l'avanzare della storia troviamo uccellini, scoiattoli, topi, alci e molti altri animali ai quali l'orso chiede, per cortesia, un po' di silenzio.

Lo otterrà, ma il finale (in cui finalmente vediamo apparire il blu della notte) rovescerà in qualche modo la situazione.

Buonanotte orso Ã¨ un albo sul sonno, che però mantiene belli svegli: ha uno spirito allegro, giocoso, divertente. Ci porta nel bosco, a lavorare e a fare festa insieme ai personaggi.

E se ci metterà sonno, alla fine, sarà il sonno di chi ha vissuto una giornata piena e felice.

E così, arrivata a *#§#t'anni, scopro che in Francia esiste la professione di conteur, un po' come il raccontastorie d'altri tempi.

L'ho scoperto leggendo un libro strano, da cui – lo ammetto – mi aspettavo altro, probabilmente qualche riflessione sull'importanza delle storie, o una sorta di manuale per raccontarle.

lettere a un giovane narratore
 

Lettere a un giovane narratore. L'arte di raccontare storie di Bruno de La Salle, edito da Equilibri è invece un saggio difficile da inquadrare in un genere, e bisogna ammettere che il suo titolo è il modo più onesto per definirlo.

Attraverso le sue pagine, infatti, Bruno de La Salle, importante promotore della cultura orale e del mestiere del conteur in Francia, si rivolge a un giovane che desidera iniziare il suo stesso lavoro.

Lo fa con tono paterno e rassicurante, con delicatezza e poesia, rivolgendosi direttamente a un "tu" che legge, come se fosse davanti a lui, emozionato, un po'insicuro, ma pieno di buona volontà. 

In brevi capitoli, racconta le qualità che un "cantastorie" dovrebbe avere: la leggerezza, perché le storie dovrebbero risollevare l'animo, la modestia, perché dovrebbe essere il narratore a servire la storia, e non la storia a portare il narratore sul palco. Spiega come scegliere le storie e come portarle al pubblico, ma l'impressione generale, durante la lettura, è che l'intento non sia tanto quello di fornire istruzioni, quanto quello di trasmettere l'amore per le storie e per il loro significato nella vita umana.

Ed è un amore che si manifesta soprattutto come responsabilità: quella di portare le storie rispettandole e trasmettendo insieme ad esse tutto il loro valore.

In quasi ogni capitolo è presente un breve racconto, che dovrebbe fungere da esempio, ma sembra anche esprimere l'urgenza stessa di raccontare, come se chi nasce cantastorie non potesse fare a meno di narrare, in ogni momento della sua vita.
Come se le storie fossero l'unico vero modo di trasmettere conoscenza ed emozione.

Il "nostro" libro di Halloween non è esattamente uno di quelli da raccontare con una torcia sotto il viso per mettere paura a chi ascolta. No, perché se ci spezza il fiato, casomai, è solo per le risate.

Notte di botte - ossaspasso

Con Notte di botte continua la spassosa serie di Ossaspasso, di Allan Ahlberg e André Amstutz, che era già proseguita altri libri pubblicati da Camelozampa.

Torniamo a trovare i nostri amici scheletri nella loro cantina scura scura (l'anafora ritorna e ci porta quel senso di familiarità che attendevamo). Troppo scura: i due infatti si scontrano e devono andare dal Dottor Osso.

Notte di botte - ossaspasso

Come di consueto, l'avventura continua in un gioco di ripetizioni, variazioni e accumuli, in cui gli scheletri trovano sempre nuovi modi per farsi male, e ogni volta il dottor Osso applica loro un cerotto in più.

Notte di botte - ossaspasso

Ai meccanismi che hanno fatto la fortuna dei precedenti titoli si aggiunge qui la dimensione comica data dalle caduta e dallo scontro, in tutte le loro varianti, che trasformano questa avventura in una Notte di botte. 

Tutti colpi accidentali e non dettati dalla volontà umana (o scheletrica, insomma), tutti espedienti per portare un po' di leggerezza in un'atmosfera che spaventa solo chi non ha fantasia.

 Siamo animali stanziali, ma come molte cose che non fanno parte della nostra natura (volare, o anche semplicemente leggere), i viaggi hanno su di noi un fascino irresistibile.

Beh, su di me perlomeno sì.

viaggi

In questo albo edito da Lupoguido, Anna Benotto illustra e racconta il senso, o meglio, i tanti sensi del viaggio. Lo fa con un linguaggio evocativo, fatto di poche parole e immagini suggestive.

Protagonista di Viaggi è un orso bruno, non certo un animale migratore (anzi, lo associamo al letargo!), in cui proprio per questo riusciamo a identificarci. Lo vediamo quasi sempre in soggettiva o semisoggettiva, come se guardassimo il mondo attraverso i suoi occhi, e il mondo che vediamo è dipinto al tratto, un po' come la sua pelliccia, come se in ogni cosa che vede ci mettesse un po' di sé.

viaggi

Il testo, minimale, ci illustra i diversi modi di viaggiare, rappresentati visivamente dalle immagini dell'orso (e in un paio di casi, di altri animali vicino a lui): c'è chi pianifica e chi improvvisa, chi segue strade tracciate e chi esplora, chi parte solo e chi in compagnia.

Non c'è giudizio, solo accoglienza di tutti i sensi del viaggio, di tutto ciò che può rappresentare. Si potrebbe dire che Viaggi è a sua volta un viaggio attraverso le diverse sensazioni di ogni viaggiatore, compresa quella tensione tra il desiderio di partire e quello di tornare.

Nell'ultima pagina, un breve testo ci svela le location che abbiamo intravisto nelle tavole disegnate, i luoghi che l'orso ha toccato durante il suo viaggio, dall'Himalaya alla foce del Po.

viaggi

C'è, in questa semplicità apparente, una profondità e un sottinteso lirico che solo chi viaggia (e ama farlo) coglie.

Per questo, nonostante l'apparente semplicità del testo, mi viene da pensare a Viaggi come a un albo da regalare a un adulto (magari il proprio compagno di viaggi preferito), o perlomeno a un bambino già ben consapevole del vero senso della parola viaggiare.

Che il sole sia una stella è una delle tante verità inconcepibili che si trova ad affrontare un bambino.

È inconcepibile perché i suoi sensi raccontano qualcosa di diverso: il sole è grande e caldo, e sta nel cielo di giorno, le stelle sono piccole e poco luminose, sembrano esistere solo di notte.

grande storia delle stelle

Dopo averci parlato di una Terra da proteggere e dei problemi (e delle risorse) della plastica, Neal Layton alza la testa e, con il suo stile leggero e vicino al fumetto, ci racconta la Grande storia delle stelle, sempre con Editoriale Scienza.  

Il titolo è leggermente improprio: più che la storia delle stelle, l'albo affronta la storia della loro scoperta, dai miti e le costellazioni, fino a raccontarci ciò che sappiamo ora, passando dall'invenzione del telescopio e alle scoperte che hanno sfatato alcune credenze.

grande storia delle stelle

Ma infine, Layton arriva anche a raccontare come nasce una stella, e come muore, e come la "nostra" stella sia fondamentale per la vita sulla Terra.

Quella che compie Grande storia delle stelle non è un'analisi approfondita di tutto ciò che sappiamo, ma più un volo rapido e leggero sulle nozioni principali: un testo destinato ai primissimi lettori, che non si sono mai interrogati su questi temi, o lo fanno per la prima volta. Un albo pensato non per chi esce "a riveder le stelle", ma per chi le guarda in un certo modo per la prima volta.

Le sue pagine colorate e allegre non esauriscono la curiosità ma la accendono, dando alcune risposte (cos'è una galassia? quanto è lontano il sole? come è nata l'astronomia?) e lasciando ampi spazi per nuove domande.

Che è un po' quello che ci succede ogni volta che guardiamo il cielo.


"Chi nasce tondo può morire quadrato", dice un vecchio detto.

Ma essere tondi può significare molte cose diverse, sembra aggiungere questo albo.

Pango e Dillo

Pango e Dillo, di Francesca Ortona e Lorenzo Sangiò per Il Castoro, racconta due mondi molto simili e molto diversi: quello di un pangolino e di un armadillo alle prese con il primo giorno di scuola.

Fin dalle prime pagine è chiaro il parallelismo tra i due personaggi, entrambi bambini che vengono svegliati dalla mamma per andare a scuola.
Come in un gioco di specchi di immediata comprensione anche per i bambini in età prescolare (a cui sembra rivolgersi questo albo), vediamo ripetersi la grafica delle pagine, la scansione degli eventi, e con qualche opportuna variazione anche le formule testuali.

Pango e Dillo

Ma è da subito evidente anche un'altra cosa: i due protagonisti hanno personalità molto differenti l'uno dall'altro. Dillo è entusiasta, espansivo, esplosivo, mentre Pango è timoroso, timido e insicuro.

La mamma dell'armadillo, vedendolo impaziente di andare, gli chiede:

"Dillo, un po' di pazienza per favore!"

mentre nel caso del Pangolino, che ha bisogno di qualche minuto in più sotto le coperte, è lui a chiedere:

"Mammalina, un po' di pazienza per favore!"

Le specie dei due personaggi non sono scelte a caso: entrambe si caratterizzano per la capacità di "chiudersi a palla". Ma mentre la palla di Dillo salta e rimbalza per arrivare a scuola per prima, quella di Pango è fatta per essere raccolta dalla mamma e portata tra le braccia fino alla maestra.

Dillo naturalmente chiede a tutti di giocare, mentre Pango resta in disparte. Quando Dillo arriva da lui, resta chiuso a palla. Ma Dillo smette di insistere, capisce la sua difficoltà, si mette accanto a lui, appallottolato, finché non è Pango ad aprirsi.
Solo allora scopriranno (in modo molto divertente, anche per il lettore) tutte le potenzialità di questo "stare a palla" che li unisce, e supereranno le loro differenze.

Pango e Dillo

Accanto alla storia, tenera, allegra e rassicurante, soprattutto per un bambino particolarmente timido che si riconosce facilmente nei panni di Pango, Pango e Dillo lascia al lettore un messaggio che mi ha ricordato molto quello di un altro titolo della stessa casa editrice, Ascolta: l'idea di lasciare a ognuno il tempo di cui ha bisogno, di restare in ascolto, di accogliere anche chi a volte non riesce a esprimersi, aspettando semplicemente il suo momento.

Ci sono bambini che sembrano capaci solo di chiudersi a palla, ma poi, a palla, si possono anche aprire.


Una delle tracce della maturità, nell'anno precedente al mio, riguardava il rapporto tra matematica e poesia. Quando la lessi, e provai a ragionare su quello che avrei potuto scrivere, mi venne in mente solo qualche riferimento al ritmo, alla metrica, e alla fine quello che conclusi fu: "Per fortuna che la mia maturità è l'anno prossimo".

Il fatto è che siamo immersi in una cultura che sembra tracciare una dicotomia insormontabile tra materie umanistiche e materie scientifiche, settorializzando il sapere (e spesso le persone) da un lato o dall'altro. Eppure i punti di contatto sono molti di più di quanti non appaiano a un primo sguardo.

L arte incontra la scienza

Lo dimostra bene un albo divulgativo interessante sia per i presupposti sia per le nozioni che porta: L'arte incontra la scienza di Mary Auld (con illustrazioni di Sue Downing), edito in Italia da Editoriale Scienza.

Le sue pagine esplorano i punti di contatto tra le due discipline nel modo più ampio possibile: ogni pagina spalanca un nuovo spunto di riflessione, un "non ci avevo pensato", o perlomeno un "non ci avevo pensato abbastanza".

L arte incontra la scienza

Non avevo pensato abbastanza che le pitture rupestri nascono anche da uno studio su come ricavare pigmenti dalla natura.

Non avevo pensato abbastanza a come astronomia e immaginazione si siano incontrate nel dare vita alle costellazioni. 

Non avevo pensato abbastanza a quanto il puntinismo debba alla teoria del colore e allo studio di come il nostro occhio lo percepisca.

Il viaggio che passa da accostamenti ed esempi più noti (come la centralità dello studio anatomico nella scultura classica o la ricerca leonardesca di macchine volanti) ad altri più insoliti, come l'arte tridimensionale dell'americana Jen Stark, o l'arte pirotecnica del cinese Cai Guo-Qiang, offrendo nozioni storiche, suggestioni artistiche, intuizioni e spiegazioni scientifiche, in un panorama ampio che aiuta prima di tutto a capire quanto arte e scienza siano discipline vaste, che abbracciano molto di più dell'immagine che abbiamo di esse.

L'arte incontra la scienza non scende in profondità nelle spiegazioni tecniche o nella critica artistica: è un albo rivolto a un pubblico attorno agli otto anni, con l'obiettivo di aprire le menti, più che di riempirle, ma soprattutto di coinvolgere i piccoli lettori.

L arte incontra la scienza

Le pagine descrittive si intervallano infatti a proposte di esperimenti, di attività e di progetti artistici e scientifici, dai più semplici che i bambini saranno in grado di svolgere in autonomia, ai più complessi che richiederanno l'aiuto di un genitore. I lettori saranno così chiamati a costruire piccole macchine volanti di carta, a creare la loro opera puntinista, a studiare l'anatomia per disegnare un corpo o a sperimentare piccole reazioni chimiche.

Perché diventare artisti è anche un po' diventare scienziati.



Amo il mio nome, perché mi piace come suona, ma anche perché è lungo: Elisabetta, 10 lettere.

E in quanto lungo, tutti quelli che in qualche modo sono entrati in confidenza con me lo hanno abbreviato, ognuno a modo suo, come segno di un rapporto speciale, oltre le formalità anagrafiche. E così sono Elisabetta, ma sono anche Eli, Betta, "la Betty", Bettina e alcune ulteriori variazioni sul tema che non intendo condividere qui.

Cosa c'entra tutto questo con un libro?, vi chiederete.

ti aspetto a san qualcosa

C'entra. Perché l'incipit di Ti aspetto a San Qualcosa, di Beniamino Sidoti, edito da Camelozampa, parte proprio da una riflessione sui nomi.
Simone, il protagonista, si è da poco trasferito in un paese nuovo e fatica ad accettare questo cambiamento. Sa di doverci entrare in confidenza, con questo posto, di doverlo conoscere, ma lo rifiuta, e per questo non lo chiama per nome, ma "San Qualcosa".

Questo "San Qualcosa" diventerà una delle due cifre stilistiche che caratterizzano il libro: il nuovo paese di Simone non verrà mai chiamato due volte allo stesso modo, ma cambierà nome assorbendo di volta in volta punti di vista, stati d'animo, caratteristiche che riflettono l'attenzione del ragazzino.

Sarà un anonimo San Paesino, San Questo, San Caseconstrade, ma gradualmente assumerà toni più caldi e personali. Diventerà San Pistaciclabile, San Spuntino, San Delusione in un momento di tristezza, ma anche San Tihotrovato dopo l'incontro con Sara, una ragazzina solitaria come Simone, che farà cambiare tutto, come accade sempre quando due solitudini si incontrano.

Accade così che, senza che Simone se ne renda conto, proprio attraverso questi nomignoli pensati per allontanarla, la città diventa sua, sua come mai potrebbe esserlo se la chiamasse semplicemente con il suo vero nome.

ti aspetto a san qualcosa

La seconda, forte cifra stilistica che accompagna tutto il libro, è il gioco, o meglio l'esercizio mentale, con cui Simone vive le sue giornate.Ogni giono, il ragazzo si cala dentro un libro, un film, una canzone, per guardare attraverso un filtro diverso il paese .
Ne annusa le tracce animali come se fosse Zanna Bianca, ne osserva le case con la cura di un Hobbit, ne cerca la magia come fosse Harry Potter (mentre il paese diventa San Terradimezzo e San Hogwarts).

È una selezione per nulla snob o intellettuale, che spazia dai Queen a Nonna Papera, e riflette quel bisogno di gioco che c'è ancora in un bambino non del tutto cresciuto e quel bisogno di incasellare le cose e dare loro un ordine, che è tipico degli adolescenti.

La storia si snoda così, tra queste trovate linguistiche e stilistiche che rendono la lettura più curiosa ed espressiva e danno ad ogni capitolo un colore e un umore che si percepiscono chiaramente, senza troppe parole, senza che note troppo esplicite rovinino la magia.

Pagina dopo pagina si svelano al lettore la storia di Simone, i drammi che sta affrontando, le affinità con Sara, il rapporto con il padre e la famiglia. Temi profondi, trattati con delicatezza, a tratti con velata ironia: un tocco sapiente che rende la lettura dolce senza fare sconti sulla sua profondità.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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