Nuvole in scatola
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Il potere dell'immaginazione, la logica bambina che sovverte la logica, la magia delle cose sognate che diventano reali: ecco, se c'è un immaginario a cui Harold appartiene, è proprio quello del Natale.

E allora vi saluto e vi faccio gli auguri, prima della pausa natalizia, proprio con lui, l'ultimo titolo uscito di questa meravigliosa serie.

Harold al polo nord

Harold al Polo Nord arriva dopo Harold e la matita viola (di cui vi avevo già parlato qui), La fiaba di Harold e Harold nello spazio (qui), tutti editi in Italia da Camelozampa.

Il tratto essenziale, spesso e morbido di Crockett Johnson si accompagna alla sua prosa semplice e musicale, sapientemente tradotta da Sara Saorin, per farci entrare in una dimensione in cui l'incredulità è sospesa e ogni cosa immaginata esiste.

Come negli altri titoli, Harold disegna e disegnando crea mondi che lui stesso abita e vive.

Harold al polo nord

Come negli altri titoli, ogni regola viene sovvertita da un semplice tratto di matita: le stelle diventano fiocchi di neve, una duna innevata il tetto di una casa, il dentro è fuori e il fuori è dentro.

Ma è un sovvertimento che coglie di sorpresa, in fondo, solo l'adulto, perché i bambini, specialmente i più piccoli, lo sanno benissimo che è così che funziona il disegno: quante volte avete visto vostro figlio scarabocchiare dei segni a caso e poi decidere soltanto a posteriori cos'aveva disegnato?

E così, a volte disegnando consapevolmente, a volte interpretando ciò che la sua matita traccia quasi per caso, Harold viaggia verso nord, e si ritrova sopra la casa di Babbo Natale, intrappolata nella neve, ma per liberarlo, insieme alle sue renne, basterà solamente disegnarli.

Harold al polo nord

Per vivere un sogno, un'avventura o una fiaba, in fondo, non basta altro che crearli attorno a sé, ed è questo il mio augurio di Natale per voi.


  

C'è sempre il timore, in una saga di narrativa, di quello che chiamo "l'effetto Lost" (scusate il paragone, ma ne sono uscita traumatizzata): che si aprano troppe linee narrative e troppi misteri, tanto da impedire di riprenderne i fili e chiuderli coerentemente.

Ed erano molti i fili lasciati aperti nei primi due capitoli della trilogia della Signora Lana, di Jutta Richter.

La signora Lana e il mondo oltre il mondo

La signora Lana e il mondo oltre il mondo arriva dunque dopo La signora Lana e il profumo della cioccolata e La signora Lana e il segreto degli ombrellini cinesi, tutti editi da Beisler (gli ultimi due titoli usciti sono disponibili anche in formato audiolibro con l'app Beisler Leggi e ascolta), e la nostra aspettativa è quella di risolvere i misteri lasciati aperti e chiudere il senso di questa storia.

Abbiamo accompagnato i fratelli Merle e Moritz nel mondo oscuro di Fanciullopoli, popolato da creature curiose e spesso pericolose, mentre la voce del padre giungeva loro da una ricetrasmittente, lontana nello spazio.
Ma dov'era il padre? Chi è la signora Lana? Che significato hanno i tanti rimandi tra Fanciullopoli e il mondo reale?
Mai come in questo ultimo capitolo le due realtà si intrecciano, portando i personaggi dall'una all'altra: la Volpe Lacrima d'Argento, ad esempio, diventa insegnante alla scuola di Merle e insieme ai bambini tornerà a Fanciullopoli per liberarla dallo Stump, un essere vanesio e disgustoso che ne ha preso il comando, osannato dalle sue fedeli falene.

 La signora Lana e il mondo oltre il mondo

In questo ultimo capitolo il padre non è più soltanto una voce ma torna tra i bambini, una presenza fisica rassicurante in un mondo in cui si fatica a capire a chi credere. Gli abitanti di Fanciullopoli si accusano a vicenda di doppio gioco ed è sempre più destabilizzante, per i protagonisti, affrontare le avventure del "mondo oltre il mondo", senza sapere esattamente quale ne sia lo scopo.

La signora Lana e il mondo oltre il mondo

La signora Lana e il mondo oltre il mondo non risponde a tutte le domande lasciate aperte, come è giusto che sia, in un contesto così denso di misteri, piuttosto le incornicia in un insieme coerente, costruisce insomma le fondamenta di un bellissimo castello tra le nuvole.

Troviamo alcune risposte, alcune scontate (era ovvio chi fosse la signora Lana, vero?), altre più inaspettate, ma il mondo di Fanciullopoli resta almeno in parte inafferrabile, mentre almeno nell'altro, quello reale, tutto torna al suo posto.

Nel concludersi di questa avventura si ha la sensazione di atterrare dopo un lungo volo nello spazio: non si è riusciti ad afferrare ogni cosa, ma c'è stato un inizio e una fine, stare in cielo è stato emozionante, essere tornati ci rasserena. È stato un bel viaggio.


   

Quello di cambiare punto di vista, uscendo non solo dalla mia prospettiva personale, ma proprio da quella umana, è un esercizio che non faccio spesso.

Mi capita guardando le stelle, quando ci si sente piccoli piccoli nell'universo, o a volte salendo in montagna. Oppure quando leggo notizie e programmi sul cambiamento climatico, e penso al pianeta che potrebbe proseguire indifferente la sua orbita anche se diventasse invivibile per noi.

Però

Ma è sempre un esercizio utile guardarsi dal di fuori: in Però, edito da Edizioni Lapis, Gek Tessaro esce dal nostro ruolo di umani ma anche dal nostro tempo, catapultandoci in una preistoria che almeno nelle immagini è più stereotipata di quella reale, ma non per questo è meno efficace nel raccontare questa storia.

Però

Il testo attacca in rima, in prima persona, prima ancora che le immagini ci svelino qualcosa:

Mio padre ha il nasone
e i denti di fuori
Come gambe ha due tronchi
e almeno due cuori.


Mia madre è cicciona
e dunque è molto bella
ed è così spettinata
che sembra una stella.

Alle nostre orecchie, almeno a quelle adulte, c'è subito qualcosa che suona strano: quel "cicciona dunque bella" arriva a turbare le nostre solite equazioni mentali, e anche il nostro senso del politicamente corretto.
Ci rispondiamo (noi adulti) ricordando che la copertina ci mostra un mammut e un uomo preistorico: forse il testo si rifà a canoni di bellezza (e di correttezza) antichi.

Passano ancora due pagine prima che le immagini ci svelino la realtà: a parlare è un cucciolo di mammut, che vivrebbe sereno e felice se non fosse per la presenza degli umani: rumorosi, fastidiosi, questi terribili animali tormentano la sua specie con la caccia e il piccolo proprio non capisce perché debbano esistere.

Però

È allora che papà mammut porta il suo piccolo sopra un'altura, per fargli vedere il mondo dall'alto e fargli capire, in un messaggio di tolleranza, che anche ciò che non comprendiamo ha una sua collocazione nel mondo.

Il mondo è dei microbi
del muschio dei laghi
dei rospi dei lampi
delle mosche e dei draghi.

Al piccolo mammut ancora non basta: gli umani devastano la natura, distruggono boschi e fiumi, sono evidentemente un danno per il pianeta! Però...

"Però forse ieri
ho visto un però."

dirà la mamma.

Forse c'è qualcosa, qualcosa che solo gli umani sanno fare, che può dare significato a tutto.
Nemmeno mamma mammut, che ne ha intuito la grandezza, lo capisce pienamente: lo capirà il lettore, che sta dall'altro lato, quello dell'uomo del presente.

Però

Le illustrazioni di Gek Tessaro, sproporzionate e nodose, ci ricordano in qualche modo proprio le pitture rupestri e sembrano davvero portarci indietro nel tempo, e il percorso che compiamo nella lettura, allontanandoci dall'umanità per guardarla da fuori, prima con repulsione, poi con rinnovato trasporto, è uno di quei viaggi che solo la letteratura può dare. 

Un salto da un punto di vista a un punto di vista altro, per vedere tutto con occhi nuovi.


C'è una riflessione emergente, negli ultimi anni, nel panorama social-mediatico, che mira a smontare un po' la retorica del "se vuoi puoi", quella che decreta che sia sufficiente una certa dose di determinazione a raggiungere qualsiasi risultato. Quella, insomma, che genera infiniti sensi di colpa e di inappropriatezza in tutti coloro i quali, nonostante vogliano, non possono.

È un tema presente ampiamente nel campo dell'educazione e della didattica, perché porre un accento esagerato sulla responsabilità individuale può generare frustrazione e mortificare la motivazione individuale.

Mini coniglio

Mini Coniglio. Un grande aiuto è forse un perfetto esempio di anti-retorica del "se vuoi, puoi".

Scritto e illustrato da John Bond, Mini Coniglio. Un grande aiuto fa seguito al primo titolo, Mini Coniglio. Perso non troppo, pubblicato anch'esso da Zoolibri.

Mini coniglio


"Mamma Coniglio sta scrivendo una lettera molto importante"

È il narratore esterno a raccontare, ma lo fa evidentemente con occhi di bambino: di fronte a quel "molto importante" l'adulto immagina fatture, notifiche di udienze, contratti o chissà che, ma le illustrazioni ci svelano che si tratta semplicemente di un invito alla nonna per una merenda insieme.

Mini Coniglio prende molto sul serio la raccomandazione di Mamma Coniglio, quella di fare presto e imbucare la lettera prima dell'orario di raccolta, e inizia la sua corsa verso la città, ripetendosi costantemente che si tratta di una "lettera molto importante" e che lui sarà "di grande aiuto" per la mamma.

Mini coniglio 

Lungo la strada accadono naturalmente vari contrattempi, a volte indipendenti da lui, a volte dovuti alle sue distrazioni, a o delle idee un po' bislacche. Insomma, quando una lettera si sporca, la si può lavare nel fiume, vero?

Il piccolo lettore partecipa all'impresa di Mini Coniglio, oscillando tra uno scherno divertito (perché è evidente che non si fa così, no?) e una sincera empatia (perché sì: davvero un bambino farebbe così!), e alla fine, pur ridendo di lui, sappiamo di essere tutti, un po', dei Mini Coniglio.

Mini coniglio


Insomma, a volte, anche se ce la si mette tutta (quel tanto che può metterci un bambino), no, non si arriva esattamente laddove si vuole. E questo (a patto di non leggere il libro con intento didattico, "insegnando" ad evitare le distrazioni e a perseguire la perfezione) ci rende tutti un po' più umani.


 

La tv: "E solo fino a domenica, c'è un ulteriore 30% sul metà prezzo!"
Il Piccolo T sempre molto analitico: "Mamma, ma quindi se c'è il 50% e poi il 30% c'è lo sconto dell'80%?"
La mamma sempre molto maestrina: "Non proprio, T, perché il 30% non è sul totale, ma solo sul 50% che resta, quindi in realtà è come se fosse il 15%"

A volte non ci rendiamo conto nemmeno noi di quanti trucchetti di marketing influenzino la nostra mente di consumatori. Figuriamoci i bambini, che a sollevare le antenne di fronte a claim, pubblicità e influencer vari non ci sono abituati affatto.

Da donna di marketing e appassionata di bias cognitivi e inganni mentali, trovo l'argomento affascinante, ma ho sempre paura di passare per pedante quando cerco di mettere in guardia i miei figli. So che una parte di loro desidera subire il fascino della comunicazione pubblicitaria e lasciarsi incantare dalle sue promesse incredibili.

Consumi

Per questo ho accolto con entusiasmo Consumi. La guida per non farsi incantare, un albo a fumetti scritto dalla giornalista Guillemette Faure e illustrato da Adrienne Barman, edito da Il Barbagianni, che in modo agile e coinvolgente racconta tutti i trucchi che il marketing usa per convincerci a comprare.

Consumi

La parte narrativa di Consumi è minima: ci sono quattro ragazzi che si fanno delle domande sulle motivazioni che spingono all'acquisto e un anziano bottegaio, il signor Buonprezzo, che spiega loro tutti gli aspetti a cui devono fare molta attenzione.

Dopo un veloce excursus storico sul consumismo, il libro illustra, uno alla volta, i tanti inganni del marketing: dai prezzi visualizzati a rate alla disposizione dei prodotti sugli scaffali, dalle offerte a scadenza ("ultimi pezzi!") al green washing, dalla suddivisione tra "cose da maschi" e "cose da femmine" ai modelli freemium (gratis ma con acquisti successivi).

Le tavole terminano con delle "dritte" conclusive, che riassumono gli aspetti a cui fare più attenzione.

Consumi


Non c'è una profonda distinzione tra i personaggi in gioco, ma ogni tema è delineato in modo chiaro e immediato, con scene ed esempi concreti, mentre degli esseri rossi dall'aspetto diabolico personificano le menti che creano le diverse operazioni mirate a farci spendere e consumare di più.

Il fumetto, insomma, racconta poco e spiega molto, ma lo fa in modo leggero e semplice, rendendo facilmente riconoscibili le situazioni reali.

Il tema di Consumi è essenziale per affacciarsi sul mercato in modo consapevole, senza l'ingenuità che è inevitabile nei bambini. E sono convinta che un ripassino non farebbe male nemmeno a gran parte degli adulti.


I lupi, nei libri per bambini, sono cattivi.

Oppure rovesciano lo stereotipo e sono "buoni", nel senso che non mangiano nessuno, o al limite lo mangiano per una buona ragione. 

L'immaginario del predatore, insomma, è legato strettamente a un giudizio morale (come se non fossimo noi stessi i primi predatori!) e viene difficile inquadrare un animale per ciò che rappresenta, per la propria specie e per l'equilibrio dell'ecosistema.

Quattordici lupi. Storia vera di un ritorno

Quattordici lupi. Storia vera di un ritorno, di Catherine Barr con le illustrazioni di Jenni Desmond, Editoriale Scienza, racconta il lupo nel suo ruolo ecologico, immerso nel suo ecosistema, e lo fa attraverso una storia vera: la reintroduzione di quattordici lupi nel parco di Yellowstone, il primo parco nazionale al mondo (quello che i più attempati come me ricorderanno come scenario delle avventure di Yoghi e Bubu).

Ed ecco un altro concetto che Quattordici lupi ci porta e che non ci è del tutto intuitivo: la rinaturalizzazione. Spesso immaginiamo interventi di conservazione e protezione di una specie nel suo habitat, ma non è così scontato pensare che laddove la conservazione è fallita e la specie è scomparsa, si possa intervenire con azioni di ripopolazione.

La storia vera di Quattordici lupi inizia proprio dalla scomparsa del lupo a Yellowstone, a causa dei cacciatori e degli allevatori che volevano proteggere il proprio bestiame.

A visualizzare la scomparsa del lupo, c'è l'avanzata dei wapiti, una specie di cervi che senza il loro predatore naturale si moltiplica a dismisura nel parco, turbandone l'equilibrio.

 Quattordici lupi. Storia vera di un ritorno

Come se la pagina fosse il suolo del parco, vediamo i wapiti brucare consumando il verde della vegetazione. A dare carattere a questo albo sono soprattutto le illustrazioni, acquerelli potenti e suggestivi che infondono ora la forza inarrestabile della natura, ora l'immensità del nuovo ambiente dei lupi nel loro viaggio, ora l'intensità del loro sguardo.

Sono immagini forti, che attraversano le pagine come fossero paesaggi e si imprimono nella mente del lettore facendogli percepire sensazioni, profumi, scenari.

Quattordici lupi. Storia vera di un ritorno


L'albo segue la storia, gli spostamenti, la riproduzione dei lupi fino alla loro completa reintroduzione nell'ambiente, ma soprattutto ci illustra l'effetto di questo ripopolamento: qualcosa che va oltre ciò che possiamo immaginare e che allarga il suo impatto non solo sui wapiti, la preda prediletta dei lupi, ma su tutto l'ecosistema animale e vegetale e perfino, sorprendentemente, sulla morfologia del luogo, modificando in modo benefico il corso del fiume.

La catena causa effetto è talmente articolata che a nessuno, spontaneamente, verrebbe in mente, eppure appare chiarissima e logica nella spiegazione di Catherine Barr.

Ogni essere, vivente e non vivente, è connesso a tutti gli altri.

Per questo un lupo non può essere né buono, né cattivo, ma è semplicemente un lupo.


Se vi chiedo di immaginare un essere creato dall'uomo ma che improvvisamente acquisisce una coscienza, a cosa pensate?
Probabilmente a un robot, un androide: nel nostro immaginario la vita nasce dalla tecnologia.

mamma in polvere
 

L'intuizione originale di Pino Pace è quella di modificare questo cliché: in Mamma in polvere (edito da Camelozampa) la vita nasce dalla chimica.
Le "Lio", baby sitter artificiali, sono vendute in sacchetti, come fossero detersivo in polvere (accattivante è l'immagine di copertina, molto pop, dell'illustratrice Cristina Portolano): creature liofilizzate che immerse in una vasca d'acqua si compongono in un surrogato di essere umano, caldo e morbido ma privo di ossa di sostegno.

Entità nate per servire, che possono essere selezionate in base al modello desiderato: severe, creative, permissive. E che sono caratterizzate da un'obsolescenza programmata: dopo pochi anni, iniziano a decomporsi e in questo modo l'azienda che le produce può venderne continuamente di nuove.

A raccontare questa storia, che galleggia e metà tra il distopico e il fantascientifico, è la protagonista, Mara. La loro ultima Lio, Iside, non sembra "scadere" come le altre e inizia a comportarsi in modo strano. Sembra quasi che si sia messa a pensare autonomamente.

mamma in polvere

Cosa fare? Chiamare i giornalisti? Contattare l'azienda? Mamma e papà di Mara cercano una soluzione pratica e utilitaristica, vogliono sfruttare l'eccezionalità della situazione ottenendo fama o denaro. Mara invece guarda nel cuore della sua Lio e decide di salvarla.

Inizia così un'avventura mozzafiato: Mara e il fratello Michele cercano aiuto, inseguiti dagli scagnozzi della multinazionale che produce le Lio. Si rifugiano da un'amica, poi dalla nonna, infine da una famiglia che vive in montagna e gestisce un rifugio.

Inseguimenti, lotte e sparatorie, condite da immagini di forte impatto (come la Lio che perde un braccio) tengono con il fiato sospeso il lettore che così quasi non si accorge di quante riflessioni passino attraverso questa storia: il rapporto tra modernità e natura (conciliabili? inconciliabili? e come?), il peso del marketing nelle nostre vite, il valore dell'autodeterminazione, il rispetto della vita. 

Mamma in polvere unisce soluzioni originali a una trama avvincente, con personaggi interessanti come la nonna, antica e moderna al tempo stesso, che vive nella natura ma pratica arti marziali e ha un fidanzato giapponese. E non manca l'elemento romantico, con l'incontro tra Mara e il figlio degli amici della nonna.

Appare un po' troppo stereotipata, invece, l'immagine della mamma troppo concentrata su se stessa, che trascura i figli per inseguire i suoi sogni di successo. 

Ma l'umanità prevale, reale o artificiale che sia.


Ci sono due modi in cui guardiamo il cielo: uno è quello romantico, estatico, contemplativo di chi si perde nella bellezza, l'altro è quello scientifico, indagatore, di chi cerca le leggi dell'universo.

Sono davvero due sguardi opposti e inconciliabili?

notte piena di promesse

Da grande appassionata tanto di scienza quanto di storie, La notte è piena di promesse mi ha affascinato proprio per questo: per la sua capacità di fondere questi due sguardi in uno, di comunicare quanto la scienza possa essere poesia.

L'albo, scritto dal ricercatore in biologia Jérémie Decalf e pubblicato in Italia da Terre di mezzo editore, si apre con un cielo stellato nero e due sagome, forse un padre e un figlio, che lo ammirano con il naso all'insù. È con questa immagine che racconta il desiderio umano di andare oltre il proprio orizzonte ("Fatti non foste..."), e alla terza pagina si rivela con un particolare insospettabile.

notte piena di promesse

A parlare non è un umano: l'albo è narrato in prima persona da Voyager 2, una delle prime sonde inviate a esplorare il sistema solare, lanciata nel 1977 e ancora oggi attiva, l'unica ad aver "visto da vicino" Urano e Nettuno.

Un artefatto umano ma sul quale riponiamo così tanti sogni e interrogativi che non ci sembra strano dargli un'anima, in questa narrazione.

notte piena di promesse

Attraverso grandi tavole e pochissime parole dal tono evocativo, ne seguiamo il viaggio, ci perdiamo con lei. Ci sembra di sentire il silenzio, di percepire lo smarrimento dato da un luogo che non ha sopra né sotto, e poi lo stupore, la magnificenza dei pianeti che avvista, l'inesorabilità del suo proseguire lungo il suo viaggio, verso l'ignoto.

Le immagini ci mostrano la sonda dall'esterno, ma è suo il punto di vista (in gergo cinematografico, si chiama "semisoggettiva"), è lei che ci porta dove nessun uomo è mai stato.

notte piena di promesse

Nelle parole di Jérémie Decalf, Voyager 2 si meraviglia, si pone interrogativi, ma sono la nostra meraviglia e le nostre domande che si rispecchiano in lei.

L'ampio respiro delle illustrazioni trasmette sensazioni forti. Sembra incredibile, ma percepiamo l'emozione e le sensazioni intime di un oggetto che, in quanto tale, non può averne.

La notte è piena di promesse non è un libro divulgativo: le informazioni che fornisce sono poche e frammentarie, ma è potente, a partire dal fascino della copertina scura con lucidature, nell'infondere emozione, nel raccontare l'incontro di quei due sguardi: la sete di conoscenza e la sete di bellezza, che in fondo sono tutto ciò che ci rende umani.


Il bambino piantò un seme di carota.

È poco più di una frase minima: soggetto, verbo, oggetto, specificazione.

Eppure in queste poche parole troviamo il nucleo di tutto questo straordinario libro: c'è il protagonista (il bambino), la sua azione, all'attivo, perché sarà lui con la sua volontà, la sua caparbietà e i suoi gesti a dare forma alla storia, e c'è il tema centrale di tutta la narrazione: quel seme. Ogni cosa è essenziale.

Solo quella specificazione "di carota" non cambia la sostanza dei fatti, ma è un dettaglio che nutre l'immaginario. Poteva essere un seme qualsiasi, invece ora possiamo visualizzare bene cosa vuole diventare "da grande" quel seme, e non è una pianta ornamentale, ma qualcosa di sostanzioso, di umile ma anche utile.

Un seme di carota

Ecco, Un seme di carota è tutto in questo incipit: la sua prosa misurata, fatta di pochissime parole ben scandite, che lascia il tempo di pesarle una ad una, un'illustrazione semplice su fondo neutro di cui possiamo leggere ogni dettaglio, e qualche piccolo particolare che passa quasi inosservato ma che dà corpo e forza alla storia.

Un seme di carota è un piccolo classico. Lo scrisse Ruth Krauss e lo illustrò il marito Crockett Johnson (il "papà" di Harold, che non stenterete a riconoscere nei tratti di questo bambino), fu pubblicato nel 1945 e oggi arriva in Italia grazie a Topipittori, senza aver perso la sua potenza.

Un seme di carota

 

La mamma gli disse "Non credo che germoglierà"

(...)

E suo fratello gli disse: «Non germoglierà».

I dettagli, dicevamo. Come la delicatezza che adoperano i genitori nel dargli la loro opinione (in inglese è "I'm afraid it won't come up"), e che invece il fratello non si cura di usare.

Delicato o meno, il parere di tutti è concorde: il seme non germoglierà. Ma al bambino non importa. Non si lascia scalfire dalle opinioni degli altri: la sua espressione quasi non muta lungo tutta la durata del libro. Il suo sguardo si volge a loro, segno che li ascolta, eppure va dritto per la sua strada, prendendosi cura del suo seme, innaffiandolo e togliendo le erbacce. 

A questi gesti di cura sono dedicate le frasi più lunghe, che spezzano il ritmo delle sentenze per dare conto di un lavoro meticoloso e amorevole. È la cura che spezza le catene dell'inevitabilità, e la prosa ne tiene conto, dandole un respiro più dolce.

Un seme di carota

Un seme di carota è un albo brevissimo e lineare, che arriva dritto al punto.
Ci racconta la caparbietà, l'importanza dei gesti di cura, la forza della determinazione nel perseguire i propri progetti.

Un piccolo gioiello che parla poco ma ha (ancora) molto da dire.


Alzi la mano chi a volte ha l'inconfessabile speranza che succeda qualcosa, qualcosa di negativo, anche se non troppo, pur di saltare un giorno di lavoro.

Lo vedo che non l'avete alzata. D'altra parte non sarebbe "inconfessabile", altrimenti, ma so che almeno una volta vi è capitato.

 Una buona ragione

E probabilmente è capitato anche ai vostri figli, che non stanno certo bene con la febbre (e poi ci sono tutti quei compiti da recuperare!), ma almeno per una volta vorrebbero godersi una mattina più lenta, in cui stare a letto un po' di più, senza corse e lezioni.

È così che la pensa l'asinello protagonista di Una buona ragione, di Matteo Razzini e Beatrice Zampetti (Zoolibri): è stanco di doversi svegliare così presto per andare a scuola.

Una buona ragione

Sa benissimo che i suoi genitori non gli permetteranno di restare a letto in qualsiasi caso, perciò rimane un po' stupito quando la mamma propone:

"Dammi una buona ragione
e potrai restare a letto."

Davvero? Basta soltanto trovare una buona ragione?

Che problema c'è? Ogni bambino che si rispetti è pieno di buone ragioni per restare a casa da scuola.
È così che inizia una carrellata di scuse, scene e scenette: l'asinello è ammalato, anzi no: è rimpicciolito, anzi, no: è capitano di una nave pirata. Fino al divertente finale, l'asinello continuerà a impegnare il proprio ingegno e la propria fantasia, ma nessuna di queste, alla mamma, sembra una buona ragione.

Una buona ragione


Il fatto è che il senso del dovere di un bambino è molto diverso dal nostro, e poi in fondo, come dicevo, non capita anche a noi di desiderare una tregua?

Matteo Razzini e Beatrice Zampetti non giudicano, ma accolgono questa necessità del bambino e la sua frustrazione nel non vederla accolta e le interpretano con ironia e complicità.

Sono i risguardi a chiudere la storia raccontando il bello di una giornata senza scuola. Anche ai grandi, tutto sommato, la cosa non dispiace affatto.




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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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